TOSCANELLI Paolo dal Pozzo Toscanelli, matematico, medico, cosmografo e astronomo, nacque a Firenze nel 1397 e vi morì nel 1482. La profondità ed estensione delle sue conoscenze scientifiche gli fecero raggiungere un alto grado di fama in tutta Europa. Dopo aver terminato gli studi a Padova, ottenendovi la laurea in medicina (in seguito veniva spesso chiamato "Paolo fisico") ritornò a Firenze dando inizio alla sua attività di studioso che lo portò a contatto con moltissimi personaggi scientifici illustri, italiani ed europei (già a Padova aveva stretto amicizia con il coetaneo Nicolò di Cusa, con il quale mantenne legami scientifici per tutta la vita).
Si potrebbe dire che Toscanelli costituì una specie di centro di riferimento per le discipline matematiche. Nicolò Cusano, Regiomontano e altri non esitavano a sottoporgli le questioni matematiche più complesse. La matematica fu probabilmente l'argomento per il quale il suo giudizio veniva maggiormente richiesto. Un suo contributo di grande importanza per l'astronomia furono le sue precise e laboriose osservazioni (tutte preservate) delle comete del 1433, 1449, 1450, 1456, 1457, 1472, osservazioni che per sua stessa testimonianza, gli costarono grandi fatiche. Il più evidente suo lascito della sua attività astronomica esiste ancora oggi nello gnomone che realizzò nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze: si tratta della più antica meridiana realizzata nelle chiese italiane.
L'altra disciplina che lo fece assurgere a grande fama fu la cosmografia. Era considerato il più autorevole cosmografo del secolo XV. Le fondamentali testimonianze che legano Toscanelli a Cristoforo Colombo risalgono alle biografie di Colombo scritte dal vescovo Bartolomeo de Las Casas e dal figlio di Colombo Fernando.
Secondo la tradizione universalmente accettata, Toscanelli inviò una lettera alla Corte portoghese (in particolare al confessore del re Fernando Martins), datata 24 giugno 1474, accompagnata da una mappa. Nella lettera si ritiene che Toscanelli esponesse le ragioni (anche di natura cosmografica) che suggerivano l'opportunità di tentare una nuova via per raggiungere le Indie, quella di navigare verso occidente.
La lettera, come è noto, non sortì effetti pratici presso il re, ma sempre la tradizione accettata vuole che Colombo, che dal 1476 risiedeva in Portogallo, avendo avuto notizia di questa corrispondenza tra la Corte portoghese e il Toscanelli, sia riuscito ad ottenere dal Toscanelli stesso, tramite i buoni uffici di Lorenzo Giraldi una lettera ed una carta simile a quella che Toscanelli aveva inviato a suo tempo al re, con indicazioni utili per i propositi di Colombo.
Questo carteggio non esiste più nella sua forma originale (la carta della figura è una delle tante ricostruzioni che sono state tentate). Presso la Biblioteca Colombina di Siviglia è stato recentemente fatto il ritrovamento di una copia della lettera di Toscanelli del 25 giugno 1474, dalla quale è stato possibile eseguire la ricostruzione dei suggerimenti cosmografici del Toscanelli e l'influenza che le sue esortazioni esercitarono su Colombo (secondo le due biografie di Colombo egli portò con sé nel suo primo viaggio la lettera e la carta di Toscanelli).
Il non disporre delle opere astronomiche di Toscanelli ci impedisce di valutare fino a che punto in esse l'astrologia fosse intrecciata con l'astronomia. E' noto infatti che egli fu anche un cultore di studi astrologici, alla base dei quali c'era peraltro la sua iniziale formazione medica presso lo studio di Padova (a quel tempo, lo studio di certi aspetti dell'astrologia faceva parte dell'istruzione medica).
NICOLO' CUSANO Nikolaus Chrypffs (1400 - 1464), filosofo e matematico tedesco. Era conosciuto universalmente come Nicolò Cusano, o Nicolò da Cusa, essendo nato nella località tedesca di Cues, sulla Mosella. Fu cardinale, legato pontificio in Germania e vescovo di Bressanone.
Ci limitiamo a dare di lui quelle elementari notizie che lo rendono importante per l'evoluzione del pensiero cosmologico. Affermò la impossibilità di una conoscenza diretta di Dio, che in quanto infinito, sfugge a ogni definizione, limitativa di per sé stessa. La ragione umana, pur non potendo cogliere l'assoluto, può però avvicinarsi a Dio per infinite successive approssimazioni.
Poichè il mondo è immagine di Dio, non può essere che infinito, e quindi privo di centro. Cusano ammette il moto della Terra secondo questo schema: (1) La Terra gira in 24 ore da oriente a occidente attorno al proprio asse, coincidente con quello della sfera celeste. (2) Solidalmente con la sfera celeste, la Terra gira con velocità doppia in senso opposto (così che essa gira complessivamente da occidente verso oriente con la velocità osservata). (3) Il Sole partecipa al moto della sfera con un ritardo giornaliero tale che in un anno ammonta a 360º.
Opere di Cusano furono: De concordantia catholica, De docta ignorantia e De mathematica perfectione.
PEURBACH E REGIOMONTANUS
Trattiamo questi due astronomi assieme perchè le loro vite si intrecciarono piuttosto intimamente. Il primo, Georg Peurbach (1423 - 1461), austriaco, completò i suoi studi all'università di Vienna nel 1453. Quindi svolse attività di astronomo di corte (cioè astrologo) presso il re Ladislao V di Ungheria e presso l'imperatore Federico III. In seguito esercitò anche l'insegnamento presso l'università di Vienna. Una sua opera godette di larghissima fama: Theoricae novae planetarum. L'aggettivo "nova" non sta ad indicare una astronomia che si distacchi in qualche modo dalla tolemaica: si riferisce al fatto che il libro si presentava come sostituto di quelli, scritti circa duecento anni prima, uno forse da Gerardo da Cremona, e l'altro da Campano da Novara, con il titolo Theoricae planetarum. Comprendeva la tradizionale astronomia di Tolomeo e la sua cosmologia delle sfere solide, esposti però in un modo qualitativamente ben superiore ai libri che soppiantava. Il nuovo libro divenne enormemente popolare. Ne vennero stampate diverse decine di edizioni.
Il lettore potrebbe sentire una certa perplessità per il fatto di vedere questi due personaggi, indubbiamente ancora legati a una cultura tolemaica, elencati nello stesso capitolo in cui sono descritti anche Copernico e Keplero. In effetti questi due astronomi meritano ampiamente la qualifica di rinascimentali, per la qualità del loro cultura astronomica, per la raffinata analisi a cui sottoposero Tolomeo, distaccandosi nettamente da quanti li avevano preceduti. Il Theoricae del Peurbach costituì un autentico vademecum per Copernico che gli permise di impadronirsi della dottrina tolemaica (al punto da non sapersene liberare, come invece riuscì a Keplero).
A Vienna Peurbach aveva stretto amicizia con il cardinale Giovanni Bessarione, che era stato là inviato dal Papa in missione diplomatica. Di origine greca, convertito al cattolicesimo e grande cultore di studi classici greci, Bessarione convinse Peurbach a intraprendere una nuova traduzione dell'Almagesto, annettendovi anche un commentario. Peurbach si dedicò all'opera che purtroppo fu interrotta (al sesto dei tredici libri) dalla morte nel 1461, quindi alla giovane età di 38 anni.
Johann Müller (1436 - 1476), si era iscritto all'università di Vienna all'età di 13 anni, divenendo dunque discepolo di Peurbach. Nativo di Königsberg, assunse in seguito il nome latinizzato di "Johannes de Regio Monte", dal nome della città natale, e quindi di "Regiomontanus". A Vienna si distise negli studi al punto da divenire collaboratore del maestro Peurbach nelle osservazioni astronomiche. Prima di morire, il Peurbach riuscì ad ottenere da Regiomontanus la promessa di continuare nella traduzioe dei libri dell'Almagesto.
Quando alla fine del 1461 Bessarione ritornò a Roma, si portò con sé il giovane Regiomontanus, che in due anni riuscì a completare l'opera (che però non venne data alle stampe che nel 1496). L'opera, dal titolo Compendio dell'Almagesto, si rivelò subito di qualità nettamente superiore a tutte le altre che l'avevano preceduta. Regiomontano non esitò a mostrare in essa soluzioni diverse da quelle adottate da Tolomeo. Né esitò a sollevare critiche su alcuni punti, per esempio, mise in evidenza che secondo la teoria lunare di Tolomeo, il diametro apparente della Luna avrebbe dovuto variare di un fattore pari a 2 ad ogni lunazione, chiaramente contro le più elementari osservazioni (gli Arabi si erano già accorti secoli prima di questa incongruenza).
Nel 1471 Regiomontanus si stabilì a Norimerga e fondò una stamperia esclusivamente dedicata ad opere scientifiche. La prima opera stampata fu il Theoricae novae planetarum del suo maestro Peurbach. La seconda furono le sue famose Effemeridi, che riportava le posizioni di Sole, Luna e pianeti dal 1475 al 1506.
Regiomontano fu anche un notevole ed originale matematico. Il suo libro De triangulis omnimodis fu il primo libro europeo espressamente dedicato alla trigonometria. Con Peurbach e Regiomontano l'astronomia teorica europea arrivò finalmente a colmare il divario che la separava da quella greca e da quella islamica.
Questi due eminenti astronomi furono accomunati dalla sfortuna di godere di una vita breve nella quale non ebbero certamente la possibilità di esprimere tutto il talento di cui erano dotati.
PIETRO APIANO Peter Bienewitz, (1495 - 1552), conosciuto in Italia come Pietro Apiano, (aveva assunto il nome latinizzato di Petrus Apianus), nacque a Leisnig in Sassonia. Studiò presso l'università di Lipsia matematica, astronomia e cosmografia. Il tempo di Apiano si presentava molto propizio per una grande affermazione della cosmografia, soprattutto per la specializzazione della produzione di mappe di nuove terre. Con i viaggi di Vasco da Gama, Colombo, Vespucci, Magellano, ecc. l'alba del XVI secolo vide una fioritura prodigiosa di nuove carte geografiche. Il primo lavoro dell'Apiano fu la produzione di una carta geografica mondiale, del tipo orbis universalis, basata sulla famosa mappa murale del mondo di Martin Waldsemüller del 1507, quella nella quale venne dato per la prima volta il nome "America" al continente appena scoperto.
Nel 1524 Apiano pubblicò una prima delle sue opere importanti, Cosmographia seu descriptio totis orbis. Basata essenzialmente su canoni tolemaici, comprendeva una introduzione all'astronomia, alla geografia, alla cartografia, alla navigazione, al clima. Trattava anche della forma della Terra, delle procedure per le rilevazioni geografiche, delle proiezioni cartografiche.
La fama procuratagli da questo libro fu sufficiente per ottenere nel 1527 la nomina a professore di matematica all'università di Ingolstadt. Sembra che a partire da quegli anni egli abbia goduto anche dei favori dell'imperatore Carlo V d'Asburgo (forse per avergli dato delle lezioni di cosmografia, un argomento che doveva essere di molto interesse per quel sovrano). Comunque, nel 1540 Apiano dedicò all'imperatore il suo capolavoro, l' Astronomicon Cesareum
Si trattò di un'opera molto più raffinata del Cosmographia. Vi erano date anche nuove importanti idee scientifiche. Ad esempio, un metodo per la determinazione della longitudine tramite eclissi di Sole. Il libro conteneva anche la descrizione di cinque comete, a proposito delle quali Apiano è il primo a dare la nozione secondo cui le comete, in prossimità del Sole, volgono la loro coda dalla parte opposta ad esso. Infine, in quest'opera l'Apiano inserì quello che venne considerato il capolavoro degli equatoriali del Rinascimento (vedere il prossimo paragrafo per gli equatoriali), dotandolo della specifica caratteristica di offrire all'utilizzatore il massimo delle facilitazioni nell'impiego dello stesso, per il gran numero di parti estraibili (le "volvelle") di cui era corredato. Quest'opera riempì letteralmente di felicità l'imperatore che nominò Apiano matematico di corte e concesse il cavalierato a lui e ai suoi tre fratelli.
Un importante evento per la diffusione della fama dell'Apiano si era avuto, frattanto, nel 1533, quando Gemma Frisius pubblicò una nuova edizione del Cosmographia. Frisius aveva reso l'opera molto più pregevole con notevoli aggiunte, al punto da farla divenire un best seller in tutta Europa, venendo tradotta in molte lingue. Naturalmente Frisius, essendo un produttore di strumenti astronomici, aveva avuto cura di dedicare particolare attenzione ad essi in questa seconda edizione. Del libro facevano parte le famose "volvelle", pezzi di cartone estraibili che consentivano al lettore di esercitarsi, risolvendo problemi di calendario, di posizionamento di astri, ecc.
Un'altra pubblicazione di grande importanza per quell'epoca fu una tavola di seni Instrumentum sinuum sive primi, pubblicato nel 1534, che conteneva tavole dei seni per ogni minuto primo di arco. Dello stesso anno fu anche una mappa a grande scala d'Europa, che purtroppo è andata perduta. Anche un figlio di Apiano, Phillip, seguì le orme paterne divenendo professore di matematica all'università di Ingolstadt. Pietro Apiano è considerato il fondatore della moderna cartografia, geografica e astronomica.
LA TRADIZIONE RINASCIMENTALE DEGLI EQUATORIALI
Diamo qualche cenno sull'attività associata alla produzioni di questi speciali libri-strumenti. All'epoca uno di questi oggetti era chiamato equatorium perchè consentiva di risolvere il problema di fornire in maniera rapida la equatio (equazione). Con questo termine si indicava la differenza tra le posizioni effettiva e media di un pianeta (in termini di longitudine celeste). La figura 756 mostra l'equatoriale di Saturno, progettato da J. Schöner. Sono riconoscibili il cerchio rappresentativo dell'epiciclo (a destra), il cui centro ha la possibilità di scorrere sulla scanalatura circolare rappresentativa del cerchio del deferente. Al centro, lungo la linea degli apsidi sono marcati i punti notevoli indicativi dell'equante, del centro del deferente e del centro della Terra, ciascuno di essi è dato da un pernetto al quale potevano essere fissati dei fili per la lettura degli angoli. All'esterno si ha il cerchio fisso dello zodiaco.
La costruzione di una strumentazione di questo tipo risale a molti secoli prima. Proclo (V secolo) nella Hipotiposis dà istruzioni per la realizzazione di un equatoriale solare, cioè capace di fornire soltanto la longitudine del Sole in funzione della data.
Le prime descrizioni di equatoriali si ebbero in Spagna, nel XIII secolo. Sotto il patronato del re Alfonso X, di cui si è già parlato, venne prodotta l'opera dal titolo Libros del saber de astronomia in cui, tra l'altro, erano contenute le traduzioni di due testi arabi del secolo XI sulla costruzione di equatoriali, uno dei quali del famoso Al Zarqali (Arzachel).
Il primo testo originale latino in cui una parte sia espressamente dedicata agli equatoriali, fu il Theoricae planetarum, scritto da Campano da Novara nel secolo XIII. Non si ha prova che uno strumento sia stato effettivamente costruito secondo i dettami del libro di Campano, ma i commentatori ritengono che il libro di Campano costituisca la base sulla quale si edificò la fiorente tecnica della costruzione di equatoriali nel Rinascimento.
Uno strumento notevole di questo tipo, uno dei pochi in legno, è tuttora disponibile presso il monastero di Stams, nel Tirolo settentrionale. Venne costruito nel 1428 da Rodolfo Medici. Notevole anche per le dimensioni, 3.40 x 1.13 metri, è suddiviso in tre pannelli quadrati di 1.13 metri di lato, ognuno dei quali porta la strumentazione dedicata a un paio di pianeti.
Un testo notevole in cui sono date istruzioni per la costruzione di equatoriali è The Equatoriae of the Planetis. E' stato sostenuto che sia stato scritto da Geoffrey Chaucer e contiene le istruzioni per realizzare un grande equatoriale di sei piedi di diametro. Non si sa se ne sia stato realizzato uno su questo schema.
JOHANN SCHÖNER
La produzione di equatoriali nel Rinascimento raggiunse un alto grado di perfezione con Johann Schöner (1477 - 1547), scrittore e stampatore di opere astronomiche e geografiche. Realizzò anche una serie di globi terrestri importantissimi per la storia della cartografia perchè vi era sempre tenuta aggiornata la situazione delle scoperte geografiche.
La principale difficoltà che doveva essere risolta nella progettazione degli equatoriali era data dal fatto che le longitudini medie dei pianeti dovevano essere misurate dal punto equante, mentre la longitudine effettiva doveva essere misurata dal punto rappresentativo del centro della Terra. E infine, il centro dell'epiciclo descritto dal pianeta doveva muoversi su un cerchio centrato in un punto che, come sappiamo, non coincideva con i primi due.
L'opera capolavoro di Schöner fu l ' Equatorium astronomicun (consisteva in effetti di una serie di pubblicazioni), che furono i primi equatoriali stampati. L'utilizzatore doveva egli stesso provvedere a ritagliare le parti dello strumento dai fogli di cartone forniti da Schöner (le "volvelle"). Dopo di che l'utilizzatore eseguiva il montaggio dei pezzi ottenendo le misure di longitudine, secondo le indicazioni accluse. Nei suoi equatoriali Schöner mostra di seguire certi dettami provenienti da Campano, ma si distaccò nettamente da lui per notevoli innovazioni. Per esempio, Schöner introdusse la possibilità di rendere mobile l'apogeo mentre Campano lo aveva lasciato fisso. Risolse brillantemente anche il problema della misura rispetto al punto equante e rispetto al punto rappresentativo della Terra.
Alcuni anni dopo la morte di Schöner suo figlio Andreas raccolse le opere matematiche ed astronomiche del padre in un grosso volume dal titolo Opera mathematica nel quale si aveva, inoltre, una edizione revisionata dell ' Equatorium astronomicun
Copernico
GLI INIZI ALL'UNIVERSITA' E IN ITALIA Niccolò Copernico (1473 - 1543) nacque il 9.2.1473 a Torun, città oggi situata nella Polonia settentrionale, sulla Vistola. Il padre era un agiato mercante. La città era passata da poco sotto la sovranità della Polonia. Il suo nome polacco era Niklas Koppernigk. Le prime sue firme presentano la doppia "p". Alcune sono del tipo "Nicolaus Copernic". Le ultime della sua vita sono del tipo "Nicolaus Copernicus. Nel 1491 iniziò a Cracovia gli studi universitari durante i quali è possibile (ma non provato) che abbia ricevuto una formazione astronomica (forse privatamente) da parte di un professore, Albert Brudzewski (1446 - 1495), che aveva scritto un commento al Theorica novae planetarum del Peurbach.
Nel 1494 lascia gli studi (forse perchè il Brudzewski lasciò Cracovia). Lo zio materno Luca Watzelrode, vescovo di Warmja, in previsione di far ottenere al nipote il canonicato della cattedrale di Frauenburg (Frombork in polacco), lo convince ad andare a studiare in Italia. Il 6 gennaio 1497 è registrato tra gli studenti di Bologna, della Natio Germanorum.
A Bologna entra in relazione con l'astronomo Domenico Maria Novara, (1454 - 1504). Questi, nativo di Ferrara e insegnante di matematica e astronomia a Bologna, è noto sostanzialmente per aver avuto Copernico come discepolo. Nel 1489 sostenne che il polo nord si era spostato di un grado verso lo zenit per cui le latitudini di tutte le città italiane dovevano essere aumentate di un grado. Nel 1491 invece eseguì una determinazione molto precisa dell'obliquità dell'eclittica (23º 27').
Si è a conoscenza della prima osservazione astronomica di Copernico a Bologna (probabilmente assistendo il Novara): una occultazione di Aldebaran da parte della Luna, il 9 marzo 1497. Si sa anche che durante un suo soggiorno a Roma, vi tenne almeno una conferenza sull'astronomia (ma si ignora su quale specifico argomento) e che nel novembre 1500, sempre a Roma, osservò un'eclisse di Luna.
L'anno successivo fece un breve soggiorno in Polonia (suo zio gli aveva fatto ottenere la nomina a canonico di Frombork). Il canonicato gli consentì di ottenere una borsa di studio di due anni che Copernico utilizzò per iscriversi subito a Medicina a Padova (pur sapendo che per quel dottorato occorrevano tre anni di corso). Nel 1503, scaduto il tempo concessogli dalla borsa di studio, si iscrisse alla facoltà di legge di Ferrara e nello stesso anno riuscì ad ottenere il dottorato in diritto canonico (almeno per non tornare in patria proprio a mani vuote). Nel 1506 finalmente fece ritorno in Polonia. Trascorse qualche anno al servizio dello zio
e, alla morte di questi, si stabilì definitivamente a Frombork dedicandosi ai compiti che gli erano richiesti dal canonicato.
E' altamente probabile che durante il suo soggiorno italiano egli abbia stretto relazione con più di uno studioso di astronomia. E' anche possibile che nell'ambiente scientifico italiano, così aperto alle novità (favorite dalla vasta affluenza nella penisola di studiosi da ogni parte d'Europa) non siano mancate al giovane Copernico sollecitazioni verso ipotesi di ogni genere. Infine, è molto probabile che egli abbia acquisito proprio in Italia una solida preparazione astronomica.
I commentatori sono pressochè conordi nel ritenere che entro i primi due decenni del 1500, Copernico abbia sviluppato il nucleo della sua concezione eliocentrica, sotto forma di alcuni fogli che circolarono tra la ristretta cerchia dei suoi amici. Ma fu soltanto nel XIX secolo che questo manoscritto venne stampato, con il titolo di Nicolai Copernici de hipothesibus motuum coelestium a se constitutis commentariolus (è curioso che,di tutto il titolo così lungo, l'unica parola che rimase per definire il documento fu Commentariolus, "Piccolo commentario").
I SETTE ASSIOMI PRELIMINARI DEL COMMENTARIOLUS
Non vi è un unico centro per tutte le orbite celesti.
Il centro della Terra non è il centro dell'universo, ma soltanto il centro [di attrazione] dei corpi pesanti e dell'orbita lunare.
Tutte le orbite circondano il Sole, che si trova, per così dire, nel mezzo di tutte, poichè il centro del mondo è vicino al Sole.
Il rapporto tra la distanza tra il Sole e la Terra e l'altezza del firmamento, è minore del rapporto tra il raggio della Terra e la distanza del Sole dalla Terra, in tal guisa che la distanza del Sole dalla Terra è insensibile [piccolissima] rispetto all'altezza del firmamento.
Ogni moto che paia appartenere al firmamento non trae origine da esso ma dalla Terra. Perciò la Terra, con gli elementi nelle sue vicinanze, compie una completa rotazione attorno ai suoi poli fissi, mentre il firmamento, o ultimo cielo, permane immoto.
I moti che ci sembrano propri del Sole, non traggono origine da esso, ma dalla Terra e dalla nostra orbita [terrestre], con la quale noi ci rivolgiamo attorno al Sole, come ogni altro pianeta. Di conseguenza la Terra è trasportata secondo diversi moti.
I moti retrogradi e diretti che ci appaiono per i pianeti, non sono da loro causati, ma dalla Terra. Il solo moto della Terra è sufficiente a spiegare una gran messe di irregolarità nei cieli.
Da questi assiomi preliminari del Commentariolus si vede subito che la rottura di Coperico con la vecchia cosmologia non è così netta come ci si sarebbe aspettato. Il centro del cosmo di Copernico non è nel centro del Sole ma "vicino" al centro del Sole. Precisamente esso è situato al centro dell'orbita terrestre, la quale è eccentrica rispetto al centro del Sole. Quindi il centro della Terra continua a mantenere nel cosmo una funzione privilegiata: (1) è il punto verso cui convergono tutti i corpi pesanti (quelli che derivano dai quattro elementi aristotelici) e (2) è il centro dell'orbita lunare (e qui c'è uno strappo con Aristotele perchè la Luna, divenuta per Copernico satellite della Terra, non è più un puro corpo celeste come anticamente, ma è in qualche modo assimilata ai "corpi sublunari" di una volta).
Nel quarto postulato Copernico aderisce alla concezione che Aristarco di Samo aveva enunciato milleottocento anni prima. Nel quinto, accettando la immobilità delle stelle fisse, Copernico ammette implicitamente la realtà di una superficie sferica concava sulla quale esse siano incastonate.
Nel sesto postulato, dicendo ". .la Terra è trasportata. ." Copernico fa sempre riferimento alla cosmologia delle sfere materiali, eteree. E' incapace di staccarsi da questo punto di vista tolemaico-aristotelico. Tuttavia, nello stesso postulato afferma decisamente: ". . noi ci rivolgiamo attorno al Sole come ogni altro pianeta . .".
Il settimo postulato si può pensare che Copernico lo abbia specificamente diretto all'attenzione dei suoi contemporanei, per sollecitarli a entrare nel nuovo ordine di idee di considerare l'intervento del moto della Terra nel determinare gli apparenti e strani moti planetari. A questo proposito il lettore potrebbe riguardare, nella sezione dedicata alla meccanica celeste, i paragrafi nei quali si ha la spiegazione di come la visione eliocentrica renda ragione dei moti planetari che anticamente venivano spiegati tramite gli epicicli e gli eccentri.
La figura illustra in maniera estremamente elementarizzata il sistema copernicano. Come si vede, i moti sono sempre circolari ed uniformi. Copernico ricorre sempre agli epicicli. La figura rispetta grossolanamente la proporzione per le distanze dei pianeti dal Sole. La distanza della sfera delle stelle fisse è invece fuori proporzione. Per Copernico dev'essere considerata a distanza grandissima.
NASCITA E PUBBLICAZIONE DEL "DE REVOLUTIONIBUS"
Dunque, prendendo indicativamente la data del 1515 come quella della prima stesura del Commentariolus, per una trentina d'anni poche copie manoscritte dello stesso circolarono in una ristrettissima cerchia di conoscenti di Copernico, mentre lui dedicava quell'intervallo di tempo, nella più totale riservatezza, a dare corpo all'opera nella quale quei pochi concetti avrebbero avuto un adeguato sviluppo.
L'opera De revolutionibus orbium coelestium libri sex non vide la luce che nel 1543, mentre Copernico si trovava (prostrato e probabilmente incosciente) sul letto di morte. Non si sa se gli sia stato dato vedere la copia che gli amici gli avevano fatto avere proprio il giorno del trapasso.
Inevitabilmente, le idee del Commentariolus avevano incominciato a diffondersi, praticamente fin dal loro concepimento, fino a giungere alla corte papale. Nel 1533, J. A. Widmanstadt, segretario del papa Clemente VII, illustrò le idee di Copernico al pontefice. Tre anni dopo lo stesso Widmanstadt ne mise al corrente il cardinale N. Schömberg, arcivescovo di Capua, che di sua iniziativa inviò una lettera a Copernico esortandolo a pubblicare un libro (questa lettera verrà posta da Copernico nella prefazione al De revolutionibus). Copernico ricevette lo stesso incoraggiamento anche da T. Giese, arcivescovo di Chelmno e suo amico personale.
Nel 1539 Copernico ricevette la visita di un giovane (luterano) professore di matematica all'università di Wittemberg, G. J. von Lauchen (1514 - 1574), che in seguito assumerà lo pseudonimo latino di Reticus, e che per due anni divenne l'unico discepolo di Copernico. Questi permise a Reticus di studiare il manoscritto del De revolutionibus e gli permise anche di stenderne una specie di riassunto. Questo lavoro di Reticus, sotto il titolo di Narratio prima, stampato nel 1540 a Gdansk, divenne la prima relazione in stampa del sistema eliocentrico.
Nell'opera, Reticus dava una chiara valutazione della portata dell'innovazione copernicana, oltre che delle teorie della precessione e della trepidazione (alla quale Copernico non aveva saputo o voluto rinunciare). Secondo Reticus, Copernico aveva adottato anche una teoria della variabilità dell'eccentricità dell'orbita terrestre, variabilità che mostrava una connessione con i rivolgimenti epocali dei regni terrestri. Per esempio, l'eccentricità aveva raggiunto il massimo in corrispondenza con la forma imperiale di governo a Roma, ed era in seguito diminuita con il declino della potenza romana. Reticus espresse anche la predizione che quando tra un centinaio di anni l'eccentricità avesse raggiunto il valore minimo, l'impero islamico avrebbe subito un tracollo epocale. (Di tutte queste divagazioni non c'è ovviamente traccia nel manoscritto del De Revolutionibus, ma non c'è da dubitare che Reticus non si sarebbe permesso di pubblicarle senza il consenso dell'autore).
Nel 1542 Rheticus affidò una copia del De revolutionibus allo stampatore di Norimberga Johannes Petreius, ma siccome nell'ottobre di quell'anno egli avrebbe dovuto riprendere l'insegnamento di matematica presso l'università di Lipsia, diede a un pastore luterano di Norimberga, fornito di qualche conoscenza astronomica, Andreas Osiander (1498 - 1552), l'incarico di seguire la pubblicazione del libro, provvedendo alla correzione delle bozze di stampa.
Come detto, è molto dubbia la possibilità che Copernico possa aver visto la sua opera finalmente pubblicata. In una lettera del 26 luglio 1543, il vescovo Giese scriveva al Retico " . . . Copernico passò all’altra vita il giorno 24 di maggio in seguito ad emoraggia che gli paralizzò tutta la parte destra, e molti giorni prima della sua morte egli perdette la memoria e l’uso delle facoltà mentali, ed Egli vide la sua opera condotta a termine proprio nel giorno della sua morte . . .”.
E' sperabile almeno che gli ultimi suoi istanti di vita non siano stati amareggiati dalla conoscenza del grave arbitrio che l'Osiander aveva commesso ai suoi danni con l'introduzione nel libro di una prefazione apocrifa. Probabilmente preoccupato delle contrarietà che la nuova teoria avrebbe potuto suscitare negli ambienti religiosi, prese la singolare iniziativa di sostituire alla autentica prefazione dell'autore, una sua prefazione (senza avvertire di ciò i lettori), nella quale, deformando e falsando il pensiero di Copernico, presentò quella teoria come una ipotesi matematica, unicamente finalizzata a scopi didattici.
A nulla valsero gli interventi appassionati di Rheticus e Giese presso lo stampatore Petreius per far inserire al più presto possibile una correzione. La conseguenza fu che per molto tempo
questa prefazione venne accolta dalla comunità scientifica generalmente come appartenente allo stesso Copernico ed ebbe il grave risultato di indurre molti ad accusarlo di scarsa sicurezza delle proprie idee.
Al contrario, Copernico nella sua autentica prefazione, oltre a citare gli eminenti prelati che lo avevano incoraggiato nel rendere note le sue idee, non esitava ad affermare che la paternità originale delle stesse risaliva ai mitici precursori dell'antichità classica. Cita infatti i nomi di Filolao, di Eraclide Pontico, dei siracusani Iceta ed Ecfanto (stranamente, quali precursori dell'idea eliocentrica non nomina Aristarco di Samo né Seleuco di Babilonia).
La stolta deformazione dell'Osiander (del quale comunque la buona fede non è in genere stata messa in dubbio) venne in seguito svelata. Giordano Bruno, con l'impetuosità sua tipica, nella Cena delle Ceneri bollò la prefazione apocrifa come " ... epistola preliminare attaccata da non so che asino ignorante e presuntuoso al libro di Copernico ...", e Keplero, nel 1609, riportò in guisa di prefazione nel suo libro Astronomia nova la testimonianza che l'ipotesi introduttiva del De revolutionibus era opera dell'Osiander e non di Copernico.
LE MOTIVAZIONI DI COPERNICO
Diversi predecessori di Copernico avevano fatto osservare che le Tavole Alfonsine erano divenute sensibilmente inadatte a fornire valori predittivi attendibili. Si era cercato di migliorare le cose continuando ad aggiungere epicicli. Ma questa si rivelò una soluzione non efficace perchè l'aggiunta di epicicli produceva minime variazioni periodiche, a scapito dell'introduzione di ulteriori complicazioni nei calcoli. Non si può dunque dire che Copernico sia stato spinto a dare la sua teoria rivoluzionaria allo scopo di consentire la produzione di tavole più accurate perchè quelle che vennero prodotte nel secolo XVI basate sul suo sistema fornivano valori praticamente della stessa inaccuratezza delle tavole basate sui metodi tolemaici. La ragione fondamentale che indusse Copernico ad elaborare la sua teoria fu semplicemente la sua assoluta convinzione di essere nel vero. Egli esprime chiaramente ciò nella sua autentica prefazione, dedicata al papa Paolo III. La menzione nella prefazione del supporto ricevuto dal cardinale Schönberg e dal vescovo Giese e gli stessi trattati che Giese e Rheticus scrissero per sostenere la validità del considerare il movimento della Terra come esplicativo di tutte le apparenti irregolarità, sono indicativi di una strategia messa in atto da Copernico e dai suoi amici in previsione dell'opposizione che la sua teoria avrebbe incontrato.
Nella prefazione Copernico metteva anche in evidenza l'artificiosità alla quale si abbandonava la teoria tolemaica nell'attribuire un diverso tipo di legame con il Sole tra pianeti esterni e interni, mentre ammettendo il moto della Terra, non c'era bisogno di ricorrere a quel diverso tipo di legame. Il riconoscere il moto della Terra consentiva di pervenire a un'unica spiegazione organica della struttura del cosmo.
Copernico si affannò anche, nella sua teoria, a manifestare la sua assoluta fedeltà al principio aristotelico del moto uniforme, mettendo in evidenza che Tolomeo se ne era scostato. A questo proposito affermò senz'altro che l'introduzione dell'equante come unico punto rispetto al quale si doveva avere il moto uniforme, era un'assurdità sia fisica che filosofica. Vedremo quindi che questo residuo di fedeltà ai vecchi principi aristotelici portò Copernico ad introdurre ancora epicicli e deferenti.
LA TEORIA PLANETARIA COPERNICANA
La figura 763 è simile a una del De revolutionibus. Mette in relazione il moto della Terra con quello di Marte. La Terra circola sul cerchio tratteggiato interno, centrato in C’ (che non coincide con il centro del Sole). Copernico sostituisce il punto equante di Tolomeo con un piccolo epiciclo. Il centro effettivo del sistema è il punto C’, centro dell’orbita terrestre, detto Sole medio. C è il centro del deferente di Marte. Quest’ultimo fa un giro completo sul suo piccolo epiciclo nello stesso tempo in cui il centro dell’epiciclo fa un giro completo sul deferente. Infine, il raggio dell’epiciclo, per Copernico è 1/3 dell’eccentricità CC’.
La figura mostra chiaramente un ulteriore privilegio che Copernico accorda alla Terra: l'orbita della Terra, a differenza di quella degli altri pianeti, è priva di epiciclo. Decisamente, Copernico non ce la fa a declassare la Terra al rango di comune pianeta.
Adesso riferiamoci alla figura 764. Rispetto alla precedente, qui il moto della Terra non è rappresentato. Il centro dell’epiciclo, K, si muove uniformemente sul cerchio a tratto pieno, di raggio R, mentre Marte circola sul suo epiciclo, di raggio a•R (a è una quantità minore di 1). Come abbiamo appena detto, mentre Marte fa un giro sul suo epiciclo, il centro dell'epiciclo K fa un giro sul deferente, nello stesso senso. La correlazione tra i due movimenti (entrambi in senso antiorario) è tale che i due angoli a si mantengono sempre uguali . Allora, la combinazione dei due movimenti porta il punto M (Marte) ad eseguire il percorso tratteggiato (che non è circolare e che nemmeno viene percorso con velocità uniforme). Il centro effettivo di questo percorso risultante diventa C”. Per Copernico dunque, CC'' è uguale al raggio dell'epiciclo, ed è 1/3 dell'eccentricità del deferente CC' = b•R (anche b è una quantità minore di 1).
Ora, se ci riferiamo alla figura 765 vedremo che questo moto risultante di Marte diventa praticamente eguale al moto che Tolomeo aveva ottenuto introducendo il punto equante. Infatti, prendiamo sulla linea degli apsidi il punto E, distante aR da C. Abbiamo detto che la correlazione dei moti è tale che l’angolo CKM si mantiene sempre uguale all’angolo ACK. Siccome CE = KM il quadrilatero KMEC è un trapezoide con i lati ME e KC sempre paralleli. Allora, siccome CK ruota uniformemente , anche ME ruota uniformemente, per cui E è un effettivo punto equante: il pianeta M, se osservato da E , appare muoversi con moto uniforme.
Inoltre, Copernico pone aR = (1/3)•bR, cioè b = 3•a. Ora, vediamo che EC” = 2•aR e C’C” = bR - aR per cui anche C’C” = 2•aR. Dunque, il punto C”, centro dell’effettiva orbita planetaria si trova a mezza strada tra C’ e il punto equante il che equivale a dire che Copernico, come Tolomeo, biseca l’eccentricità totale. Si ha una quasi perfetta equivalenza tra il cerchio eccentrico di Tolomeo con il punto equante e il cerchio eccentrico di Copernico con il piccolo epiciclo se attribuiamo al raggio dell’epiciclo di Copernico la metà dell’eccentricità di Tolomeo eT, cioè se a = (1/2)•eT e b = (3/2)•eT.
Nella figura 766 abbiamo il risultato della combinazione dei due moti. Se il pianeta M si muove lungo il cerchio pieno secondo la legge tolemaica dell’equante, l’angolo a aumenta uniformemente in funzione del tempo. La linea curva tratteggiata rappresenta l’orbita effettiva copernicana, per cui E diventa il punto equante presunto della stessa. Quando il corpo si trova in M secondo Tolomeo, secondo Copernico si trova in M’. Per un osservatore situato in E non si riesce a distinguere tra M ed M’, ma per un osservatore in S (Sole medio, centro dell’orbita terrestre) le direzioni di M ed M’ differiscono del piccolo angolo Da. Naturalmente, in questa figura l’eccentricità è grandemente esagerata. Nel caso di Marte il valore massimo di Da non raggiunge i 3’. Concludiamo quindi dicendo che la teoria per i pianeti superiori di Copernico praticamente conduce a risultati identici a quelli ottenuti da Tolomeo se a = (1/2)•eT e b = (3/2)•eT, dove a, b ed eT hanno i significati sopra dati.
Dalla tabellina che segue si vede che Copernico adottò, per a e per b, (per i pianeti superiori) praticamente le quantità rispettivamente di (1/2)•eT e di (3/2)•eT. Soltanto per Marte, Copernico adottò per b un valore sensibilmente differente da (3/2)•eT.
Eccentricità Tolomeo-Copernico per i pianeti superiori
Tolomeo
Copernico
eT
(1/2)•eT (3/2)•eT
a b
Marte
0.10000
0.05000 0.15000
0.05000 0.14600
Giove
0.04583
0.02292 0.06875
0,02290 0.06870
Saturno
0.5694
0.02847 0.08541
0.02850 0.08540
Il metodo usato da Copernico per ottenere, tramite un piccolo epiciclo, gli effetti sui moti planetari prodotti dall'equante di Tolomeo, è identico a quello impiegato due secoli prima da Ibn al Shatir di Damasco. Non abbiamo modo di sapere se Copernico sia venuto in qualche modo in possesso di quest'informazione, magari durante il suo soggiorno italiano. Né ci è dato sapere, da quello che Copernico scrive nel De revolutionibus, fino a che punto egli si sia reso conto che il suo modello era praticamente simile, per gli effetti, a quello dell'equante. Ad esempio, Copernico non cita mai l'esistenza di un punto equante. La prima citazione in uno scritto europeo dell'esistenza di un effettivo punto equante nel modello di Copernico si ebbe da parte di quell'acuto osservatore che fu Michael Mästlin, in una lettera al suo allievo Keplero.
Si potrebbe dire che la teoria copernicana sia una sintesi tra una ardita innovazione e una certa quantità di bagaglio tecnico-culturale del passato. L'aver posto il Sole al centro consentiva notevoli facilitazioni nella spiegazione delle apparenti irregolarità. Ma nei dettagli delle molte affinità con Tolomeo, Copernico rivelava di essere sempre ancorato alle costrizioni aristoteliche. Keplero ebbe a dire in seguito che Copernico avrebbe fatto meglio a interpretare la natura, anzichè Tolomeo.
MÄSTLIN E REINHOLD Michael Mästlin (1550 - 1631), professore di matematica all'università di Tübingen, accolse con grande favore le innovazioni di Copernico al punto da insegnare la teoria eliocentrica nel suo corso di studi. Fu lo studente di Mästlin, Johannes Kepler che sviluppò la teoria copernicana alla sua logica conclusione.
Erasmus Reinhold (1511 - 1553), luterano, professore di astronomia tolemaica a Wittemberg, nel 1542 aveva pubblicato una edizione dell'opera di Peurbach Novae teoricae planetarum, con un commentario annesso. Reinhold era anche un competente osservatore-astronomo. Dopo la pubblicazione del De revolutionibus Reinhold ebbe l'idea di pubblicare un set di tavole astronomiche basandole sulla teoria copernicana. Queste tavole, chiamate Tabulae prutenicae (Tavole prussiane, perchè dedicate al duca Alberto di Prussia) acquisirono presto una notevole fama e contribuirono a diffondere quella dello stesso Copernico e della sua teoria.
L'attitudine di Reinhold verso la teoria eliocentrica fu certamente diversa da quella di Mästlin. Egli sembrò essere interessato più agli aspetti tecnici di dettaglio che alla innovazione cosmologica.
ALCUNE NOTIZIE SUL MODO DI LAVORARE DI COPERNICO
Queste brevissime notizie rendono conto al lettore della maniera semplice e originale con cui Copernico procedeva nella sua indagine.
Anzitutto Copernico volle calcolare per conto suo i periodi sinodico e siderale di ciascun pianeta. Per Venere e Mercurio Copernico si valse di due osservazioni molto intervallate nelle quali il pianeta occupava la stessa posizione tanto rispetto al Sole (massima elongazione) quanto rispetto alle stelle, ossia due osservazioni separate da un intervallo contenente numeri interi sia di rivoluzioni sinodiche che di rivoluzioni siderali. Dividendo il numero di giorni dell'intervallo per i numeri delle rivoluzioni, si ottengono le durate. Per le rivoluzioni sinodica e siderale di Venere Copernico ottenne i valori di 584 giorni e di 225 giorni. Per Mercurio ottenne i valori rispettivi di 116 e 88.
Per i pianeti superiori Copernico si valse dello stesso procedimento, osservando opposizioni che avvenivano sempre in direzione di una stella fissa. Ottenne i valori rispettivi di 780 e 687 giorni per Marte, 399 giorni e 12 anni per Giove, 378 giorni e 30 anni per Saturno.
Le distanze dei pianeti inferiori dal Sole vennero calcolate da Copernico risolvendo il triangolo rettangolo avente per vertici Sole, Terra e pianeta alla massima elongazione. Copernico pone eguale a 1 la distanza Terra-Sole, dopo di che, misurati gli angoli di massima elongazione a, si ha SV = sen(a). Copernico ottenne per Mercurio la distanza dal Sole di 0.3763 e per Venere 0.7193 (i valori reali sono circa rispettivamente 0.3871 e 0.7233).
Per il calcolo delle distanze dei pianeti superiori Copernico ricorre all'angolo che oggi chiamiamo di parallasse annua del pianeta (che Copernico chiamava prostapheresis orbis), cioè l'angolo che potrebbe essere definito come quello sotto il quale, dal piede del parallelo di latitudine del pianeta è vista la distanza Terra Sole. Più propriamente è la differenza tra le longitudini geocentrica ed eliocentrica del pianeta esterno. (T e P siano due posizioni simultanee della Terra e di Saturno, mentre S è il Sole. ^TP = lG = longitudine geocentrica Saturno. ^SP = lE = simultanea longitudine eliocentrica Saturno. TPS = PTP' = p = angolo di parallasse annua sopra definito. Si ha: lE = lG - p).
Invece, per calcolare le distanze dei pianeti superiori Copernico procedette così. Osservata a una certa data, 25.2.1514, la longitudine geocentrica di Saturno, 209º, e osservata nuovamente la longitudine di Saturno in occasione della prima opposizione dopo la data di cui sopra), conoscendo il moto medio della Terra era possibile stabilire la posizione della Terra al momento della prima data. Diveniva possibile allora stabilire il valore della longitudine eliocentrica di Saturno per la stessa data. Allora si poteva stabilire anche i valori dell'angolo parallattico (vertice in Saturno) e dell'angolo avente vertice nel Sole e infine del terzo angolo. Si potevano quindi determinare i rapporti tra le distanze Sole-Terra e Sole-Saturno. Copernico trovò i valori di 10 a 91.743. Per Marte e Giove, Copernico calcolò con procedimenti analoghi i valori di 10 a 15.198, e di 10 a 52.192 (i valori corretti sono: 95.389, 15.237 e 52.028).
Dopo le determinazioni delle distanze Copernico dà una dimostrazione particolareggiata delle stazioni e delle retrogradazioni che, come è noto, dipendono dalla combinazione tra moto annuo della Terra e moto del pianeta. Questa dimostrazione costituisce il punto di forza del sistema di Copernico, rivelandone la superiorità su quello di Tolomeo. Purtroppo, questa superiorità viene a mancare quando, per dare la spiegazione delle variazioni di velocità dei moti dei pianeti (dovute come è noto alle forme ellittiche delle orbite), Copernico è costretto a ricorrere ancora a epicicli e a deferenti. Si tratta dell'errore aprioristico che Copernico commette: quello di obbligarsi a rispettare i principi ritenuti inviolabili della uniformità dei moti e della circolarità delle orbite. Non ha il coraggio di rompere con la tradizione astronomica (ritenendo forse di avere già abbastanza innovato rispetto a quella cosmologica).
I COPERNICANI
Abbiamo già detto degli alti prelati cattolici sostenitori di Copernico, e degli scienziati Rheticus, Mästlin e Reinhold. Christopher Rothmann, astronomo del Langravio Guglielmo IV d'Assia, ebbe lunghe e vivaci dispute con Tycho Brahe nel sostenere le idee di Copernico. Tycho dice che Rothmann finì per riconoscersi in errore. Non è possibile stabilire quanto ci sia di vero in questa affermazione perchè mancano testimonianze o scritti del Rothmann. Christian Severin (1562 - 1647, che si faceva chiamare Longomontanus), assistente di Tycho per dieci anni a Uranienburg, non aderì interamente al sistema di Copernico e nel suo libro Astronomia danica, preferì ammettere solamente la rotazione della Terra. La stessa idea, detta poi "sistema semi-copernicano", fu professata da altri. Christian Würstein (1544 - 1588) di Rostock, citato da Galileo nel Dialogo sui massimi sistemi, autore di un'opera di commento a Peurbach, cita Copernico come geniale restauratore dell'astronomia. R. Recorde (1510 - 1558), inglese, autore di testi di matematica, nel suo Pathway to Knowledge del 1551, citò per primo in Inghilterra il nome di Copernico, dichiarandosi sostenitore dello stesso.
Copernicano fu T. Digges (? - 1595) in un'appendice a Prognosticum everlasting illustrò vari sistemi eliocentrici tra cui quello di Copernico, elogiando quest'ultimo come uomo geniale, ideatore del definitivo sistema del mondo.
Copernicano fu anche il medico della regina Elisabetta I W. Gilbert (1544 - 1603) autore del trattato Phisiologia nova de magnete magneticisque corporibus et magno magnete tellure, in cui sono ampiamente descritti i fenomeni magnetici e la Terra vi è, per la prima volta, trattata come un grande magnete.
In Italia copernicano convinto fu G.B. Benedetti (1530 - 1590), matematico del duca di Savoia critico della fisica di Aristotele e precursore di Galileo negli studi di meccanica. Trattò acutamente il concetto di inerzia e, nel 1553, scrisse che i corpi cadevano contemporaneamente, indipendentemente dal loro peso. In una sua opera elogiò la " . . . teoria di Aristarco spiegata in modo divino da Copernico, contro il quale gli argomenti di Aristotele non hanno alcun valore . . .". Giordano Bruno (1548 - 1600) fu un sostenitore entusiasta di Copernico e trasse dalla di lui teoria le più audaci idee per la sua filosofia. Avrebbe voluto che il grande astronomo si fosse spinto oltre la pura enunciazione matematica del nuovo sistema e che avesse tratto dalla sua teoria addirittura deduzioni filosofiche, cosa evidentemente assurda. Come è noto, Bruno giunse ad affermare che la Terra non è che uno dei tanti mondi dello spazio. E questo gli costò caro. Fu da quando il Bruno se ne valse per propugnare le sue audaci idee sulla pluralità dei mondi e sulla vita universale che la Chiesa, che era stata tollerante su Copernico per decine di anni (lo stesso papa da decenni era informato sulle idee di Copernico), incominciò ad avvertire la portata rivoluzionaria della teoria copernicana. L'intransigenza della Chiesa su Copernico assunse carattere definitivo con l'accanimento messo in atto per ottenere l' abiura di Bruno, anni e anni prima che Galileo costruisse il suo primo cannocchiale.
LE CONFUTAZIONI DI TEOLOGI E FILOSOFI
Le critiche a Copernico comunque non mancarono, specialmente da personaggi della Riforma. Perfino Martin Lutero non esitò ad attaccare Copernico (senza però nominarlo direttamente) piuttosto rudemente. Lo accusava di voler rivoluzionare l'astronomia per smania di notorietà. Diceva che secondo le Scritture, Giosuè aveva comandato al Sole, e non alla Terra, di arrestarsi. Anche Filippo Melantone, il collaboratore di Lutero, lo criticò severamente.
Ma Rheticus e Reinhold, entrambi luterani, come abbiamo visto, sostennero decisamente Copernico (specialmente il primo) e non subirono alcuna conseguenza per il loro atteggiamento. Anche nell'ambiente cattolico, al principio non si levarono accuse contro Copernico perchè si era a conoscenza delle eminenti personalità della Chiesa che lo avevano protetto. Ma gli oppositori convinti non tardarono a farsi sentire. Il famoso Francis Bacon (1561 - 1628), da molti considerato scienziato all'altezza di Galileo, quasi un secolo dopo la morte di Copernico si manteneva ostinatamente fedele all'idea delle sfere omocentriche centrate sulla Terra. Il grande Cartesio (1596 - 1650) che nel 1633 stava per dare alle stampe il Trattato del mondo, fondato sulla dottrina di Copernico, ritenne prudente sospenderne la pubblicazione, per lanciarsi in seguito nella "teoria dei vortici" che non mancò di suscitare un certo entusiasmo in Europa, ma che incontrò anche la severa riprovazione di Newton e, sembra, l'ilarità Voltaire.
Sicuramente molti accademici insegnanti di scienze naturali aristoteliche si erano sentiti offesi da queste nuove dottrine che evidenziavano la fallacia delle loro discipline. La conclusione definitiva dei provvedimenti della Chiesa contro Copernico (nel corso della vicenda di Galileo) fu la messa all'Indice del De revolutionibus nel 1616. Quattro anni dopo venne emanata una lista di quattro specifiche correzioni da apportare al libro. E' stato accertato, comunque, che mentre la totalità delle copie del libro circolanti in Italia venne sottoposta alle correzioni censorie, fuori d'Italia, anche nei paesi cattolici, praticamente non vennero apportate correzioni. In conclusione, si può dire che l'atteggiamento censorio della Chiesa contribuì a far diffondere e a far accettare sempre più le idee di Copernico.
CONSIDERAZIONI
E' stata dedicata molta attenzione da parte degli studiosi a quali possano essere stati gli spunti che consentirono a Copernico di squarciare il velo che avvolgeva la cosmologia tolemaica. E naturalmente, altrettanta attenzione è stata dedicata a cercare di spiegare perchè ci siano voluti circa 1300 anni per passare da Tolomeo a Copernico.
Una prima domanda concerne la non riuscita dell'astronomia islamica nel pervenire al sistema eliocentrico. Si deve incominciare con l'ammettere che la compiutezza della dottrina tolemaica, inserita nell'ambito di profondo rispetto per l'insieme della cultura greca, può essere stato, almeno inizialmente, un fattore che esercitò una sorta di dissuasione a mettere in dubbio il sistema nella sua totalità. Le stesse critiche ad alcuni aspetti di certe soluzioni proposte da Tolomeo non intaccarono la base del suo insegnamento, essendo questo rimasto ben saldo. Un altro fattore può essere stato il fatto che i centri di cultura islamica cambiarono geograficamente nel tempo. La prima fioritura dell'astronomia si ebbe nell'Irak del nono secolo, sotto il patronato dei califfi Abbassidi. Altri centri culturali emersero in Siria, in Egitto e nella Spagna islamica. Nel secolo XIII si ebbe la fioritura dell'astronomia di Maragha, in Persia e a Samarcanda. Infine, nel mondo islamico non si ebbe qualcosa di simile al sistema delle università europee. I centri di cultura islamica non godettero di quel carattere di istituzionalizzazione nazionale e sociale che ebbero le università italiane, francesi, inglesi, ecc.
Per quanto riguarda l'Europa, si può dire che prima dell'epoca delle traduzioni in latino di opere greche e arabe dall'arabo, è addirittura assurdo pensare a un possibile sviluppo di idee eliocentriche. A partire dal XII secolo poi, una forte resistenza a mettere in dubbio le idee tolemaiche venne dalla constatazione della perfetta simbiosi che esse avevano con l'aristotelismo. Quest'ultimo, dopo che ebbe superato tramite artifici dialettici la fase iniziale di contrasto con la teologia cristiana, si affermò in maniera definitiva in tutti i centri di sapere europei.
Volendo infine cercare di capire come siano germogliate in Copernico le idee sull'eliocentrismo, occorre partire dal dato di fatto, ben percepibile dal De revolutionibus, secondo cui egli riuscì a individuare la fallacia del geocentrismo di Tolomeo fondamentalmente da una profonda analisi dell'Almagesto. Gli anni che Copernico trascorse in Italia gli consentirono certamente di costruirsi una solida base di conoscenze e di sollecitazioni verso nuovo punti di vista (si ritiene in genere che egli abbia acquisito certi dettagli tecnici delle teorie planetarie delle scuole di Maragha e di al-Shatir. E' anche possibile che egli abbia ripreso la critica che quest'ultimo fece all'incongruenza della teoria lunare di Tolomeo, che anche Copernico descrive nel De revolutionibus). Ma è altamente probabile che la padronanza di quell'opera magistrale che fu il Compendio dell'Almagesto del Regiomontanus consentì a Copernico di sceverare totalmente della dottrina tolemaica al punto da individuarne i punti di debolezza (ad esempio la necessità di dover ricorrere, nella dottrina tolemaica, a due diversi sistemi per realizzare il legame che il Sole imponeva sia ai pianeti superiori che a quelli inferiori, può finalmente aver fatto balenare a Copernico l'idea che tutto si risolveva egregiamente attribuendo al Sole un ruolo centrale).
Potremmo dire, in conclusione, che la rivoluzione cosmologica copernicana può essere paragonata all'idea di Colombo di mettere decisamente la prua verso ovest. Per secoli, le spedizioni che l'Europa aveva intrapreso, avevano subito una specie di attrazione ipnotica verso l'est. La direzione dell'ovest era stata, come le intuizioni di Aristarco ed Eraclide, sostanzialmente rimossa. Colombo e Copernico posero termine a secoli di paralisi mentale. Evidentemente, i tempi erano maturi per fondamentali cambiamenti, e non a caso i due eventi si concretizzarono entro un paio di decine d'anni.
Tycho Brahe
Tycho Brahe (1546 - 1601) merita una menzione particolare perchè raggiunse nel suo tempo un livello insuperato nella precisione delle osservazioni astronomiche ad occhio nudo. Egli fece veramente della scienza dell'osservazione astronomica una regola di vita assoluta. E, come è universalmente riconosciuto, questa precisione non fu fine a sé stessa, ma costituì uno dei fattori indispensabili che consentirono a Keplero di arrivare alla verità.
Di famiglia aristocratica, nacque a Knudstrup, in una regione allora appartenente alla Danimarca, ma oggi alla Svezia meridionale. La famiglia intendeva avviarlo alla carriera diplomatica, ma il ragazzo, che nel 1560 era rimasto affascinato dall'osservazione di un'eclisse di Sole, durante gli studi di diritto a Lipsia coltivò privatamente l'astronomia.
Osservando nel 1563 una congiunzione di Giove con Saturno, notò che le vecchie Tavole alfonsine la davano con l'errore di un mese, mentre le recentissime (1551) Tavole pruteniche (compilate da Erasmus Reinhold e basate sulla teoria copernicana), la davano con scarto di qualche giorno. Trasse dall'osservazione di queste incongruenze il vero e proprio impegno nientemeno che a riformare l'astronomia. Nel 1572 notò una stella molto luminosa nella costellazione di Cassiopea. Eseguì su di essa una serie di osservazioni con strumenti da lui costruiti, fino a quando la stella scomparve nel 1574 e pubblicò le osservazioni nel libro De nova et nullius aevi prius visa stella (oggi sappiamo che si trattò di una supernova).
Nel 1576 il re Federico II di Danimarca gli concesse l'isola di Hven in comodato, assieme a un vitalizio e alla possibilità di fruire dell'aiuto dei residenti dell'isola ("aiuto" che era una vera e propria corvée imposta dal re e subita di malavoglia dai riottosi isolani di quelle riottose nordiche contrade, che gratificarono il grande astronomo di cordiale ostilità, in ciò contraccambiati da Tycho che non si poteva dire dotato di un carattere accomodante (un pezzo di naso, perso durante un duello alla spada, gli era stato sostituito da una protesi)), per costruivi un osservatorio, che divenne noto con il nome di Uranienburg. Ticone (come era chiamato dagli italiani) lo fece divenire un centro di eccellenza per l'astronomia al punto che, al crescere della fama di Brahe, fu visitato da personalità da tutta Europa.
Nel 1577 potè compiere una serie di osservazioni di una cometa. Da esse riuscì a scoprire che la cometa descriveva un'orbita intorno al Sole esterna a quella di Venere, smentendo così la concezione aristotelica dell'origine e della natura sublunare delle comete, e dimostrando altresì la fallacia della vecchia teoria della solidità delle sfere celesti. Espose i risultati delle sue osservazioni della cometa del 1577 nel libro De mundi aetherei recentioribus phaenomenis, pubblicato nel 1588, nel quale espose anche le sue concezioni cosmologiche che ara andato elaborando nel corso degli anni, quello che venne detto il sistema ticonico.
Tycho aveva respinto il sistema di Copernico: l'assenza di parallasse annua per le stelle fisse, ovvia nel sistema geocentrico, nel sistema copernicano implicava la necessità di ammettere l'esistenza di un enorme spazio vuoto tra Saturno e le stelle fisse, e questo Tycho non poteva accettarlo. Ma sicuramente, a fargli respingere le concezioni copernicane dovettero intervenire anche ragioni di ordine teologico, nonchè quelle mirate a non offendere la fisica antica. Del sistema di Copernico accettò la semplicità matematica rispetto al sistema antico.
IL SISTEMA TICONICO
Un argomento (che partiva da una premessa erronea) che Brahe usava per confutare l'eliocentrismo puro era il seguente. Secondo le concezioni tradizionali, una stella di terza grandezza aveva un diametro apparente di circa 1' (questa era la premessa erronea, dovuta al fatto che l'occhio umano tende a far apparire più grandi gli oggetti molto luminosi). Allora Brahe diceva: se la Terra circola attorno al Sole, poichè non si riesce a riscontrare alcuna parallasse annua, si ha che da una stella il raggio dell'orbita terrestre appare grande tanto quanto dalla Terra appare grande una stella. Di conseguenza, se le stelle di terza grandezza hanno diametro pari al diametro dell'orbita terrestre, le stelle più luminose sono ancora enormemente più grandi. Evidentemente non si poteva accettare ciò.
La figura dà schematicamente il sistema di Tycho. Con la Terra al centro del cosmo, Luna e Sole ruotano attorno alla Terra su orbite circolari. Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno circolano a loro volta intorno al Sole. Anche le stelle fisse ruotano intorno alla Terra. Si trattò, evidentemente, di un tentativo di conciliazione tra le idee antiche e le nuove. D'altronde Tycho non elaborò il suo sistema fino a farne una teoria planetaria completa come quelle di Tolomeo e Copernico. Ma ne aveva l'intenzione perchè avrebbe voluto farlo in un'opera dal titolo Theatrum astronomicum.
Occorre dire che se a Brahe è riconosciuto il merito di essere stato il più grande, diligente ed accurato osservatore astronomico del XVI secolo, non fu l'unico di quell'epoca ad aver operato secondo il criterio di osservazioni accurate e regolari. Ad esempio, il Langravio d'Assia Guglielmo IV, di quindici anni maggiore di Tycho, aveva stabilito un osservatorio a Kassel e Tycho si era recato colà in visita nel 1575, prima di stabilirsi a Hven. In seguito Tycho mantenne rapporti epistolari stretti con l'astronomo di corte del langravio, Christoph Rothmann.
Importante fu anche l'opera di Brahe nella progettazione e costruzione di strumenti astronomici. Notevoli tra questi furono un grande quadrante murale e un grande sestante fisso. Il primo consisteva di un quadrante di ottone di sei piedi di raggio, con graduazione di dieci secondi di arco, fissato, come al solito, su un muro orientato per meridiano. L'osservatore disponeva di un traguardo mobile lungo il quadrante che, nell'istante del transito meridiano dell'oggetto da osservare, veniva puntato su un traguardo fisso. Il grande sestante fisso, che consentiva la misura dell'angolo tra due astri comunque orientati, oppure l'altezza di un astro, anch'esso del raggio di circa sei piedi, era montato su un giunto a snodo che consentiva una grande libertà di orientamento.
L'osservazione al sestante veniva eseguita da due operatori, uno dei quali osservava uno dei due astri attraverso un traguardo fisso, mentre l'altro operatore osservava l'altro astro attraverso un'alidada, imperniata al centro del sestante e mobile lungo la graduazione. Dopo aver costruito il complesso dell'osservatorio di Uranienburg, necessitando di sistemare ulteriori strumenti, Tycho costrui, nelle vicinanze di Uranienburg un secondo complesso che chiamò Sternenburg. Si può senz'altro affermare che l'attrezzatura astronomica di cui Tycho dotò il suo osservatorio raggiunse un grado ineguagliato all'epoca.
Per quanto riguarda la precessione, Tycho pose termine finalmente con la sua autorità al fantasma della trepidazione. Avendo le idee molto chiare sulle possibili cause di errore insite nelle misurazioni di longitudini celesti, egli non esitò, per principio, a mettere in dubbio il grado di precisione delle osservazioni di tutti i suoi predecessori e dei suoi contemporanei. Egli comprese che la nascita della teoria della trepidazione era dovuta alla troppa fiducia che gli osservatori medioevali avevano posto nei dati di Tolomeo. Un'altra ragione risiedeva nel fatto che Brahe aveva acquisito definitivamente la convinzione della fallacia di qualunque teoria basata sulla solidità delle sfere celesti (abbiamo visto infatti che il sistema di Thabit per spiegare la trepidazione faceva intervenire le sfere solide).
Brahe risolse in maniera definitiva anche il problema della spiegazione della variabilità dell'obliquità dell'eclittica. Questo problema aveva a che fare con la questione, lungamente dibattuta, della variabilità delle latitudini delle stelle. Nella meccanica celeste, abbiamo visto che il secondo fenomeno è conseguenza del primo. Abbiamo visto che sopra lunghi periodi di tempo (migliaia di anni) il movimento di nutazione cui è soggetto l'asse di rotazione terrestre consiste di una piccola oscillazione verso sud e verso nord, ma, in periodi di tempo relativamente più brevi il movimento si esplica in un solo senso: dai tempi della Grecia classica fino ai nostri giorni l'eclittica è stabilmente variata in posizione come è indicato in figura, abbassandosi verso sud in prossimità del solstizio estivo, e innalzandosi verso nord in prossimità del solstizio invernale. Dall'epoca di Anassimandro fino ai nostri giorni, l'obliquità è diminuita di circa mezzo grado. Ciò ha fatto sì che le latitudini celesti delle stelle in prossimità del solstizio estivo siano aumentate (e alcune in latitudine sud siano passate in latitudine nord), mentre in prossimità del solstizio invernale è avvenuto il contrario.
Brahe spiegò correttamente che la variazione in latitudine che si era riscontrata in alcune stelle dai tempi antichi fino alla sua epoca era appunto dovuta alla causa indicata sopra, e non a fantomatiche componenti della trepidazione secondo la concezione di Thabit.
La procedura attraverso la quale Brahe pervenne a confrontare le latitudini dei tempi antichi con le sue fu lunga e tortuosa. Brahe non si fidava dei valori di latitudine del catalogo di Tolomeo perchè (giustamente) riteneva che risultando questi da procedure di copiature di elenchi di dati eseguite in diverse epoche, potessero contenere errori. Preferì utilizzare alcuni valori di declinazioni contenuti nell'Almagesto riportati sotto forma di periodi di prosa, e spesso controllabili con altri passaggi scritti. Ad esempio, nell'Almagesto poteva essere scritto un periodo del genere: "Timocharis registra la stella sulla spalla destra di Orione a 1º1/5 a nord dell'equatore, Ipparco la riporta a 1º4/5, e noi l'abbiamo trovata a 2º1/2". Con una frase come questa, si poteva ragionevolmente avere fiducia che i successivi copisti dell'Almagesto avrebbero riportato i dati con fedeltà alla versione originale. Tolomeo dava in questo modo declinazioni di diciotto stelle e, alcune pagine dopo, confermava i valori di sei di esse.
Si trattava dunque di convertire le declinazioni di quelle stelle del tempo di Tolomeo nelle corrispondenti latitudini di quell'epoca. Per poter fare ciò, gli occorreva conoscere le longitudini che quelle stelle avevano alle epoche di Timocharis, di Ipparco e di Tolomeo. Brahe stabilì (sempre giustamente) che gli sarebbe bastato eseguire calcoli sicuri per una stella. Dopo di che, avrebbe potuto sfruttare il fatto che le differenze di longitudine tra le stelle erano rimaste costanti dall'antichità fino al suo tempo. Quale stella di riferimento scelse Spica. Partendo dalla longitudine di Spica, da lui accuratamente misurata e dal rateo di precessione costante da lui stabilito, determinò la longitudine di Spica per le epoche di Tolomeo, di Ipparco e di Timocharis. Fu così in grado, con le longitudini di Spica per quelle tre epoche e le differenze di longitudine tra Spica e quelle diciotto stelle, di risalire alle longitudini di quelle stelle per le tre epoche. Finalmente, fu in grado di calcolare per ogni stella, dati longitudine e declinazione, la corrispondente latitudine celeste per le tre epoche.
Brahe portò a termine il lavoro di cui sopra per la metà circa di quelle 18 stelle che erano state elencate da Tolomeo nel modo sopraddetto. Confrontando i valori risultanti dai calcoli con quelli delle sue osservazioni egli constatò che (in accordo con quanto è stato detto a proposito della figura ), le stelle comprese tra l'equinozio vernale e quello d'autunno (Aldebaran, Bellatrix, Betelgeuse, Castore, Polluce e Regolo) si erano spostate a nord dell'eclittica, che quelle a ovest dell'equinozio vernale si erano spostate a sud, e che il massimo spostamento si verificava appunto per le stelle in prossimità dei solstizi.
Giovanni Keplero
La sostanziale innovazione apportata da Copernico riguardava la cosmologia. Per lui la strutturazione astronomica del cosmo restava sempre dipendente da epicicli e da moti circolari. Nel 1609 invece Keplero era arrivato a due importanti conclusioni effettivamente rivoluzionarie da un punto di vista astronomico-matematico: (1) le orbite percorse dai pianeti erano ellissi e (2) le velocità dei pianeti non erano uniformi.
Johannes Kepler era nato nel 1571 a Weilderstadt, vicino a Stuttgart, nel Württemberg. Aveva iniziato studi di filosofia e teologia all'università di Tübingen. E non si può dire che questa scelta non obbedisse a certe sue intime inclinazioni, perchè per tutta la vita manifestò spesso, accanto alla scientificità stretta dei calcoli matematici, degli scantonamenti verso interessi con forti connotazioni spirituali. E' un tratto del carattere di Keplero che suscita la nostra incondizionata ammirazione, specialmente se si tiene conto delle tribolazion (salute malferma, persecuzioni religiose, difficoltà finanziarie) che afflissero la sua vita ma che non gli impedirono di essere marito e padre affettuoso.
Ebbe la fortuna di capitare sotto lo sguardo di un eccellente insegnante di astronomia, Michael Mästlin, convinto copernicano di cui abbiamo già parlato, che riuscì a fargli abbandonare la carriera ecclesiastica, convincendolo ad accettare un posto di insegnante di matematica a Graz, in Austria.
Il suo primo incontro con problemi astronomici lo ebbe a Graz, nello studio di successive congiunzioni di Giove e Saturno: esaminandone un gran numero e riportandole in uno schema come quello della figura, fu colpito dal fatto che, dopo tre congiunzioni, queste si ripetevano sfasate nello zodiaco di un angolo costante in senso diretto. I segmenti tracciati tra i successivi punti di congiunzione tra i due pianeti davano luogo a un cerchio. Altro particolare che colpì Keplero fu la constatazione che il rapporto tra i raggi del cerchio zodiacale e del cerchio risultante dalle congiungenti era all'incirca eguale al rapporto tra i raggi delle orbite di Saturno e Giove secondo la teoria copernicana. Queste scoperte furono descritte da Keplero nella sua prima pubblicazione Misterium cosmographicum
Abbiamo qui un primo esempio di inclinazione verso argomentazioni metafisiche da parte di Keplero. Avendo poi tentato (senza successo) di trovare altre combinazioni astronomiche interessanti con figure piane, pensò di ricercare queste combinazioni nella geometria solida. Incominciò con il convincersi che poteva essere stabilita una associazione tra i sei pianeti e i cinque solidi regolari (un solido regolare è uno avente tutte le facce eguali, tutti gli spigoli della stessa lunghezza e tutti i vertici simili). Essi erano noti agli antichi che li avevano inseriti nella struttura del cosmo. Pitagora aveva usato le figure dei cinque solidi regolari per rappresentare i quattro elementi e il cosmo: il cubo era associato alla Terra, il tetraedro al fuoco, l'ottaedro all'aria, l'icosaedro all'acqua, il dodecaedro all'universo stesso. Anche Platone aveva eseguito la stessa associazione nel Timeo. Per Keplero l'associazione andava realizzata nella funzione spaziatrice che le cinque figure solide regolari dovevano svolgere tra le sei sfere planetarie. Attraverso questa integrazione si sarebbe potuto pervenire alle distanze di ogni sfera planetaria dal Sole.
Ecco le parole di Keplero sull'argomento nel Mysterium:
". . La Terra è la sfera che è la misura di tutto. Costruite un dodecaedro attorno ad essa. La sfera che lo circonda è la sfera di Marte. Attorno a Marte costruite un tetraedro. La sfera che lo circonda sarà quella di Giove. Attorno a Giove costruite un cubo. La sfera che lo circonda sarà quella di Saturno. Adesso costruite un icosaedro interno alla Terra. Inscritta all'interno di esso si avrà la sfera di Venere. All'interno della sfera di Venere costruite un ottaedro. All'interno sarà inscritta la sfera di Mercurio. Ecco la spiegazione per il numero dei pianeti . .".
Da questa architettura (naturalmente obbedendo al principio tolemaico di non ammettere spazi inutilizzati) si dovevano ricavare i raggi delle sfere. Il raggio di ogni sfera doveva corrispondere al raggio della corrispondente orbita copernicana, lo spessore di ogni sfera dipendendo ovviamente dall'eccentricità e dal raggio epicicloidale corrispondenti.
Il Mysterium cosmographicum venne pubblicato nel 1597. E' evidente che la giovane età di Keplero influì anche sull'entusiasmo che egli dispiegò per teorie così metafisicamente connotate. Keplero ritenne di ravvisare un certo accordo tra i parametri della teoria copernicana e i valori numerici risultanti dal suo sistema di sfere e solidi regolari. Inviò anche una copia del libro al già celebre astronomo Brahe (e un'altra copia al promettente matematico dello studio di Padova, Galilei), avendo da entrambi una risposta abbastanza interlocutoria. Ma l'attuazione della relazione con Brahe segnò un punto fondamentale di svolta nella sua vita, perchè nel 1600 egli si trasferì con la famiglia a Praga per svolgervi le funzioni di assistente di Brahe (la vita era divenuta difficile per il luterano Keplero nella cattolica Austria).
Si ritiene in genere che nei primi tempi Keplero ebbe delle difficoltà nel venire in possesso dei dati riguardanti le osservazioni di Brahe, dati che Keplero desiderava ardentemente perchè, conscio del loro alto grado di precisione, erano assolutamente indispensabili per poter risolvere il problema della forma delle orbite (di ciò si lamenta Keplero in una lettera all'astronomo italiano G.A. Magini (1555 - 1617), nella quale dice che Tycho non gli permetteva di esaminare quelle osservazioni se non in sua presenza, e vi esprime anche il sospetto che questo comportamento di Tycho fosse dovuto alla adesione di Keplero al sistema copernicano).
E' stato fatto osservare che quando Keplero iniziò la sua attività presso Tycho, questi aveva in corso osservazioni di Marte, che si trovava in una fase di opposizione. Questa fu una circostanza fortunata per Keplero e per l'astronomia perchè Marte mise a disposizione di Keplero un duplice aspetto favorevole (contrariamente a quello che sostengono gli astrologi): (1) la possibilità di eseguire ripetute osservazioni e (2) una eccentricità sensibile, rilevabile anche tramite osservazioni ad occhio nudo (ricordiamo anche che fu studiando le retrogradazioni di Marte che Tolomeo portò a compimento la sua teoria planetaria).
Vediamo ora come si presentava la problematica che Keplero doveva affrontare. Osserviamo la figura 769. Descrive un pianeta che si muove su un'orbita circolare centrata in C.Secondo la teoria copernicana, il Sole andrebbe posto nel punto S e nel punto M si avrebbe il centro del piccolo epiciclo di Marte. Secondo la teoria tolemaica, porre in E il punto equante implica ammettere le due eccentricità CE e CS eguali. Ora, invece, incominciamo con il prendere in considerazione la possibilità che non lo siano. Chiamiamo CS "eccentricità dell'eccentrico", e CE "eccentricità dell'equante". Essendo S eccentrico, il punto M appare muoversi sul cerchio non uniformemente rispetto a S (perfino se M si muovesse sul cerchio con velocità lineare uniforme). Questa variazione di velocità è dovuta alla variabilità della distanza di M da S. Siccome M si muove a velocità angolare uniforme rispetto ad E, poichè anche E è eccentrico, ne consegue che M si muove con velocità lineare non uniforme lungo il cerchio.
Potremmo dire in conclusione che l'eccentricità dell'equante produce una variazione fisica della velocità lineare di M, mentre l'eccentricità dell'eccentrico produce una variazione apparente. La irregolarità totale del moto apparente è la somma degli effetti delle due eccentricità. Ricordiamo che Tolomeo aveva bisecato l'eccentricità totale.
Avevamo visto che Copernico aveva respinto la variazione fisica di velocità dovuta all'equante. Aveva sostituito quest'ultimo con un epiciclo di raggio pari ad a•R, il cui centro si muoveva su un cerchio deferente centrato alla distanza bR da C (fig. rina02). Ora, se ammettiamo di mantenere invariata l'eccentricità totale, cioè se ammettiamo che a + b = e1 + e2, e se poniamo b = 3•a, allora vediamo che il modello di Copernico praticamente coincide con quello di Tolomeo.
Dal sistema copernicano
Ora, dunque, similmente al proposito di Keplero di seguire una nuova via rispetto a Copernico, affrontiamo la possibilità che R•e1 = CS sia diverso da R•e2 = CE. Che relazione avranno e1 ed e2 (di Keplero) con a e b (di Copernico)? Nella figura rina02 vediamo che nel modello copernicano generalizzato, il centro effettivo C" del percorso planetario è situato alla distanza b•R - a•R da C'. E dalla figura rina03 vediamo che il punto equante nascosto di Copernico E è situato alla distanza 2•a•R da C. Allora, confrontando le figure 765 e 769, vediamo che i due modelli potranno essere detti approssimativamente equivalenti se poniamo: e1 = b - a ed e2 = 2•a. Possiamo anche esprimere a e b così: a = 0.5•e2 e b = e1 + 0.5•e2.
I CONTRIBUTI DI BRAHE E LONGOMONTANUS
Trattando di Tycho Brahe, non avevamo dato la notizia che anche lui aveva affrontato il problema dell'eccentricità delle orbite planetarie, intuendo che in esso si trovava qualcosa di fondamentale negli assalti che la vecchia astronomia aveva subito a partire da Copernico. Lo facciamo ora descrivendo quali erano stati i progressi che egli aveva raggiunto alla fine della sua esistenza.
Quando Keplero arrivò a Praga, trovò Brahe occupato ad elaborare una teoria di Marte, basata sul modello copernicano della figura 765. Brahe (e Longomontanus) avevano determinato l'eccentricità totale a + b per tre opposizioni. Ma avevano suddiviso l'eccentricità totale in proporzione differente da quella operata da Copernico. Avevano calcolato: a = 0.0378 e b = 0.1638, per cui b/a risultava 13/3, anzichè 9/3 come per Copernico, mentre a + b diveniva 0.2016, abbastanza prossimo ai valori adottati da Copernico e Tolomeo. I valori di e1 ed e2 nel modello dell'equante, divenivano: e1 = b - a = 0.1260 ed e2 = 2•a = 0.0756, per cui e1/e2 = 5/3. Cioè, mentre Tolomeo e Copernico avevano assegnato a ciascuno di e1 ed e2 metà dell'eccentricità totale, Brahe e Longomontanus avevano assegnato 5/8 del totale ad e1 e 3/8 ad e2. E ciò per fare in modo che quella suddivisione portasse a calcoli teorici che si accordassero con dieci osservazioni di longitudini di Marte a dieci opposizioni (con una tolleranza di 2').
Ma mentre questa suddivisione dell'eccentricità totale dava così buoni risultati per le longitudini, falliva completamente per le latitudini alle stesse opposizioni. E dava risultati insoddisfacenti anche per longitudini lontane da quelle delle situazioni di opposizione. E qui Brahe e Longomontanus si erano arenati.
I PRINCIPI "FISICI" DI KEPLERO
Occorre a questo punto accennare a un punto di vista applicato da Keplero nel trattare certe situazioni astronomiche. Nel suo procedere faticosamente verso la verità, egli adottò, in diverse occasioni, la direttiva di attenersi a principi di ordine fisico. In molte soluzioni egli adottava un'attitudine in cui era privilegiato il punto di vista fisico, piuttosto che quello di una semplice soluzione geometrica. Per esempio, Copernico faceva passare la linea degli apsidi di tutti i pianeti attraverso il Sole medio, centro dell'orbita terrestre (un luogo fittizio). Keplero invece perseverò nel farla passare attraverso il centro del Sole vero. Keplero quindi andava un passo oltre Copernico nel privare la Terra dei suoi privilegi: la trattava come ogni altro pianeta. Vedremo altre situazioni astronomiche che Keplero affrontava con soluzioni di carattere fisico.
L'ORBITA VICARIA
Il problema fondamentale di Keplero era dunque quello di stabilire le forme delle orbite. A questo proposito egli provò a sperimentare una forma di orbita di Marte circolare che sarebbe derivata dal considerare un moto secondo la teoria dell'equante. Chiamò questo tipo di soluzione quello dell' orbita vicaria, perchè la considerava una soluzione di tipo provvisorio. L'adozione di questa teoria partiva dalla constatazione secondo cui più i pianeti erano lontani e minore era la loro velocità, per cui si poteva ammettere che anche nell'ambito di una stessa orbita la velocità del pianeta doveva variare a seconda della lontananza dal Sole, come appunto avveniva per la velocità secondo la legge dell'equante.
Tolomeo aveva bisecato l'eccentricità dei pianeti superiori, senza dare una giustificazione, e Copernico aveva fatto lo stesso. Brahe e Longomontanus avevano invece adottato un rapporto di 5 a 3. Keplero voleva invece giungere alla determinazione di e1 ed e2 attraverso calcoli su dati di Brahe. Per questi calcoli Keplero scelse le opposizioni del 1587, 1591, 1593 e 1595 e assunse che Marte si muovesse su un circolo, con una velocità che variava secondo la legge dell'equante. Keplero trovò che le quattro opposizioni di Marte si sarebbero riprodotte alla stessa posizione zodiacale se si fosse assunto: e1 = 0.11332 ed e2 = 0.07232, con un'eccentricità totale quindi di 0.18564.
Questi valori trovati da Keplero non differivano molto da quelli trovati da Brahe e Longomontanus perchè si aveva e1/e2 = 4.7/3 mentre per Brahe e Longomontanus il rapporto era, come detto, 5/3. Controllando la validità di questa teoria per le dodici opposizioni tra il 1580 e il 1604, Keplero trovò che soltanto in quattro casi si aveva una discrepanza nelle longitudini di più di 1'.
Ma questa teoria, che gli era costata una enorme quantità di calcoli, doveva dimostrarsi falsa. Infatti, di ciò si accorse Keplero sottoponendo la teoria a controllo per le latitudini agli istanti delle opposizioni.
Particolarmente gravi si manifestarono le discrepanze per opposizioni che avvenivano ai limiti nord e sud dell'orbita di Marte. Si osservi la figura 771. TT' sia la traccia del piano dell'orbita terrestre. MM' la traccia del piano dell'orbita di Marte. Keplero aveva già determinato il valore dell'inclinazione dei due piani, d (1º 50'). Consideriamo un'opposizione che avvenga quando Marte si trova al limite nord, in M. Quindi S, T e M giacciono in un piano (il piano del foglio) che è perpendicolare al piano dell'orbita terrestre.
In quella situazione, si può trovare, per misurazione, la latitudine b del pianeta. La distanza ST era stata determinata precedentemente, per cui il lato SM poteva essere calcolato. Considerando la situazione opposta, si poteva egualmente pervenire al calcolo di SM' e il paragone tra SM e SM' conduceva direttamente a valutare la distanza tra S e il punto di mezzo di MM', cioè a un valore di e1. Il risultato dipendeva dai dati iniziali che si erano adottati, ma Keplero concluse che e1 doveva essere compreso tra 0.08000 e 0.09943. Questo contrastava con il valore di e1 (0.11332) ottenuto applicando la teoria dell'ipotesi vicaria con il supporto di dodici longitudini di opposizioni. Dunque, l'ipotesi vicaria, se applicata con due metodi diversi portava a valori contrastanti di e1, non poteva essere accettata.
Siccome la metà dell'eccentricità totale dell'ipotesi vicaria risultava 0.09282, un valore che risultava a mezza via circa dei valori di e1 determinati alle latitudini di Marte estreme, Keplero si chiese se, dopo tutto, si poteva accettare il modello della bisezione dell'eccentricità, secondo i modi di procedere di Tolomeo e Copernico. Keplero quindi ritornò al modello dell'equante e constatò che le latitudini osservate da Tycho si accordavano con i quattro casi delle due situazioni di massime latitudini nord/sud e le due situazioni a 90º a ciascuno dei due punti. Dopo di che, Keplero volle controllare quale accordo ci fosse tra le latitudini osservate da Tycho alle quattro situazioni degli ottanti (cioè a 45º da afelio e perielio) e quelle che per quelle situazioni risultavano dai suoi calcoli e qui trovò che per il modello della bisezione il disaccordo con le latitudini di Tycho arrivava fino a 8' e 9'. La reazione di Keplero a questa ennesima delusione fu il famoso passo del De nova astronomia in cui ringrazia l'Altissimo per aver avuto a disposizione i preziosi dati di Tycho che, salvandolo da un cammino erroneo, lo spronavano verso la via maestra della riforma dell'astronomia.
ULTIMI PASSI VERSO LA VERITA'
Effettivamente, senza il bagaglio delle osservazioni precise lasciategli da Tycho Brahe, Keplero non avrebbe potuto riuscire. Ma è altresì concorde l'opinione dei commentatori che la sua determinazione instancabile e la sua intuizione a voler raggiungere la soluzione da un punto di vista fisico e non semplicemente geometrico, furono determinanti.
Abbiamo visto che Keplero si trovò di fronte alla prova del fallimento del modello dell'equante attraverso due versioni, quella con l'eccentricità totale dimezzata e quella con l'eccentricità totale suddivisa nella proporzione di 5 a 3.
Un ricercatore meno rigoroso e tenace avrebbe anche potuto accontentarsi di quanto aveva ottenuto con l'ipotesi vicaria ed avrebbe potuto attribure quelle residue discordanze ad errori di osservazione. Keplero invece, conscio della grande precisione delle osservazioni di Tycho, non si accontentò e cercò altre forme geometriche che si accordassero meglio con le osservazioni. Quella lieve differenza per lui fu sufficiente a convincerlo che l’ipotesi dell’orbita vicaria circolare era erronea, e, malgrado gli sforzi che gli era costata, doveva scartarla: l’orbita di Marte o non era un circolo o, se lo era, non esisteva un punto rispetto al quale venisse descritta uniformemente. Muovendo da questa premessa, che negava gli antichi principi fondamentali dell’astronomia, Keplero sentì la necessità di affrontare il problema dei moti planetari senza partire da ipotesi e da forme preconcette, bensì determinando le vere forme delle orbite mediante distanze dei pianeti dal Sole. Anche per questa nuova ricerca si servì di Marte.
L'OPERA ESSENZIALE: LA FORMA DELLE ORBITE
Ma gli occorreva, anzitutto, conoscere bene l’orbita terrestre, per poter separare, nelle variazioni delle posizioni apparenti del pianeta, la parte dovuta allo spostamento della Terra dalla parte dovuta ai reali spostamenti dell’astro sulla sua orbita, allo scopo di concentrare lo studio su questi ultimi.
Il procedimento generale fu dunque il seguente: (1) Stabilire dapprima la forma dell'orbita della Terra, facendo riferimento a una base fissa, cioè alla distanza del Sole S da Marte M quando questo pianeta si trovava in una posizione ben precisa della sua orbita. (2) Trovata l'orbita della Terra, a partire da questa, ricostruire l'orbita di Marte.
Scelse come istante di partenza t quello in cui Marte, M, si trovava in opposizione alla Terra, T. Poichè il periodo siderale di Marte è di 1a.88 (687 giorni circa), all'istante t + 1a.88 Marte avrebbe rioccupato la stessa posizione M. La Terra, invece, in questo intervallo, avrebbe compiuto quasi due rotazioni, e si sarebbe trovata approssimativamente in T1. Se T1^ indica la direzione del punto ^, l'angolo ^T1M non è altro che la longitudine geocentrica di Marte.
Per lo stesso istante era però possibile determinare i valori degli angoli ^T1S, longitudine geocentrica del Sole, nonchè l'angolo T1SM (quest'angolo si determina semplicemente ricordando che per completare l'arco T1T ci vogliono 43 giorni e in questo tempo la Terra copre un arco di 42º.8). Nel triangolo SMT1, quindi, conoscendo due angoli e avendo come base il segmento SM, si poteva calcolare la distanza T1S, cioè trovare il punto T1 dell'orbita terrestre.
All'istante t + (2•1a.88), riproponendosi la stessa situazione, questa volta però con la Terra in T2, utilizzando ancora il procedimento precedente, si poteva pervenire alla determinazione del punto T2, anch'esso dell'orbita terrestre, prendendo sempre come riferimento il segmento SM. Operando in questo modo per diversi multipli di 1a.88, si potevano trovare varie posizioni della Terra sulla sua orbita. In questo modo Keplero arrivò a determinare che il cerchio non si adattava ai punti trovati e quindi che l'orbita terrestre non era circolare.
Poi Keplero passò dall'orbita della Terra a quella di Marte. Una volta stabilita con esattezza la forma dell'orbita terrestre, che risultava quasi circolare, Keplero applicò lo stesso procedimento, ma a rovescio, per determinare l'orbita di Marte. Partì ancora da una opposizione di Marte. Il pianeta si trovava allora in M e la Terra in T. Dopo un intervallo di 1a.88, Marte sarebbe venuto a trovarsi ancora in M, e la Terra in T1.
Anche del triangolo MT1S si conoscevano due angoli, come nel caso precedente, però questa volta si doveva assumere ST1 come segmento di riferimento, per cui questa volta la posizione che veniva ad essere calcolata era quella di M.
Considerata poi un'altra opposizione del pianeta, ripetendo lo stesso procedimento e si trovava un'altra posizione di Marte, M1. Continuando in questo modo, si stabiliscono diverse posizioni del pianeta sulla sua orbita. Trovati questi altri punti si doveva, come era stato fatto per la Terra, cercare qual'era la curva che meglio si adattava ad essi, ed il problema era risolto. In questo modo Keplero poté trovare la vera forma delle orbite
Applicando dunque questo procedimento a un grande numero di osservazioni fu possibile a Keplero ricavare le distanze di Marte dal Sole. Con esse potè costruire una prima rappresentazione grafica della forma dell’orbita. Questa si rivelò nettamente diversa da quella circolare, presentandosi invece allungata come un ovale tangente nel perielio e nell’afelio al circolo eccentrico.
“. . . Orbita planetae non est circulus sed . . .”. Queste furono le parole del De nova astronomia con cui Keplero fece cadere il primo e più assoluto dei falsi principi che avevano per secoli dominato l’astronomia planetaria: quello della forma circolare delle orbite. Anche l'assioma della uniformità dei movimenti si manifestava falso (anzi, tale si era ripetutamente manifestato in precedenza): la velocità del pianeta variava da un valore massimo al perielio a un valore minimo all’afelio. Ultimo trionfo del punto di vista "fisico" di Keplero: il moto dei pianeti non era più il risultato di una elucubrazione geometrica nella quale non ci si preoccupava minimamente di ricercare la causa fisica di esso, perchè Keplero indivuava quella causa in una forza emanante dal Sole il cui effetto doveva variare con la distanza da esso.
Keplero continuò le ricerche per giungere a stabilire con precisione la forma dell’orbita. Partendo da una generica forma ovale giunse infine alla conclusione che la forma ellittica si accordava bene con le lunghezze dei raggi vettori indicate dalle osservazioni, purchè il Sole venisse collocato in uno dei fuochi. I due fuochi dell’ellisse assumevano l’ufficio che nell’orbita circolare di Tolomeo, avevano la Terra e l’equante, poichè il Sole faceva l’ufficio della Terra, e l’altro fuoco, dal quale la velocità angolare del pianeta appare costante, faceva l’ufficio dell’equante. Sotto questo aspetto, la cosiddetta "legge delle aree" che oggi è considerata la seconda delle tre leggi, fu chiaramente acquisita da Keplero per prima, prima ancora di aver stabilito la forma delle orbite.
LA "LEGGE DELLE AREE"
Le leggi di Keplero vennero da lui scoperte nella successione 2, 1, 3. Quella che chiamiamo seconda legge, o legge delle aree venne da lui scoperta e annunciata per prima. Questo perchè prima della preoccupazione per il tipo di orbita, a Keplero interessava aggredire il problema della variabilità della velocità lungo l'orbita stessa. La legge era enunciata in una forma del tipo: La variabilità della velocità è tale che il raggio vettore (congiungente Sole-pianeta) si muove in modo da descrivere aree eguali in tempi eguali. Essendo le due aree S-1-2 ed S-3-4 eguali, e risultando ovviamente il tratto di orbita 1-2 minore di quello 3-4, la velocità con cui il pianeta percorre il primo deve necessariamente essere minore di quella con cui percorre il secondo. Ciò portava ad abbandonare definitivamente (e finalmente, dopo 2000 anni) qualunque ipotesi di moto uniforme. E ciò faceva rafforzare nella mente di Keplero l'idea della causa fisica produttrice dei moti planetari: una forza insita nel Sole, visto che i suoi effetti si manifestavano in maniera diversa con la sua lontananza.
LA FORMA ELLITTICA
Partendo dunque da una forma genericamente ovale, ci vollero molti tentativi prima di arrivare a determinare quale era la figura geometrica che rappresentava con realtà la forma delle orbite. Come abbiamo indicato, egli ricorse a calcoli di triangolazione.
Si osservi la figura 773. Il Sole è situato nel fuoco S. Il semiasse maggiore dell'ellisse ha lunghezza a, il semiasse minore, b. I fuochi F e S sono separati dal centro dell'ellisse, C, dalla distanza e•a, dove e è l'eccentricità dell'ellisse. Come è noto, il miglior modo di definire geometricamente i punti di un ellisse è di dire che la somma delle distanze di un suo punto qualsiasi dai due fuochi è una costante di valore pari all'asse maggiore. Dalla figura: FM + SM = 2•a.
L ' Astronomia nova venne pubblicato nel 1609. L'opera era suddivisa nelle seguenti parti: (1) un'introduzione dedicata all'imperatore Rodolfo II. In essa Keplero descrive i risultati conseguiti come "una lotta contro Marte". (2) Una parte contenente espressioni di affetto e riconoscenza per Tycho. (3) Una parte nella quale si ha la testimonianza di Keplero che la prefazione contenuta nel De revolutionibus era stata introdotta da Osiander e all'insaputa di Copernico. (4) Una introduzione da parte dello stesso Keplero, in cui vengono esposte le ragioni astronomiche, filosofiche, fisiche e religiose per credere nell'eliocentrismo.
Keplero era ben consapevole che questa sua opera sarebbe stata di difficile comprensione. In effetti, si può dire che egli fece pochi sforzi per consentire al lettore di capire come potè giungere alla formulazione delle sue due prime leggi in essa contenute. Inoltre, i capitoli successivi a quelli dedicati alle due leggi sono densi di un'altra di quelle speculazioni metafisiche tipiche di Keplero: quella riguardanti possibili interazioni magnetiche tra il Sole e i pianeti (Keplero era rimasto colpito dalla lettura di un libro dell'inglese J. Gilbert sul magnetismo. In esso si aveva la prima enunciazione del magnetismo terrestre).
Un'altra pubblicazione teorica di Keplero, l ' Harmonice mundi ("L'armonia del mondo"), stampato nel 1619, non sfugge alla costante kepleriana di abbinamento tra una ricerca metafisica e una solida conquista matematica (la terza legge del moto dei pianeti).
Questa volta Keplero volle indagare sulla possibilità di associare figure geometriche a nozioni di armonia celeste, di origine pitagorica. Alla velocità del moto di ogni pianeta è associata una nota musicale. Più alta è la velocità e più alta è la nota associata. Alla eccentricità di ogni orbita invece Keplero associò la gamma delle note che ogni pianeta era in grado di emettere.
Rimane il fatto che questa ricerca di associazioni gli consentì di scoprire la terza legge. Ci permettiamo anche di offrire al lettore la considerazione da uomo della strada secondo cui una legge della natura è pur sempre una espressione di armonia.
Già dai tempi di Platone e Aristotele si era speculato che ci doveva essere una qualche relazione tra i periodi orbitali e i raggi. La terza legge di Keplero, espressa simbolicamente, è: a3 / T2 = costante
cioè, i cubi dei semiassi maggiori delle orbite sono proporzionali ai quadrati dei periodi orbitali.
Può essere interessante ricordare che questa terza legge, soltanto oggi pienamente apprezzata come complementare alla prime due, era letteralmente sepolta nell ' Harmonice mundi come una di tredici proposizioni "necessarie per la contemplazione delle armonie celesti". Keplero, proprio, non risparmiava sforzi per rendere difficile al lettore la comprensione delle sue grandi conquiste. Occorre per la verità dire che Keplero fece ammenda di quanto sopra nella sua successiva pubblicazione, Compendio di astronomia copernicana, che vide la luce per passi successivi dal 1618 al 1621. In essa Keplero fornì una descrizione sistematica della nuova astronomia, così come delle sue tre leggi, esposte finalmente in forma chiara e accessibile. Per facilitare al massimo la comprensione, le nozioni vennero date nella forma di domande e risposte. Ma naturalmente, non poté resistere alla tentazione di fornire spiegazioni "fisiche" delle anomalie dei moti planetari, in termini di magnetismo solare.
Ultima poderosa opera di Keplero furono le Tavole Rudolfinae, così dette in onore del suo augusto patrono. Incominciate da Tycho nei suoi ultimi anni di vita, secondo la sua teoria elio-geocentrica, esse furono invece completate da Keplero nel 1627 secondo la nuova teoria eliocentrica del moto ellittico, teoria che veniva così impiegata per la prima volta come strumento di calcolo per la determinazione delle posizioni planetarie. Le Tavole rudolfine sostituirono molto vantaggiosamente le vecchie Tavole prussiane del Reinhold e rimasero per circa un secolo le tavole astronomiche universalmente usate.
Furono accolte con molto favore perchè ci si rese conto che la loro precisione sorpassava grandemente quella di tutte le precedenti. Furono anche le prime a fare uso dei logaritmi (appena scoperti dal Napier) che consentivano un notevole risparmio di tempo nei calcoli.
UN ELEMENTARE CONFRONTO MATEMATICO TRA TOLOMEO E KEPLERO
Le ellissi delle orbite di Keplero si scostavano poco dai percorsi circolari sui quali si era adagiata l'astronomia per 2000 anni. Questa è la ragione per la quale per tutto quel tempo le tavole delle posizioni planetarie che erano state prodotte attraverso successivi miglioramenti erano riuscite, tutto sommato, a svolgere una funzione soddisfacente per le esigenze delle epoche in cui venivano adoperate. Inoltre, la legge tolemaica della velocità (movimento angolare uniforme rispetto a un punto equante) fu una buona approssimazione della legge delle aree di Keplero. Per giustificare quest'ultima affermazione, faremo un elementare confronto matematico tra il modello tolemaico generalizzato dell'equante della figura 769, con il modello kepleriano della figura 773.
Riprendiamo in esame le figure.
Dalla figura 773: il pianeta M si muove su una ellisse. In S c'è il Sole vero, in F il fuoco vuoto. La velocità di M sull'ellisse è tale da obbedire alla legge delle aree. La figura 769 invece dà una rappresentazione eliocentrica-eccentrica-equante, cioè sostanzialmente tolemaica o, se si vuole, secondo l'ipotesi vicaria di Keplero. Il Sole è in S. Qui la velocità di M obbedisce alla legge dell'equante: il raggio EM ha moto angolare uniforme. L'eccentricità dell'eccentrico è e1 = CS/R. L'eccentricità dell'equante è e2 = CE/R.
Calcoliamo, per ogni modello, il tempo che il pianeta impiega per viaggiare dall'apogeo alla quadratura (Da A a L nella figura 773 , da A a K nella figura 769). In entrambi i casi il pianeta orbita per 90º rispetto al Sole S, e il tempo impiegato è, sempre in entrambi i casi, maggiore di un quarto del periodo orbitale.
Moto kepleriano (Fig. 773) - Indicando con T il periodo orbitale ed essendo p•a•b l'area dell'ellisse, possiamo scrivere:
T : p•a•b = tempo viaggio(AL) : area descritta da raggio vettore, da cui:
tempo di viaggio(AL) = (T/p•a•b)• area descritta.
Il tempo di viaggio è dunque proporzionale all'area tratteggiata. Questa è un quarto dell'area dell'ellisse più l'area SCJL. Il quarto di ellisse ha area p•a•b/4. Se l'eccentricità dell'ellisse è piccola, SCJL può essere riguardato come un rettangolo di area e•a•b, per cui l'area tratteggiata è approssimativamente data da p•a•b/4 + e•a•b. Allora avremo:
Tempo viaggio(AL) = (T/p•a•b)•(p•a•b/4 + e•a•b) = T/4 + e•T/p (1)
Cioè il tempo dall'apogeo alla quadratura è più grande di un quarto di periodo orbitale di e•T/p.
Moto con equante (Fig. 769) - Qui la legge del moto è tale da farci stabilire questa proporzione:
T : 2•p = tempo viaggio(AK) : arco(AJK), da cui:
Tempo viaggio(AK) = (T/2•p)•(arco AJK) = (T/2•p•(p/2 + arcoJK).
Ora, l'arco JK è uguale all'angolo EKS e questo è dato da arctan(ES/KS), ed è anche (purchè l'eccentricità sia piccola):
arco JK = arctan(ES/KS) @ ES/KS @ (R•e1 + R•e2)/R @ e1 + e2.
Perciò, in questo secondo caso il tempo di viaggio dall'apogeo alla quadratura diventa approssimativamente:
Tempo viaggio(AK) = (T/2•p)•(p/2 + e1 + e2) = T/4 + (e1 + e2)/2•p•(T). (2)
Confrontando la (1) con la (2) vediamo che si ha la concordanza dei due modelli se e1 + e2 = 2•e cioè se l'eccentricità totale del modello tolemaico è il doppio dell'eccentricità del modello kepleriano.
Oppure possiamo dire che si ha concordanza tra i due modelli se la distanza SE del modello tolemaico è uguale alla distanza SF del modello kepleriano, cioè se il fuoco vuoto dell'ellisse kepleriana corrisponde al punto equante del modello tolemaico. Allora, un osservatore immaginario che si trovasse nel punto F vedrebbe il moto di Marte lungo l'ellisse compiersi a velocità angolare quasi uniforme.
Volendo esprimerci in un modo ancora un po' più approssimato potremmo dire che il movimento dei pianeti secondo la legge tolemaica dell'equante costituisce (alla buon'ora!) una buona approssimazione del moto effettivo.
CONCLUSIONI ELEMENTARI
Copernico, dando inizio all'edificazione della nuova astronomia, proclamava di essere stato fedele ad Aristotele più di quanto non lo fosse stato Tolomeo. Al contrario, sappiamo che la distruzione della fisica aristotelica iniziò proprio da lui.
A partire dal secolo XVII, sulle rovine della fisica aristotelica, ebbe inizio la costruzione della nuova fisica, i precursori della quale furono Galileo, Huyghens, Cartesio e Newton. Ma non è azzardato affermare che anche le numerose indagini metafisiche di Keplero posseggano il pregio della ricerca di una nuova fisica.
Per gli antichi Greci l'astronomia fu una branca della matematica. Fu Newton a fare dell'astronomia matematica una branca della fisica. Nel suo Principi matematici di filosofia naturale Newton mostrò come dedurre le tre leggi di Keplero dalle proprie leggi fisiche del moto. Infatti, Newton (dopo averle ricavate per proprio conto) era venuto a conoscenza delle leggi di Keplero non per averle lette da libri di Keplero ma per averle apprese da libri di autori inglesi ed olandesi. Nel primo libro dei Principia Keplero non viene nemmeno nominato.
Dalla cruda prosa delle osservazioni di Venere delle tavolette di Ammisaduqa all'astronomia di Keplero trascorsero circa 3000 anni. La differenza tra le due situazioni culturali è tale che si deve ammettere che le progressive conquiste attraverso cui si è sviluppata l'astronomia dovevano contenere, ciascuna, la propria parte di fallacia. Anche la fisica newtoniana, che a suo tempo venne salutata come il felice e definitivo compendio di quei 3000 anni di faticose acquisizioni, dopo pochi secoli rivelò la propria inadeguatezza. Rimane da accertare quanta parte della scienza di oggi sia destinata ad essere riformata.