Nella  lotta  alla  disoccupazione  le  aziende  di  credito remano  controcorrente

 

1. Mentre il Governo è impegnato, con la migliore buona volontà, a incontri con le parti sociali finalizzati alla ricerca di soluzioni per contrastare l’incremento del tasso  di disoccupazione (che tocca oramai livelli di assoluta preoccupazione, anche per le ripercussioni sul fronte delle tensioni e/o reazioni sociali) nelle aziende di credito si rema controcorrente, prospettando ai Sindacati soluzioni di  sostanziale espulsione dal circuito produttivo di lavoratori in età non matura per la pensione ed ancora perfettamente validi per il mercato se questo fosse in condizione di assorbire risorse, invece di trovarsi nella classica posizione in cui “il cavallo non beve”.

Le aziende di credito stanno così raccogliendo i “frutti maturi” di una campagna promossa dall’Assicredito e dalla Confindustria, iniziata con una specie di linciaggio dei lavoratori bancari, in ragione della presunta elevatezza del loro costo del lavoro  e poi proseguita con la rappresentazione, in convegni ad hoc o tramite stampa (vedi, da ultimo, l’articolo “Allarme posti per il sistema bancario”,  in La Repubblica del 3 luglio 1996, p. 27,”) di presunte eccedenze dell’ordine dei 33 mila dipendenti. L’Assicredito - da qualche anno atteggiantesi sempre meno ad associazione sindacale  in senso istituzionale  e sempre più  ad un “centro editoriale”, con le varie iniziative pubblicistiche in questo campo, anche ad opera del neo costituito Studicredito - si distingue in particolare (rispetto all’Acri)  per il suo dinamismo al riguardo.

Dinamismo (indubitabilmente oneroso per le quote associative o contribuzioni aziendali) dispiegato tramite iniziative di convegnistica, pubblicazione di libri di autori prescelti per consonanza ideologica conservatrice (anche magistrati del lavoro, la cui deontologia d’imparzialità e qualità di soggetti super partes dovrebbe consigliar loro di stare alla larga dalle “organizzazioni di tendenza), emissione di articoli, opuscoli, depliant periodici, riviste, rapporti annuali sugli organici e sul costo del lavoro (vedine, al riguardo, la diffusione tramite “Il Sole 24 Ore” del 24 giugno 1996, p. 27), finalizzati a “far tremare la sedia” dei dipendenti bancari.  Ciò anche con l’intento, tutt’altro che malcelato, di agire  da “gruppo di pressione” nei confronti del potere politico e legislativo, per ottenere anche nel settore i  c.d. ammortizzatori sociali (fiscalizzazione degli oneri sociali e Cassa integrazione) alla cui concessione sembra essere sordo sia il Ministro del lavoro Treu- in ragione della solvibilità delle aziende in questione - oltreché indisponibile lo stesso Direttore generale della Banca d’Italia Desario che, recentemente e con autorevolezza,  si è dichiarato contrario all’estensione al settore credito della Cassa integrazione.

Invero,  quantomeno a livello del rinnovato contratto degli ausiliari, commessi, impiegati e quadri del 18 maggio 1996, si è convenuto - prioritariamente all’adozione della L. n. 223/1991 sulle riduzioni per eccedenza di personale, non applicabile al Personale direttivo - il ricorso, per por freno a tensioni occupazionali, “all’esodo anticipato volontario, ai contratti part-time, al contenimento del lavoro straordinario e delle assunzioni, ai contratti di solidarietà, alla mobilità interna, alla possibile assegnazione a mansioni diverse anche in deroga all’art. 2103 c.c.”, non escludendo altresì la “definizione di eventuali percorsi formativi e di riqualificazione per i lavoratori interessati” (art. XIII, “Occupazione”). Poco o niente si è realizzato per la problematica occupazionale del personale direttivo, ove l’accordo di rinnovo 22 giugno 1995, all’art. 12 (“Occupazione”), prevedeva che “le parti nazionali stipulanti concorderanno entro il 31 dicembre 1995 una procedura di confronto prima di far ricorso alle normative in materia di risoluzione del rapporto di lavoro per eccedenze di personale” nonché “procederanno alla costituzione di un’ Osservatorio nazionale paritetico sull’occupazione del personale direttivo...nel cui ambito potranno essere considerate iniziative di formazione e di riqualificazione tecnico-professionale”.

 

2. In questo contesto le aziende di credito stanno attuando quello che in anglosassone viene definito “downsizing”(riduzione di dimensioni e aumento di produttività) delle imprese, che ha trovato le prime incisive applicazioni negli U.s.a. - dove alle riduzioni di personale  in una compagnia faceva da contrappunto un innalzamento del valore delle sue azioni in borsa -  con folli corse emulative alla rincorsa del solo profitto e senza tener conto delle tremende implicazioni sociali .

Ora si è avuto modo e occasione di ascoltare le prime riflessioni di pentimento da parte dei fautori del downsizing. Il Capo economista della Morgan Stanley, Roach (vedi, La Repubblica, dell’ 8 luglio 1996, Affari e finanza, p. 9) ha evidenziato il paradosso della riduzione di personale in concomitanza con l’aumento dei profitti, la flessione dell’inflazione ed il miglioramento della competitività.  Egli ha preso posizione netta contro la c.d. “anoressia delle aziende”, sostenendo che “anch’io credevo che bastasse migliorare le tecniche produttive...e naturalmente licenziare, per migliorare la produttività. Ma mi sono spinto troppo in là. Un elemento importante è stato trascurato: il morale dei dipendenti, che sono posti sotto una tremenda pressione dal dilagare dei licenziamenti che vedono intorno a loro. Per un po' questo li spinge a lavorare meglio, ma questo non può durare evidentemente a lungo. La gente non può lavorare con l’ossessione di essere licenziata. Il downsizing senza fine è solo una via per l’estinzione industriale...Quando dico che l’America industriale non può contare solo sulle riduzioni di personale ho anche paura della comprensibile rivolta dei lavoratori senza posto”. Anche l’obiezione secondo cui la maggior parte dei licenziati trova rapidamente lavoro viene bruscamente smontata, o almeno, ridimensionata, nel senso che coloro che lo ritrovano, negli U.s.a, si adattano a qualifiche nettamente inferiori e a stipendi dimezzati, contribuendo al generale impoverimento della popolazione. Inoltre si verifica un fenomeno singolare: quello della “disoccupazione sommersa”. L’economista Rifkin (nell’articolo “Italiani diffidate del modello Usa: così si crea povertà”, in La Repubblica del 9 luglio 1996, p. 25) alla domanda in ordine alla consistenza dei disoccupati risponde: “Ecco la grande truffa. Ufficialmente...un po' più del 5%. Ma io ho calcolato che il vero tasso è del 14%, il che significa che ci sono 5-6 milioni di americani “missing”, scomparsi, di cui le statistiche non tengono conto. Sono tutti quelli che un lavoro hanno smesso di cercarlo - e quindi per il sistema in vigore vengono cancellati - e non presentano più domanda per i sussidi, non ci vanno neanche più negli uffici di collocamento. E rientrano in quello che da voi, in Italia, chiamerebbero “sommerso”.

E alla domanda se tutto questo non minacci d’innescare una rivolta popolare, risponde: “Guardi, se c’è qualcosa contro cui la popolazione dovrebbe ribellarsi è il fatto che i profitti delle aziende sono tutti su livelli record, mentre c’è gente che ha difficoltà a procurarsi un tetto. E, poi, per risponderle, mi sembra molto più oneroso, oltre che meno dignitoso, sopportare nella nostra società fasce d’emarginazione sempre crescenti, alle quali corrisponde ovviamente una criminalità in aumento”.

Illuminanti  e confermative per il nostro Paese anche le riflessioni del giuslavorista M.Biagi (nell’articolo “ Esuberi a 45 anni: chi ci pensa?”, in “ Il Sole-24 Ore” del 18 luglio 1996, p. 15), il quale mette in evidenza come “anche in Italia numerose aziende hanno proceduto a processi di downsizing penalizzanti gli over 45. Spesso l’argomento su cui si fondano queste operazioni di ringiovanimento di personale...è quello della ricerca di nuove professionalità, meglio rinvenibili fra le generazioni giovani. Anche se c’è il rischio che si trasformino in operazioni di dumbsizing (neologismo che allude a riduzioni controproducenti o comunque scriteriate), visto che vengono espulsi i soggetti con maggiore esperienza...seppure più onerosi sul piano del costo del lavoro”. “Per gli ultraquarantacinquenni senza lavoro il termine “disoccupati” non è neppure il più appropriato, sarebbe più giusto qualificarli come soggetti “economicamente inattivi”, visto che in molti casi essi rinunciano, dopo qualche tempo di vani tentativi, all’idea di trovare un nuovo impiego. La frustrazione di vedersi costantemente discriminati...consegna questi soggetti ad un’autentica disperazione, foriera di conseguenze rilevanti sul piano sociale”.

 

3. Riportiamo queste condivisibili riflessioni  allo scopo di richiamare al senso di realtà, di solidarismo e di etica del lavoro i gestori delle aziende di credito che concorrono, sia in via diretta che indiretta (per posizione di stallo), a quell’ulteriore flessione dell’occupazione indicata dall’Istat nel  -1,4% in aprile ‘96 rispetto allo stesso mese del ‘95, nelle imprese con più di 500 dipendenti.

Abbiamo già evidenziato come, in questa grave responsabilità sociale, agiscano in senso propulsivo e da apripista, talune associazioni imprenditoriali del settore che, in luogo di porre attenzione “alla trave che alligna nel loro occhio, guardano alla pagliuzza entrata in quello degli altri”. Fuor di metafora, vogliamo dire che queste Associazioni sono le prime strutture a peccare di ridondanza ed a richiamare la nozione di “esubero” di personale. Nel settore credito, in presenza dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), proliferano ben altre tre associazioni : Assicredito, Acri e Federcasse. Quattro in tutto, con i rispettivi uffici e dipendenze logistiche. Da lunga pezza sono state diffuse le usuali “grida” manzoniane, sottolineanti l’esigenza della loro “fusione per incorporazione” in ABI quali divisioni, nell’ottica dell’unitarietà ed omogeneità delle politiche contrattuali nonché della razionalizzazione delle strutture e dei servizi. Evidentemente, fino ad ora, sono prevalsi volontà ed interessi antagonistici e frenanti questo disegno razionale ed unificante, mentre si accentuano pericolosamente le movenze autonomistiche delle tre associazioni presidiate da funzionari con qualifica contrattuale minima di Dirigenti  del credito e relativo costo del lavoro. Ai servizi alle aziende ed alla dialettica con le controparti  sindacali si antepone e si coltiva la c.d. “voglia di senato accademico”, con incarichi di docenza nelle minori Università (libere o statali) del Paese, notoriamente afflitte dalla “sindrome di accattonaggio” che seppe ben sfruttare il defunto Direttore della Federmeccanica  Mortillaro, ottimo conoscitore della psicologia e delle debolezze umane dei cattedratici (ma, con buona pace per l’anima sua e per rispetto della verità storica, molto meno del diritto del lavoro, nonostante gli scontati ed usuali elogi postumi da parte di giuslavoristi “voltagabbana” che in vita l’avevano pubblicamente avversato e che post-mortem hanno addirittura redatto  prefazioni elogiative ad un  suo libro di scritti di politica sindacale a cura de “Il Sole-24 Ore”).

Del resto ci sembra che lo stesso progetto inglobante Intersind e Asap in Confindustria sia rimasto nel limbo o proceda talmente a rilento da non occasionare pubblici segnali di movimento.

 

4. Cosicché, mentre sul versante delle organizzazioni imprenditoriali non si razionalizza per “interessi di bottega” o di “poltrona”, queste continuano a predicare sulla pelle dei lavoratori, bancari e non, che vorrebbero sempre più vedere assoggettati alla legislazione sui licenziamenti collettivi per riduzione di personale o ad analoghe procedure contrattuali finalizzate al “demanning” (riduzione d’organico).

Mentre in aziende del credito con “buchi neri” nei conti economici si assiste alla riduzione contrattata del costo del lavoro - senza toccare gli organici - tramite un riallineamento del costo aziendale a quello contrattuale (con la tecnica del congelamento e del riassorbimento dei superminimi o delle varie indennità eccedenti, da parte dei miglioramenti contrattuali nazionali), in altre in cui i bilanci sono in forte attivo - quale il Gruppo IMI che ha toccato i 530 mld.di utili - si è scelta la strada drastica della messa in liquidazione dichiarata della collegata Spei factoring e strisciante della Spei leasing.. In quest’ultima collegata si è passati - con la tecnica delle incentivazioni all’esodo - dai 170 dipendenti ai 78 attuali, mentre l’IMI che si era impegnato contrattualmente, in sede sindacale, a studiare un piano di rilancio e riposizionamento sul mercato dell’azienda, ha manifestato in questi giorni un netto disimpegno ed si è limitato a  prospettare alle OO.SS. esclusivamente l’esigenza aziendale di una riduzione di organico a 40 dipendenti a fine ‘96 e a 20 a fine ‘97, mostrando qualsiasi disinteresse verso ipotesi di riduzione contrattata del costo del lavoro in quanto l’obiettivo reale si è rivelato quello del taglio graduale degli organici, premessa per la definitiva, anche se non dichiarata, chiusura - dopo la società di factoring -  anche dell’azienda di leasing.. E, preoccupato per i danni d’immagine all’esterno, l’IMI si ripropone - dopo che in Spei leasing è già stato raschiato il fondo del barile passando nel 1995 dai 170 ai 78 attuali dipendenti (riduzione del 46%) -  di prospettare ai lavoratori residui nuove offerte di incentivazione all’esodo volontario, di nessuna o pochissima appetibilità da chi non è in condizioni di fruire, almeno a breve, della pensione ovvero di proporre una mobilità geografica intergruppo potenzialmente suscettibile di occasionare “dimissioni indotte”, per non smembrare il nucleo familiare.

All’espulsione dal circuito produttivo non si accompagna, peraltro, alcuna occupazione giovanile e si accresce, così, il tasso di disoccupazione e di non occupazione, per mancanza di opportunità di primo impiego.

 

5. Siamo veramente stanchi di assistere e di subire questo scenario, anche perché non lo riteniamo né ineluttabile né razionale.

E’ il caso, quindi, che le associazioni datoriali prima, e le aziende poi - se non vogliono che si inneschi  una  lunga stagione di conflittualità permanente con le OO.SS., addizionale ed in sommatoria con le spontanee tensioni sociali nel Paese - riflettano seriamente prima di bandire le loro “crociate” volte ad ingrossare le fila della disoccupazione, impoverire il livello di vita, togliere le speranze ai nostri giovani. Noi, anche per loro conto, combatteremo con tutti i legittimi strumenti a disposizione, perché un simile regresso non debba attualizzarsi. Non è una minaccia ma, di sicuro, un’affidabile promessa.

 

Roma, 29 luglio 1996

Mario Meucci (Consigliere Nazionale Sindirigenticredito)

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