Danno professionale risarcibile nelle sue varie componenti
Cass., sez.
lav., 2 dicembre 2011, n. 25799 – Pres. Vidiri – Rel. Arienzo
Trasferimenti illegittimi congiunti a dequalificazione – Risarcibilità del
danno professionale patrimoniale da disconosciuto inquadramento superiore,
nonché del danno non patrimoniale biologico, morale, esistenziale provato
anche per presunzioni.
Il
risarcimento del danno da dequalificazione professionale (cosiddetto danno
professionale) può consistere sia nel danno patrimoniale derivante
dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e
dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel pregiudizio
subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di guadagno, sia
in una lesione del diritto del lavoratore all'integrità fisica o, più in
generale, alla salute ovvero all'immagine o alla vita di relazione. È
compito, poi, del giudice del merito - le cui valutazioni, se sorrette da
congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità -accertare se
in concreto il suddetto danno sussista, individuarne la specie e
determinarne l'ammontare eventualmente procedendo anche ad una liquidazione
in via equitativa. In tali casi il giudice del merito può desumere
l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via
equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione
della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi
alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di
professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale
della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr. in
tali termini, Cass. 26.6.2006 n. 14729).
Svolgimento
del processo
1 Il
Tribunale di Agrigento aveva dichiarato il diritto di C. F. ad essere
inquadrato con mansioni di capo servizio a decorrere dal 1.10.1992 e
condannato la S.p.a. D. S. E. al pagamento, in favore del predetto, della
somma di lire 241.249.086 a titolo di differenze retributive per prestazioni
lavorative dal 4.6.1992 al 31 maggio 1997; aveva, poi, dichiarato
illegittimo il trasferimento del C. da Agrigento a Catania disposto con
provvedimento del 27.8.1996, condannando la società al risarcimento del
danno pari a lire 5 milioni a decorrere dal 26.2.1997 ed illegittima anche
la sospensione dal servizio disposta con provvedimento del 29.11.1997,
condannando la società alla reintegra del ricorrente in mansioni anche
equivalenti presso la sede di Agrigento ed al pagamento della complessiva
somma di lire 146.205.324, a titolo di risarcimento del danno per
l’illegittima dequalificazione professionale nel periodo aprile 1996-giugno
1998, nonché al pagamento di lire 90 milioni a titolo di risarcimento del
danno biologico, con accessori dalla data di pubblicazione della sentenza.
In relazione ad altro giudizio promosso dal C. lo stesso Tribunale aveva
dichiarato illegittimo l’ulteriore trasferimento da Agrigento a Siracusa del
18.1.2001 e condannato la società editrice a reintegrarlo presso la sede di
Agrigento, nonché al pagamento della somma di euro 101.891,30 a titolo di
danno professionale per il periodo 1.7.1998-31.1.2001, ed al pagamento di
euro 51.253,85 a titolo di risarcimento dei danni biologico morale ed
esistenziale, rigettando nel resto la domanda.
Con
sentenza del 23.9.2009, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma
della prima delle pronunzie gravate, dichiarava che il C. aveva svolto dal
gennaio 1985 lavoro giornalistico alle dipendenze della società e condannava
quest’ultima al pagamento, in favore del predetto, a titolo di differenze
retributive, per il periodo 4.6.1992-31-5-1997, della somma di euro
148.783,03, con interessi e rivalutazione monetaria dal 1.1.2009, nonché al
pagamento di euro 20.000,00 a titolo di danno biologico e di euro 6.000,00
per danno morale, oltre accessori sugli indicati importi dal 17.7.2001;
rigettava la domanda risarcitoria per il trasferimento da Agrigento a
Catania del 26.2.1997, confermando nel resto la sentenza di primo grado
377812001; in parziale riforma dell’altra sentenza, condannava la società al
pagamento della somma di euro 6000,00 a titolo di danno esistenziale,
rigettando le domande per danno biologico e morale, dichiarando che sulla
somma di euro 101.892,30, liquidata a titolo di risarcimento del danno
professionale, gli interessi e rivalutazione erano dovuti a decorrere dal
1.2.2001 e confermava la decisione nel resto.
Rilevava
che la pronunzia di primo grado andasse confermata quanto allo svolgimento
di mansioni di collaboratore sin dal 1985, in tal senso integrandosi il
dispositivo, che le differenze, in base a C.t.u. espletata in secondo grado
in relazione a quanto dedotto con l’appello incidentale del C. ammontassero
a somma superiore, che doveva essere confermata la disposta declaratoria di
illegittimità del trasferimento da Agrigento a Catania, per la non
coincidenza dei motivi formali con quelli sostanziali, comunque non provati,
e che anche la disposta sospensione dal servizio fosse illegittima, ma che
non fossero provati i danni lamentati e risarciti nella misura di euro
5.000,00 dal primo giudice, dovendo ritenersi infondate anche le censure
della società riguardo al danno da dequalificazione professionale.
Quanto al
secondo trasferimento da Agrigento a Siracusa, dello stesso doveva
confermarsi la declaratoria di illegittimità, non risultando confermate le
ragioni poste a base del provvedimento di natura disciplinare ed essendo in
ogni caso rimaste indimostrate anche le vicende atte a giustificare
l’incompatibilità ambientale. Il giudice del gravame determinava, poi, in
20.000,00 euro il danno biologico connesso alla patologia psichica
dipendente dalle vicende di causa e liquidava, altresì, il danno morale in
euro 6.000,00, al pari di quello esistenziale.
Avverso
detta decisione la società editrice propone ricorso per cassazione, affidato
a cinque motivi di impugnazione.
Resiste
con controricorso il C. che propone ricorso incidentale basato su due
motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi
dell’art. 378 c.p.c .
Motivi
della decisione
Va,
preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi, ai sensi dell’art. 335
c.p.c.
Con il
primo motivo la società, ricorrente principale, deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 2103 c.c in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3
c.p.c. con riguardo al trasferimento del 18.1.2001.
Assume che
il controllo relativo alla valutazione di legittimità del trasferimento per
incompatibilità ambientale deve limitarsi alla sussistenza di ragionevoli
motivi, non potendo estendersi al sindacato sulle ragioni di merito delle
scelte imprenditoriali e che il trasferimento de qua non aveva natura
disciplinare, ma rappresentava esplicazione del potere organizzativo e
direttivo di cui dispone il datore di lavoro, aggiungendo che il richiamo a
precedente provvedimento disciplinare aveva lo scopo di evidenziare le
gravissime vicende che determinavano l’incompatibilità ambientale del
giornalista.
Denunzia,
poi, violazione e falsa applicazione dell’art. 1424 c.c. in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c., osservando che il contratto nullo può produrre gli
effetti di un contratto diverso del quale contenga i requisiti di sostanza e
forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba
ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità ed
evidenziando che il principio è valido anche per i negozi unilaterali.
Con il
secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., osservando, con
riguardo alla asserita mancanza degli elementi dell’incompatibilità
ambientale ed alla ritenuta loro mancata allegazione e prova, che i fatti
posti a base del provvedimento non erano stati contestati e che pertanto gli
stessi erano da considerarsi incontroversi (accuse mosse nei confronti del
C. da F. S. contenuto degli articoli apparsi su R. nel novembre 1997 e
relativi a presunta attività estorsiva nei confronti del pentito S., rilievi
effettuati dal Consiglio dell’ordine Giornalisti in merito a vicende che
vedevano coinvolto il giornalista, accuse rivolte a quest’ultimo dall’
avvocato A. ).
Omessa
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia ai sensi dell’art. 360 n 5 cpc lamenta la società in relazione
alla mancata valutazione di documenti e di prove nella loro unitarietà in
rapporto alla incompatibilità del C. con l’ambiente sociale e non solo
giornalistico.
Le censure
suddette, aventi ad oggetto il primo trasferimento da Agrigento, sede di
lavoro del C. a Catania, disposto il 27 agosto 1996, sono state mosse sempre
dalla società ed anche in sede di gravame, pure con riferimento al
trasferimento da Agrigento a Siracusa disposto con lettera del 18 gennaio
2001, per avere anche per questo secondo trasferimento la società dedotto
che si era in presenza di un trasferimento operato alla stregua del disposto
dell’art. 2103 c. c .
Le censure
suddette non possono trovare accoglimento in questa sede di legittimità.
Ed infatti,
esse si presentano : inammissibili nella parte in cui la società ricorrente
denunzia una errata valutazione delle risultanze processuali ed, in
particolare, della documentazione allegata agli atti, atteso che è
giurisprudenza costante di questa Corte che la valutazione delle risultanze
processuali è di esclusiva competenza del giudice di merito e che la
decisione di quest’ultimo è ricorribile in cassazione solo nel caso in cui
la motivazione risulti viziata da incoerenza logica o nel caso di errori di
diritto (circostanze non riscontrabili invece nel caso di specie); ed
infondate nella parte, invece, in cui denunziano la erroneità della
decisione in relazione alla ritenuta mancanza di prova, da parte del datore
di lavoro, della sussistenza di esigenze tecniche, organizzative e
produttive atte a giustificare il disposto trasferimento. Sotto quest’ultimo
versante va rimarcato che il giudice d’appello, dopo avere ritenuto (come
del resto ripetutamente richiesto dalla società) che gli atti di
trasferimento dovessero essere, sulla base della lettera dei relativi
provvedimenti - la cui interpretazione non è stata censurata dalla
ricorrente principale ai sensi degli artt. 1362 e ss. c. c. regolati dal
disposto dell’art. 2103 c. c., ha puntualmente osservato che i provvedimenti
datoriali, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente principale, non
si presentavano supportati da alcuna valida ragione giustificativa, per non
avere la società provato che le circostanze dedotte come significative di
una incompatibilità ambientale addebitabile al C. fossero idonee ad incidere
sull’ambiente di lavoro ed ad arrecare in quanto tali pregiudizio alla
produttività ed alle esigenze organizzative dell’impresa.
Con altri
numerosi motivi la società ricorrente lamenta errori da parte della sentenza
impugnata sotto diversi profili, deducendo sostanzialmente che nessun danno
poteva essere liquidato a favore del C. I, essendo i trasferimenti disposti
dalla società legittimi e che non si era tenuto conto, da parte del giudice
d’appello, ai sensi dell’art. 1227 c. c., del comportamento del giornalista
nella causazione del danno, né dei danni che esso, quale creditore, avrebbe
potuto evitare ponendo in essere una condotta diretta a limitare gli stessi;
che, inoltre, non vi era stata una corretta valutazione delle risultanze
istruttorie per quanto attiene alla lamentata assegnazione a mansioni
inferiori e che il denunziato rifiuto di ricevere la prestazione era dipeso
dalla situazione di incompatibilità in cui si era posto il C. che i conteggi
non erano corretti anche per effetto dell’adozione di un univoco corretto
parametro - retribuzione mensile percepita dal C. , moltiplicata per il
numero dei mesi in cui si era protratta la dequalificazione - il quale era,
tuttavia, palesemente illogico ed iniquo perché utilizzato con riferimento a
situazioni diverse (privazione delle mansioni dall’aprile del 1996 al
febbraio 1997, mansioni inferiori sino al 1997 sospensione dal servizio con
corresponsione della retribuzione).
Tali
censure, da esaminarsi congiuntamente a quelle aventi ad oggetto la
attribuzione della qualifica di redattore dal febbraio 1991, - e, per
effetto della prescrizione, la decorrenza del diritto alle differenze
retributive solo a decorrere dal 4 giugno 1992, quando il C. già svolgeva
funzioni di fatto (a decorrere dal mese di gennaio 1992) - e di capo
servizio sino alla data entro la quale queste differenze erano stata chieste
(22 maggio 1997), nei termini riconosciuti dall’impugnata sentenza - per
comportare soluzioni di tematiche tra loro strettamente connesse, vanno
rigettate perché prive di fondamento.
Per
evidente priorità logica va esaminato il motivo relativo alla errata
interpretazione dell’art 11 della contrattazione collettiva di categoria per
violazione dell’art. 1362 c. c .. Tale motivo va dichiarato inammissibile
dal momento che - al di là della pur assorbente considerazione che il
contratto collettivo non è stato allegato al ricorso alla stregua dell’art.
366 n. 6 c.p.c. - con esso, al fine di dimostrare le mansioni svolte dal C.
nella redazione del giornale L.S. , si richiede ancora una volta una
inammissibile rivalutazione delle deposizioni dei testi per inferirne che
l’attività svolta dal C. nell’ambito della redazione del giornale L.S. (per
essere limitata ad un’opera di mero collegamento tra la redazione e l’unico
effettivo caposervizio esistente a Catania e) per non comportare alcuna
responsabilità relativa al servizio redazionale, non poteva in alcun modo
determinare il riconoscimento da parte dei giudici di appello della
qualifica di capo servizio. Ciò premesso, le doglianze attinenti alla
liquidazione dei danni da parte della Corte territoriale appaiono infondate.
Nessun dubbio di alcun genere può sussistere, data la già indicata
illegittimità dei trasferimenti del C. , sull’esistenza di danni dallo
stesso subiti e sulla loro ingiustizia. Ed invero, come affermato da questa
Corte, il risarcimento del danno da dequalificazione professionale
(cosiddetto danno professionale) può consistere sia nel danno patrimoniale
derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal
lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel
pregiudizio subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di
guadagno, sia in una lesione del diritto del lavoratore all’integrità fisica
o, più in generale, alla salute ovvero all’immagine o alla vita di
relazione. È compito, poi, del giudice del merito - le cui valutazioni, se
sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità -
accertare se in concreto -il suddetto danno sussista, individuarne la specie
e determinarne l’ammontare eventualmente procedendo anche ad una
liquidazione in via equitativa (tra le altre, cfr. Cass 10 giugno 2004 n.
11045). In tali casi il giudice del merito può desumere l’esistenza del
relativo danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con
processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche
presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità
della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita,
alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e
alle altre circostanze del caso concreto (cfr. in tali termini, Cass
26.6.2006 n. 14729). E nella specie tali danni, contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente principale, sono stati dapprima provati - è bene
rimarcarlo - nella loro esistenza e poi liquidati nella loro giusta misura
nel rispetto dei principi enunciati più volte dalla giurisprudenza di questa
Corte di cassazione.
Per finire,
anche il ricorso incidentale, affidato a due motivi (dei quali il primo
relativo a violazione di norme di legge per quanto attiene la utilizzazione
ai fini della c.t.u. di buste paga non prodotte in primo grado, oltre che a
vizio di motivazione, ed il secondo alla mancata considerazione di rilevi
attinenti alle circostanze prese in esame dall’ausiliare del giudice) deve
essere dichiarato infondato, perché attiene ad una inammissibile
rivalutazione dei fatti che hanno condotto alla decisione, senza considerare
che i motivi di diritto prospettati non si concludono con la formulazione
dei necessari quesiti di legge. Peraltro, deve osservarsi che la sentenza
che recepisca “per relationemn” le conclusioni e i passi salienti di una
relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il
merito non incorre nel vizio di carenza di motivazione, atteso che, per
infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale
motivazione, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla
consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro
rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione,
risolvendosi una mera disamina, corredata da notazioni critiche dei vari
passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, nella mera
prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di
legittimità (v. Cass. 4.5.2009 n. 10222).
Il rigetto
di entrambi i ricorsi induce a compensare integralmente tra le parti le
spese di lite del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e quello incidentale e
compensa tra le parti le spese di lite del presente giudizio.