Benefici
previdenziali per esposizione ad amianto – Questione di costituzionalità per
l’eventuale inapplicabilità della l. n. 257/92 ai dipendenti delle Ferrovie dello
Stato, suppostamente carente del
requisito di impresa privata – Infondatezza – Applicabilità della l. n. 257/92
ai lavoratori delle FF.SS., in presenza di esposizione ultradecennale e di
rischio morbigeno, definito, in termini di prevenzione, ai sensi e secondo i
criteri fissati dal d.lgs. n. 277/1991 (e successive modificazioni).
Con la sentenza n. 5 del 2000 questa Corte ha evidenziato, che la norma ora
nuovamente censurata (art. 13, 8 comma, l. n. 257/92) - nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di
conversione nella legge n. 271/1993 del decreto-legge n. 169/1993) della
locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano
amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a
procedure fallimentari o fallite o dismesse" conferisce essenziale rilievo, "ai fini dell’applicazione del
beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto,
escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal riferimento
alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro".
Coerentemente con tale conclusione, che
trova conferma proprio nelle vicende normative che hanno preceduto
l'approvazione del testo attuale del comma 8 dell'art. 13, lo scopo della
disposizione medesima è stato rinvenuto "nella finalità di offrire, ai
lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10
anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di
lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene".
Scopo che risiede quindi nell’esigenza che la legge n. 271 del 1993 ha individuato nella tutela del
bene-salute, tenuto conto della capacità dell'amianto di produrre danni
sull'organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da attribuire il
beneficio della maggiorazione dell'anzianità contributiva in funzione
compensativa dell'obiettiva pericolosità dell'attività lavorativa svolta, e non già con l’intento di risarcire
dall’evento disoccupazione i lavoratori costretti a perdere il posto per
dismissione da parte delle aziende della lavorazione vietata.
E ciò attraverso un precetto
ritenuto da questa Corte "adeguatamente definito negli elementi
costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congruamente correlato allo
scopo che il legislatore si è prefisso", ove si consideri il rapporto che,
nell'ambito della stessa disposizione, è dato rinvenire tra il dato di
riferimento temporale e la nozione di rischio morbigeno, caratterizzante il
sistema della assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL. Un rischio che, in
materia di prevenzione da esposizione all'amianto, il legislatore ha
individuato in forza dei criteri posti dal decreto legislativo 15 agosto 1991,
n. 277 (e successive modificazioni).
Alla luce delle motivazioni che precedono, la disposizione
denunciata si presta, dunque, ad essere interpretata in modo diverso da quello
prospettato dal rimettente, consentendo in particolare di ricomprendere nel
previsto beneficio previdenziale anche i lavoratori delle Ferrovie dello Stato,
beninteso, in presenza dei richiesti presupposti, attinenti, segnatamente,
all'esposizione ultradecennale all'amianto, alla soggezione all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione
all'amianto e al rischio morbigeno, secondo quanto innanzi già evidenziato.
Donde l'insussistenza del prospettato vulnus all'art. 3 della Costituzione.
1.¾ Nel
corso di un giudizio promosso da taluni dipendenti delle Ferrovie dello Stato
S.p.A., al fine di ottenere, nei confronti del proprio datore di lavoro e
dell'INPS, l'accertamento del diritto al beneficio previdenziale previsto
dall'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla
cessazione dell’impiego dell’amianto), il Tribunale di Treviso, con ordinanza
del 10 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 13,
comma 8, della legge n. 257 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 1, del
decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del
settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto
1993, n. 271.
La norma censurata stabilisce, in favore
dei lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, che
"l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria
contro le malattie professionali derivanti da esposizione all'amianto, gestita
dall'Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il
coefficiente 1,5".
Secondo il rimettente, la
"interpretazione letterale" della disposizione induce a ritenere che
detto beneficio sia riservato "ai lavoratori dipendenti da aziende
private" e "non sia estensibile ai dipendenti delle FF.SS.
S.p.A." e ciò "quanto meno per il periodo antecedente al primo
gennaio 1996, data in cui la gestione dell'assicurazione contro le malattie per
i dipendenti delle FF.SS. passò all'INAIL".
In tal senso depone, ad avviso del giudice a quo, non solo il riferimento al
periodo di lavoro soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie da
amianto gestita dall'INAIL, "ma anche l'intero contesto dell'articolo in
esame", considerato, in particolare, che il successivo comma 10
"impone alle imprese (private) l'obbligo di versare all'INPS (gestione di
cui all'art. 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88 ...) un contributo per ogni
dipendente che abbia fruito del pensionamento anticipato".
È da ritenere, pertanto, che la disposizione
censurata riguardi esclusivamente i lavoratori iscritti all'assicurazione
generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti gestita
dall'INPS "e non anche i lavoratori iscritti ad altri fondi pensione e, in
particolare, al fondo pensione istituito con legge n. 418 del 1908 per i
ferrovieri cui i ricorrenti erano iscritti alla data di entrata in vigore della
legge n. 257 del 1992".
In virtù di "tale necessaria
interpretazione dell'art. 13, comma 8", il giudice a quo reputa vulnerato l'art. 3 della Costituzione, per la
"irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti di
imprese private e lavoratori dipendenti di imprese non private a fronte di una
identica situazione di prolungata esposizione all'amianto".
Quanto alla rilevanza della questione, essa
emerge, secondo l'ordinanza, "dal fatto che la interpretazione letterale e
sistematica" della disposizione denunciata "comporta la esclusione
dei ricorrenti dal godimento dei benefici contributivi ivi previsti per
l'intero periodo lavorativo soggetto all'esposizione all'amianto o, quanto
meno, per la gran parte di esso".
2.¾ Si sono costituiti, fuori termine, Andreazza Giancarlo ed
altri, ricorrenti del giudizio a quo.
3.¾ Si sono, inoltre, costituite le altre parti del giudizio
principale e cioè le Ferrovie dello Stato S.p.A. - Società di trasporti e
Servizi per Azioni, nonchè l'INPS.
3.1.¾ Le Ferrovie dello Stato S.p.A. hanno concluso, in via
pregiudiziale, per "la restituzione degli atti al giudice rimettente
perché verifichi nuovamente e motivi sulla rilevanza della questione", e,
in via subordinata, per "la dichiarazione di inammissibilità o di
manifesta infondatezza della questione" medesima.
Quanto al merito, la memoria sostiene
l'inapplicabilità, già in base al dato letterale, della disposizione ai
dipendenti delle Ferrovie dello Stato S.p.A., essendo (come, peraltro, ritenuto
in una nota del Ministro del tesoro del 23 gennaio 1996) i benefici previsti
dalla legge n. 257 del 1992 riservati ai lavoratori dell'amianto del settore
privato, iscritti all'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS.
Ad avviso della parte, si tratta di una
interpretazione coerente con la ratio
della disposizione denunciata, da ravvisarsi nell'intenzione del legislatore di
beneficiare il settore privatistico, "maggiormente esposto al problema
amianto proprio per la soppressione di molteplici lavorazioni con gravi
conseguenze sui lavoratori"; rischio estraneo al "personale
appartenente al settore pubblico, o comunque ad esso connesso in qualche
modo", come il personale delle Ferrovie dello Stato, godendo questo di una
"maggiore tutela di ricollocazione nel caso di soppressione dell'attività
a cui era addetto".
Nel rammentare, poi, che il personale
dipendente dalle FF.SS. è assicurato all'INAIL soltanto dal 1° gennaio 1996 ed
iscritto al Fondo speciale gestito dall'INPS a decorrere dall'aprile 2000, la
parte costituita ribadisce l'inapplicabilità dell'art. 13, comma 8, della legge
n. 257 del 1992 al predetto personale anche in forza di una "esegesi
sistematica e complessiva" della medesima norma, il cui comma 10 "fa
riferimento ad un meccanismo che coinvolge esclusivamente le imprese del
settore privatistico"; sicché, per l'"inequivocabile ed espresso il
richiamo all'INPS quale soggetto passivo delle prestazioni pensionistiche
erogate ai lavoratori che siano ammessi al pensionamento anticipato", è
giocoforza "ritenere che la disciplina non si applichi ai dipendenti delle
FF.SS. (e a tutti quelli all'epoca iscritti ad altri fondi di previdenza diversi
dall'INPS)".
Ciò, peraltro, in armonia con la già
evidenziata ratio della legge n. 257
del 1992, confortata, altresì, dalla circostanza che gli effettivi destinatari
del beneficio "erano stati quantificati in circa 1200 in fase di
discussione parlamentare e per tale numero era stata reperita la copertura
finanziaria ex art. 81 Cost.",
laddove una diversa ed estensiva interpretazione "consentirebbe di
attribuire il beneficio ad una platea anche centinaia di volte più
grande".
Nel sostenere, poi, che "nessun
argomento in senso contrario" alle precedenti considerazioni può trarsi
dalla sentenza n. 5 del 2000 della Corte costituzionale, la parte costituita
esclude, in definitiva, che possa ravvisarsi il prospettato contrasto con
l'art. 3 della Costituzione, in quanto la disposizione censurata individua
"una precisa e definita categoria di imprese e di lavoratori addetti alle
medesime", secondo la finalità di favorire detta categoria di lavoratori,
"in ragione della particolare situazione occupazionale determinata dal
divieto di utilizzazione dell'amianto che ha interessato le imprese cui
appartenevano i lavoratori stessi".
3.2.¾ L'INPS, nel concludere per l'inammissibilità o, in
subordine, per l'infondatezza della questione, sostiene, anzitutto, che l'ordinanza
di rimessione è generica, giacchè "non precisa, per ogni lavoratore, il
periodo di esposizione all'amianto ... né se il lavoratore era pensionato o
meno all'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992".
Nel merito, la memoria rileva, da un lato,
che, nel censurato art. 13, sussiste "una stretta correlazione tra
lavoratori esposti all'amianto e l'assoggettamento per il periodo di
esposizione all'assicurazione gestita dall'INAIL di cui al comma 8", e,
dall'altro, che lo stesso INAIL gestisce l'assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni e le malattie professionali dei dipendenti delle Ferrovie dello
Stato soltanto dal 1° gennaio 1996.
Non può, dunque, ritenersi, ad avviso della
parte, costituzionalmente illegittima la disposizione denunciata "per detto
collegamento operato dal legislatore, essendo rimessa l'individuazione dei
beneficiari della normativa alla sua discrezionalità". Peraltro, la
circostanza che il beneficio sia stato limitato "soltanto a particolari
categorie" si giustifica in quanto trattasi di norma eccezionale, che
comporta oneri a carico del bilancio dello Stato (come si evince dal comma 12
dello stesso art. 13).
4.¾ E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, come da ordinanza n.
7 del 2000 della Corte costituzionale, e, comunque, infondata.
5.¾ In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie
illustrative le Ferrovie dello Stato S.p.A. e l'INPS, nonché l'intervenuto
Presidente del Consiglio dei ministri.
5.1.¾ Le Ferrovie dello Stato S.p.A., a conferma delle
conclusioni già rassegnate, ribadiscono che il denunciato art. 13, comma 8,
"ben può essere interpretato come una norma che partecipa della medesima ratio del provvedimento che la contiene:
ossia il massimo contenimento del c.d. danno occupazionale discendente
dall'eliminazione dal ciclo produttivo dell'amianto e, dunque, dalla chiusura
ovvero riconversione delle aziende che lo estraevano e lo trattavano
direttamente".
Ove, invece, si volesse individuare la ratio della norma censurata e
dell'intera legge n. 257 del 1992 non già nella volontà di impedire un danno
occupazionale correlato alla imposta dismissione dell'amianto, bensì
"nell'intento di risarcire un danno alla salute", la memoria sostiene
che "si delineerebbero scenari piuttosto vasti di irrazionalità del
complessivo impianto normativo della stessa legge n. 257 del 1992".
Peraltro, nel supporre l'immanenza nella legge in parola di una finalità
risarcitoria, si "accrediterebbe un singolare schema di assicurazione
sociale, che interverrebbe non già a copertura di un danno, bensì della sua
mera potenzialità".
Ed
ancora, si rileva nella memoria, detta interpretazione creerebbe una
intollerabile disparità di trattamento "in materia di salute" in
danno di coloro che, pur esposti all'amianto per oltre un decennio, siano
andati in pensione con il massimo della contribuzione e, quindi,
"impossibilitati a fruire della supervalutazione prevista dal comma 8
dell'art. 13"; non senza tacere, poi, che l'attribuzione di una finalità
risarcitoria alla disposizione denunciata "comporterebbe gravi
implicazioni in punto di (insufficiente) copertura finanziaria" per
l'attuazione della norma medesima.
Ad avviso della parte costituita, il
censurato art. 13, comma 8, appartiene, dunque, "al campo della
previdenza", avendo come presupposto l'art. 38, secondo comma, della
Costituzione, e non può ad esso attribuirsi un contenuto "risarcitorio
(del danno alla salute)"; la norma tutela, infatti, il "danno
all'occupazione" ed il suo destinatario può essere considerato "solo
chi è stato espulso dal mercato del lavoro a causa della dismissione
dell'amianto".
Sotto diverso profilo, la memoria assume
che il tertium comparationis
individuato dal rimettente appare "assolutamente inidoneo" a fondare
la prospettata incostituzionalità, giacché "i settori lavorativi «privato»
e «non privato» costituiscono situazioni soggettivamente ed oggettivamente
diversificate".
5.2.¾ L'INPS, reiterando, preliminarmente, l'eccezione di
inammissibilità della questione e, in ogni caso, insistendo per la sua
infondatezza, sostiene che le disposizioni contenute nell'art. 13 della legge
n. 257 del 1992, e successive modificazioni, rispondono "allo scopo
precipuo di accelerare il pensionamento dei lavoratori esposti al rischio"
dell'amianto e che, segnatamente, il comma 8 del citato art. 13 è finalizzato
"al più rapido conseguimento del trattamento economico previdenziale
sostitutivo della retribuzione", la quale "difficilmente potrebbe
essere mantenuta attraverso utile
reimpiego" dei lavoratori esposti all'amianto.
Tanto premesso, la parte costituita assume
che i lavoratori delle Ferrovie dello Stato, "fintanto che erano tutelati
con rapporto di pubblico impiego, avevano la garanzia della stabilità del posto
di lavoro in quanto sostanzialmente pubblici dipendenti" e ciò
"spiega perché i benefici di cui al citato art. 13 riguardano i lavoratori
del settore privato ed iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per
l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, che avrebbero potuto subire
conseguenze negative sotto il profilo occupazionale dall'entrata in vigore
della legislazione che ha vietato l'uso dell'amianto".
Peraltro, anche se si intendesse applicare
la norma denunciata al dipendenti delle Ferrovie dello Stato "con
retroattività dall'avvenuta privatizzazione, nessun lavoratore potrebbe
rientrare nell'esposizione ultradecennale", giacché il divieto di utilizzo
dell'amianto è reso operativo, a mente dell'art. 1, comma 2, della legge n. 257
del 1992, a decorrere da 365 giorni dalla data di entrata in vigore della legge
medesima.
5.3.¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, nel concludere
per la manifesta infondatezza della sollevata questione, rileva che "il
differente regime previdenziale dei ferrovieri (iscritti al fondo pensioni con
onere a carico delle FF.SS. e dello Stato) e dei dipendenti privati (iscritti
all'INPS) non legittima il dubbio di costituzionalità", non potendo ravvisarsi
violazione del principio di eguaglianza nel raffronto tra regimi previdenziali
diversi, né potendosi estendere "a favore dell'una le provvidenze dettate
per l'altra" categoria.
Sostiene, ancora, la difesa erariale che in
presenza di un tertium comparationis
che ha natura di norma eccezionale, derogatoria alla regola generale desumibile
dal complesso sistema normativo, non può utilmente invocarsi il principio di
eguaglianza, risultando così "inammissibile la estensione ad altre
ipotesi", ove, peraltro, "la mancata estensione di un beneficio non
può di per sé costituire offesa al dettato costituzionale".
Considerato in
diritto
1.¾ Il Tribunale di Treviso ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n.
257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato
dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni
urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con
modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271.
La disposizione stabilisce che, "per i
lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci
anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria
contro le malattie professionali derivanti da esposizione all'amianto gestita
dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il
coefficiente 1,5".
Ad avviso del rimettente, la norma
censurata, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità del beneficio
pensionistico ivi contemplato ai lavoratori dipendenti delle FF.SS.
S.p.A.", violerebbe l'art. 3 della Costituzione, introducendo "una
irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti di imprese
private e lavoratori dipendenti di imprese non private a fronte di una identica
situazione di prolungata esposizione all'amianto".
2.¾ In via preliminare deve essere rilevata la tardività e,
perciò, l'inammissibilità della costituzione di Andreazza Giancarlo ed altri,
ricorrenti del giudizio a quo,
effettuata con memoria depositata oltre il termine stabilito dagli artt. 25,
secondo comma, della legge n. 87 del 1953, e 3 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale.
3.¾ Sempre in via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di
inammissibilità sollevate dalle parti costituite, le quali adducono un difetto
di motivazione dell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza: mentre,
secondo l'INPS, sarebbe assente ogni riferimento specifico alle singole
posizioni dei lavoratori interessati al beneficio previsto dalla disposizione
censurata, ad avviso delle Ferrovie dello Stato non sarebbe possibile la
verifica sulla "necessaria pregiudizialità logico-giuridica della
questione sollevata rispetto alle domande svolte dai lavoratori" nel
giudizio principale.
Le eccezioni non possono trovare
accoglimento.
Infatti, come si rileva dall'ordinanza di rimessione, il
giudice a quo non solo ha fornito,
sia pure sinteticamente, i necessari elementi di descrizione della fattispecie
sottoposta alla sua cognizione, precisando che i ricorrenti sono tutti
dipendenti delle Ferrovie dello Stato S.p.A., assegnati a vari impianti e
mansioni, ma ha anche plausibilmente motivato sull'applicabilità, nel giudizio
principale, della norma denunciata, che ha per oggetto l'accertamento del
diritto dei ricorrenti stessi al beneficio previsto dalla norma medesima. Il
che consente, perciò, di apprezzare adeguatamente la sussistenza del nesso di
pregiudizialità tra il proposto incidente di costituzionalità e il giudizio a quo.
4.¾ Nel merito la questione non è fondata.
Questa Corte, con la sentenza n. 5 del
2000, ha già avuto modo di affrontare, sebbene sotto profili diversi da quello
attualmente all'esame, lo scrutinio di costituzionalità dell'art. 13, comma 8,
anche ora denunciato, dichiarando non fondate le censure allora sollevate, le
quali prospettavano il contrasto della menzionata disposizione con gli artt. 3
e 81, quarto comma, della Costituzione, a motivo della asserita
indeterminatezza, oggettiva e soggettiva, della fattispecie legale attributiva
del beneficio della rivalutazione dei periodi assicurativi.
In quell'occasione si è evidenziato, che la norma
censurata
¾ nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di
conversione in legge del decreto-legge n. 169 del 1993) della locuzione
"dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come
materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure
fallimentari o fallite o dismesse"
¾ conferisce essenziale
rilievo, "ai fini dell’applicazione del beneficio previdenziale,
all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le
malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso,
ogni selezione che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività
produttiva del datore di lavoro".
Coerentemente
con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative che
hanno preceduto l'approvazione del testo attuale del comma 8 dell'art. 13, lo
scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto "nella finalità di
offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo
(almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante
di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene".
E ciò attraverso un precetto
ritenuto da questa Corte "adeguatamente definito negli elementi
costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congruamente correlato allo
scopo che il legislatore si è prefisso", ove si consideri il rapporto che,
nell'ambito della stessa disposizione, è dato rinvenire tra il dato di
riferimento temporale e la nozione di rischio morbigeno, caratterizzante il
sistema della assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL.
Un rischio che, in materia di
prevenzione da esposizione all'amianto, il legislatore ha individuato in forza
dei criteri posti dal decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 (e successive
modificazioni).
5.¾ Così definite portata e finalità del precetto sospettato di
incostituzionalità, va osservato che il rimettente, nel sollevare la questione,
muove dal presupposto che la norma denunciata riservi il beneficio
pensionistico della rivalutazione dei periodi assicurativi "ai lavoratori
dipendenti da aziende private", senza possibilità di estensione ai dipendenti
delle Ferrovie dello Stato; e ciò "quanto meno per il periodo antecedente
al primo gennaio 1996", data in cui la gestione dell'assicurazione
infortuni, per detti dipendenti, passò all'INAIL.
In tal senso deporrebbe, secondo il giudice
a quo, non solo il riferimento al
periodo di lavoro soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie da
amianto gestita dall'INAIL, "ma anche l'intero contesto dell'articolo in
esame", e, segnatamente, il successivo comma 10 che "impone alle imprese
(private) l'obbligo di versare all'INPS (gestione di cui all'art. 37 della
legge 9 marzo 1989, n. 88 ...) un contributo per ogni dipendente che abbia
fruito del pensionamento anticipato". Donde la conclusione, trattane dal
giudice a quo, dell'esclusiva
pertinenza del beneficio previdenziale in esame ai lavoratori iscritti
all'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS e non già, anche, ai
"lavoratori iscritti ad altri fondi pensione e, in particolare, al fondo
pensione istituito con legge n. 418 del 1908 per i ferrovieri",
soppresso soltanto dal 1° aprile 2000,
in forza dell'art. 43 della legge n. 488 del 1999.
Detto assunto va considerato, però,
tutt'altro che pacifico, essendo frutto di una non adeguata indagine sulla ratio della disposizione denunciata.
Indagine tanto più necessaria ove si
consideri non solo l'assenza, nel caso specifico, di diritto vivente, ma anche
l'esigenza, evidenziata dalla costante giurisprudenza di questa Corte, di una
doverosa ricerca, tra più soluzioni interpretative possibili, di quella
costituzionalmente adeguata, posto che l'incostituzionalità di una disposizione
può dichiararsi soltanto ove sia impossibile darne una interpretazione
costituzionale e non già perché è possibile darne interpretazioni
incostituzionali.
6.¾ In questa prospettiva,
occorre rilevare che l'interpretazione adottata dal giudice a quo non risulta essere l'unica
possibile, militando per una diversa lettura della disposizione censurata
plurimi elementi esegetici, i quali portano a ritenere che essa sia volta a
tutelare, in linea generale, tutti i lavoratori esposti all'amianto, in
presenza, beninteso, dei presupposti fissati dalla disposizione stessa, secondo
quanto evidenziato dalla già ricordata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000.
Presupposti richiesti proprio perché la legge n. 271 del 1993 ha voluto tener
conto della capacità dell'amianto di produrre danni sull'organismo in relazione
al tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione
dell'anzianità contributiva in funzione compensativa dell'obiettiva
pericolosità dell'attività lavorativa svolta.
Obiettiva pericolosità che indubbiamente
non manca anche nell'ambito del servizio ferroviario, ove l'eliminazione e lo
smaltimento del materiale rotabile contenente amianto, già esplicitamente
incluso tra i prodotti la cui produzione e commercializzazione erano destinate,
sia pure gradualmente, a cessare (lettera d)
della tabella allegata alla legge n.
257 del 1992), si pone, tuttora, come problema di non secondaria importanza
(cfr. il "Secondo addendum al
contratto di programma tra Ministro dei trasporti e le Ferrovie dello Stato
S.p.a. 1994-2000", di cui alla deliberazione 22 giugno 2000 del CIPE).
7.¾ Così individuata la causa giustificativa della norma
denunciata, non corretta appare, anzitutto, la qualificazione, da parte del
giudice a quo, dei lavoratori delle
Ferrovie dello Stato come dipendenti di "imprese non private", senza,
con ciò, avvedersi che, alla data di entrata in vigore della disposizione
denunciata (frutto della modifica apportata, all'art. 13, comma 8, della legge
n. 257 del 1992, dalla legge 4 agosto 1993, n. 271, di conversione del
decreto-legge n. 169 del 1993), l'Ente cui essi appartenevano (istituito dalla
legge n. 210 del 1985, in luogo della già Azienda autonoma delle Ferrovie dello
Stato) era stato trasformato in società per azioni, in virtù della delibera
CIPE del 12 agosto 1992: trasformazione che, come anche rilevato da questa
Corte (sentenza n. 179 del 1996), ha dato luogo ad un "organismo
societario privatistico (sia pure a configurazione speciale)".
Inoltre, anche se, come ricorda il
rimettente, il personale ferroviario è stato assicurato presso l'INAIL soltanto
dal 1° gennaio 1996, in forza dell'art. 2, comma 13, del decreto-legge n. 510
del 1996, convertito nella legge n. 608 del 1996, non può ignorarsi che la
stessa disposizione ha posto a carico dell'INAIL, a decorrere sempre dal 1°
gennaio 1996, tutte le prestazioni, comprese quelle relative agli eventi
infortunistici e alle manifestazioni di malattie professionali verificatisi
entro il 31 dicembre 1995 e non ancora definiti, essendo all'uopo contemplato,
dal successivo comma 15, l'obbligo delle Ferrovie dello Stato S.p.A. di versare
all'INAIL una riserva matematica per il pagamento di tutte le predette prestazioni.
Un'ipotesi, questa, di rapporto successorio
ex lege, che ha avuto come esito, da
un lato, il venir meno della posizione delle Ferrovie dello Stato quale ente
assicuratore contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali del
personale dipendente, e, dall'altro, la concentrazione in capo all'INAIL della
relativa gestione assicurativa, essendo a suo carico, a partire dal 1° gennaio
1996, non soltanto le prestazioni dovute per gli eventi insorti dopo detta
data, ma anche quelle relative ad eventi pregressi, se non definiti entro il 31
dicembre 1995.
E ciò senza trascurare che anche in
precedenza il personale ferroviario, benché escluso, per effetto dell'art. 127
del d.P.R. n. 1124 del 1965 (ora abrogato dall'art. 53, comma 7, della legge n.
449 del 1997), dalla gestione assicurativa INAIL, fruiva, con erogazione a
diretto carico delle Ferrovie dello Stato, di una tutela assicurativa contro
gli infortuni corrispondente a quella contemplata dallo stesso decreto.
Non può, infine, convenirsi sul peso che il
rimettente tende ad annettere, sul piano sistematico, al disposto del comma 10
dell'art. 13 della legge in esame, che imponendo l'obbligo di versare all'INPS
uno specifico contributo per ogni dipendente che abbia fruito del pensionamento
anticipato, conforterebbe la tesi che il beneficio di cui al comma 8 denunciato
riguardi i lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria gestita
dall'INPS.
A tacer del fatto che, dal 1° aprile 2000,
la gestione pensionistica del personale delle Ferrovie dello Stato è stata
affidata all'INPS, presso il quale ente è istituito un apposito Fondo, con
contestuale soppressione di quello istituito con legge n. 418 del 1908 (art. 43
della legge n. 488 del 1999), l'argomento addotto dal giudice a quo, pretermettendo, ancora una volta,
la dovuta considerazione della ratio
della norma censurata, non tiene adeguatamente conto del fatto che
¾ come rilevato, del resto, dalla stessa giurisprudenza
ordinaria
¾
non può essere certo la diversità dell'onere contributivo per le imprese e
finanziario per gli istituti previdenziali, risultante dal menzionato comma 10
dell'art. 13, a costituire, di per sé, un elemento interpretativo per escludere
la spettanza del beneficio stesso anche in favore di lavoratori iscritti a gestioni
previdenziali diverse dall'INPS.
8.¾ Alla luce delle motivazioni che precedono, la disposizione
denunciata si presta, dunque, ad essere interpretata in modo diverso da quello
prospettato dal rimettente, consentendo in particolare di ricomprendere nel previsto
beneficio previdenziale anche i lavoratori delle Ferrovie dello Stato,
beninteso, in presenza dei richiesti presupposti, attinenti, segnatamente,
all'esposizione ultradecennale all'amianto, alla soggezione all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione
all'amianto e al rischio morbigeno, secondo quanto innanzi già evidenziato.
Donde l'insussistenza del prospettato vulnus all'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione
dell’impiego dell’amianto), come modificato dall’art. 1, comma 1, del
decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del
settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto
1993, n. 271, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di Treviso, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
l'11 aprile 2002.
II
Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 maggio 2002, n.
7084
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con due distinti ricorsi, depositati rispettivamente il 2 ed
il 29 dicembre 1997, Mario Corradini e Riccardo Cattolica, premesso di avere
lavorato alle dipendenze della società Gestioni Industriali S.p.A. con sede in
Civitanova Marche e di essere stati esposti all'amianto a causa ed in occasione
dello svolgimento delle prestazioni lavorative, chiedevano che il Pretore di
Fermo, accertata tale situazione, dichiarasse il loro diritto ai benefici
pensionistici di cui all'art. 13, comma 8, l. 257/1992 e, conseguentemente,
dichiarasse l'INAIL e l'INPS, convenuti in giudizio, tenuti agli adempimenti di
rispettiva competenza, con condanna del secondo alla erogazione del relativo
trattamento pensionistico.
Entrambi gli Istituti si costituivano, contestando le
domande di cui chiedevano il rigetto.
Con sentenza n. 110/98 il Pretore, riuniti i giudizi,
all'esito della espletata prova per testi ed alla acquisizione di
documentazione, condannava l'INPS ad applicare ad entrambi i ricorrenti il
richiesto beneficio, mentre rigettava la domanda avanzata nei confronti
dell'INAIL.
Avverso tale decisione proponeva appello l'INPS, con ricorso
depositato il 30 luglio 1998, deducendo che per il riconoscimento del beneficio
pensionistico invocato non era sufficiente la esposizione all'amianto per oltre
dieci anni, come ritenuto dal Pretore, ma era necessario altresì accertare
l'entità della esposizione subita e, cioè, verificare che la esposizione
all'amianto avesse determinato concretamente la insorgenza di un rischio
indennizzabile dall'INAIL (nella specie, rischio dell'asbestosi).
I lavoratori si costituivano, riportandosi a quanto esposto
nel corso del giudizio di primo grado e chiedendo la conferma della sentenza
impugnata.
Si costituiva anche l'INAIL, dolendosi della formula,
adottata dal Pretore, di rigetto, anche nei propri confronti, della domanda dei
ricorrenti, avanzata, in effetti, solo nei confronti dell'INPS.
Con sentenza del 28 maggio-12 agosto 1999, l'adito Tribunale
di Fermo confermava la sentenza di primo grado, ritenendo sufficiente, ai fini
del riconoscimento dei richiesti benefici, la sola esposizione all'amianto per
oltre dieci anni. Dichiarava, inoltre, l'inammissibilità della richiesta
dell'INAIL perché non proposta nelle forme dell'appello incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'INPS con un
unico motivo.
L'INAIL resiste con controricorso, proponendo, a sua volta,
ricorso incidentale condizionato.
Resistono anche Mario Corradini e Riccardo Cattolica con
controricorso.
L'INAIL ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso
principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la
medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Con l'unico motivo di ricorso, l'INPS, denunciando
violazione dell'art. 13, comma 8, della l. n. 257 del 1992, come modificato con
d.l. n. 169 del 1993, convertito in l. n. 271 del 1993, e vizi di motivazione,
censura la sentenza impugnata per aver erroneamente interpretato la
disposizione del comma 8, nel senso che per il riconoscimento del beneficio
pensionistico invocato sarebbe sufficiente la esposizione all'amianto per oltre
dieci anni, mentre era necessario, altresì, accertare l'entità dell'esposizione
a rischio e, cioè, verificare che la esposizione all'amianto avesse determinato
concretamente la insorgenza di un rischio indennizzabile dall'INAIL (nella
specie, rischio di asbestosi).
Secondo l'Istituto, infatti, il legislatore avrebbe previsto
la concessione del beneficio, rivendicato nella presente controversia, per un
numero limitato di lavoratori interessati (circa 2000 per il biennio 1994-95),
che effettivamente avevano subito rischi per la salute a causa di una
particolare esposizione all'amianto, non avendo invece mai ipotizzato la
concessione del suddetto beneficio a tutti i lavoratori che in qualche modo lavorano
in luoghi di esposizione all'amianto.
Ne discende che non sarebbe sufficiente affermare - come
affermato dal Tribunale - che "i sigg.ri Corradini e Cattolica hanno
prestato attività lavorativa consistente nella riparazione e manutenzione di
vagoni ferroviari e quindi di manutenzione nei quali l'amianto era presente
(quale materiale isolante)...", per farne scaturire la conseguenza che
tutti i dipendenti della stessa ditta avevano corso, per tutto il periodo
lavorativo ed in qualunque posto in cui avevano svolto la propria attività, un
rischio per la propria salute, essendo necessario invece dimostrare la
concentrazione minima di tollerabilità, i vari e singoli posti di lavoro
(ubicazione o semplice frequentazione occasione) succedutisi negli anni, nonché
il periodo di effettiva esposizione all'amianto.
Ribadisce anche il ricorrente Istituto che la legge non
prevede il beneficio della rivalutazione contributiva per la semplice
esposizione all'amianto, ma piuttosto per una esposizione tale da dovere essere
assicurata dall'INAIL, dovendosi così fare riferimento quantomeno alla
concentrazione media annuale superiore a 0,1 fibre per cm. buco su otto ore al
giorno, sulla base di criteri di giudizio mutuati dall'art. 24, comma 3, d.lgs.
n. 277 del 1991.
Il motivo è fondato.
Come è noto, la norma dell'art. 13, comma 8, della l. 27
marzo 1992, n. 257, come sostituito dall'art. 1 del d.l. 5 giugno 1993, n. 169,
a sua volta modificato dalla legge di conversione 4 agosto 1993, n. 271, su cui
si fonda il diritto azionato, finalizza il beneficio da essa assicurato ai
lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci
anni, a una più rapida acquisizione dei requisiti contributivi utili per il
conseguimento delle prestazioni pensionistiche attraverso il meccanismo della
moltiplicazione per il coefficiente 1,5 dell'intero periodo lavorativo soggetto
ad assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL.
In ordine alla sua interpretazione, questa Corte ha avuto
modo di chiarire, attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla
pronuncia 12 gennaio 2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della
non fondatezza delle questioni di costituzionalità della norma in oggetto,
sollevate in riferimento agli art. 3 e 81 Cost., che la eliminazione, ad opera
della legge di conversione n. 271 del 1993, del riferimento - contenuto sia nel
testo originario del comma 8 dell'art. 13, sia in quello sostituito dal d.l. n.
169 del 1993 - ai "dipendenti delle imprese che estraggono amianto o
utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o
sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia
significativa dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva
che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del
datore di lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità all'avvenuta
ultradecennale adibizione del lavoratore ad attività soggette all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, per la
presenza, nel circolo produttivo o, comunque, nell'ambiente di lavoro, di
valori di rischio superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 del d.lgs.
15 agosto 1991, n. 277; così riconoscendo il diritto alla ultravalutazione del
periodo lavorativo - ai fini delle prestazioni pensionistiche - a tutti coloro
che, per essere stati a contatto con polveri di amianto in una concentrazione
significativa (in quanto superiore alla soglia minima indicata dalla
legislazione prevenzionale), siano stati soggetti, in relazione alle mansioni
svolte ed al tempo di esposizione, al rischio (effettivo e non meramente
ipotetico) di contrarre le malattie che la sostanza è capace di generare.
Destinatari della disposizione in esame non sono, dunque, i
lavoratori che abbiano perso - o siano esposti al rischio di perdere - il posto
di lavoro di conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto,
bensì, come si è detto, i lavoratori, quale che sia l'attività produttiva
dell'Impresa datrice di lavoro, che abbiano subito una esposizione
"qualificata" (nei sopra precisati) all'amianto, intendendo la legge
assicurare anche a questi soggetti la possibilità di abbandonare
anticipatamente il lavoro attribuendo loro un trattamento di favore analogo a
quello accordato ai lavoratori di cave e miniere (art. 13, comma 6) e ai
lavoratori già riscontrati affetti da tecnopatia imputabile all'amianto (art.
13, comma 7) (cfr., in particolare, Cass. 3 aprile 2001, n. 4913).
Né può fondatamente sostenersi - come pur si è sostenuto in
dottrina - che una simile lettura finirebbe per neutralizzare la portata
precettiva delle norme sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali, le quali (a partire dal d.P.R. 20 marzo
1956, n. 618, recante norme modificatrici della l. 12 aprile 1943, n. 455,
istitutiva dell'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi)
individuano le lavorazioni a rischio come quelle che "... comunque espongono
alla inalazione di fibre di amianto" e alla cui stregua, dunque, il
beneficio della rivalutazione contributiva dovrebbe riconoscersi a tutti i
lavoratori inseriti in realtà produttive nelle quali si verifichi in qualche
modo una dispersione di fibre di amianto.
Tali rilievi, infatti, non tengono conto che la l. n. 257/92
stabilisce essa stessa con specifica disposizione (art. 3) - che richiama, e in
parte modifica, i valori limite indicati nel d.lgs. n. 277/91 - quale sia la
concentrazione massima di fibre di amianto "respirabili"
nell'ambiente di lavoro, mostrando così di ritenere insufficiente, agli effetti
delle misure di tutela apprestate nelle sue varie disposizioni per il caso di
"esposizione all'amianto", la presenza della sostanza in quantità tale
da non dar luogo all'obbligo di adottare misure protettive specifiche. Inserita
e letta in tale contesto, la norma del comma 8 dell'art. 13, nella parte in cui
prevede che la concessa rivalutazione interessi l'"intero periodo
lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL",
non può essere intesa altrimenti che nel senso di presupporre lo svolgimento di
una delle attività soggette ad assicurazione obbligatoria all'INAIL (in base al
combinato disposto degli artt. 1, 3 e 144 del d.P.R. n. 1124 del 1965) ma con
valori di esposizione pari (o superiori) a quelli che la l. n. 257/92 considera
a rischio, senza per questo porsi in contraddizione con le regole del sistema
assicurativo, le quali rispondono alla esigenza - propria di tale sistema e non
comparabile con quella sottesa all'attribuzione dell'eccezionale trattamento
previdenziale di cui si discute - di tutelare il lavoratore al verificarsi di
una malattia professionale.
E' anche da aggiungere che, nelle sue più recenti decisioni
(in particolare, nella sentenza 3 aprile 2001, n. 4913, cit.), questa Corte ha
chiarito che l'accertamento della sussistenza della esposizione a rischio per
il periodo prescritto dalla legge deve essere compiuto dal giudice di merito
avendo riguardo alla singola collocazione lavorativa, verificando cioè - nel
rispetto del criterio di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 cod.
civ. (o, se del caso, avvalendosi dei poteri di ufficio ad esso riconosciuti
nel rito del lavoro) - se colui che ha fatto richiesta del beneficio di cui
all'art. 13, comma 8, dopo aver indicato e provato sia la specifica lavorazione
praticata, sia l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni detta lavorazione,
abbia anche dimostrato che tale ambiente presentava una esposizione al rischio
delle polveri di amianto superiore ai valori limite indicati nel ricordato
d.lgs. n. 277/91 (come modificato dall'art. 3 della l. n. 257/92). Il
lavoratore, inoltre, sempre nell'ottica della necessaria personalizzazione del
rischio, dovrà dimostrare la sussistenza dell'ulteriore requisito prescritto
dalla legge, vale a dire di essere stato esposto a quel rischio
"qualificato" per un periodo superiore a dieci anni; con l'avvertenza
che, nel periodo in questione, dovranno essere computate le pause
"fisiologiche" di attività (riposi, ferire, festività) che rientrano
nella normale evoluzione del rapporto di lavoro.
L'accertamento in questione non risulta compiuto dalla
impugnata sentenza, avendo ritenuto sufficiente per il riconoscimento del
beneficio invocato la esposizione all'amianto per oltre dieci anni,
indipendentemente dall'entità dell'esposizione.
Non può, invece, trovare accoglimento per difetto
d'interesse il ricorso incidentale con cui l'INAIL, denunciando violazione del
principio della corrispondenza tra dispositivo e motivazione (artt. 132 nn. 4 e
5 c.p.c., 118 disp. att. stesso codice e 429 c.p.c.), nonché motivazione errata
e contraddittoria, si duole che il Tribunale abbia dichiarato inammissibile la
domanda articolata dall'Istituto nella memoria di costituzione, in grado di
appello, senza l'adozione della forma dell'appello incidentale.
Invero, così statuendo, il Giudice a quo ha sostanzialmente
confermato la statuizione del Pretore, la quale, con l'adottata formula di
"rigetto", ha, comunque, escluso ogni responsabilità dell'INAIL nella
vicenda oggetto di giudizio, facendo venir meno ogni interesse ad una diversa
declaratoria.
Va, pertanto, accolto il solo ricorso principale, con
conseguente cassazione della impugnata sentenza, restando affidato al giudice
di rinvio, che si designa nella Corte d'appello di Ancora, il compito di
esaminare nuovamente la controversia, attenendosi al seguente principio di
diritto: "Il disposto del comma 8 dell'art. 13 della l. 27 marzo 1992, n.
257 ("Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), va
interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e
teleologico, nel senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli
addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a
polveri d'amianto superiori a quelli consentiti dal d.lgs. 15 agosto 1991 n.
277 (come modificato dall'art. 3 della l. n. 257/92). Nell'esame della fondatezza
della domanda di detto beneficio il giudice di merito deve accertare - nel
rispetto dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. -
se colui che ha avanzato domanda del beneficio in esame, dopo aver provato la
specifica lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci
anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche"
proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta
lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una
concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite
superiore a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991 (come
modificato dall'art. 3 della l. n. 257/92)".
Al giudice di rinvio va rimessa la statuizione anche sulle
spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Ancona.
********
III
Tribunale di Pisa (sez. lav., giudice unico di 1° grado) – 4 dicembre 2002 – Est. Nisticò – Iacuissi ed altri (avv. Paoletti), Michelotti (avv. Aglioti), Tinucci ed altri (avv. Cerrai, Bartalena) c. INPS (avv. Pinto, Perani)
Benefici previdenziali da esposizione ad amianto – Inesistenza nel testo di legge di limiti di soglia – In conseguenza delle conoscenza scientifica di patologie oncologiche da inalazione di fibre di amainto, dose-indipendenti – Sufficienza per il beneficio della ipervalutazione contributiva, della esposizione di durata ultradecennale come previsto dalla legge 257/92.
La
legge per i benefici da esposizione ad amianto
non prevede alcuna “soglia di rischio”; al legislatore non poteva
essere sfuggita l’opinione – assolutamente uniforme nella comunità
scientifica – secondo la quale in oncologia professionale non vi è soglia di
rischio; si tratta…di patologie – quelle indotte da inalazione di fibre di
amianto aerodisperse - per le quali
non è individuabile una dose-soglia, cioè che non sono dose dipendenti. Anche
per il mesotelioma è stata accertata l’esistenza di una correlazione
con la dose di fibre inalate apparentemente senza soglia. E’
proprio per questa ragione, unanimemente affermata in letteratura
medico-legale, che il legislatore – al fine di individuare un parametro che
qualificasse la condizione
dell’avente diritto – ha evitato di utilizzare il criterio della
quantità di esposizione ed ha,
invece, optato per quello della sua durata,
sul presupposto, scientificamente corretto, che una esposizione anche minima ma
di lunga durata esprimesse la potenzialità lesiva della condizione lavorativa.
Utilizzando il dato scientifico del quale si è
detto unitamente all’elemento – durata, si ha che l’esposizione ai fini
del benefici in questione deve
ritenersi sussistente anche ove si
tratti di mera esposizione ambientale e quando il lavoratore non sia stato
direttamente a contatto con l’amianto ma abbia reso la sua prestazione in
ambiente lavorativo comunque presumibilmente inquinato.
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