BOSSING DEL DIRETTORE GENERALE
CORTE
D’APPELLO DI TORINO, SEZIONE LAVORO 21 aprile 2004 – Pres. Peyron – Rel.
Ramella Trafighet - ASTONE Giuseppe (avv. Dal Piaz, Gori) c. FAS – FINAIRPORT
SERVICE S.p.A. (avv. Pacchiana Parravicini) e CERLINI Gian Luigi (avv. Pacchiana
Parravicini)
Attività
di mortificazione di un dipendente ad opera del direttore generale –
Riconducibilità a bossing – Risarcimento del danno biologico e del danno
morale- Spettanza.
Non
è consentito mettere un dipendente a conoscenza ex post che le sue mansioni saranno attribuite
ad altri, tanto più con un offerta al pubblico quale è un annuncio sul
giornale che ne mette in discussione la figura professionale, né sottoporlo a
continue contestazioni non seguite da provvedimenti disciplinari, né contestare
ogni sua iniziativa e prenderne lo spunto per altre contestazioni, creando
attorno a lui un clima di tensione e delegittimazione,oltretutto chiedendogli di
essere al lavoro sin dalle 6,30 del mattino, e da ultimo, completare questa
opera di isolamento assumendo nei suoi confronti quel provvedimento di ferie
coatte per tre mesi, che ha dato origine alla presente vertenza. Tale
comportamento di mortificazione, ostilità manifesta, emarginazione,
denigrazione, continue critiche recepibili anche all’esterno non è che
attività di mobbing quale evidenziata dall’ultima giurisprudenza (vedasi, per
tutte, Cass. 5491/2000). In questo caso più che di mobbing trattasi di bossing,
atteso che è indubbio, come sopraevidenziato, che l’attività persecutoria
sia stata posta in essere non orizzontalmente dai colleghi ma verticalmente dal
direttore generale, suo superiore gerarchico; e dell’attività del direttore
generale risponde, solidalmente, il datore di lavoro che tale attività ha fatto
sua, consentendola e non intervenendo affinché fosse interrotta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso d’urgenza 7.9.2000, Astone Giuseppe conveniva in giudizio avanti al tribunale di Torino la Fas-Finairport Service spa, presso cui lavorava quale responsabile della conduzione Ristoranti, caffetteria e banqueting, ed il suo direttore generale Cerlini, onde impugnare il collocamento in “ferie coatte” dal 7.8 al 3.11.2000 , quale disposto dalla società, assumendone la illegittimità , atteso che con tale provvedimento, ultimo, a suo dire, di una serie di attività di esautoramento condotte soprattutto dal Cerlini, lo si voleva sradicare dall’organizzazione aziendale; il ricorso veniva respinto dal Giudice monocratico ed accolto invece, in sede di reclamo, dal collegio, che disponeva l’immediata reintegra del lavoratore.
In
sede di merito, l’Astone, oltre alla conferma di quanto deciso in via
d’urgenza, chiedeva altresì la condanna della società e del direttore
generale, in solido tra loro, al risarcimento dei danni anche alla salute, a lui
derivati, in conseguenza di fatti da lui qualificati come mobbing o bossing
(continui richiami ed insulti, continue contestazioni, mancata considerazione
per le sue iniziative lavorative, mancato riconoscimento dei premi di produzione
come avvenuto in passato, perdita della carica di preposto della società
nel registro per gli esercenti il commercio, perdita del ruolo di
responsabile di bar, con conseguente dequalificazione).
Si
costituivano i convenuti negando ogni addebito.
Il
Giudice, con pronuncia 25-29/10/2002, riconosceva all’Astone l’indennità
sostituiva delle ferie per i 23 giorni maturati e non goduti, respingendo ogni
altra domanda, sul presupposto che non ricorresse mobbing, atteso che le
contestazioni avevano un fondamento, che il premio di produzione non era dovuto,
che l’esautoramento dalla responsabilità del servizio bar era giustificato da
risultati non soddisfacenti e
comunque non implicava dequalificazione (peraltro non dedotta), considerato che
l’incremento dell’attività aeroportuale consigliava una diversificazione
dei ruoli e che comunque all’Astone era stata mantenuta
la responsabilità dei settori collegati con l’aggiunta della
caffetteria.
Avverso
tale pronuncia proponeva appello l’Astone contestando le conclusioni cui era
pervenuto il giudice di primo grado, sulla base di una, a suo dire errata,
valutazione delle prove acquisite.
Si
costituivano i convenuti chiedendo la conferma della prima pronuncia.
La
causa veniva quindi discussa e decisa nella pubblica udienza del 16.4.2004, con
lettura del dispositivo in calce.
Preliminarmente
la Corte osserva come le doglianze dell’appellata in merito alla genericità
dell’atto di appello che si limiterebbe ad elencare una serie di documenti già
agli atti da cui si evincerebbe un’attività di mobbing, senza muovere alcuna
osservazione alla pronuncia del giudice di prime cure, non possono essere prese
in considerazione. L’appello si basa sulla contestazione integrale di detta
pronuncia, raggiungendo, attraverso una diversa interpretazione dei documenti e
delle risultanze testimoniali, una conclusione diametralmente opposta rispetto
ad essa. Nessuna genericità può ravvisarsi in detto atto.
Occorre
peraltro sottolineare, in punto leale comportamento processuali delle parti,
come l’atto d’appello, depositato nell’ottobre 2003 e sul quale era stato
apposto in calce decreto di fissazione di udienza in data 10.11.2003 (con
estrazione delle copie da parte del difensore in data 12.11.2003), sia stato
notificato solamente il 9.3.2004, pochi giorni prima della scadenza del termine
per la costituzione rituale dell’appellato.
Se
è vero che il termine di cui al comma 2 dell’art. 435 c.c. è meramente
ordinatorio e la sua violazione non comporta alcuna conseguenza, è del pari
vero che sarebbe opportuno portare a conoscenza
di controparte un atto tanto lungo e tanto articolato con un margine di
tempo maggiore, per consentirne un esame approfondito, in un più corretto
dialogo tra le parti processuali.
Fatte
queste premesse, la Corte ritiene
che la vicenda qui in esame debba essere interpretata, in punto an, in modo
contrario a quello cui è pervenuto il giudice di prime cure, e ciò in piena
adesione con la prospettazione operata dall’appellante.
Come
già detto le doglianze dell’appellante riguardano esclusivamente l’iter
argomentativo che ha portato il giudice di primo grado ad escludere nella
fattispecie la presenza di elementi fonte di responsabilità contrattuale
della società datrice di lavoro, e quindi l’operato esame delle
risultanze probatorie.
Secondo
l’appellante l’attività di mobbing si desumerebbe da:
-
continui
richiami ed insulti,
-
continue
contestazioni,
-
perdita del
ruolo di responsabile di bar, con conseguente dequalificazione,
-
mancata
considerazione per le sue iniziative lavorative,
-
perdita della
carica di preposto della società nel
registro per gli esercenti il commercio relativamente alla somministrazione di
alimenti e bevande,
-
mancato
riconoscimento dei premi di produzione come avvenuto in passato.
Su
quest’ultimo aspetto l’istruttoria svolta non ha portato chiarezza :
sembrerebbe, come ha concluso il giudice di primo grado, che si trattasse di
liberalità concesse dall’allora amministratore delegato (vedasi teste Cei),
ma non è stato accertato se anche
altri dipendenti ne fruissero in passato, perdendole successivamente come l’Astone.
Certa
è la cancellazione del dipendente dal registro dei preposti per gli esercenti
del commercio.
Ma,
secondo questa Corte, sono le altre doglianze ad avere avuto conferma sia a
livello documentale che a livello di istruzione testimoniale.
Invero
già il provvedimento del 25.7.2000
(doc.3 ricorrente nella procedura cautelare), impugnato a livello cautelare, ed
ora non più oggetto di discussione, atteso che la società appellante si è
conformata alla decisione resa dal collegio favorevole al lavoratore, anche se
considerato isolatamente, è quanto mai abnorme. Trattasi di collocazione in
ferie coatte dal 7.8.2000 al 3.11.2000, a fronte della richiesta dell’Astone
di vedersi pagate le ferie pregresse maturate e di cui non aveva usufruito
(doc.1 ricorrente proc.cautelare). E’ quanto meno strano che una società si
privi per così lungo tempo di un suo dipendente e di un dipendente, quale l’Astone,
che riveste la posizione di responsabile del servizio ristorazione. Sembra che
il datore di lavoro voglia allontanare un elemento sgradito, a maggior ragione
se si esamina la lettera 28.8.2000 (doc. 5 ricorrente proc. cautelare), in cui
si invita l’Astone, in ferie, ad allontanarsi dal posto di lavoro e lo si
diffida dall’uso di mezzi ed attrezzi della società e ad “astenersi da dare
disposizioni al personale”, con ciò chiaramente delegittimandolo anche
davanti ai suoi sottoposti.
Ma
tale provvedimento non è che l’ultimo atto di una serie di richiami e
contestazioni che, ugualmente stranamente , non sono poi sfociati in un
provvedimento disciplinare.
Nel
breve periodo compreso tra il 7.5 ed il 6.11.1997, l’Astone, che, in base agli
atti, sino ad allora non era stato mai oggetto di critiche o provvedimenti
disciplinari, viene raggiunto da
ben 7 comunicazioni da parte del datore di lavoro a firma del direttore generale
Cerlini, nominato proprio in quel periodo, con cui gli si imputano i più
svariati addebiti:
-
lett.7.5.1997 (doc.7 ricorrente proc.cautelare):”…Lei si è rivolto in modo
alterato ed ineducato nei confronti del Direttore Generale, urlando imprecisati
servizi svolti da altri reparti….. Si coglie l’occasione per ricordare che
il suo orario di lavoro va concordato con la Direzione Generale e che la
richiesta è di inizio attività alle ore 8/8,15 salvo limitate
eccezioni….”;
-
lett. 23.5.1997 (doc.9 ricorrente proc. cautelare):” ….esprimiamo il nostro
rammarico per il comportamento da lei assunto, in relazione al suo ruolo
aziendale….”;
-
lett. 22.7.1997 (doc.10 ricorrente
proc. cautelare):” Nella giornata di Lunedì risultano effettuate nell’area
Bar 147,39 ore , nonostante ci sia uno schema d’orario che prevede n. 170 ore
giornaliere. A tutto questo va aggiunto l’utilizzo di una persona
extra…..”;
-
lett. 24.7.1997 (doc.12 ricorrente proc. cautelare), dopo precisazioni sulla
mobilità tra reparti, schema di orario, riposi, si richiama l’Astone a far
previamente autorizzare dalla Direzione ogni variazione, ricordandogli come due
giorni di sua assenza, indicati come ferie, non siano stati previamente
richiesti ed autorizzati;
-
lett.28.7.1997 (doc.14 ricorrente proc. cautelare):” “Da una serie di
controlli…., risulta che avvengono ancora preoccupanti disfunzioni in
relazione alla riscossione del servizio effettuato. Tutto ciò le è già stato
verbalmente comunicato con scarsi risultati pratici. Sempre negli ultimi giorni
abbiamo registrato spiacevoli discussioni con la clientela, in particolare con
quella stanziale. Si raccomanda, pertanto, una maggiore attenzione da parte del
ns. personale ed inoltre il rivedere alcuni prezzi eccessivi rispetto al ns.
standard di servizio. Lo schema di orario prevede l’impiego a rotazione di
solo personale part-time per un utilizzo più razionale dello stesso,
inspiegabilmente tutto ciò non avviene…..”;
-
lett.29.7.1997 (doc.16 ricorrente proc. cautelare), con cui si ribadiscono i
concetti della precedente, sottolineando
come :” ho ritenuto passare alla comunicazione scritta, dopo aver constatato
la sua difficoltà a rendere operativo quanto definito”, e segnalando un calo
dei ricavi rispetto alle proiezioni e il deperimento di un elevato numero di
gelati per cattiva manutenzione dei frigoriferi;
-
lett. 3.10.1997 (doc.19 ricorrente proc. cautelare): “Nel corso di precedenti
colloqui le abbiamo più volte sottolineato l’esigenza di migliorare
l’offerta e la qualità del servizio , soprattutto nelle prime ore del mattino
(6,15- 8,00)” – segue indicazione dei disservizi – “…Le chiediamo dal
prossimo lunedì 6 ottobre una sua presenza per tutto il mese dalle ore 6,30 del
mattino. Al fine di evitare spiacevoli discussioni, Le rammentiamo che la sua
timbratura deve avvenire all’inizio attività come da comunicazione
precedente.”;
-
lett. 6.11.1997 (doc.20 ricorrente proc. cautelare):”….Domenica 26.10,
durante la manifestazione per i voli Schengen veniva avvisato dallo scalo Sagat
della necessità operativa dello shopping-cafè nazionale. La sua risposta è
stata –tale struttura non dipende dal mio settore dovete rivolgervi a Cerlini
-. La mancanza di informazione in primis con il settore Edicola Boutique
operante , ha impedito di provvedere all’apertura di tale shopping-cafè,
mentre il personale era stato previsto per il chiosco internazionale. Tutto
questo ha portato grave nocumento all’immagine della nostra società, ancor più
grave per il ruolo da lei ricoperto nell’Azienda.”
Considerato
che ad ognuna di queste lettere sono seguite dettagliate note dell’Astone, è
quantomeno strano che, nel ristretto arco di sei mesi, senza alcun precedente
analogo, vi sia stato uno scambio così intenso di corrispondenza , e che, con
l’ingresso nell’organizzazione aziendale di un nuovo direttore generale, un
dipendente, con mansioni di responsabilità, incominci ad essere oggetto di un
carteggio che sottende profonda insoddisfazione nei confronti del suo operato e
ciò indipendentemente dal fondamento dei fatti a lui contestati, tanto più se
si considera che a ciascuna di queste contestazioni non seguì alcun
provvedimento disciplinare (l’unico provvedimento disciplinare risulta
l’ammonizione scritta del 14.3.2000 per parcheggio in luogo non consentito a
seguito di contestazione dell’1.3.2000, provvedimento peraltro annullato in
sede di collegio arbitrale per vizi formali – docc. 39 e 40 ricorrente proc.
cautelare -).
Poco
dopo questa fitta corrispondenza, l’Astone, con lettera 1.2.1998, espone le
sue proposte innovative riguardo al settore bar, a livello commerciale,
strutturale ed organizzativo, e, con lettera 12.2.1998, espone le sue idee onde
incentivare il personale, evidenziando la necessità per tutti di “benessere
psicologico sul luogo di lavoro”. A tali comunicazioni risponde il direttore
generale, prima con lettera 9.2.1998, in cui inspiegabilmente, nel significare
che quanto segnalato non è altro che una sintesi di quanto suggerito dalla
direzione generale, si fanno allusioni sul fatto che la comunicazione 1.2.1998
sia stata scritta una domenica, “ giorno di intenso lavoro, tale da richiedere
una sua presenza operativa nel reparto- in particolare nel bar- come
ripetutamente richiestole”, e poi, con lettera 5.3.1998, in cui, a fronte
delle proposte dell’Astone per incentivare il personale, il direttore generale
torna a parlare di disorganizzazione dei turni di lavoro
ed aggiunge come “….Durante le ore di lavoro è vietato anche per
lei, come da regolamento aziendale, l’uso del telefono personale cellulare,
soprattutto quando si è impegnati in un servizio al pubblico…..”.
Ogni
occasione è buona per riprendere , sotto il profilo personale, il dipendente.
In
data 10.7.1998, compare sul Corriere della Sera un annuncio di ricerca di un
responsabile ristorante e bar da parte di società operante all’interno
dell’aeroporto di Caselle Torinese (doc. 33 ricorrente-
proc.cautelare); l’Astone, con lettera 17.7.1998 (doc.34 ricorrente –
proc.cautelare), chiede immediatamente spiegazioni essendo quelle mansioni da
lui ricoperte e prospettando una ben comprensibile preoccupazione “sotto
l’aspetto della mia immagine, sia all’interno che all’esterno
dell’azienda”. La teste Vinciguerra, al riguardo, spiega “Ho saputo
nell’ambiente dell’aeroporto che venne fatta un’inserzione sul giornale
per trovare un nuovo responsabile da mettere al posto di Astone, in realtà
anche nelle riunioni
aziendali venne deciso di trovare
una figura sostitutiva per il bar, si pensava di lasciare all’Astone la
responsabilità della ristorazione, non si è mai detto di allontanare Astone, o
almeno davanti a me si è detto di lasciare ad Astone la ristorazione…..Alla
riunione c’erano Antona, Astone, io e Cerlini, venne comunicata all’Astone
la sua nuova collocazione aziendale, gli venne detto che non aveva più la
responsabilità del bar, ad essere onesti Astone non fece alcun commento, la
responsabilità della caffetteria”- (che gli venne attribuita) – “ l’ho
proposta io, almeno mi pare, e nessuno si è opposto.”. In data 2.2.1999
(doc.36 ricorrente –proc. cautelare-), vi è comunicazione formale all’Astone
della sua nuova collocazione aziendale, motivata da esigenze tecnico
organizzative per un rafforzamento commerciale nel settore della ristorazione.
Contestualmente, in data 3.2.1999, come responsabile del bar, viene assunto
Gallo Luciano. Pertanto, indipendentemente dalla sussistenza o meno di tali
esigenze organizzative, di problemi nella gestione del bar (problemi sicuramente
esistenti, in quanto confermati da molti dei testi escussi in primo grado –
vedasi testi Pennella, Firpo, Vinciguerra, Cei, Boccolacci, Catena), l’Astone
venne informato della sua nuova collocazione aziendale a cose fatte e
dopo che era apparso una annuncio economico per una figura professionale
che era la sua.
Quanto
all’ambiente di lavoro in quel periodo, non è vero che, come sostiene
l’appellata, solo due dipendenti che, all’epoca dell’escussione, avevano
cause in corso con l’azienda per impugnazione di licenziamento e mobbing
(Tonello e Marangon), abbiano confermato il clima di tensione. Al riguardo,
anche a non considerare quanto riferito da tali testi, si segnalano le seguenti deposizioni:
teste
Vinciguerra: “anche in azienda vi erano voci sul cattivo rapporto tra Astone e
Cerlini, io non ho mai verificato di persona. Cerlini mi diceva che ogni volta
che chiamava Astone per motivi di lavoro, la reazione di Astone non era quella
desiderata, in quanto Astone non era collaborativo, mentre Astone diceva che il
dott. Cerlini lo chiamava continuamente per contestargli le stesse cose, che non
andavano mai bene le cose che Astone proponeva, e che erano in continua
conflittualità:”;
teste
Mannini: “Il direttore generale mi disse che non dovevo permettermi di
chiamare nessun altro quando avevo ricevuto una disposizione da lui perché lui
era il numero uno…..La questione che avevo chiesto per telefono ad Astone
riguardava le modalità di redazione del conto da preparare per il gruppo di
persone che veniva a mangiare, Cerlini mi aveva detto di mettere una sigletta ed
io non sapeva che cosa volesse dire. Di fatto poi nessuno mi ha spiegato cosa si
intendesse per sigletta e sono rimasto d’accordo con l’Astone di fare come
facevo di solito sperando che andasse bene.”;
teste
Bisutti:” So che non c’era un buon rapporto tra Astone e Cerlini nel senso
che Astone subiva un comportamento non adeguato del direttore generale. Infatti
questi non davanti ai clienti ma nel retro del ristorante parlava a voce alta e
si arrabbiava con l’Astone, mai con me nel senso che se noi sbagliavamo lui se
la prendeva con Astone (secondo Cerlini sbagliavamo). Non ho mai sentito però
insulti o parolacce.”.
E
che il clima fosse pesante lo conferma anche la comunicazione 27.11.1997 inviata
ai dott.ri De Montis e per
conoscenza ad un sindacato da
alcuni dipendenti del duty free shop, sul comportamento tenuto dal dott. Cerlini
(doc.42 ricorrente-proc. cautelare); tale circostanza non è neppure negata dal
giudice di prime cure che peraltro la ritiene fisiologica.
Sulla
base di tali deposizioni e dei documenti sopraevidenziati, si può pertanto
concludere nel senso che l’Astore, a partire dal maggio 1997 e cioè con
l’arrivo del nuovo direttore generale Cerlini, fu fatto oggetto di continui
richiami, contestazioni, esautoramento, in un clima di continua tensione non
certo fisiologico, quanto mai rilevante in un soggetto che, come lui, mai aveva
subito richiami o contestazioni di sorta.
L’appellata
sottolinea come i risultati del bar non fossero soddisfacenti, come l’Astone
arrivasse spesso in ritardo e non tenesse in conto quanto richiestogli dal
direttore generale. Non spiega peraltro perché alle contestazioni non seguirono
provvedimenti disciplinari se non riferendosi ad un desiderio di aiutare il
dipendente in difficoltà nella gestione di un servizio.
Ma,
indipendentemente dalla fondatezza di tali richiami, dai risultati non brillanti
da lui raggiunti nella gestione del bar, dallo sviluppo assunto dall’attività
dell’azienda all’interno dell’aeroporto di Caselle che poteva
giustificare, a livello imprenditoriale, una diversificazione di responsabilità
nell’ambito della ristorazione, sono le modalità con cui tali scelte
imprenditoriali pienamente legittime sono state perseguite ad essere contrarie
ad ogni principio di correttezza e buona fede contrattuale. Non è consentito
mettere un dipendente a conoscenza
ex post che le sue mansioni saranno attribuite ad altri, tanto più con un
offerta al pubblico quale è un annuncio sul giornale che ne mette in
discussione la figura professionale, né sottoporlo a continue contestazioni non
seguite da provvedimenti disciplinari, né contestare ogni sua iniziativa e
prenderne lo spunto per altre contestazioni, creando attorno a lui un clima di
tensione e delegittimazione,oltretutto chiedendogli di essere al lavoro sin
dalle 6,30 del mattino, e da ultimo, completare questa opera di isolamento
assumendo nei suoi confronti quel provvedimento di ferie coatte per tre mesi,
che ha dato origine alla presente vertenza. Tale comportamento di
mortificazione, ostilità manifesta, emarginazione, denigrazione, continue
critiche recepibili anche all’esterno non è che attività di mobbing quale
evidenziata dall’ultima giurisprudenza (vedasi, per tutte, Cass. 5491/2000).
In questo caso più che di mobbing trattasi di bossing, atteso che è indubbio,
come sopraevidenziato, che l’attività persecutoria sia stata posta in essere
non orizzontalmente dai colleghi ma verticalmente dal direttore generale, suo
superiore gerarchico; e dell’attività del direttore generale risponde,
solidalmente, il datore di lavoro che tale attività ha fatto sua, consentendola
e non intervenendo affinché fosse interrotta. Occorre infatti osservare che nel
periodo di causa, come già detto, vi furono altri due licenziamenti ed una
analoga causa per mobbing. Si è pertanto nell’ambito della generale
responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., secondo cui
il datore di lavoro deve tutelare l’integrità fisica e la personalità morale
dei prestatori di lavoro. Trattandosi di responsabilità contrattuale, spetta al
lavoratore la prova delle violazioni, del danno, del nesso causale tra tale
danno e le violazioni stesse, mentre è onere del datore di lavoro provare di
aver adottato tutte le cautele necessarie perché ciò non accadesse.
Nel
caso di specie, come già visto, è stato dimostrato che il datore di lavoro non
intervenne per porre fine all’operato del proprio direttore e per far venir
meno il clima di tensione creatosi, né il datore di lavoro ha provato alcunché
in contrario.
Quanto
al danno, l’Astone produce una consulenza di parte del dott. Enrico Borla (
doc. 41 parte ricorrente- proc. cautelare), che, in sede di costituzione nel
giudizio di appello non viene più in alcun modo contestata dall’appellata. Il
giudice di prime cure, concludendo per l’insussistenza di una responsabilità
del datore di lavoro, non ha disposto alcuna Ctu. Ma alla luce della consulenza
prodotta, e nonostante si sia pervenuti a conclusioni opposte, anche questa
Corte non ritiene necessario ammettere consulenza medico-legale. Invero dalla
stessa consulenza di parte emerge chiaramente come la situazione di
compromissione della salute psichica del lavoratore (fenomeni di ansia,
depressione, insonnia, perdita delle funzioni mnesiche, ridotta capacità di
concentrazione, difficoltà di interazione con familiari ed amici)
sia da mettere in relazione con le vicende lavorative che lo hanno
interessato dal maggio 1997, portando ad una percentuale di danno biologico del
10-15%. Considerato che agli atti vi è documentazione da cui risulta che,
successivamente a tale accertamento, l’Astone, in conseguenza
dell’aggravarsi delle sue condizioni, venne sottoposto a nuovi esami
ospedalieri, riscontrandosi un’ischemia miocardia arteriosa ( vedasi docc.
6bis, 22bis, 23bis, 24bis, 30bis, 31bis e 32bis ricorrente –giudizio di primo
grado), e che pertanto tale percentuale potrebbe essere ancora aumentata, si
ritiene corretta una percentuale in difetto del 13%.
Tenuto
conto dell’età del lavoratore nel 1997, data di inizio dell’attività
illecita del datore di lavoro, e cioè 46 anni, si giunge, secondo le tabelle
elaborate dal Tribunale di Milano (aggiornate al giugno 2002) ad una
quantificazione del danno biologico di € 19.827,34, somma che si ritiene
arrotondare ad € 20.000 per attualizzarla ad oggi.
A
tale somma si deve altresì aggiungere quanto liquidato a titolo di danno
morale, atteso come, pur in presenza di responsabilità solo ex art. 2087 c.c.,
la giurisprudenza ha da ultimo ugualmente ravvisato la possibilità del
risarcimento di tale voce di danno, indipendentemente dalla valutazione
dell’elemento soggettivo (vedasi Cass.7281/2003; Cass.7283/2003;
Cass.8827/2003; Cass.8828/2003 e Corte Cost.233/2003).
Precisa
invero la Consulta come: ”L’art.2059 c.c. deve essere interpretato nel senso
che il danno patrimoniale, in quanto riferito all’astratta fattispecie di
reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa
dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge.”
La
Corte ritiene di liquidare , a tale titolo, considerato basso il livello
delle sofferenze transeunti, un quarto del danno biologico complessivo
come sopradeterminato e cioè € 5.000,00.
In
conclusione gli appellati vanno condannati a risarcire, in solido tra loro, i
danni subiti dall’appellante liquidati in complessivi € 20.000,00, oltre
accessori da oggi. Infatti la liquidazione del danno viene sempre fatta con
riferimento alla data della pronuncia della sentenza, e cioè sulla base di
parametri che tengono conto del “valore” attuale del danno e non del suo
ammontare al momento dell’evento lesivo: non devono di conseguenza essere
corrisposti né la rivalutazione né gli interessi, trattandosi di un credito
che si concretizza in un determinato valore monetario solo all’atto della
pronuncia della sentenza.
Considerata la somma
inizialmente richiesta, si ritiene solo parzialmente accolto l’appello;
quantificata la soccombenza in due terzi, gli appellati vanno condannati, in
solido tra loro, al pagamento di due terzi delle spese di lite, liquidate come
da dispositivo, compensato il residuo terzo.
P
. Q . M .
Visto
l’art. 437 c.p.c.,
in
parziale accoglimento dell’appello,
condanna
la FAS s.p.a. e Cerlini Gian Luigi, in solido tra loro, a pagare ad Astone
Giuseppe a titolo di risarcimento del danno euro 25.000,00 oltre rivalutazione
monetaria ed interessi dalla data odierna;
condanna
gli appellati in solido a rimborsare all’appellante due terzi delle spese di
entrambi i gradi, liquidate per
l’intero per il primo grado ( ivi
comprese le spese della fase cautelare) in euro 2.970,00 e per il presente in
euro 1.815,00 di cui 1.3330,00 per onorari e 320,00 per diritti oltre Iva e Cpa,
compensato il residuo terzo.
Così
deciso all’udienza del 16.4.2004 (depositata il 21.4.2004)
IL CONSIGLIERE
Estensore
Dott.ssa Claudia
Ramella Trafighet
IL
PRESIDENTE
Dott.
Carlo Peyron
(Torna alla Sezione Mobbing)