BOSSING DEL DIRETTORE GENERALE

 

CORTE D’APPELLO DI TORINO, SEZIONE LAVORO 21 aprile 2004 – Pres. Peyron – Rel. Ramella Trafighet - ASTONE Giuseppe (avv. Dal Piaz, Gori) c. FAS – FINAIRPORT SERVICE S.p.A. (avv. Pacchiana Parravicini) e CERLINI Gian Luigi (avv. Pacchiana Parravicini)

 

Attività di mortificazione di un dipendente ad opera del direttore generale – Riconducibilità a bossing – Risarcimento del danno biologico e del danno morale- Spettanza.

 

Non è consentito mettere un dipendente  a conoscenza ex post che le sue mansioni saranno attribuite ad altri, tanto più con un offerta al pubblico quale è un annuncio sul giornale che ne mette in discussione la figura professionale, né sottoporlo a continue contestazioni non seguite da provvedimenti disciplinari, né contestare ogni sua iniziativa e prenderne lo spunto per altre contestazioni, creando attorno a lui un clima di tensione e delegittimazione,oltretutto chiedendogli di essere al lavoro sin dalle 6,30 del mattino, e da ultimo, completare questa opera di isolamento assumendo nei suoi confronti quel provvedimento di ferie coatte per tre mesi, che ha dato origine alla presente vertenza. Tale comportamento di mortificazione, ostilità manifesta, emarginazione, denigrazione, continue critiche recepibili anche all’esterno non è che attività di mobbing quale evidenziata dall’ultima giurisprudenza (vedasi, per tutte, Cass. 5491/2000). In questo caso più che di mobbing trattasi di bossing, atteso che è indubbio, come sopraevidenziato, che l’attività persecutoria sia stata posta in essere non orizzontalmente dai colleghi ma verticalmente dal direttore generale, suo superiore gerarchico; e dell’attività del direttore generale risponde, solidalmente, il datore di lavoro che tale attività ha fatto sua, consentendola e non intervenendo affinché fosse interrotta.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso d’urgenza 7.9.2000, Astone Giuseppe conveniva in giudizio avanti al tribunale di Torino la Fas-Finairport Service spa, presso cui lavorava quale responsabile della conduzione Ristoranti, caffetteria e banqueting, ed il suo direttore generale Cerlini, onde impugnare il collocamento in “ferie coatte” dal 7.8 al 3.11.2000 , quale disposto dalla società, assumendone la illegittimità , atteso che con tale provvedimento, ultimo, a suo dire, di una serie di attività di esautoramento condotte soprattutto dal Cerlini, lo si voleva sradicare dall’organizzazione aziendale; il ricorso veniva respinto dal Giudice monocratico ed accolto invece, in sede di reclamo, dal collegio, che  disponeva l’immediata reintegra del lavoratore.

In sede di merito, l’Astone, oltre alla conferma di quanto deciso in via d’urgenza, chiedeva altresì la condanna della società e del direttore generale, in solido tra loro, al risarcimento dei danni anche alla salute, a lui derivati, in conseguenza di fatti da lui qualificati come mobbing o bossing (continui richiami ed insulti, continue contestazioni, mancata considerazione per le sue iniziative lavorative, mancato riconoscimento dei premi di produzione come avvenuto in passato, perdita della carica di preposto della società  nel registro per gli esercenti il commercio, perdita del ruolo di responsabile di bar, con conseguente dequalificazione).

Si costituivano i convenuti negando ogni addebito.

Il Giudice, con pronuncia 25-29/10/2002, riconosceva all’Astone l’indennità sostituiva delle ferie per i 23 giorni maturati e non goduti, respingendo ogni altra domanda, sul presupposto che non ricorresse mobbing, atteso che le contestazioni avevano un fondamento, che il premio di produzione non era dovuto, che l’esautoramento dalla responsabilità del servizio bar era giustificato da risultati  non soddisfacenti e comunque non implicava dequalificazione (peraltro non dedotta), considerato che l’incremento dell’attività aeroportuale consigliava una diversificazione dei ruoli e che comunque all’Astone era stata mantenuta  la responsabilità dei settori collegati con l’aggiunta della caffetteria.

Avverso tale pronuncia proponeva appello l’Astone contestando le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado, sulla base di una, a suo dire errata, valutazione delle prove acquisite.

Si costituivano i convenuti chiedendo la conferma della prima pronuncia.

La causa veniva quindi discussa e decisa nella pubblica udienza del 16.4.2004, con lettura del dispositivo in calce.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente la Corte osserva come le doglianze dell’appellata in merito alla genericità dell’atto di appello che si limiterebbe ad elencare una serie di documenti già agli atti da cui si evincerebbe un’attività di mobbing, senza muovere alcuna osservazione alla pronuncia del giudice di prime cure, non possono essere prese in considerazione. L’appello si basa sulla contestazione integrale di detta pronuncia, raggiungendo, attraverso una diversa interpretazione dei documenti e delle risultanze testimoniali, una conclusione diametralmente opposta rispetto ad essa. Nessuna genericità può ravvisarsi in detto atto.

Occorre peraltro sottolineare, in punto leale comportamento processuali delle parti, come l’atto d’appello, depositato nell’ottobre 2003 e sul quale era stato apposto in calce decreto di fissazione di udienza in data 10.11.2003 (con estrazione delle copie da parte del difensore in data 12.11.2003), sia stato notificato solamente il 9.3.2004, pochi giorni prima della scadenza del termine per la costituzione rituale dell’appellato.

Se è vero che il termine di cui al comma 2 dell’art. 435 c.c. è meramente ordinatorio e la sua violazione non comporta alcuna conseguenza, è del pari vero che sarebbe opportuno portare a conoscenza  di controparte un atto tanto lungo e tanto articolato con un margine di tempo maggiore, per consentirne un esame approfondito, in un più corretto dialogo tra le parti processuali.

Fatte queste premesse,  la Corte ritiene che la vicenda qui in esame debba essere interpretata, in punto an, in modo contrario a quello cui è pervenuto il giudice di prime cure, e ciò in piena adesione con la prospettazione operata dall’appellante.

Come già detto le doglianze dell’appellante riguardano esclusivamente l’iter argomentativo che ha portato il giudice di primo grado ad escludere nella fattispecie la presenza di elementi fonte di responsabilità contrattuale  della società datrice di lavoro, e quindi l’operato esame delle risultanze probatorie.

Secondo l’appellante l’attività di mobbing si desumerebbe da:

- continui richiami ed insulti,

- continue contestazioni,

- perdita del ruolo di responsabile di bar, con conseguente dequalificazione,

- mancata considerazione per le sue iniziative lavorative,

- perdita della carica di preposto della società  nel registro per gli esercenti il commercio relativamente alla somministrazione di alimenti e bevande,

- mancato riconoscimento dei premi di produzione come avvenuto in passato.

Su quest’ultimo aspetto l’istruttoria svolta non ha portato chiarezza : sembrerebbe, come ha concluso il giudice di primo grado, che si trattasse di liberalità concesse dall’allora amministratore delegato (vedasi teste Cei), ma non è stato accertato se  anche altri dipendenti ne fruissero in passato, perdendole successivamente come l’Astone.

Certa è la cancellazione del dipendente dal registro dei preposti per gli esercenti del commercio.

Ma, secondo questa Corte, sono le altre doglianze ad avere avuto conferma sia a livello documentale che a livello di istruzione testimoniale.

Invero già  il provvedimento del 25.7.2000 (doc.3 ricorrente nella procedura cautelare), impugnato a livello cautelare, ed ora non più oggetto di discussione, atteso che la società appellante si è conformata alla decisione resa dal collegio favorevole al lavoratore, anche se considerato isolatamente, è quanto mai abnorme. Trattasi di collocazione in ferie coatte dal 7.8.2000 al 3.11.2000, a fronte della richiesta dell’Astone di vedersi pagate le ferie pregresse maturate e di cui non aveva usufruito (doc.1 ricorrente proc.cautelare). E’ quanto meno strano che una società si privi per così lungo tempo di un suo dipendente e di un dipendente, quale l’Astone, che riveste la posizione di responsabile del servizio ristorazione. Sembra che il datore di lavoro voglia allontanare un elemento sgradito, a maggior ragione se si esamina la lettera 28.8.2000 (doc. 5 ricorrente proc. cautelare), in cui si invita l’Astone, in ferie, ad allontanarsi dal posto di lavoro e lo si diffida dall’uso di mezzi ed attrezzi della società e ad “astenersi da dare disposizioni al personale”, con ciò chiaramente delegittimandolo anche davanti ai suoi sottoposti.

Ma tale provvedimento non è che l’ultimo atto di una serie di richiami e contestazioni che, ugualmente stranamente , non sono poi sfociati in un provvedimento disciplinare.

Nel breve periodo compreso tra il 7.5 ed il 6.11.1997, l’Astone, che, in base agli atti, sino ad allora non era stato mai oggetto di critiche o provvedimenti disciplinari, viene  raggiunto da ben 7 comunicazioni da parte del datore di lavoro a firma del direttore generale Cerlini, nominato proprio in quel periodo, con cui gli si imputano i più svariati addebiti:

- lett.7.5.1997 (doc.7 ricorrente proc.cautelare):”…Lei si è rivolto in modo alterato ed ineducato nei confronti del Direttore Generale, urlando imprecisati servizi svolti da altri reparti….. Si coglie l’occasione per ricordare che il suo orario di lavoro va concordato con la Direzione Generale e che la richiesta è di inizio attività alle ore 8/8,15 salvo limitate eccezioni….”;

- lett. 23.5.1997 (doc.9 ricorrente proc. cautelare):” ….esprimiamo il nostro rammarico per il comportamento da lei assunto, in relazione al suo ruolo aziendale….”;

- lett. 22.7.1997  (doc.10 ricorrente proc. cautelare):” Nella giornata di Lunedì risultano effettuate nell’area Bar 147,39 ore , nonostante ci sia uno schema d’orario che prevede n. 170 ore giornaliere. A tutto questo va aggiunto l’utilizzo di una persona extra…..”;

- lett. 24.7.1997 (doc.12 ricorrente proc. cautelare), dopo precisazioni sulla mobilità tra reparti, schema di orario, riposi, si richiama l’Astone a far previamente autorizzare dalla Direzione ogni variazione, ricordandogli come due giorni di sua assenza, indicati come ferie, non siano stati previamente richiesti ed autorizzati;

- lett.28.7.1997 (doc.14 ricorrente proc. cautelare):” “Da una serie di controlli…., risulta che avvengono ancora preoccupanti disfunzioni in relazione alla riscossione del servizio effettuato. Tutto ciò le è già stato verbalmente comunicato con scarsi risultati pratici. Sempre negli ultimi giorni abbiamo registrato spiacevoli discussioni con la clientela, in particolare con quella stanziale. Si raccomanda, pertanto, una maggiore attenzione da parte del ns. personale ed inoltre il rivedere alcuni prezzi eccessivi rispetto al ns. standard di servizio. Lo schema di orario prevede l’impiego a rotazione di solo personale part-time per un utilizzo più razionale dello stesso, inspiegabilmente tutto ciò non avviene…..”;

- lett.29.7.1997 (doc.16 ricorrente proc. cautelare), con cui si ribadiscono i concetti della precedente,  sottolineando come :” ho ritenuto passare alla comunicazione scritta, dopo aver constatato la sua difficoltà a rendere operativo quanto definito”, e segnalando un calo dei ricavi rispetto alle proiezioni e il deperimento di un elevato numero di gelati per cattiva manutenzione dei frigoriferi;

- lett. 3.10.1997 (doc.19 ricorrente proc. cautelare): “Nel corso di precedenti colloqui le abbiamo più volte sottolineato l’esigenza di migliorare l’offerta e la qualità del servizio , soprattutto nelle prime ore del mattino (6,15- 8,00)” – segue indicazione dei disservizi – “…Le chiediamo dal prossimo lunedì 6 ottobre una sua presenza per tutto il mese dalle ore 6,30 del mattino. Al fine di evitare spiacevoli discussioni, Le rammentiamo che la sua timbratura deve avvenire all’inizio attività come da comunicazione precedente.”;

- lett. 6.11.1997 (doc.20 ricorrente proc. cautelare):”….Domenica 26.10, durante la manifestazione per i voli Schengen veniva avvisato dallo scalo Sagat della necessità operativa dello shopping-cafè nazionale. La sua risposta è stata –tale struttura non dipende dal mio settore dovete rivolgervi a Cerlini -. La mancanza di informazione in primis con il settore Edicola Boutique  operante , ha impedito di provvedere all’apertura di tale shopping-cafè, mentre il personale era stato previsto per il chiosco internazionale. Tutto questo ha portato grave nocumento all’immagine della nostra società, ancor più grave per il ruolo da lei ricoperto nell’Azienda.”

Considerato che ad ognuna di queste lettere sono seguite dettagliate note dell’Astone, è quantomeno strano che, nel ristretto arco di sei mesi, senza alcun precedente analogo, vi sia stato uno scambio così intenso di corrispondenza , e che, con l’ingresso nell’organizzazione aziendale di un nuovo direttore generale, un dipendente, con mansioni di responsabilità, incominci ad essere oggetto di un carteggio che sottende profonda insoddisfazione nei confronti del suo operato e ciò indipendentemente dal fondamento dei fatti a lui contestati, tanto più se si considera che a ciascuna di queste contestazioni non seguì alcun provvedimento disciplinare (l’unico provvedimento disciplinare risulta l’ammonizione scritta del 14.3.2000 per parcheggio in luogo non consentito a seguito di contestazione dell’1.3.2000, provvedimento peraltro annullato in sede di collegio arbitrale per vizi formali – docc. 39 e 40 ricorrente proc. cautelare -).

Poco dopo questa fitta corrispondenza, l’Astone, con lettera 1.2.1998, espone le sue proposte innovative riguardo al settore bar, a livello commerciale, strutturale ed organizzativo, e, con lettera 12.2.1998, espone le sue idee onde incentivare il personale, evidenziando la necessità per tutti di “benessere psicologico sul luogo di lavoro”. A tali comunicazioni risponde il direttore generale, prima con lettera 9.2.1998, in cui inspiegabilmente, nel significare che quanto segnalato non è altro che una sintesi di quanto suggerito dalla direzione generale, si fanno allusioni sul fatto che la comunicazione 1.2.1998 sia stata scritta una domenica, “ giorno di intenso lavoro, tale da richiedere una sua presenza operativa nel reparto- in particolare nel bar- come ripetutamente richiestole”, e poi, con lettera 5.3.1998, in cui, a fronte delle proposte dell’Astone per incentivare il personale, il direttore generale torna a parlare di disorganizzazione dei turni di lavoro  ed aggiunge come “….Durante le ore di lavoro è vietato anche per lei, come da regolamento aziendale, l’uso del telefono personale cellulare, soprattutto quando si è impegnati in un servizio al pubblico…..”.

Ogni occasione è buona per riprendere , sotto il profilo personale, il dipendente.

In data 10.7.1998, compare sul Corriere della Sera un annuncio di ricerca di un responsabile ristorante e bar da parte di società operante all’interno dell’aeroporto di Caselle Torinese (doc. 33 ricorrente-  proc.cautelare); l’Astone, con lettera 17.7.1998 (doc.34 ricorrente – proc.cautelare), chiede immediatamente spiegazioni essendo quelle mansioni da lui ricoperte e prospettando una ben comprensibile preoccupazione “sotto l’aspetto della mia immagine, sia all’interno che all’esterno dell’azienda”. La teste Vinciguerra, al riguardo, spiega “Ho saputo nell’ambiente dell’aeroporto che venne fatta un’inserzione sul giornale per trovare un nuovo responsabile da mettere al posto di Astone, in realtà anche nelle riunioni aziendali venne deciso di trovare una figura sostitutiva per il bar, si pensava di lasciare all’Astone la responsabilità della ristorazione, non si è mai detto di allontanare Astone, o almeno davanti a me si è detto di lasciare ad Astone la ristorazione…..Alla riunione c’erano Antona, Astone, io e Cerlini, venne comunicata all’Astone la sua nuova collocazione aziendale, gli venne detto che non aveva più la responsabilità del bar, ad essere onesti Astone non fece alcun commento, la responsabilità della caffetteria”- (che gli venne attribuita) – “ l’ho proposta io, almeno mi pare, e nessuno si è opposto.”. In data 2.2.1999 (doc.36 ricorrente –proc. cautelare-), vi è comunicazione formale all’Astone della sua nuova collocazione aziendale, motivata da esigenze tecnico organizzative per un rafforzamento commerciale nel settore della ristorazione. Contestualmente, in data 3.2.1999, come responsabile del bar, viene assunto Gallo Luciano. Pertanto, indipendentemente dalla sussistenza o meno di tali esigenze organizzative, di problemi nella gestione del bar (problemi sicuramente esistenti, in quanto confermati da molti dei testi escussi in primo grado – vedasi testi Pennella, Firpo, Vinciguerra, Cei, Boccolacci, Catena), l’Astone venne informato della sua nuova collocazione aziendale a cose fatte e  dopo che era apparso una annuncio economico per una figura professionale che era la sua.

Quanto all’ambiente di lavoro in quel periodo, non è vero che, come sostiene l’appellata, solo due dipendenti che, all’epoca dell’escussione, avevano cause in corso con l’azienda per impugnazione di licenziamento e mobbing (Tonello e Marangon), abbiano confermato il clima di tensione. Al riguardo, anche a non considerare quanto riferito da  tali testi, si segnalano le seguenti deposizioni:

teste Vinciguerra: “anche in azienda vi erano voci sul cattivo rapporto tra Astone e Cerlini, io non ho mai verificato di persona. Cerlini mi diceva che ogni volta che chiamava Astone per motivi di lavoro, la reazione di Astone non era quella desiderata, in quanto Astone non era collaborativo, mentre Astone diceva che il dott. Cerlini lo chiamava continuamente per contestargli le stesse cose, che non andavano mai bene le cose che Astone proponeva, e che erano in continua conflittualità:”;

teste Mannini: “Il direttore generale mi disse che non dovevo permettermi di chiamare nessun altro quando avevo ricevuto una disposizione da lui perché lui era il numero uno…..La questione che avevo chiesto per telefono ad Astone riguardava le modalità di redazione del conto da preparare per il gruppo di persone che veniva a mangiare, Cerlini mi aveva detto di mettere una sigletta ed io non sapeva che cosa volesse dire. Di fatto poi nessuno mi ha spiegato cosa si intendesse per sigletta e sono rimasto d’accordo con l’Astone di fare come facevo di solito sperando che andasse bene.”;

teste Bisutti:” So che non c’era un buon rapporto tra Astone e Cerlini nel senso che Astone subiva un comportamento non adeguato del direttore generale. Infatti questi non davanti ai clienti ma nel retro del ristorante parlava a voce alta e si arrabbiava con l’Astone, mai con me nel senso che se noi sbagliavamo lui se la prendeva con Astone (secondo Cerlini sbagliavamo). Non ho mai sentito però insulti o parolacce.”.

E che il clima fosse pesante lo conferma anche la comunicazione 27.11.1997 inviata ai dott.ri De  Montis e per conoscenza ad un  sindacato da alcuni dipendenti del duty free shop, sul comportamento tenuto dal dott. Cerlini (doc.42 ricorrente-proc. cautelare); tale circostanza non è neppure negata dal giudice di prime cure che peraltro la ritiene fisiologica.

Sulla base di tali deposizioni e dei documenti sopraevidenziati, si può pertanto concludere nel senso che l’Astore, a partire dal maggio 1997 e cioè con l’arrivo del nuovo direttore generale Cerlini, fu fatto oggetto di continui richiami, contestazioni, esautoramento, in un clima di continua tensione non certo fisiologico, quanto mai rilevante in un soggetto che, come lui, mai aveva subito richiami o contestazioni di sorta.

L’appellata sottolinea come i risultati del bar non fossero soddisfacenti, come l’Astone arrivasse spesso in ritardo e non tenesse in conto quanto richiestogli dal direttore generale. Non spiega peraltro perché alle contestazioni non seguirono provvedimenti disciplinari se non riferendosi ad un desiderio di aiutare il dipendente in difficoltà nella gestione di un servizio.

Ma, indipendentemente dalla fondatezza di tali richiami, dai risultati non brillanti da lui raggiunti nella gestione del bar, dallo sviluppo assunto dall’attività dell’azienda all’interno dell’aeroporto di Caselle che poteva giustificare, a livello imprenditoriale, una diversificazione di responsabilità nell’ambito della ristorazione, sono le modalità con cui tali scelte imprenditoriali pienamente legittime sono state perseguite ad essere contrarie ad ogni principio di correttezza e buona fede contrattuale. Non è consentito mettere un dipendente  a conoscenza ex post che le sue mansioni saranno attribuite ad altri, tanto più con un offerta al pubblico quale è un annuncio sul giornale che ne mette in discussione la figura professionale, né sottoporlo a continue contestazioni non seguite da provvedimenti disciplinari, né contestare ogni sua iniziativa e prenderne lo spunto per altre contestazioni, creando attorno a lui un clima di tensione e delegittimazione,oltretutto chiedendogli di essere al lavoro sin dalle 6,30 del mattino, e da ultimo, completare questa opera di isolamento assumendo nei suoi confronti quel provvedimento di ferie coatte per tre mesi, che ha dato origine alla presente vertenza. Tale comportamento di mortificazione, ostilità manifesta, emarginazione, denigrazione, continue critiche recepibili anche all’esterno non è che attività di mobbing quale evidenziata dall’ultima giurisprudenza (vedasi, per tutte, Cass. 5491/2000). In questo caso più che di mobbing trattasi di bossing, atteso che è indubbio, come sopraevidenziato, che l’attività persecutoria sia stata posta in essere non orizzontalmente dai colleghi ma verticalmente dal direttore generale, suo superiore gerarchico; e dell’attività del direttore generale risponde, solidalmente, il datore di lavoro che tale attività ha fatto sua, consentendola e non intervenendo affinché fosse interrotta. Occorre infatti osservare che nel periodo di causa, come già detto, vi furono altri due licenziamenti ed una analoga causa per mobbing. Si è pertanto nell’ambito della generale responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., secondo cui il datore di lavoro deve tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Trattandosi di responsabilità contrattuale, spetta al lavoratore la prova delle violazioni, del danno, del nesso causale tra tale danno e le violazioni stesse, mentre è onere del datore di lavoro provare di aver adottato tutte le cautele necessarie perché ciò non accadesse.

Nel caso di specie, come già visto, è stato dimostrato che il datore di lavoro non intervenne per porre fine all’operato del proprio direttore e per far venir meno il clima di tensione creatosi, né il datore di lavoro ha provato alcunché in contrario.

Quanto al danno, l’Astone produce una consulenza di parte del dott. Enrico Borla ( doc. 41 parte ricorrente- proc. cautelare), che, in sede di costituzione nel giudizio di appello non viene più in alcun modo contestata dall’appellata. Il giudice di prime cure, concludendo per l’insussistenza di una responsabilità del datore di lavoro, non ha disposto alcuna Ctu. Ma alla luce della consulenza prodotta, e nonostante si sia pervenuti a conclusioni opposte, anche questa Corte non ritiene necessario ammettere consulenza medico-legale. Invero dalla stessa consulenza di parte emerge chiaramente come la situazione di compromissione della salute psichica del lavoratore (fenomeni di ansia, depressione, insonnia, perdita delle funzioni mnesiche, ridotta capacità di concentrazione, difficoltà di interazione con familiari ed amici)  sia da mettere in relazione con le vicende lavorative che lo hanno interessato dal maggio 1997, portando ad una percentuale di danno biologico del 10-15%. Considerato che agli atti vi è documentazione da cui risulta che, successivamente a tale accertamento, l’Astone, in conseguenza dell’aggravarsi delle sue condizioni, venne sottoposto a nuovi esami ospedalieri, riscontrandosi un’ischemia miocardia arteriosa ( vedasi docc. 6bis, 22bis, 23bis, 24bis, 30bis, 31bis e 32bis ricorrente –giudizio di primo grado), e che pertanto tale percentuale potrebbe essere ancora aumentata, si ritiene corretta una percentuale in difetto del 13%.

Tenuto conto dell’età del lavoratore nel 1997, data di inizio dell’attività illecita del datore di lavoro, e cioè 46 anni, si giunge, secondo le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (aggiornate al giugno 2002) ad una quantificazione del danno biologico di € 19.827,34, somma che si ritiene  arrotondare ad € 20.000 per attualizzarla ad oggi.

A tale somma si deve altresì aggiungere quanto liquidato a titolo di danno morale, atteso come, pur in presenza di responsabilità solo ex art. 2087 c.c., la giurisprudenza ha da ultimo ugualmente ravvisato la possibilità del risarcimento di tale voce di danno, indipendentemente dalla valutazione dell’elemento soggettivo (vedasi Cass.7281/2003; Cass.7283/2003; Cass.8827/2003; Cass.8828/2003 e Corte Cost.233/2003).

Precisa invero la Consulta come: ”L’art.2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno patrimoniale, in quanto riferito all’astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge.”

La Corte ritiene di liquidare , a tale titolo, considerato basso il livello  delle sofferenze transeunti, un quarto del danno biologico complessivo come sopradeterminato e cioè € 5.000,00.

In conclusione gli appellati vanno condannati a risarcire, in solido tra loro, i danni subiti dall’appellante liquidati in complessivi € 20.000,00, oltre accessori da oggi. Infatti la liquidazione del danno viene sempre fatta con riferimento alla data della pronuncia della sentenza, e cioè sulla base di parametri che tengono conto del “valore” attuale del danno e non del suo ammontare al momento dell’evento lesivo: non devono di conseguenza essere corrisposti né la rivalutazione né gli interessi, trattandosi di un credito che si concretizza in un determinato valore monetario solo all’atto della pronuncia della sentenza.

Considerata la somma inizialmente richiesta, si ritiene solo parzialmente accolto l’appello; quantificata la soccombenza in due terzi, gli appellati vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento di due terzi delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, compensato il residuo terzo.

P . Q . M .

Visto l’art. 437 c.p.c.,

in parziale accoglimento dell’appello,

condanna la FAS s.p.a. e Cerlini Gian Luigi, in solido tra loro, a pagare ad Astone Giuseppe a titolo di risarcimento del danno euro 25.000,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla data odierna;

condanna gli appellati in solido a rimborsare all’appellante due terzi delle spese di entrambi i gradi,  liquidate per l’intero  per il primo grado ( ivi comprese le spese della fase cautelare) in euro 2.970,00 e per il presente in euro 1.815,00 di cui 1.3330,00 per onorari e 320,00 per diritti oltre Iva e Cpa, compensato il residuo terzo.

 

Così deciso all’udienza del 16.4.2004 (depositata il 21.4.2004)

IL CONSIGLIERE Estensore

Dott.ssa Claudia Ramella Trafighet

IL PRESIDENTE

Dott. Carlo Peyron

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