Un
dramma di coscienza
(di
Luigi La Spina - 20 luglio 2002, www.lastampa.it)
Un
documento drammatico e significativo della profonda crisi di coscienza tra le
file cattoliche suscitata dalle proposte governative sulla riforma del mercato
del lavoro. Ma anche la sorpresa e l’amarezza di Marco Biagi, il giurista
ucciso dalle Brigate rosse, che si proclama credente e impegnato a difendere i
valori dell’insegnamento sociale della Chiesa, quando avverte la vasta ostilità
che il suo «Libro bianco», testo ispiratore dei provvedimenti del ministro
Maroni, solleva proprio nel suo ambiente, nel suo ambito di riferimento.
Uno
spaccato illuminante, infine, dei problemi concreti nel mondo del lavoro
italiano, diviso tra consapevolezza di dover cambiare alla luce delle nuove
forme di organizzazione sociale nell’economia moderna e paura di una
flessibilità dell’occupazione che può trasformarsi nella precarietà assoluta di
un progetto di vita. Sono queste le fondamentali impressioni che si traggono
dalla lettura, appassionante per lo scontro delle idee ma anche per quello dei
sentimenti, della registrazione di un confronto-scontro avvenuto a Roma, tra
Marco Biagi e la Consulta della Chiesa per i problemi sociali, una sorta di
ministero del lavoro in Vaticano.
Una discussione in cui delegati ed esperti del mondo cattolico gli esprimono, tra qualche ingenuità e molta utopia, dubbi, ma anche accuse severe. Critiche che Biagi respinge con molta fermezza e puntigliosità, ma che lo colpiscono fortemente. Il dibattito avviene il 25 gennaio 2002. Dopo 53 giorni, il giurista sarà assassinato dai terroristi davanti a casa sua, a Bologna, la sera del 19 marzo. Destino tragico per lui anche nella coincidenza della data: quella della festa di San Giuseppe, patrono di tutti i lavoratori cattolici.
********
ESCLUSIVO:
DURO CONFRONTO TRA IL GIURISTA VITTIMA DALLE BR E I DELEGATI DEL «WELFARE»
VATICANO
«Sono
molto grato di questo invito, perché il confronto sui temi del lavoro è molto
utile in tutte le direzioni e in tutti gli ambienti; essendo poi io anche un
credente, mi è particolarmente di aiuto riflettere nell´ambiente della Chiesa a
cui appartengo e in cui credo». L´intervento di Marco Biagi al dibattito
confronto con i delegati della Consulta per il Lavoro della Cei, comincia così.
Quello che segue è il resoconto del dibattito, che non risparmia critiche al
giurista bolognese. «Io - continua Biagi - sono professore ordinario di diritto
del lavoro all´università di Modena e da molti anni collaboro al ministero del
Lavoro, anche con diversi ministri; in questo caso, sono consigliere del
ministro del Lavoro Maroni... Sono sostanzialmente responsabile degli aspetti
tecnici della proposta di legge che poi il governo ha fatto il 15 novembre che
traduce, almeno in parte, il programma di questo libro bianco sul mercato del
lavoro...». «Il libro bianco sul mercato del lavoro è un documento molto
controverso. Ho deciso di iniziare proprio così, presentandovi un testo
realizzato da alcuni miei colleghi, prevalentemente di area Cgil, intitolato
Lavoro, ritorno al passato, pubblicato recentemente dalla casa editrice della
Cgil, che costituisce la critica al libro bianco e ad alcune prime proposte
operative... E´ raffigurato, vedete, il lupo che si copre la faccia con una
maschera d´agnello, ma che poi si toglie; è il lupo che sarei io o qualcosa del
genere che viene raffigurato in questo libro dai miei colleghi; ma questo fa
parte di un sano dibattito che, finché rimane dal punto di vista di qualche
immagine, fa solo piacere ed è il sale della vita...». «Il tasso di occupazione
in Italia è molto basso ed è fra i più bassi dell´Unione europea... ma non
basta aumentare il tasso di occupazione, occorre migliorare la qualità del
lavoro... Sul mercato del lavoro abbiamo delle regole obsolete: sono figlie
normalmente di un periodo storico molto importante che furono gli anni 70,
dallo Statuto dei lavoratori in poi... Così dall´Unione europea da quattro o
cinque anni ci prendiamo delle ramanzine piuttosto serie... Esiste nel
dibattito appassionato, che avrete sicuramente seguito sui giornali, un
fortissimo scontro che vede oggi artefice questo famoso articolo 18 sui
licenziamenti fra chi sostanzialmente lo vuol cambiare e chi no... Quando il
dibattito si radicalizza, sicuramente possiamo dire, non è una bella cosa. Il
dialogo si fa difficile...». «L´organizzazione del lavoro si è sempre evoluta,
ma mai con la velocità con cui si sta evolvendo negli ultimi anni... bisogna
agire in fretta, non c´è molto tempo da perdere... la globalizzazione non è una
cosa da discutere nei convegni; può lasciare vittime sulla strada del mercato
del lavoro che quindi deve essere governato. Il dialogo sociale è uno strumento
ideale, ma a volte è uno molto lento perché i sindacati sono molto restii al
cambiamento, sono tutti uguali... Io li conosco molto bene per mestiere. Ci
sono amici, come gli amici cislini, che sono sicuramente un sindacato più
aperto al cambiamento; ma altri ambienti sindacali sono molto conservatori. La
parola sembrerà un po´ strana, rivolta ai sindacati, ma i sindacati a volte
sono estremamente conservatori. Quindi il dialogo sociale, bene, ma bisogna che
proceda più rapidamente e quindi se la parti sociali non si mettono d´accordo,
qualcuno deve pur decidere e sarà il governo, il parlamento, secondo le regole
democratiche...» «Lo strumento preferibile per lavorare continua ad essere
quello che noi chiamiamo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato... non
tutti, però, possono essere in questa condizione, gli imprenditori non possono
assumere tutti in questa forma, hanno bisogno anche di altre forme. Bisogna
trovarle, regolarle in maniera civile e seria, perché altrimenti gli
imprenditori fanno come quei bambini a cui si nega qualche cosa che poi se la
vanno a prendere da soli, perché così è la legge dell´economia...». «Noi in
questo libro bianco diciamo che la strada furbesca alla flessibilità sul lavoro
non va bene; deve finire, non è così che si fa. Non si può continuare ad andare
avanti con due milioni di collaboratori coordinati e continuativi in Italia,
molti dei quali sono finti... Siamo ai margini della legalità... Occorre perciò
aggiornare la disciplina giuridica e passare dallo Statuto dei lavoratori del
1970 a uno Statuto dei lavori. Qual è la differenza? Il primo regolava il
lavoratore dipendente a tempo indeterminato... ora in trenta-quarant´anni di
tipi di lavoratori ne sono cresciuti tanti, quindi c´è bisogno di uno statuto
che tuteli tutti...». «Il lavoro irregolare viene recuperato, viene fatto
riemergere se la strumentazione giuridica viene modernizzata, se vengono create
delle convenienze... Allora bisogna avere il coraggio, la determinazione, la
volontà politica di dire che gli strumenti vanno ripensati, riorganizzati e non
si può dare a tutti gli stessi diritti... bisogna scegliere, bisogna
distinguere. Oggi l´alternativa è: grandi diritti per chi è in fabbrica, spesso
lavoro nero per chi in fabbrica non c´è...». «Perché voi sentite tutta questa
"guerra", (scusate l´espressione), sull´articolo 18: qui effettivamente
non è facile dirlo in due parole. O ci si accontenta di una tutela per chi è
già occupato, sindacalizzato nella grande impresa, strutturato, come si dice, o
si rivolge l´attenzione verso tutti i deboli del mercato del lavoro... bisogna
correre in loro soccorso, integrarli, farli diventare lavoratori rispettati e
rispettabili, con degli strumenti però diversi, perché altrimenti nessuno lo
farà mai, il lavoro nero vincerà sempre... perché non tutti gli imprenditori
possono essere, fra l´altro, "cuor di leone"...». «Certamente si
tocca la materia dei licenziamenti. Perché? Ma, vedete, qualcuno può anche
pensare, ma questo governo com´è proprio testardo. Andare proprio a tirar fuori
un argomento così, che rianima lo spirito di cui nessuno sente proprio il
bisogno, anche nel nostro mondo di crociate. Cerchiamo bene il dialogo,
cerchiamo ciò che ci unisce, non ciò che ci divide».
DON
RAFFAELE CICCONE (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Milano):
«La prima cosa importante è: che cosa ne facciamo della concertazione? Ha retto
negli anni 90 una problematica drammatica di inserimento nell´Europa e quindi
ai lavoratori è stata chiesta una grossa fatica e un grosso impegno di
verifica, anche perché, tra l´altro, il tasso d´inflazione non è al 2 per
cento... Che cosa ne facciamo del sindacato, visto che a un certo punto si
parla di contratti individuali? Il sindacato riesce ad essere una realtà
importante, preziosa, d´intesa, di pace sociale oppure lo vogliamo smantellare
e onestamente gli ultimi tentativi di spaccare la Cgil dalla Cisl e dalla Uil
sono stati plateali...». «Oggi la famiglia è obbligata ad avere due redditi...
il part-time è un´illusione perciò a meno che non ci sia un monoreddito
piuttosto alto... Le aziende oggi hanno puntato sulla cosiddetta
esternalizzazione. La maggioranza delle aziende sono sotto i 15 dipendenti per
cui la disoccupazione è continua, all´interno del mondo italiano, se è per
questo. In più viene comunque licenziata una persona quando si ristruttura... è
la parola magica questa. Da me arrivano almeno una volta al mese aziende che
chiudono. E´ un discorso estremamente delicato; l´articolo 18 tocca una
minoranza di lavoratori».
DON
GIANNI FORNERO (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Torino).
«Effettivamente in Italia c´è troppo lavoro nero, bisogna cercare di far
qualcosa... Sono anche d´accordo nel dire che ci sono frange del sindacato,
particolarmente la Fiom-Cgil, che sono legate a una visione del passato,
collegate prevalentemente a Rifondazione comunista, e a una società come se non
fosse neppure caduto il Muro di Berlino, sul quale io penso sia bene prendere
le distanze, perché ci porterebbe lontano. Fra l´altro lei ha avuto la
gentilezza di citare una contraddizione interna alla sinistra, perché solo due
anni fa Accornero aveva scritto:l´ultimo tabù. Di questo dobbiamo essere
consapevoli tutti, perché anche D´Alema stava pensando a fare quella roba, cioè
sull´articolo 18. Quindi non dobbiamo essere troppo ingenui...». «Detto questo,
sono sostanzialmente d´accordo con il mio amico di Milano, che non so se
bisognava partire dall´articolo 18 oppure dalle nuove politiche attive del
lavoro. Altrimenti qui scateniamo un´insicurezza nel mondo del lavoro italiano
che è già abbastanza forte e che sarà difficilmente gestibile... Prima dobbiamo
dare delle garanzie...».
DON CARLO CAVIGLIONE (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro
di Genova): «Io vengo da Genova e siccome nella relazione si parlava di
superare il passato, ricordo che è storica la Sala della chiamata, nel porto di
Genova, dove quando c´erano dieci, dodici, quindicimila lavoratori, allora
andavano da tutte le parti questi disperati e venivano chiamati giornalmente
per i lavori che c´erano da fare nel porto. Questo ha creato una certa cultura
che poi si è cercato di superare con i nuovi ordinamenti del lavoro... Ora
vorrei stare un pochino attento a questa cultura della provvisorietà, quasi al
limite della disperazione».
DON
ROCCO D´AMBROSIO (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Bari).
«Il libro bianco non mi piace perché ha una filosofia del lavoro, poi anche dei
riferimenti etici, che non condivido assolutamente... C´è una frase che
sollecita un ordinamento giuridico basato su un´amministrazione per obiettivi
piuttosto che un´amministrazione per regole. Gli obiettivi, nelle aziende, sono
quelli che si fanno per fare maggior profitto. Le regole si fanno per tutelare
un po´ il quadro generale. Se noi passiamo agli obiettivi, dove vanno a finire
le regole?... La Costituzione del `48 che non solo è fondata sul lavoro, ma è
la Costituzione di uno Stato di diritto che non vede norme leggere. Le norme
leggere sono le norme che mettono in crisi gli Stati di diritto. Se c´è uno
Stato di diritto che deve andare avanti su un bene primario qual è il lavoro,
le norme non devono essere pesanti nel senso di bloccare i processi di
globalizzazione e di produttività, questo siamo d´accordo, ma le norme devono
essere chiare, devono essere precise, devono essere forti... Lo Statuto deve
essere dei lavoratori, perché nei nostri principi etici i lavoratori sono più
importanti del lavoro, e il lavoro più importante del profitto... ».
DR.
PASQUALE CARACCIOLO (direttore della Consulta regionale per il Lavoro
dell´Umbria). «La filosofia del libro bianco tende a spostare le tutele e le
regole dai lavoratori al mercato del lavoro... ma ciò presuppone che esista un
sistema complessivamente funzionante... Gli elementi di flessibilità che si
sono introdotti dal `96 ad oggi sono non pochi e il ricorso oggi al mercato del
lavoro nero evidentemente è solamente una scelta deliberata di illegalità... La
flessibilità accentua le situazioni di non tutela nei confronti dei
lavoratori...». «Che cosa si intende per governare? Governo con chi? Governo
con che cosa e con quali metodi? So che indubbiamente la scelta fondamentale è
quella della concertazione, a cui anche il Magistero sociale si riferisce,
perché le decisioni non possono essere mai prese gli uni contro gli altri. Le
decisioni devono essere prese attraverso un procedimento di reale ragionamento.
Poi alla fine, certo, c´è chi deve decidere... Il dialogo sociale può anche
andar bene per l´Italia, se significa superamento della logica del diritto di
veto, ma non può significare che io introduco alcuni elementi di incontro su
cui vediamo, ragioniamo e alla fine decido io».
MARCO
BIAGI. «Non ho volutamente parlato della delega sul mercato del lavoro per
questioni di tempo; però mi consentirete amabilmente di contestare che in
queste deleghe si parli solo dell´articolo 18. Visto che, con mia sorpresa,
noto una fortissima attenzione critica nei confronti di questi provvedimenti,
bisogna che ricordi ai miei cortesi interlocutori che su 47 pagine l´articolo
18 è una mezza pagina... Devo dire, con uguale spirito di amicizia, che è falso
che i provvedimenti attuativi riguardino soltanto l´articolo 18. Non posso
essere d´accordo che l´intervento sia in una logica sostanzialmente di
abbassare tutele e demolire diritti; assolutamente no. Non sono neppure
d´accordo sul fatto che le dichiarazioni di principi siano assolutamente
strumentali o, almeno così ho capito, contraddette poi da alcune proposte» «Qui
non è la questione se si tutelano o no le persone che lavorano. Io francamente
non mi sono mai posto il problema. Per me è un principio di affermazione
etica... la questione è come si tutelano le persone... perché se io devo
ammettere che la tutela, o come noi diciamo ipertutela, di alcuni si continui a
tradurre nella sottotutela e nell´abbandono di tanti altri, in questo mercato
del lavoro nero che continua a proliferare, allora mi consentirete di
affermare: la mia etica mi impone di occuparmi di tutti, non solo di quelli che
sono tutelati.» «Il libro bianco non è il funerale della concertazione...
Concertazione , nell´accezione più consolidata, è quella che vede governo e
parti sociali decidere insieme. Le parti sociali non sono elette dai cittadini,
mentre il parlamento sì, e questa non è una questione da poco. Nel nostro
paese, per le questioni del mercato del lavoro, sembra quasi che il parlamento
sia diventato una comparsa, che disturba anche!... Non sono d´accordo che la
concertazione sostituisca il Parlamento, e lo dico a voce alta. Non sono
d´accordo col modello del 1998, perché l´ho visto, non funziona, blocca... Allora
la mia scelta politica, etica e culturale è di cambiare...». «Nessuno toglie
l´articolo 18 a chi ce l´ha oggi; si fa una sperimentazione per vedere se per
caso qualcuno che oggi è fuori dal mercato del lavoro possa eventualmente
entrarvi se sospendiamo l´articolo 18 per quattro anni. Poi, scusatemi, se
bisogna fare il processo alle intenzioni e dire "bugiardo, bugiardo,
perché in realtà tu lo vuoi cancellare", questo, però, si può dire di
qualunque opinione. Io, francamente, essendo fra i tecnici che scrivono le
leggi, ho scritto "sperimentare" e intendo
"sperimentare"...» «Part-time: non è un´illusione, è una grande
occasione di vita, perché il part-time quando è volontario è buon lavoro,
quando è involontario è cattivo lavoro, è ricatto, certo!». «Liberismo
selvaggio? Ma il libro bianco parla per pagine e pagine di servizi pubblici per
l´impiego. Andatevi a leggere quello che è il liberismo selvaggio della
Thatcher degli anni `90. Andatevi a leggere i libri bianchi degli inglesi di
quei governi. Quello era il liberalismo selvaggio con cui si è distrutto tutto
l´impianto pubblico. Ma questo non c´è...» «Governo per obiettivi.
L´interpretazione che il "management by objectives" avesse a che fare
col profitto francamente non mi era mai venuto in mente. E´ una cosa
completamente estranea, è una tecnica». «Norme leggere. Non c´entra nulla la
sottotutela, perché rimane la legge, il contratto collettivo, tutte quelle che
noi chiamiamo fonti. In aggiunta vengono previste, in via sperimentale, delle
tecniche regolatorie diverse, ma che non vengono da qualche villaggio africano,
vengono dai paesi anglosassoni... Perché si usano? Perché si ritiene che in
certe materie possa essere più conveniente usare delle prescrizioni non del
tutto vincolanti, ma incoraggianti, premiali, ma mica sulle questioni
fondamentali...». «Dal lavoro al mercato. La tutela del lavoro non avviene
soltanto sul singolo posto del lavoro e quindi nell´ambito del rapporto
bilaterale datore-prestatore di lavoro, ma anche e soprattutto nel mercato... perché
la vita lavorativa è cambiata, perché i 30-35 anni nella stessa azienda non
esistono più...». «Sottoprotetti. Qualcuno di voi l´ha colto: il libro bianco è
figlio della passata legislatura, della prima parte, del pacchetto Treu, di
quegli interventi riformisti che sono riusciti a regolarizzare il rapporto di
lavoro... il libro bianco riflette una tendenza che è propria anche della
migliore sinistra, quella che ragiona e quella che non si chiude gli occhi».
DON
MARIO INZOLI (Pastorale del Lavoro di Crema). «Sulla flessibilità c´è un
problema serio: non è solo flessibilità sì o no: è che l´uomo, se non è aiutato
ad essere flessibile, per cui è un problema di formazione, come farà a
diventare flessibile quando ha imparato un lavoro solo?»
DON
TERESIO SCUCCIMARRA (assistente della Gioventù Operaia Cristiana). «Nella
storia italiana è difficile pensare al successo del dialogo sociale. Resto
legato a quest´immagine di un governo che non sia assente, ma che abbia una
grande capacità di mediazione fra le parti sociali. E´ vero che questo non
sveltisce i processi, però credo che il giungere insieme, l´arrivare insieme
sia ancora un valore. Collegato a questo c´è anche il tema della
conservazione...Ci sono atteggiamenti antagonisti tenacemente radicati nel sindacato,
ma ricordo un passaggio di Manghi dove dice che il sindacato è di per sè
conservatore, perché deve tutelare e quindi deve tener fermi alcuni valori,
alcuni principi, alcune tutele deve comunque garantirle...».
«A me
resta il timore che un´enfasi sull´arbitrato rispetto alla giustizia togata sia
pericolosa... perché, anche sul piano internazionale, l´arbitrato è molto in
auge soprattutto nel Wto o in questi ambienti e non garantisce soprattutto i
più deboli».
DON
LIVIO DESTRO (delegato diocesano della Pastorale Sociale del Triveneto). «Io
vengo da una terra dove la flessibilità la si vive in modo fortissimo: negli
ultimi cinque anni circa il 70 per cento dei contratti nuovi sono atipici... La
flessibilità, come dice la "Laborem Exercens", diventa la chiave
essenziale della questione sociale... la gente ha paura. Questo noi lo cogliamo
fortissimamente. Nel libro bianco manca la chiarezza su alcune questioni: la
carriera di una persona è continuamente spezzata al ribasso oppure la
formazione in questo senso diventa una parte del lavoro e qualifica?»
«Contratti individuali. Vedo che nel lavoro realmente capita che i contratti
individuali tendono a sgretolare quella che Giovanni Paolo II chiama il luogo
di lavoro come una comunità di persone..».
DON ANGELO SALA (già responsabile della Pastorale sociale e del Lavoro di Milano). «Due parole mi fanno paura: la "precarietà" e la "selezione". Perché tutta questa filosofia dietro al discorso tecnico porta a uno scenario in cui vivono queste due realtà fondamentali, la precarietà, cioè uno deve cominciare sempre daccapo, non è vero che il lavoro interinale ad esempio porta poi dopo all´assunzione... La selezione: vuol dire che si tagliano fuori alcune persone per prenderne altre... La precarietà e la selezione compongono un asse coassiale che è micidiale. Per cui, se si devono tentare strade nuove, è giusto. Non sia questo però il vangelo, non sia questa la carta definitiva, perché etica e tecnica debbono essere coniugate in modo ancor più serio secondo me».
MARCO
BIAGI. «Vorrei fare ammenda di due grandi difetti del libro bianco, sui
disabili e sulla formazione. Se ci invertiamo i ruoli, un giorno, vi dimostro
quante severe critiche muoverei al libro bianco, ma per altre ragioni...Il
libro è frutto un po´ di improvvisazione e io che l´ho coordinato, lo so bene.
Abbiamo sacrificato le ferie e l´abbiamo scritto, tutto lì. Quattro o cinque
persone come me hanno sacrificato l´estate e tutto lì...». «Bisogna avere il
coraggio, lo dico con franchezza, anche il coraggio dell´impopolarità. Perché
nel difendere l´articolo 18 si acquista grande popolarità, ma non aiuta molto
ad andare avanti».
«Il sindacato non viene distrutto. Fra quello che fa Berlusconi e quello che fece la Thatcher c´è un po' di differenza nel mondo del lavoro. La Thatcher fece un attacco frontale ai sindacati e dichiarò di voler tagliare loro le unghie. Qui secondo me c´è un discorso che chiaramente dice ai sindacati qual è la linea e poi si vede. Io vi posso dire che con gli amici della Cisl io ho ragionato molto, moltissimo, anzi io sono andato a delle riunioni, tipo la vostra, in casa Cisl, dove hanno dedicato delle giornate al libro bianco e non ho mai sentito tanti apprezzamenti come in casa Cisl sul libro bianco, addirittura mi mettevano in imbarazzo quasi. Io sono andato anche alla Cgil, caspita, me ne sono sentite di tutti i colori. Per carità, io sono abituato ormai da tanti anni, però dico anche vorrei sapere poi dove sono esattamente le cose che contraddicono la partecipazione, la responsabilità sociale delle imprese...». «Arbitrato. Oggi la giustizia ordinaria non funziona. E´ giustizia quella per cui il giudice ci risponde se il licenziamento è legittimo o meno fra 6-7 anni in via definitiva? L´idea non è quella di sostituire, ma di sperimentare anche lì una soluzione che veda l´arbitrato. L´arbitrato non è solo Wto, globalizzazione e multinazionali; l´arbitrato è nel mondo del lavoro in Francia e in Inghilterra che non mi sembrano paesi incivili...».
Mons. G. CARLO BREGANTINI (vescovo di Locri e responsabile della Consulta nazionale
della Conferenza Episcopale Italiana per la Pastorale del Lavoro): «Credo che
il dibattito abbia messo in luce una fortissima preoccupazione etica, ma anche
una fortissima preoccupazione pastorale. Quindi se i toni sono stati forti sono
tali perché c´è dietro una voce di dolore e di fatica...». «Il ruolo dei
sindacati certo deve essere intelligente, ma anche di grande valore, perché
altrimenti, adagio adagio, si sgretola tutto. In questa logica non dobbiamo
dire che i licenziamenti, di fatto, non ci sono. Ci sono già, dobbiamo
ovviamente prendere atto di questo...». «Forse lei ha colto la bellezza della
dialettica, della passione, frutto dell´amore per la gente che abbiamo, frutto
della fatica anche di chi vede tanta gente senza lavoro oppure gente espulsa.
La ringraziamo immensamente e le auguriamo di portare queste note non
secondarie, ma incisive, anche in alto».
(La stampa web 20.7.2002, interni, p.5)
Nell’articolo
di fondo “Il lavoro, Marco Biagi e le critiche della chiesa” (su
"la Repubblica" del 25 luglio 2002, p. 1 e 38) E. Scalfari – partendo dal
confronto soprariassunto tra le
“consulte pastorali” e l’estensore del “libro bianco” – così si
esprime:
A
tutte queste osservazioni che costituiscono nel loro insieme una critica serrata
nei confronti del “Libro bianco”, Marco Biagi reagisce punto per punto
riaffermando la validità delle sue tesi e sottolineando che l’ispirazione
etica e religiosa gli è stata comunque sempre presente. Non vuole essere
considerato come un tecnico senza convinzioni morali, tuttavia si richiama alla
realtà, al mutamento sociale ed economico che non può essere fermato e
all’interno del quale debbono essere trovate
e costruite le nuove regole. Ma i suoi interlocutori mantengono le loro riserve
e le riaffermano con un alternarsi di interventi appassionati che fanno di
questo documento una testimonianza drammatica per chi lo legge oggi con la
conoscenza di ciò che avvenne di terribile appena due mesi dopo.
Biagi
si definisce più volte come uno “sperimentatore”, un uomo di scienza che
vuole e deve tentare e scoprire le soluzioni più adatte nei limiti della
situazione “data”. Ma i suoi interlocutori mettono in discussione proprio
l’immodificabilità di quella situazione, nei confronti della quale elevano un
uro di riserve e di critiche. Biagi, sotto l’incalzare delle contestazioni,
difende in forme via via sempre più assiomatiche la sua verità e le
attribuisce un valore assoluto, a dispetto della sperimentalità inizialmente da
lui stesso affermata; i rappresentanti diocesani dal canto loro dubitano di
quelle terapie, per essi non c’è nulla di assoluto nelle tesi sociali in
discussione, salvo un punto, anzi una premessa: i lavoratori sono persone,
portatrici come tutte le persone di diritti. Questo è il loro assoluto, tutte
le altre categorie debbono piegarsi di fronte al valore della persona.
C’è
qui una sorta di inversione di ruoli che va segnalata: il laico (sia pure di
fede cattolica) che assolutizza orgogliosamente la propria verità mondana e i
rappresentanti della Chiesa che relativizzano gli strumenti mantenendo fermo il
fine.
[…]
Ecco. Questo è il succo di quanto si dissero il 25 gennaio Marco Biagi e i
rappresentanti della politica sociale dell’episcopato
cattolico italiano. Ci fu grande
impegno e grande buona fede da
entrambe le parti, ma la contrapposizione fu netta e riguardò il problema della
variabile indipendente, come dice il mio amico Alfredo Reichlin. Per Biagi la
variabile indipendente, cioè il dato che condiziona tutto il resto, era il
mercato e la logica dell’impresa; per i suoi interlocutori erano i diritti
delle persone.
Lo
scontro è tuttora questo ed è lungi dall’essere stato risolto.
Probabilmente
non lo sarà mai. Sia per l’una che per l’altra visione si può parlare
correttamente di riformismo, ma il primo è un riformismo di più basso livello,
il secondo di livello più alto. Tutti e due puntano sulle regole. Il primo
all’interno della variabile indipendente della logica d’impresa, il secondo
all’interno della variabile indipendente dell’estensione dei diritti.
Detta
così, forse la questione che tanto divide oggi la politica italiana risulterà
più chiara e questo sarà un vantaggio per la migliore comprensione del
problema».
Eugenio Scalfari
(Ritorna
all'elenco Articoli
nel sito)