Un dramma di coscienza

(di Luigi La Spina - 20 luglio 2002, www.lastampa.it)

 

Un documento drammatico e significativo della profonda crisi di coscienza tra le file cattoliche suscitata dalle proposte governative sulla riforma del mercato del lavoro. Ma anche la sorpresa e l’amarezza di Marco Biagi, il giurista ucciso dalle Brigate rosse, che si proclama credente e impegnato a difendere i valori dell’insegnamento sociale della Chiesa, quando avverte la vasta ostilità che il suo «Libro bianco», testo ispiratore dei provvedimenti del ministro Maroni, solleva proprio nel suo ambiente, nel suo ambito di riferimento.

Uno spaccato illuminante, infine, dei problemi concreti nel mondo del lavoro italiano, diviso tra consapevolezza di dover cambiare alla luce delle nuove forme di organizzazione sociale nell’economia moderna e paura di una flessibilità dell’occupazione che può trasformarsi nella precarietà assoluta di un progetto di vita. Sono queste le fondamentali impressioni che si traggono dalla lettura, appassionante per lo scontro delle idee ma anche per quello dei sentimenti, della registrazione di un confronto-scontro avvenuto a Roma, tra Marco Biagi e la Consulta della Chiesa per i problemi sociali, una sorta di ministero del lavoro in Vaticano.

Una discussione in cui delegati ed esperti del mondo cattolico gli esprimono, tra qualche ingenuità e molta utopia, dubbi, ma anche accuse severe. Critiche che Biagi respinge con molta fermezza e puntigliosità, ma che lo colpiscono fortemente. Il dibattito avviene il 25 gennaio 2002. Dopo 53 giorni, il giurista sarà assassinato dai terroristi davanti a casa sua, a Bologna, la sera del 19 marzo. Destino tragico per lui anche nella coincidenza della data: quella della festa di San Giuseppe, patrono di tutti i lavoratori cattolici. 

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ESCLUSIVO: DURO CONFRONTO TRA IL GIURISTA VITTIMA DALLE BR E I DELEGATI DEL «WELFARE» VATICANO

 

Il giorno in cui BIAGI litigò con la CHIESA

 

«Sono molto grato di questo invito, perché il confronto sui temi del lavoro è molto utile in tutte le direzioni e in tutti gli ambienti; essendo poi io anche un credente, mi è particolarmente di aiuto riflettere nell´ambiente della Chiesa a cui appartengo e in cui credo». L´intervento di Marco Biagi al dibattito confronto con i delegati della Consulta per il Lavoro della Cei, comincia così. Quello che segue è il resoconto del dibattito, che non risparmia critiche al giurista bolognese. «Io - continua Biagi - sono professore ordinario di diritto del lavoro all´università di Modena e da molti anni collaboro al ministero del Lavoro, anche con diversi ministri; in questo caso, sono consigliere del ministro del Lavoro Maroni... Sono sostanzialmente responsabile degli aspetti tecnici della proposta di legge che poi il governo ha fatto il 15 novembre che traduce, almeno in parte, il programma di questo libro bianco sul mercato del lavoro...». «Il libro bianco sul mercato del lavoro è un documento molto controverso. Ho deciso di iniziare proprio così, presentandovi un testo realizzato da alcuni miei colleghi, prevalentemente di area Cgil, intitolato Lavoro, ritorno al passato, pubblicato recentemente dalla casa editrice della Cgil, che costituisce la critica al libro bianco e ad alcune prime proposte operative... E´ raffigurato, vedete, il lupo che si copre la faccia con una maschera d´agnello, ma che poi si toglie; è il lupo che sarei io o qualcosa del genere che viene raffigurato in questo libro dai miei colleghi; ma questo fa parte di un sano dibattito che, finché rimane dal punto di vista di qualche immagine, fa solo piacere ed è il sale della vita...». «Il tasso di occupazione in Italia è molto basso ed è fra i più bassi dell´Unione europea... ma non basta aumentare il tasso di occupazione, occorre migliorare la qualità del lavoro... Sul mercato del lavoro abbiamo delle regole obsolete: sono figlie normalmente di un periodo storico molto importante che furono gli anni 70, dallo Statuto dei lavoratori in poi... Così dall´Unione europea da quattro o cinque anni ci prendiamo delle ramanzine piuttosto serie... Esiste nel dibattito appassionato, che avrete sicuramente seguito sui giornali, un fortissimo scontro che vede oggi artefice questo famoso articolo 18 sui licenziamenti fra chi sostanzialmente lo vuol cambiare e chi no... Quando il dibattito si radicalizza, sicuramente possiamo dire, non è una bella cosa. Il dialogo si fa difficile...». «L´organizzazione del lavoro si è sempre evoluta, ma mai con la velocità con cui si sta evolvendo negli ultimi anni... bisogna agire in fretta, non c´è molto tempo da perdere... la globalizzazione non è una cosa da discutere nei convegni; può lasciare vittime sulla strada del mercato del lavoro che quindi deve essere governato. Il dialogo sociale è uno strumento ideale, ma a volte è uno molto lento perché i sindacati sono molto restii al cambiamento, sono tutti uguali... Io li conosco molto bene per mestiere. Ci sono amici, come gli amici cislini, che sono sicuramente un sindacato più aperto al cambiamento; ma altri ambienti sindacali sono molto conservatori. La parola sembrerà un po´ strana, rivolta ai sindacati, ma i sindacati a volte sono estremamente conservatori. Quindi il dialogo sociale, bene, ma bisogna che proceda più rapidamente e quindi se la parti sociali non si mettono d´accordo, qualcuno deve pur decidere e sarà il governo, il parlamento, secondo le regole democratiche...» «Lo strumento preferibile per lavorare continua ad essere quello che noi chiamiamo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato... non tutti, però, possono essere in questa condizione, gli imprenditori non possono assumere tutti in questa forma, hanno bisogno anche di altre forme. Bisogna trovarle, regolarle in maniera civile e seria, perché altrimenti gli imprenditori fanno come quei bambini a cui si nega qualche cosa che poi se la vanno a prendere da soli, perché così è la legge dell´economia...». «Noi in questo libro bianco diciamo che la strada furbesca alla flessibilità sul lavoro non va bene; deve finire, non è così che si fa. Non si può continuare ad andare avanti con due milioni di collaboratori coordinati e continuativi in Italia, molti dei quali sono finti... Siamo ai margini della legalità... Occorre perciò aggiornare la disciplina giuridica e passare dallo Statuto dei lavoratori del 1970 a uno Statuto dei lavori. Qual è la differenza? Il primo regolava il lavoratore dipendente a tempo indeterminato... ora in trenta-quarant´anni di tipi di lavoratori ne sono cresciuti tanti, quindi c´è bisogno di uno statuto che tuteli tutti...». «Il lavoro irregolare viene recuperato, viene fatto riemergere se la strumentazione giuridica viene modernizzata, se vengono create delle convenienze... Allora bisogna avere il coraggio, la determinazione, la volontà politica di dire che gli strumenti vanno ripensati, riorganizzati e non si può dare a tutti gli stessi diritti... bisogna scegliere, bisogna distinguere. Oggi l´alternativa è: grandi diritti per chi è in fabbrica, spesso lavoro nero per chi in fabbrica non c´è...». «Perché voi sentite tutta questa "guerra", (scusate l´espressione), sull´articolo 18: qui effettivamente non è facile dirlo in due parole. O ci si accontenta di una tutela per chi è già occupato, sindacalizzato nella grande impresa, strutturato, come si dice, o si rivolge l´attenzione verso tutti i deboli del mercato del lavoro... bisogna correre in loro soccorso, integrarli, farli diventare lavoratori rispettati e rispettabili, con degli strumenti però diversi, perché altrimenti nessuno lo farà mai, il lavoro nero vincerà sempre... perché non tutti gli imprenditori possono essere, fra l´altro, "cuor di leone"...». «Certamente si tocca la materia dei licenziamenti. Perché? Ma, vedete, qualcuno può anche pensare, ma questo governo com´è proprio testardo. Andare proprio a tirar fuori un argomento così, che rianima lo spirito di cui nessuno sente proprio il bisogno, anche nel nostro mondo di crociate. Cerchiamo bene il dialogo, cerchiamo ciò che ci unisce, non ciò che ci divide».

DON RAFFAELE CICCONE (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Milano): «La prima cosa importante è: che cosa ne facciamo della concertazione? Ha retto negli anni 90 una problematica drammatica di inserimento nell´Europa e quindi ai lavoratori è stata chiesta una grossa fatica e un grosso impegno di verifica, anche perché, tra l´altro, il tasso d´inflazione non è al 2 per cento... Che cosa ne facciamo del sindacato, visto che a un certo punto si parla di contratti individuali? Il sindacato riesce ad essere una realtà importante, preziosa, d´intesa, di pace sociale oppure lo vogliamo smantellare e onestamente gli ultimi tentativi di spaccare la Cgil dalla Cisl e dalla Uil sono stati plateali...». «Oggi la famiglia è obbligata ad avere due redditi... il part-time è un´illusione perciò a meno che non ci sia un monoreddito piuttosto alto... Le aziende oggi hanno puntato sulla cosiddetta esternalizzazione. La maggioranza delle aziende sono sotto i 15 dipendenti per cui la disoccupazione è continua, all´interno del mondo italiano, se è per questo. In più viene comunque licenziata una persona quando si ristruttura... è la parola magica questa. Da me arrivano almeno una volta al mese aziende che chiudono. E´ un discorso estremamente delicato; l´articolo 18 tocca una minoranza di lavoratori».

DON GIANNI FORNERO (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Torino). «Effettivamente in Italia c´è troppo lavoro nero, bisogna cercare di far qualcosa... Sono anche d´accordo nel dire che ci sono frange del sindacato, particolarmente la Fiom-Cgil, che sono legate a una visione del passato, collegate prevalentemente a Rifondazione comunista, e a una società come se non fosse neppure caduto il Muro di Berlino, sul quale io penso sia bene prendere le distanze, perché ci porterebbe lontano. Fra l´altro lei ha avuto la gentilezza di citare una contraddizione interna alla sinistra, perché solo due anni fa Accornero aveva scritto:l´ultimo tabù. Di questo dobbiamo essere consapevoli tutti, perché anche D´Alema stava pensando a fare quella roba, cioè sull´articolo 18. Quindi non dobbiamo essere troppo ingenui...». «Detto questo, sono sostanzialmente d´accordo con il mio amico di Milano, che non so se bisognava partire dall´articolo 18 oppure dalle nuove politiche attive del lavoro. Altrimenti qui scateniamo un´insicurezza nel mondo del lavoro italiano che è già abbastanza forte e che sarà difficilmente gestibile... Prima dobbiamo dare delle garanzie...».

DON CARLO CAVIGLIONE (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Genova): «Io vengo da Genova e siccome nella relazione si parlava di superare il passato, ricordo che è storica la Sala della chiamata, nel porto di Genova, dove quando c´erano dieci, dodici, quindicimila lavoratori, allora andavano da tutte le parti questi disperati e venivano chiamati giornalmente per i lavori che c´erano da fare nel porto. Questo ha creato una certa cultura che poi si è cercato di superare con i nuovi ordinamenti del lavoro... Ora vorrei stare un pochino attento a questa cultura della provvisorietà, quasi al limite della disperazione».

DON ROCCO D´AMBROSIO (responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro di Bari). «Il libro bianco non mi piace perché ha una filosofia del lavoro, poi anche dei riferimenti etici, che non condivido assolutamente... C´è una frase che sollecita un ordinamento giuridico basato su un´amministrazione per obiettivi piuttosto che un´amministrazione per regole. Gli obiettivi, nelle aziende, sono quelli che si fanno per fare maggior profitto. Le regole si fanno per tutelare un po´ il quadro generale. Se noi passiamo agli obiettivi, dove vanno a finire le regole?... La Costituzione del `48 che non solo è fondata sul lavoro, ma è la Costituzione di uno Stato di diritto che non vede norme leggere. Le norme leggere sono le norme che mettono in crisi gli Stati di diritto. Se c´è uno Stato di diritto che deve andare avanti su un bene primario qual è il lavoro, le norme non devono essere pesanti nel senso di bloccare i processi di globalizzazione e di produttività, questo siamo d´accordo, ma le norme devono essere chiare, devono essere precise, devono essere forti... Lo Statuto deve essere dei lavoratori, perché nei nostri principi etici i lavoratori sono più importanti del lavoro, e il lavoro più importante del profitto... ».

DR. PASQUALE CARACCIOLO (direttore della Consulta regionale per il Lavoro dell´Umbria). «La filosofia del libro bianco tende a spostare le tutele e le regole dai lavoratori al mercato del lavoro... ma ciò presuppone che esista un sistema complessivamente funzionante... Gli elementi di flessibilità che si sono introdotti dal `96 ad oggi sono non pochi e il ricorso oggi al mercato del lavoro nero evidentemente è solamente una scelta deliberata di illegalità... La flessibilità accentua le situazioni di non tutela nei confronti dei lavoratori...». «Che cosa si intende per governare? Governo con chi? Governo con che cosa e con quali metodi? So che indubbiamente la scelta fondamentale è quella della concertazione, a cui anche il Magistero sociale si riferisce, perché le decisioni non possono essere mai prese gli uni contro gli altri. Le decisioni devono essere prese attraverso un procedimento di reale ragionamento. Poi alla fine, certo, c´è chi deve decidere... Il dialogo sociale può anche andar bene per l´Italia, se significa superamento della logica del diritto di veto, ma non può significare che io introduco alcuni elementi di incontro su cui vediamo, ragioniamo e alla fine decido io».

MARCO BIAGI. «Non ho volutamente parlato della delega sul mercato del lavoro per questioni di tempo; però mi consentirete amabilmente di contestare che in queste deleghe si parli solo dell´articolo 18. Visto che, con mia sorpresa, noto una fortissima attenzione critica nei confronti di questi provvedimenti, bisogna che ricordi ai miei cortesi interlocutori che su 47 pagine l´articolo 18 è una mezza pagina... Devo dire, con uguale spirito di amicizia, che è falso che i provvedimenti attuativi riguardino soltanto l´articolo 18. Non posso essere d´accordo che l´intervento sia in una logica sostanzialmente di abbassare tutele e demolire diritti; assolutamente no. Non sono neppure d´accordo sul fatto che le dichiarazioni di principi siano assolutamente strumentali o, almeno così ho capito, contraddette poi da alcune proposte» «Qui non è la questione se si tutelano o no le persone che lavorano. Io francamente non mi sono mai posto il problema. Per me è un principio di affermazione etica... la questione è come si tutelano le persone... perché se io devo ammettere che la tutela, o come noi diciamo ipertutela, di alcuni si continui a tradurre nella sottotutela e nell´abbandono di tanti altri, in questo mercato del lavoro nero che continua a proliferare, allora mi consentirete di affermare: la mia etica mi impone di occuparmi di tutti, non solo di quelli che sono tutelati.» «Il libro bianco non è il funerale della concertazione... Concertazione , nell´accezione più consolidata, è quella che vede governo e parti sociali decidere insieme. Le parti sociali non sono elette dai cittadini, mentre il parlamento sì, e questa non è una questione da poco. Nel nostro paese, per le questioni del mercato del lavoro, sembra quasi che il parlamento sia diventato una comparsa, che disturba anche!... Non sono d´accordo che la concertazione sostituisca il Parlamento, e lo dico a voce alta. Non sono d´accordo col modello del 1998, perché l´ho visto, non funziona, blocca... Allora la mia scelta politica, etica e culturale è di cambiare...». «Nessuno toglie l´articolo 18 a chi ce l´ha oggi; si fa una sperimentazione per vedere se per caso qualcuno che oggi è fuori dal mercato del lavoro possa eventualmente entrarvi se sospendiamo l´articolo 18 per quattro anni. Poi, scusatemi, se bisogna fare il processo alle intenzioni e dire "bugiardo, bugiardo, perché in realtà tu lo vuoi cancellare", questo, però, si può dire di qualunque opinione. Io, francamente, essendo fra i tecnici che scrivono le leggi, ho scritto "sperimentare" e intendo "sperimentare"...» «Part-time: non è un´illusione, è una grande occasione di vita, perché il part-time quando è volontario è buon lavoro, quando è involontario è cattivo lavoro, è ricatto, certo!». «Liberismo selvaggio? Ma il libro bianco parla per pagine e pagine di servizi pubblici per l´impiego. Andatevi a leggere quello che è il liberismo selvaggio della Thatcher degli anni `90. Andatevi a leggere i libri bianchi degli inglesi di quei governi. Quello era il liberalismo selvaggio con cui si è distrutto tutto l´impianto pubblico. Ma questo non c´è...» «Governo per obiettivi. L´interpretazione che il "management by objectives" avesse a che fare col profitto francamente non mi era mai venuto in mente. E´ una cosa completamente estranea, è una tecnica». «Norme leggere. Non c´entra nulla la sottotutela, perché rimane la legge, il contratto collettivo, tutte quelle che noi chiamiamo fonti. In aggiunta vengono previste, in via sperimentale, delle tecniche regolatorie diverse, ma che non vengono da qualche villaggio africano, vengono dai paesi anglosassoni... Perché si usano? Perché si ritiene che in certe materie possa essere più conveniente usare delle prescrizioni non del tutto vincolanti, ma incoraggianti, premiali, ma mica sulle questioni fondamentali...». «Dal lavoro al mercato. La tutela del lavoro non avviene soltanto sul singolo posto del lavoro e quindi nell´ambito del rapporto bilaterale datore-prestatore di lavoro, ma anche e soprattutto nel mercato... perché la vita lavorativa è cambiata, perché i 30-35 anni nella stessa azienda non esistono più...». «Sottoprotetti. Qualcuno di voi l´ha colto: il libro bianco è figlio della passata legislatura, della prima parte, del pacchetto Treu, di quegli interventi riformisti che sono riusciti a regolarizzare il rapporto di lavoro... il libro bianco riflette una tendenza che è propria anche della migliore sinistra, quella che ragiona e quella che non si chiude gli occhi».

DON MARIO INZOLI (Pastorale del Lavoro di Crema). «Sulla flessibilità c´è un problema serio: non è solo flessibilità sì o no: è che l´uomo, se non è aiutato ad essere flessibile, per cui è un problema di formazione, come farà a diventare flessibile quando ha imparato un lavoro solo?»

DON TERESIO SCUCCIMARRA (assistente della Gioventù Operaia Cristiana). «Nella storia italiana è difficile pensare al successo del dialogo sociale. Resto legato a quest´immagine di un governo che non sia assente, ma che abbia una grande capacità di mediazione fra le parti sociali. E´ vero che questo non sveltisce i processi, però credo che il giungere insieme, l´arrivare insieme sia ancora un valore. Collegato a questo c´è anche il tema della conservazione...Ci sono atteggiamenti antagonisti tenacemente radicati nel sindacato, ma ricordo un passaggio di Manghi dove dice che il sindacato è di per sè conservatore, perché deve tutelare e quindi deve tener fermi alcuni valori, alcuni principi, alcune tutele deve comunque garantirle...».

«A me resta il timore che un´enfasi sull´arbitrato rispetto alla giustizia togata sia pericolosa... perché, anche sul piano internazionale, l´arbitrato è molto in auge soprattutto nel Wto o in questi ambienti e non garantisce soprattutto i più deboli».

DON LIVIO DESTRO (delegato diocesano della Pastorale Sociale del Triveneto). «Io vengo da una terra dove la flessibilità la si vive in modo fortissimo: negli ultimi cinque anni circa il 70 per cento dei contratti nuovi sono atipici... La flessibilità, come dice la "Laborem Exercens", diventa la chiave essenziale della questione sociale... la gente ha paura. Questo noi lo cogliamo fortissimamente. Nel libro bianco manca la chiarezza su alcune questioni: la carriera di una persona è continuamente spezzata al ribasso oppure la formazione in questo senso diventa una parte del lavoro e qualifica?» «Contratti individuali. Vedo che nel lavoro realmente capita che i contratti individuali tendono a sgretolare quella che Giovanni Paolo II chiama il luogo di lavoro come una comunità di persone..».

DON ANGELO SALA (già responsabile della Pastorale sociale e del Lavoro di Milano). «Due parole mi fanno paura: la "precarietà" e la "selezione". Perché tutta questa filosofia dietro al discorso tecnico porta a uno scenario in cui vivono queste due realtà fondamentali, la precarietà, cioè uno deve cominciare sempre daccapo, non è vero che il lavoro interinale ad esempio porta poi dopo all´assunzione... La selezione: vuol dire che si tagliano fuori alcune persone per prenderne altre... La precarietà e la selezione compongono un asse coassiale che è micidiale. Per cui, se si devono tentare strade nuove, è giusto. Non sia questo però il vangelo, non sia questa la carta definitiva, perché etica e tecnica debbono essere coniugate in modo ancor più serio secondo me». 

MARCO BIAGI. «Vorrei fare ammenda di due grandi difetti del libro bianco, sui disabili e sulla formazione. Se ci invertiamo i ruoli, un giorno, vi dimostro quante severe critiche muoverei al libro bianco, ma per altre ragioni...Il libro è frutto un po´ di improvvisazione e io che l´ho coordinato, lo so bene. Abbiamo sacrificato le ferie e l´abbiamo scritto, tutto lì. Quattro o cinque persone come me hanno sacrificato l´estate e tutto lì...». «Bisogna avere il coraggio, lo dico con franchezza, anche il coraggio dell´impopolarità. Perché nel difendere l´articolo 18 si acquista grande popolarità, ma non aiuta molto ad andare avanti».

«Il sindacato non viene distrutto. Fra quello che fa Berlusconi e quello che fece la Thatcher c´è un po' di differenza nel mondo del lavoro. La Thatcher fece un attacco frontale ai sindacati e dichiarò di voler tagliare loro le unghie. Qui secondo me c´è un discorso che chiaramente dice ai sindacati qual è la linea e poi si vede. Io vi posso dire che con gli amici della Cisl io ho ragionato molto, moltissimo, anzi io sono andato a delle riunioni, tipo la vostra, in casa Cisl, dove hanno dedicato delle giornate al libro bianco e non ho mai sentito tanti apprezzamenti come in casa Cisl sul libro bianco, addirittura mi mettevano in imbarazzo quasi. Io sono andato anche alla Cgil, caspita, me ne sono sentite di tutti i colori. Per carità, io sono abituato ormai da tanti anni, però dico anche vorrei sapere poi dove sono esattamente le cose che contraddicono la partecipazione, la responsabilità sociale delle imprese...». «Arbitrato. Oggi la giustizia ordinaria non funziona. E´ giustizia quella per cui il giudice ci risponde se il licenziamento è legittimo o meno fra 6-7 anni in via definitiva? L´idea non è quella di sostituire, ma di sperimentare anche lì una soluzione che veda l´arbitrato. L´arbitrato non è solo Wto, globalizzazione e multinazionali; l´arbitrato è nel mondo del lavoro in Francia e in Inghilterra che non mi sembrano paesi incivili...».

Mons. G. CARLO BREGANTINI (vescovo di Locri e responsabile della Consulta nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per la Pastorale del Lavoro): «Credo che il dibattito abbia messo in luce una fortissima preoccupazione etica, ma anche una fortissima preoccupazione pastorale. Quindi se i toni sono stati forti sono tali perché c´è dietro una voce di dolore e di fatica...». «Il ruolo dei sindacati certo deve essere intelligente, ma anche di grande valore, perché altrimenti, adagio adagio, si sgretola tutto. In questa logica non dobbiamo dire che i licenziamenti, di fatto, non ci sono. Ci sono già, dobbiamo ovviamente prendere atto di questo...». «Forse lei ha colto la bellezza della dialettica, della passione, frutto dell´amore per la gente che abbiamo, frutto della fatica anche di chi vede tanta gente senza lavoro oppure gente espulsa. La ringraziamo immensamente e le auguriamo di portare queste note non secondarie, ma incisive, anche in alto».

 

(La stampa  web 20.7.2002, interni,  p.5)

 

Nell’articolo di fondo “Il lavoro, Marco Biagi e le critiche della chiesa” (su "la Repubblica" del 25 luglio 2002, p. 1 e 38) E. Scalfari – partendo dal confronto soprariassunto tra  le “consulte pastorali” e l’estensore del “libro bianco” – così si esprime:«Il dibattito che partì dall’esame del famoso ”libro bianco” di cui Biagi fu uno dei principali estensori, si può raccogliere attorno ai seguenti temi: la flessibilità del lavoro, il rischio della precarietà e dell’esclusione, le insufficienze del mercato senza regole, l’estensione generalizzata dei diritti e delle tutele, il pericolo insito nei contratti individuali «che tendono a sgretolare il luogo di lavoro come comunità di persone» (così si esprime il delegato diocesano del Triveneto).

A tutte queste osservazioni che costituiscono nel loro insieme una critica serrata nei confronti del “Libro bianco”, Marco Biagi reagisce punto per punto riaffermando la validità delle sue tesi e sottolineando che l’ispirazione etica e religiosa gli è stata comunque sempre presente. Non vuole essere considerato come un tecnico senza convinzioni morali, tuttavia si richiama alla realtà, al mutamento sociale ed economico che non può essere fermato e all’interno del quale debbono essere  trovate e costruite le nuove regole. Ma i suoi interlocutori mantengono le loro riserve e le riaffermano con un alternarsi di interventi appassionati che fanno di questo documento una testimonianza drammatica per chi lo legge oggi con la conoscenza di ciò che avvenne di terribile appena due mesi dopo.

Biagi si definisce più volte come uno “sperimentatore”, un uomo di scienza che vuole e deve tentare e scoprire le soluzioni più adatte nei limiti della situazione “data”. Ma i suoi interlocutori mettono in discussione proprio l’immodificabilità di quella situazione, nei confronti della quale elevano un uro di riserve e di critiche. Biagi, sotto l’incalzare delle contestazioni, difende in forme via via sempre più assiomatiche la sua verità e le attribuisce un valore assoluto, a dispetto della sperimentalità inizialmente da lui stesso affermata; i rappresentanti diocesani dal canto loro dubitano di quelle terapie, per essi non c’è nulla di assoluto nelle tesi sociali in discussione, salvo un punto, anzi una premessa: i lavoratori sono persone, portatrici come tutte le persone di diritti. Questo è il loro assoluto, tutte le altre categorie debbono piegarsi di fronte al valore della persona.

C’è qui una sorta di inversione di ruoli che va segnalata: il laico (sia pure di fede cattolica) che assolutizza orgogliosamente la propria verità mondana e i rappresentanti della Chiesa che relativizzano gli strumenti mantenendo fermo il fine.

[…] Ecco. Questo è il succo di quanto si dissero il 25 gennaio Marco Biagi e i rappresentanti della politica sociale dell’episcopato  cattolico italiano. Ci fu  grande impegno  e grande buona fede da entrambe le parti, ma la contrapposizione fu netta e riguardò il problema della variabile indipendente, come dice il mio amico Alfredo Reichlin. Per Biagi la variabile indipendente, cioè il dato che condiziona tutto il resto, era il mercato e la logica dell’impresa; per i suoi interlocutori erano i diritti delle persone.

Lo scontro è tuttora questo ed è lungi dall’essere stato risolto.

Probabilmente non lo sarà mai. Sia per l’una che per l’altra visione si può parlare correttamente di riformismo, ma il primo è un riformismo di più basso livello, il secondo di livello più alto. Tutti e due puntano sulle regole. Il primo all’interno della variabile indipendente della logica d’impresa, il secondo all’interno della variabile indipendente dell’estensione dei diritti.

Detta così, forse la questione che tanto divide oggi la politica italiana risulterà più chiara e questo sarà un vantaggio per la migliore comprensione del problema».

Eugenio Scalfari

 

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