Meteorologia elementare
(Parte prima)









GLI INIZI E L'EVOLUZIONE DELLA METEOROLOGIA
I dotti dell'antica Grecia si erano dedicati con interesse allo studio dell'atmosfera. Già nel IV secolo a.C. Aristotele aveva scritto un trattato dal titolo Meteorologica, che si occupava dello "studio di cose sollevate da terra". Da quest'opera, circa un terzo della quale è dedicata ai fenomeni atmosferici, è stato tratto il termine moderno di meteorologia. Nel corso della storia, molti dei progressi che hanno condotto alla scoperta di leggi fisiche e chimiche furono dovuti alla curiosità per i fenomeni atmosferici. Pochi passi avanti, comunque, furono compiuti fino al XIX secolo, quando gli sviluppi nei campi della termodinamica e della meccanica dei fluidi posero le basi teoriche della meteorologia.

Le registrazioni di dati meteorologici in singole località venivano effettuate già nel XIV secolo, ma fino al XVII secolo mancavano osservazioni sistematiche eseguite su aree estese. Anche la lentezza delle comunicazioni ha impedito lo sviluppo delle previsioni del tempo: fu necessaria l'invenzione del telegrafo, alla metà del XIX secolo, per trasferire i dati meteorologici raccolti in un'intera nazione a un sito centrale, in modo da poter effettuare correlazioni e previsioni. Una delle più significative pietre miliari nello sviluppo della moderna scienza della meteorologia fu posta nel corso della prima guerra mondiale, quando un gran numero di meteorologi norvegesi, guidati da Vilhelm Bjerknes, effettuò studi intensivi sulla natura dei fronti, scoprendo che masse d'aria in interazione generano i cicloni, che costituiscono le tipiche perturbazioni dell'emisfero settentrionale.

Il miglioramento delle osservazioni dei venti d'alta quota, che si ebbe durante e dopo la seconda guerra mondiale, ha fornito la base per le nuove teorie sulla previsione del tempo rivelando la necessità di rivedere i vecchi concetti sulla circolazione atmosferica generale. Durante questo periodo i maggiori contributi alla scienza meteorologica furono dati negli Stati Uniti dal meteorologo svedese Carl-Gustav Rossby e dai suoi collaboratori, i quali scoprirono l'esistenza della cosiddetta corrente a getto, un rapido "fiume" d'aria che circonda tutto il globo ad alta quota nell'atmosfera. Nel 1950, grazie all'uso dei computer, divenne possibile applicare le teorie fondamentali dell'idrodinamica e della termodinamica al problema delle previsioni del tempo.

CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA
Se la Terra avesse una superficie uniformemente liscia, se non ruotasse attorno al suo asse, se ricevesse i raggi solari con il Sole costantemente posizionato nel piano equatoriale, se l'asse terrestre non fosse inclinato rispetto al piano dell'orbita, si avrebbe una circolazione atmosferica del tipo di quella mostrata nella figura accanto: nella zona equatoriale il maggior impatto del calore solare provocherebbe una continua ascesa dell'aria (con conseguente diminuzione di pressione atmosferica) e nelle zone polari si avrebbe una maggiore compressione. Il risultato di ciò sarebbe che su tutta la superfici terrestre l'aria fluirebbe uniformemente dai poli verso l'equatore.

Non avendosi tutte quelle condizioni teoriche di cui sopra, la circolazione atmosferica assume caratteristiche variabili con le stagioni. Le due figure che seguono mostrano i due tipi fondamentali di circolazione che si hanno effettivamente, quello estivo e quello invernale. La differenza è particolarmente evidente per i monsoni dell'Oceano Indiano che invertono la direzione nei due casi, soffiando da sud-ovest d'estate e da nord-est d'inverno.



La causa di tutti i moti interni dell'atmosfera è l'ineguale riscaldamento della superficie terrestre a opera dei raggi solari. Gran parte del calore e della luce raggiunge le regioni equatoriali, mentre scarsa è la percentuale che raggiunge i poli. In risposta alle risultanti differenze di temperatura, viene mantenuto un complesso meccanismo di circolazione atmosferica che tende a trasferire calore dalle basse latitudini verso i poli.

Nella fascia tropicale, il movimento dell'atmosfera segue un andamento noto come cella di Hadley tropicale, nel quale l'aria discende lungo fasce situate a circa 30° di latitudine nord e sud, e ascende in corrispondenza dell'equatore. A basse quote vi è una deriva generale dell'aria verso l'equatore, mentre a quote superiori una deriva di compensazione verso i poli chiude la cella. Non appena le due correnti superficiali convergono all'equatore provenendo da nord e da sud, in una fascia di bassa pressione nota come zona delle calme tropicali, esse sono forzate a risalire, a espandersi e a raffreddarsi. L'umidità dell'aria condensa quindi in nubi, che tendono a scaricare piogge frequenti su questa area geografica. La fascia di convergenza tende a spostarsi di alcuni gradi verso nord o verso sud a seconda delle stagioni. Alla latitudine di 30° nord e sud, i rami discendenti delle celle vengono riscaldati per compressione, e le eventuali nubi vengono disperse. Di conseguenza il tempo è caldo e soleggiato, e predomina un clima di tipo desertico. Dato il movimento di rotazione della Terra, le correnti d'aria che si muovono verso l'equatore, i cosiddetti alisei, vengono deviate verso ovest e quindi spirano da nord-est nell'emisfero settentrionale e da sud-est in quello meridionale.

Alle medie e alte latitudini le caratteristiche più cospicue della circolazione atmosferica sono date da cicloni e anticicloni migranti, e un quadro definito della circolazione globale emerge solo quando questi movimenti sono descritti mediando le osservazioni di molti giorni. Questa circolazione, quasi ovunque, procede da ovest a est (e per questo si parla di venti occidentali) e la sua velocità aumenta con la quota, fino a raggiungere un massimo a circa 13 km di altitudine con velocità medie che superano i 160 km/h. La pressione al livello del mare diminuisce procedendo verso nord da 30° a 60° di latitudine, dove tende a esserci un minimo; procedendo verso nord dai 60° di latitudine, si sviluppa un anticiclone con prevalenza di venti da est (venti polari orientali).

La circolazione media a nord dei 30° di latitudine tende a essere più forte durante l'inverno, quando si hanno le massime differenze di temperatura fra alte e basse latitudini. Le fasce di bassa e alta pressione rispettivamente a 30° e a 60° di latitudine si spostano leggermente con le stagioni, in modo da seguire l'andamento del Sole verso nord e verso sud. Anche i continenti esercitano un effetto sulla circolazione, e ciò è particolarmente evidente alle alte latitudini dell'emisfero settentrionale, dove i contrasti di temperatura fra la terraferma e gli oceani sono massimi. Durante l'inverno si sviluppano anticicloni molto freddi sopra il Nord America e l'Asia, mentre in estate al di sopra di queste aree tendono a dominare basse pressioni. I sistemi stagionali di venti associati a queste distribuzioni di pressioni si chiamano monsoni, e sono particolarmente intensi in India e nel Sud-Est asiatico.

Un aspetto rilevante della circolazione da ovest delle medie e alte latitudini è la presenza di vortici ad andamento ciclonico e anticiclonico, che si spostano da ovest a est e causano cambiamenti del tempo atmosferico da un giorno all'altro. I vortici ad andamento antiorario sono detti cicloni extratropicali, e la loro intensità tende a essere massima in inverno, quando i contrasti di temperatura sono più accentuati.

Nella fascia dei venti occidentali si trova la corrente a getto, una stretta banda di flusso atmosferico ad alta velocità che segue un percorso ondulato da ovest a est. La corrente a getto si trova a una quota media di oltre 12.000 m in inverno e quasi 14.000 m in estate, e la sua velocità può superare i 400 km/h.

Questa figura mostra in maniera riassuntiva e schematizzata al massimo la situazione dei venti cosiddetti permanenti (alisei e venti occidentali). Il loro carattere di permanenza deve essere inteso con qualche differenziazione, soprattutto tra estate e inverno. Con il termine anglosassone di doldrums è indicata la fascia equatoriale di bassa pressione. Essendo dotata di gradiente barico praticamente nullo, i venti sono quasi non esistenti. Il cielo è spesso coperto e frequenti sono i piovaschi. Naturalmente, anche la posizione e l'estensione di questa fascia varia con la stagione. Assume il minimo spessore durante i mesi di Febbraio e Marzo, mentre durante i mesi di luglio e agosto si sposta di qualche grado a nord dell'equatore e raggiunge la larghezza di una decina di gradi.

Gli Alisei soffiano dalle due fascie di (relativa) alta pressione situate a circa 35º di latitudine verso l'equatore e, a causa della rotazione terrestre, subiscono una deviazione verso ovest (Northeast Trades nell'emisfero nord e Southeast Trades in quello sud).
In effetti il carattere di costanza degli Alisei viene piuttosta esagerato. Spesso si indeboliscono o soffiano da direzioni non proprio costanti. A luglio e agosto, quando la fascia di bassa pressione equatoriale si sposta alquanto a nord dell'equatore, l'Aliseo di sud-est irrompe nell'emisfero nord per parecchi gradi, e subendovi la deviazione verso destra diventa un vento da sud.

Subito a nord e a sud delle due fasce degli Alisei si hanno altre due fasce di alta pressione. Interposte tra queste fasce e quelle degli Alisei si hanno le cosiddette Horse latitudes (secondo la terminologia anglosassone). Sone zone caratterizzate da venti deboli e da cielo spesso e schiarito.

Le due zone temperate di entrambi gli emisferi sono caratterizzate entrambe da venti occidentali che non hanno però alcun carattere di costanza. Nell'emisfero sud, intorno ai 45º di latitudine, soffiano però abbastanza spesso con notevole intensità (roaring forties).



LE MASSE D'ARIA
Lo studio dei fenomeni meteorologici (e in particolare della previsione degli eventi) ricevette un particolare impulso all'inizio del secolo XX con le ricerche sulle origini e gli sviluppi delle masse d'aria, particolarmente da un gruppo di ricercatori norvegesi.
Si può dire che lo studio delle masse d'aria è divenuto il quarto argomento fondamentale della meteorologia (prima di allora, i tre classici argomenti meteorologici erano temperatura, umidità e pressione dell'aria).
I meteorologi di inizio secolo si resero conto che, allorchè su una determinata regione del pianeta si instauravano condizioni meteorologiche all'incirca costanti per un periodo più o meno lungo, sulla regione si venivano a consolidare nella massa d'aria sovrastante quella regione, delle condizioni di stabilità tali da far sì che temperatura, umidità e pressione di quella massa d'aria assumessero valori medi abbastanza uniformi. Gli scienziati determinarono anche che il gioco delle alte e basse pressioni stagionali dava origine a dei movimenti di queste masse d'aria, che si ripetevano con un ciclo abbastanza costante.
Si giunse quindi a distinguere le masse d'aria in accordo con le loro origini geografiche. Si sono così individuate quattro grandi regioni di origine: (1) la regione equatoriale (E), compresa tra i due tropici, le due regioni tropicali (T), a cavallo dei due Tropici per un certo numero di gradi, le due regioni delle alte latitidini, dette regioni Polari (P), e (4) le due regioni Artica e Antartica (A).



MODIFICHE ALLA CIRCOLAZIONE GENERALE
La fascia di alte pressioni residente nella zona delle Horse latitudes non è uniformemente distribuita, come risulta dalle due figure di cui sopra. Si hanno delle zone in cui risiedono delle alte pressioni semipermanenti (un esempio notevole è la nota Zona anticiclonica delle Azzorre). Queste alte pressioni semipermanenti sono abbastanza costanti anche per quanto riguarda il posizionamento. Anche le basse pressioni semipermanenti rimangono abbastanza costanti. Le più notevoli tra queste sono quelle posizionate sull'Islanda e le Aleutine, nellemisfero nord, e quelle posizionate sul Mare di Ross e sul Mare di Weddel, nell'Antartide.

Un altro fattore che interviene a modificare la circolazione generale dei venti, è dato dalle masse di terra, più precisamente dal riscaldamento e raffreddamento che le masse di terra subiscono rispetto al mare. Durante l'estate subendo le masse di terra un riscaldamento maggiore di quello delle acque, si tendono a stabilizzare bassa pressione su terra e alta pressione sul mare, mentre durante l'inverno si ha il contrario.

L'esempio più evidente di questa influenza si ha con i monsoni dell'Oceano Indiano e del Mar della Cina. Le due figure di cui sopra spiegano l'origine dei monsoni estivi di sud-ovest e di quelli invernali di nord-est.



I SISTEMI FRONTALI
Attorno alla Terra, a circa 30° di latitudine nord e sud e in inverno al di sopra dei continenti, tende a dominare un regime di alte pressioni e di venti deboli. In tali regioni i venti si disperdono lentamente in orizzontale, e aria fredda discende da quote superiori per compensazione. Dato il riscaldamento associato alla compressione dell'aria in discesa, gli anticicloni corrispondono in generale a condizioni di tempo sereno, tranne in situazioni locali nelle quali l'aria a contatto con superfici fredde produce nebbie o nubi di bassa quota.
Gran parte delle regioni in cui tendono a prevalere gli anticicloni presenta caratteristiche di uniformità superficiale; di conseguenza, in concomitanza con i lenti moti divergenti, tendono a generarsi grandi masse d'aria con caratteristiche uniformi.

Le masse d'aria tropicali marittime si formano dunque in questa zone anticicloniche, al di sopra degli oceani a circa 30° di latitudine nord e sud, e possono essere successivamente trasportate a migliaia di chilometri dalla loro origine. Queste masse, molto ricche di umidità, alimentano le precipitazioni alle medie e alte latitudini. Masse d'aria polari continentali, situate in inverno al di sopra delle estensioni innevate del Nord America e dell'Asia, raggiungono temperature estremamente basse, tra i 60 e i 70 °C sotto zero.

Quando le masse d'aria si incontrano, si producono zone di forte contrasto termico. Tali regioni, particolarmente studiate dai meteorologi norvegesi già durante la prima guerra mondiale, sono denominate fronti e rappresentano strette zone di forte variabilità del tempo atmosferico. I fronti più cospicui tendono a essere situati in inverno in prossimità della costa orientale del Nord America e, analogamente, al largo delle coste asiatiche nel Pacifico. Le masse d'aria continentale polare tendono ad affondare e a espandersi al di sotto delle calde masse di aria tropicale marittima. Le masse calde vengono pertanto spinte al di sopra delle masse d'aria polare lungo il fronte, e si raffreddano per espansione. Il raffreddamento fa condensare rapidamente l'umidità in esse contenuta, e ne provoca la precipitazione.

Muovendosi le masse d'aria seguendo la circolazione generale, esse tendono a invadere zone sedi di masse d'aria di caratteristiche diverse. Quando una massa d'aria ne incontra un'altra, c'è poca tendenza tra le due a mescolarsi: esse tendono a restare abbastanza separate, talchè la superficie di confine tra le due masse si mantiene relativamente sottile mettendo in evidenza le caratteristiche di diversità tra le due masse. Si parla dunque in tal caso di una superficie frontale o, più brevemente, di fronte.

Questa figura mostra tutti gli elementi di un sistema frontale, così come vengono rappresentati sulle carte meteorologiche, con i diversi colori (fronte freddo, caldo, occluso, stazionario).

Alle nostre latitudini le masse d'aria calde e fredde scorrono generalmente da ovest verso est, con una leggera deviazione verso nord e, naturalmente, con le masse calde a sud di quelle fredde. La perturbazione ha la sua origine nella zona di contatto tra le due masse, quando queste sono animate da una differente velocità di movimento verso est.

L'inizio della perturbazione è una cosiddetta onda. In genere la massa d'aria calda, più leggera, viene sollevata dalla massa d'aria fredda più pesante, che le si incunea sotto. Prima della formazione di un'onda, le isobare tendevano ad essere sensibilmente parallele. Nella zona di formazione dell'onda, l'ascesa dell'aria calda genera un inizio di depressione, che a sua volta dà luogo a una discontinuità nel parallelismo delle isobare.
Inoltre, la superficie frontale si scinde in due superfici, la prima delle quali è data dal contatto tra l'aria calda avanzante e la massa d'aria locale preesistente (e che in seguito si svilupperà nel cosiddetto fronte caldo), mentre la seconda è data dal contatto tra la massa d'aria fredda e quella calda (e che in seguito si svilupperà nel fronte freddo). Fin dalla fase iniziale, mentre la linea del fronte caldo presenta un andamento all'incirca rettilineo, quella del fronte freddo presenta una leggera concavità verso nord. Il punto di discontinuità tra i due fronti è caratterizzato dal minimo della pressione.

L'aria calda tende a posizionarsi sopra quella fredda, di modo che il fronte caldo tende ad inclinarsi in direzione del suo moto di traslazione. La diminuzione di pressione annunciata da un'onda frontale in avvicinamento può durare anche giorni. Invece l'inclinazione della superficie frontale fredda si presenta più accentuata, e la pressione atmosferica tende ad aumentare dopo il passaggio del fronte freddo. A mano a mano che il fronte freddo insegue quello caldo, l'angolazione tra i due tende a restringersi e nel punto di discontinuità tra i due fronti la depressione tende ad accentuarsi. Ecco come si presenta una tipica onda frontale pienamente sviluppata.

La figura mostra anche il settore caldo tra i due fronti. La leggera inclinazione del fronte caldo spiega come questo ci metta relativamente molto tempo a transitare. La stessa leggera inclinazione è responsabile del fattto che il vento gira in senso orario (all'incirca da sud a sud-ovest), mentre quando transiterà il fronte freddo, il salto di vento sarà più accentuato (da sud-ovest a nord-ovest, all'incirca). Infine, l'inclinazione più accentuata del fronte freddo spiega il suo rapido passaggio sopra l'osservatore, e il rapido miglioramento del tempo (aumento di pressione).

A mano a mano che la depressione si accentua, il fronte freddo avanza velocemente riducendo sempre più la sua distanza dal fronte caldo e quindi rendendo sepre più acuto il settore caldo tra i due. La figura mostra chiaramente che il gradiente barico nell'intorno della depressione si è accentuato e mostra anche come la direzione della depressione abbia subito una deviazione verso nord.

Finalmente il veloce fronte freddo raggiunge il più lento fronte caldo (per lo meno le due parti più verso nord) dando luogo al fronte occluso. L'aria calda, sempre spinta verso l'alto da quella fredda sottostante, continua a salire. L'aria calda viene continuamente sostituita da aria fredda, la pressione tende continuamente a salire dando luogo al processo di riempimento. Questa fase può durare anche qualche giorno dopo l'avvenuta occlusione.

Dalle figure che precedono possiamo trarre anche l'indicazione di come avvengano i salti di vento al passaggio dei fronti (sempre per l'emisfero nord).
Teniamo presente che il vento tende a fluire all'incirca parallelamente alle isobare. Nell'emisfero nord il vento salta verso destra (veering per gli anglosassoni) sia al passaggio del fronte caldo che del fronte freddo. Precisamente, al passaggio del fronte caldo il vento salta da sud a sud-ovest (all'incirca) mentre al passaggio del fronte freddo il salto è di solito più accentuato, da sud-ovest a nord-ovest (all'incirca). Nell'emisfero sud il salto di vento è verso sinistra (backing per gli anglosassoni).



CICLONI ED ANTICICLONI
Una zona di bassa atmosfera, approssimativamente circolare, nell'intorno di una bassa pressione è detta ciclone. Una similare zona in vicinanza di un'alta pressione è detta anticiclone.
Ricordiamo che i venti tendono a soffiare da zone di alta pressione a quelle di bassa pressione e che la rotazione terrestre fa sì che i venti vengano deviati verso destra nell'emisfero nord e verso sinistra nell'emisfero sud.

Risulta allora che, nell'emisfero nord, nell'intorno di una zona ciclonica la circolazione dei venti tende a stabilizzarsi in senso antiorario, mentre in una zona anticiclonica tende a stabilizzarsi in senso orario, secondo quanto indicato dalla figura di cui sopra (che è appunto riferita all'emisfero nord). Nell'emisfero sud si ha il contrario di quanto detto.

Quanto detto si collega con la legge di Buys Ballot, che consente di stabilire la locazione dell'alta e della bassa pressione semplicemente dalla direzione di provenienza del vento. Secondo la legge, fronteggiando il vento, nell'emisfero nord il centro di bassa pressione si trova un poco più a destra del traverso a destra rispetto alla provenienza del vento. Il centro di alta pressione si trova un po' più a sinistra del traverso a sinistra rispetto alla provenienza del vento. Nell'emisfero sud si ha il contrario..

Ricordiamo infine che in una zona anticiclonica (alta pressione) l'aria converge dall'alto e tende ad essere spinta verso quote inferiori, discendendo, il calore acquisito fa diminuire la sua umidità relativa, per cui le nuvole tendono a dissiparsi: cieli abbastanza sereni sono caratteristici di zone anticicloniche. Il contrario si ha per le zone cicloniche: poichè qui l'aria converge dal basso, il suo movimento ascendente esalta fenomeni di condensazione di vapore acqueo e quindi piogge e tempo cattivo sono caratteristiche di una zona ciclonica.



I CICLONI TROPICALI
I cicloni tropicali sono violenti cicloni che traggono origine dai tropici. La principale differenza tra questi cicloni e quelli delle latitudini temperate è data dalla grande concentrazione di energia (dei primi rispetto ai secondi) su una relativamente poco estesa regione. Un'altra differenza importante è data dai limiti di tempo abbastanza ben precisi entro i quali si verificano i cicloni tropicali.

Questa figura illustra le aree di occorrenza dei cicloni tropicali, che sono sei, quattro nell'emisfero nord e due in quello sud. Diamo anche i nomi che essi ricevono localmente.

Area I - Nord Atlantico (Indie Occidentali, Mar dei Caraibi, Golfo del Messico e costa est degli U.S.A.). Qui un ciclone tropicale con venti che superino i 64 nodi di velocità è chiamato uragano.
Area II - Nord Pacifico di sud-est (costa ovest del Messico e dell'America Centrale). Anche per questa zona si fa uso del nome uragano.

Area III - Estremo Oriente (tutta la zona ad ovest delle isole Marianne e Caroline, fino al Mar delle Filippine e al Mar della Cina e alle coste di Cina e Giappone). Qui un ciclone di più di 60 nodi è chiamato tifone, e localmente nelle Filippine baguio.
Area IV - (A): Mar Arabico e (B): Golfo del Bengala. Qui sono chiamati cicloni.
Area V - Oceano Indiano meridionale, in vicinanza della costa est del Madagascar. Anche qui sono chiamati cicloni.
Area VI - (A): acque ad est dell'Australia, fino alla longitudine 160º E. (B): la zona ancora ad est, fino alla longitudine 150º W. In queste due aree si fa uso di diversi nomi: il willy-willy è un ciclone che ha origine nel Mare di Timor e poi si muove prima a sud-ovest e poi a sud-est all'interno dell'Australia. Ad est dell'Australia si tende a chiamarli uragani.

In genere i cicloni tropicali si producono durante le stagioni estiva e autunnale di ogni zona. Il numero massimo di cicloni tropicali si ha nel mese di settembre (molti di più che negli altri mesi) (Nella zona III, il massimo si ha in Agosto). Nelle due zone dell'emisfero sud il massimo numero di cicloni si ha nei mesi di gennaio, febbraio e marzo (i mesi estivi dell'emisfero sud).
Circa i cicloni tropicali possono essere ritenute valide queste due caratteristiche:
  • A mano a mano che un ciclone tropicale si sposta verso latitudini extratropicali, perde energia
  • La perdita di energia si ha anche come il ciclone tropicale si sposta su terra.


Questa figura mostra il percorso medio che i cicloni tropicali della regione I (Nord Atlantico) compiono nel mese di settembre. I c.t. hanno origine a basse latitudini, quasi sempre nelle regioni di origine degli alisei. Si muovono dapprima verso ovest a velocità variabile da pochi nodi fino a 20 - 30 nodi, salendo lentamente in latitudine. Quando raggiungono la fascia tropicale di alta pressione, se posseggono energia per continuare, vengono deviati dapprima verso nord e poi verso nord-est, mantenendo energia a volte fino a sfiorare le coste di Terranova, e talvolta continuando per il Nord Atlantico.

Le cause di origine dei c.t. non sono ben comprese ancora oggi. Il fatto che traggano tutti origine sul mare e che si dissolvano abbastanza rapidamente quando si inoltrano su terra, sembra indicare che la loro vita necessita di vapore acqueo. Sembra che l'origine della maggior parte di essi sia dovuta alla formazione di basse pressioni dovute a una zona frontale che si sviluppa nei mesi estivi in latitudini subtropicali.
Una volta che una depressione si forma (anche se piccola) l'aria calda adiacente viene continuamente richiamata e la depressione si intensifica. Ma il meccanismo di formazione dei c.t. è molto più complesso e probabilmente richiede la concomitanza di diversi fattori.
Al centro del c.t. si trova normalmente un'area di circa una ventina di miglia di diametro nella quale si ha una realtiva calma di vento. Essendo anche la zona di massima depressione, in essa si manifestano ampi tratti di cielo sereno. I meteorologi chiamano questa zona l ' occhio del ciclone. Subito al di fuori della zona dell'occhio la forza del vento ha il suo massimo, ed anche la nuvolosità diviene improvvisamente intensissima, con un vero e proprio muro di piogge torrenziali: è il cosiddetto muro dell'occhio.



FATTORI CHE DETERMINANO I FENOMENI METEO
Uomini e animali, per respirare hanno bisogno di ossigeno. Le piante, con l’aiuto dell’energia solare, sottraggono all’atmosfera anidride carbonica e le resti­tuiscono ossigeno. Il vapore acqueo si trova nell'atmosfera in quantità variabili, comunque non superiori al 4% ed evapora continuamente (anche da zone coperte di vegetazione).

L’atmosfera è composta di azoto (78%), ossigeno (21%) e altri gas, che nell’insieme non superano l’1%. L’ozono si forma dall’ossigeno. Si trova tra i 20 e i 35 km di quota. Assolve la funzione di sbarrare i raggi ultravioletti. Nell’azione di sbarramento subisce trasformazioni chimiche per cui deve continuamente rinnovarsi.
Nell'atmosfera ci sono anche particelle di polvere e particelle chimiche, provenienti dalla superficie terrestre e dal cosmo. Svolgono una particolare funzione nella formazione delle precipitazioni.

Il crescente consumo di energia provoca una cessione crescente di anidride carbonica all’atmosfera. Conseguenza di ciò è una riduzione della dispersione del calore e quindi un aumento del riscalda­mento in prossimità della superficie (effetto serra).
Le particelle inquinanti sono concentrate negli strati bassi (metà atmosfera è concentrata nei primi 5 km di altezza).



LA STRATIFICAZIONE DELL'ATMOSFERA
L’atmosfera è l’involucro di gas che circonda ogni corpo celeste dotato di un campo gravitazionale abbastanza intenso. I gas componenti sono principalmente l ‘ azoto (78%) e l ‘ ossigeno (21%). In quantità minori contiene anche argo (0,9%) e anidride carbonica (0,03%) e poi vapore acqueo ed altri gas.
L'atmosfera può essere divisa in vari strati. Lo strato più basso, la troposfera, si estende fino a circa 15 km di quota nelle regioni tropicali e fino a circa 10 km alle latitudini temperate, ed è ca­ratterizzato da una diminuzione costante della temperatura che decresce con l'altezza di circa 5,5°C ogni chilometro. La tropo­sfera è la zona in cui si forma la maggior parte delle nuvole. Al di sopra di essa si trova la stratosfera, in cui la temperatura è praticamente costante, aumentando legger­mente con l'altezza in particolar modo nelle regioni tropicali.

All'interno dello strato di ozono la temperatura cresce più rapida­mente e, al limite superiore della stratosfera, circa 50 km sopra il livello del mare, rag­giunge valori prossimi a quelli registrati sulla superficie terrestre. Lo strato compreso tra 50 e 80 km di quota, detto mesosfera, è ca­ratterizzato da una marcata diminuzione di temperatura con la quota. A causa della concentrazione relativamente alta degli ioni nell'aria, lo strato che si estende fino a circa 2.000 km di altezza è detto ionosfera. La zona situata al di sopra alla ionosfera è detta esosfera e si estende fino a circa 9600 km di altezza, dove si pone il limite dell'atmosfera.
Sino a 100 km la composizione è molto uniforme. Soltanto a 1000 km le particelle leggere si separano nettamente da quelle pesanti. Nella troposfera si ha la sede dei fenomeni meteo e la distribuzione d’aria è nettamente verticale. Oltre questa quota la distribuzione d’aria è nettamente orizzontale.
Torricelli trovò che la pressione atmosferica al livello del mare era bilanciata da una colonna di mer­curio alta 760 mm. Poiché il mercurio ha densità di 13,6 gr/cm3, si ha che l’aria al livello del mare ha una pressione di circa 1,033 Kg/cm2. Questo è il valore di una atmosfera.

Siccome la pressione atmosferica diminuisce con l’altezza, ogni barometro deve essere tarato per la quota alla quale viene usato. La misura della pressione in millibar tiene conto della forza della gra­vità. Un millibar è la pressione di 1000 dine/cm2 . Una pressione atmosferica di 1000 mb equivale alla pressione bilanciata da una colonna di mercurio di 750 mm, alla temperatura di 0º C e alla latitu­dine di 45º (c’entra anche la latitudine perché la forza centrifuga della massa d’aria ruotante è max all’equatore e zero ai poli).
La ionosfera ha inizio a circa 60 km di quota e termina a circa 2000 km. Vi si svolgono processi di ionizzazione ai quali partecipa l’irradiazione solare (le aurore boreali sono esempi di questi pro­cessi).
Anche la stratificazione superiore merita grande attenzione. L’esempio più notevole è quello dello strato di ozono che al di sotto di una lunghezza d’onda di 300 nanometri (1 nanometro = 1/1.000.000.000 di metro) assorbe tutta la radiazione ultravioletta. Quindi, benchè a questa altezza l’aria sia molto rarefatta, essa agisce come una lastra di piombo spessa diversi metri.
La radiazione solare arriva solo in parte alla superficie terrestre, e quella che arriva viene quasi com­pletamente assorbita. Di conseguenza, risulta riscaldata l’aria sovrastante. Sulla radiazione assorbita influiscono (1) la latitudine, (2) la durata del giorno, (3) le stagioni e (4) la natura della superficie as­sorbente. La terra si riscalda e si raffredda più velocemente del mare (ma per le zone coperte da ve­getazione i processi sono più lenti). Il ghiaccio e la neve invece svolgono una azione acceleratrice: di notte, la dispersione di calore su una superficie innevata o ghiacciata è maggiore che su una superficie senza neve. E di giorno, la riflessione di calore nell’aria circostante una superficie, è maggiore se la superficie è innevata o ghiacciata.
Gli oceani svolgono invece una importante funzione di accumulazione termica. La radiazione solare penetra in acqua più profondamente. Il raffreddamento dell’acqua, di notte e d’inverno, è più lento di quello terrestre. Ciò fa si che si abbia un clima continentale e un clima marittimo.
Dal Sole, giungono anche radiazioni Röntgen, raggi ultravioletti e una radiazione atomica corpu­scolare di protoni ed elettroni, paragonabile a quella cosmica Nell’attraversare la troposfera, le radiazioni solari sono soggette a (1) assorbimento, (2) rifles­sione, (3) diffusione.
La diffusione (mutamento di direzione della radiazione a causa delle molecole d’aria) concorre a dare al cielo la colorazione azzurra e anche le aurore e i tramonti colorati.
La luce solare ci appare tendente al giallo (e non completamente bianca, come sarebbe da aspettarsi) perché, per la diffusione, la parte blu dello spettro va perduta.
Solo il 47% circa della radiazione solare giunge alla superficie. Complessivamente, a causa di tutte le perdite, circa un terzo dell’energia solare viene ceduta all’atmosfera ed è questo il calore solare resi­duo che rimane a dar vita a tutti i fenomeni atmosferici.

Il riscaldamento dell’atmosfera da parte della superficie terrestre avviene:
  • per conduzione (propagazione del calore verso l’alto, strato per strato, per contatto, elevata se il cielo è sereno e l’aria è secca, scarsa se il cielo è nuvoloso e l’aria è umida)
  • per convezione (ciclo in cui si ha una massa d’aria calda che sale e va a sostituire una massa fredda che scende, forzando altra aria a salire, e così via). Per convezione, oltre ad avere scambio di calore, si ha anche scambio di umidità tra le masse d’aria, con conseguenze meteo importanti.
  • per condensazione di vapore acqueo (il calore latente di condensazione viene pure ceduto all’atmosfera).
Gli eventi meteo sono dunque causati dall’arrivo del calore solare sulla superficie terrestre. Gli ele­menti principali che li causano sono : (1) pressione atmosferica, (2) temperatura, (3) vento, (4) umidità, (5) densità, (6) i moti delle masse d’aria.
Negli ultimi tempi la disponibilità di satelliti meteo e l’elaborazione dei dati mediante calcolatori elettronici hanno agevolato la comprensione dei fenomeni meteo, accrescendo sensibilmente l’esattezza delle previsioni.
Oltre alla raccolta dei dati meteo in migliaia di località, altrettanto importante è la raccolta e lo studio delle serie storiche di eventi meteorologici e dei fattori che li condizionano.

Oggi si discute molto circa l’influenza esercitata sul clima locale da cause non naturali. Le osserva­zioni confermano che la costruzione sistematica di zone residenziali, di bacini d’acqua artificiali, il di­sboscamento e altri fattori artificiali, influenzano il clima locale. Per il momento, tuttavia, non si è in grado di affermare in modo certo che sulla Terra sia in atto una trasformazione climatica come risul­tato dell’azione dell’uomo sulla natura.



OSSERVARE IL CIELO
Il cielo azzurro è il risultato dell’interazione della luce solare con l’atmosfera. Senza l’atmosfera avremmo anche di giorno il cielo nero (come lo vedono gli astronauti) e vedremmo contemporanea­mente il Sole e le stelle. I raggi solari si diffondono per mezzo delle molecole di aria e delle altre parti­celle (vapore acqueo, polveri) presenti nell’atmosfera. La componente azzurra dello spettro solare si diffonde più decisamente delle altre. Le varie tonalità di azzurro dipendono dalla quantità di polveri che in­torbidano l’atmosfera.
Non sempre il cielo azzurro si accompagna a una situazione di alta pressione. L’andamento del tempo è instabile e spesso perturbato in situazioni di bassa pressione e in questa instabilità si possono avere sprazzi di azzurro intenso. All’opposto, durante situazioni di alte pressioni estive si possono avere cieli azzurri molto pallidi, indicativi della presenza di grandi quantità di polveri.
Per la pianura valgono tre regole previsionali: (1) l’azzurro molto profondo con forte visibilità indica instabilità, con possibili peggioramenti (vento e precipitazioni). (2) Azzurro chiaro indica il permanere di bel tempo. (3) Progressivo passaggio dall’azzurro chiaro al bianco e al grigio indica cambiamento.

Come è noto, per crepuscolo si intende quel breve intervallo temporale in cui il Sole rimane sotto l'orizzonte, prima del sorgere e dopo il tramonto. Si considerano tre diversi crepuscoli: (1) Civile, (2) Nautico, (3) Astronomico. Qui accanto sono indicate le caratteristiche di ciascuno.



FENOMENI LUMINOSI DELL'ATMOSFERA
A partire dalla latitudine di circa 50º si ha il cosiddetto Sole di mezzanotte, dovuto al fatto che il Sole non scende mai ad altezza negativa inferiore a -18º.
Allorchè il cielo è sereno, le colorazioni crepuscolari appaiono nette e inalterate. La variazioni croma­tiche indicano un arricchimento dell’atmosfera di particelle di polvere e vapore acqueo. Se il colore volge al giallo o al bianco, è da prevedere una graduale diminuzione della visibilità. Se oltre alla ten­denza al giallo ci sono anche nuvole basse, è prevedibile un peggioramento. Il rosso di sera che pro­mette il bel tempo è attendibile se a cielo sereno.

La zona di massima frequenza delle aurore boreali si localizza in Nordeuropa, più o meno lungo la linea del Circolo Polare Artico (in Italia se ne ha una media di una ogni dieci anni, l’ultima osservata in Italia). Sono fenomeni luminosi dell’alta atmosfera, nella Ionosfera, tra i 100 e i 400 km. E’ stato accertato che la frequenza periodica delle aurore boreali (11 anni) è connessa con la frequenza del fenomeno delle macchie solari. Elettroni e protoni provenienti dal Sole, incontrando l’atmosfera terrestre, atti­vano l’azoto e l’ossigeno producendo fenomeni luminosi. All’ingresso nell’atmosfera, le particelle solari subiscono un’accelerazione arrivando a velocità dell’ordine di 1500 Km/sec. Il campo magne­tico terrestre favorisce la profondità della penetrazione nelle regioni polari e contrasta la penetrazione alle latitudini minori. Questi processi di ionizzazione causano, tra l’altro, notevoli disturbi nella rice­zione radio nel campo delle onde corte.

Gli aloni sono fenomeni di striscie o archi che si manifestano in prossimità di Sole e Luna. Talvolta compaiono dei veri e propri cerchi. Di norma questi anelli presentano nella parte interna una pallida colorazione tendente al rosso.
Gli aloni devono la loro origine alla rifrazione e alla riflessione della luce attraverso i cristalli di ghiac­cio sospesi facenti parte della famiglia dei cirri. Gli aloni sono sempre indizio di un peggioramento del tempo.

Le corone si presentano attorno a Sole e Luna, come una zona circolare bianca o gialla, occasional­mente circondata a sua volta da una fascia rosso-violacea. Confonderla con un alone è impossibile perché il disco della corona è molto più piccolo. Mentre l’alone si forma per effetto della rifrazione e riflessione solare attraverso cristalli di ghiaccio a livelli atmosferici alti, la corona ha origine dalla dif­frazione della luce solare o lunare attraverso goccioline d’acqua di strati nuvolosi medi o bassi. Mentre l’alone indica spesso l’avvicinarsi di cattivo tempo perché indica la presenza di cirrostrati, avanguardia di un sistema perturbato, la corona non ha invece significato alcuno a questo proposito. Potrebbe essere un indizio di pioggia imminente.

L ’ arcobaleno è un arco luminoso dai colori iridescenti, di 42 gradi circa di raggio, visibile allorchè il Sole, alle spalle dell’osservatore, illumina una nuvola con pioggia che si trova davanti all’osservatore. Il violetto è dalla parte concava, il rosso è dalla parte convessa dell’arco. Spesso si può scorgere un secondo arco, detto appunto secondario, dell’ampiezza di circa 51 gradi, che ha il violetto all’esterno e il rosso all’interno. L’arcobaleno può essere visto come un cerchio completo soltanto dall’alto, magari da un aereo.
Quanto più grandi sono le gocce d’acqua, tanto più variopinto è l’arcobaleno. Gli arcobaleni più belli si producono quindi con scrosci di pioggia impetuosi, come quelli dei temporali. Di mattina l’arcobaleno è a occidente e di sera a oriente. Nel primo caso se ne può dedurre l’arrivo di piovaschi da occidente senza possibilità di un miglioramento del tempo a breve scadenza. Nel se­condo caso l’arcobaleno indica la presenza di nubi piovose a oriente, che spesso si allontanano. Quindi, l’arcobaleno è annunciatore di prossimo tempo buono soltanto quando appare al mattino a est.

All’approssimarsi del novilunio, quando la Luna si presenta come falce sottilissima, il resto del disco lunare appare debolmente illuminato. E’ il fenomeno detto della luce cinerea. Questo perché la parte in ombra è debolmente illuminata dalla luce riflessa dalla Terra (in prossimità del novilunio, dalla Luna sarebbe visibile una fase di “Terra piena”, cioè totalmente illuminata). Influenze dirette della Luna sull’andamento del tempo non ve ne sono. Altra cosa sono invece i feno­meni ottici prodotti dalla luce lunare.

ARIA, TEMPERATURA E VAPORE ACQUEO
L’aria contiene sempre vapore acqueo (goccioline d’acqua composte di molecole molto distanziate tra loro rispetto alle molecole componenti le ordinarie gocce d’acqua). E’ cioè “acqua allo stato gas­soso”. Più l’aria è calda e più vapore acqueo può contenere. Ordinariamente si parla di umidità. Vi­ceversa, il raffreddamento diminuisce la capacità dell'aria di contenere vapore acqueo.
Ad ogni metro cubo di aria a temperature diverse si hanno i contenuti massimi di vapore acqueo indicati nella tabella a fianco.

Conoscere semplicemente la quantità in grammi di vapore acqueo contenuta per metro cubo di aria (detta umidità assoluta) non è quindi una indicazione sufficientemente chiarificatrice del suo grado effettivo di umidità. E’ meglio conoscere il rapporto espresso in percentuale, tra l’umidità assoluta di una massa d’aria a una certa temperatura e l’umidità assoluta massima che quella temperatura può consentire. Ad esempio, per aria che si trovi alla temperatura di 20º C e che contenga 10 grammi di va­pore acqueo per metro cubo, l’umidità relativa è 10•100/17.3 = 60 cioè del 60 %. Se il metro cubo di aria pur mantenendo i 10 grammi di vapore acqueo subisce un raffreddamento, portandosi alla temperatura di 10º C, siccome a quella temperatura l’umidità di saturazione è di 9,4 grammi, la differenza per metro cubo (10 - 9,4 = 0,6 grammi) si deposita al suolo sotto forma di ru­giada (di brina se il raffreddamento si spinge fino a sotto zero). La temperatura alla quale una data massa d’aria (con una data umidità assoluta) deve essere raffreddata per aversi la formazione di ru­giada è il cosiddetto punto di rugiada (dew point).
L’aria riscaldata tendendo a mantenere la propria quantità intrinseca di vapore acqueo fa sì che la sua umidità relativa diminuisca sempre più (diventa sempre più secca), a mano a mano che si riscalda. Il contrario avviene per aria che subisce raffreddamento: la sua umidità relativa aumenta fino al limite di condensazione (sotto forma di nebbia o di nuvole) oppure fino al limite di sublimazione, sotto forma di cristalli di neve o di ghiaccio.
La formazione di nubi è tanto più facile quanto più alto è il valore di umidità relativa.



L'INVERSIONE TERMICA
Un fenomeno che ha a che fare con la distribuzione verticale della temperatura è quello dell’inversione termica. Si presenta come uno strato di foschia nettamente delimitato orizzontal­mente in alto. Si ha l’impressione che il fumo delle ciminiere non salga ma si prolunghi solo orizzon­talmente. Condizioni di cielo sereno e di alta pressione, specialmente nella fase autunnale-primo inverno, favori­scono l’irradiazione notturna. L’aria fredda a contatto del suolo si raffredda fortemente, mentre al di sopra si ha aria più calda. Nell’aria fredda si ha spesso nebbia. La distribuzione di temperatura è la seguente: aumento di temperatura dal suolo fino al limite tra aria fredda e aria calda. Abbassamento di temperatura al di sopra del limite. Lo strato di inversione funge da sbarramento e impedisce tanto l’ascesa di aria calda proveniente dal basso, quanto quella di fumi e gas di scarico. Caratteristica principale dell’inversione termica è dunque l’impedimento a una circolazione verticale dell’aria.

L’inversione si forma in genere in condizioni di alta pressione autunnale e invernale. In Valpadana essa insorge anche in situazioni di depressione, se, di notte, il cielo si rasserena e il vento è assente. La tendenza del fumo a mantenersi orizzontale è indice di un andamento termico invertito. In monta­gna c’è allora Sole e fa caldo, mentre nelle vallate e pianure permangono nebbie, foschie e fa freddo. Nelle tre figure che seguono è illustrato il meccanismo dell'inversione termica con conseguente nebbia per radiazione.

Qui si vede come, durante la notte, il forte raffreddamento del suolo provoca un eccessivo raffreddamento degli strati bassi di troposfera. Il precedente equilibrio (temperatura decrescente uniformemente con l'altezza) viene alterato: prima dell'alba si instaura l'inversione termica.

Al mattino la nebbia di radiazione è presente. Se i raggi del Sole non acquisiscono forza sufficiente durante la giornata, la nebbia rimane.

Qui si vede ristabilita la condizione di equilibrio normale: temperatura che decresce uniformemente con l'altezza, per cui la nebbia non ha ragione di esistere.



NEBBIA E FOSCHIA
Per convenzione internazionale, con visibilità inferiore al chilometro si parla di nebbia, altrimenti di fo­schia. Si suole distinguere poi tra caligine e foschia propriamente detta. La prima è costituita da una mescolanza di polvere, fumo, sabbia e impurità negli strati inferiori dell’atmosfera. La foschia è invece data dalla presenza nell’aria di minuscole goccioline d’acqua in numero limitato. Se il numero aumenta si ha la nebbia. Perché il numero di goccioline aumenti, è in genere sufficiente un leggero raffreddamento.
Fino a quando l’umidità dell’aria è scarsa, la caligine prevale sulla foschia. Invece, una pro­gressiva scarsa visibilità per afflusso di aria marittima, perciò molto umida, può indicare un prossimo mutamento del tempo, foriero, in genere, di precipitazioni.
Un indizio di prossima formazione di nebbia è una densa foschia alla sera.
A stretto rigore fisico, la nebbia è una nube che si sviluppi in prossimità del suolo. Determinante per la sua formazione è il contatto di aria calda e umida con il suolo freddo (nebbia da irraggiamento), oppure il contatto di aria calda e umida superiore, con aria più fredda inferiore (nebbia d’avvezione).

Le grandi nebbie della Valpadana sono tipiche nebbie di irraggiamento. Si mantengono a lungo, tal­volta per diversi giorni, se con calma atmosferica ed in assenza di inversione termica. Le nebbie d’irraggiamento sono legate ad assenza di venti ed al sereno (situazione di alta pressione). Le nebbie di avvezione (caratteristiche delle zone costiere) si hanno con cielo coperto e con presenza di vento che le trasporta, specialmente durante l’inverno.



NUBI
Le nubi alte si dividono in : cirri, cirro-strati e cirro-cumuli.



I cirri incominciano a manifestarsi a oltre seimila metri. Dove si manifestano, la temperatura è inferiore ai 40º C. Essi sono la spia di un fronte caldo in avvicinamento, suscettibile di portare precipitazioni prolungate. Quando compaiono in un cielo terso, e si avvicinano velocemente provenendo da qua­dranti occidentali, sono seguiti da cirro-strati e alto strati. In questo caso l’approssimarsi di una per­turbazione è considerato sicuro.
Se invece rimangono isolati, può significare che ci troviamo ai margini estremi di un sistema nuvo­loso, e in questo caso è probabile che la pioggia non sia in arrivo.


Le nubi medie comprendono gli alto-strati e gli alto-cumuli. Si possono scorgere nella loro più completa espressione nella stagione invernale, sull’Italia settentrio­nale, all’avvicinarsi di aria calda, in una zona ancora occupata da aria fredda in superficie. Gli alto-strati appaiono inizialmente come un velo sottile che lascia trasparire il Sole. In questa fase, possono essere confusi con i cirro-strati, ma contrariamente a questi ultimi, vi è assente il fenomeno dell’alone. Ben presto però la stratificazione si fa più densa e compatta.



Gli alto-cumuli possono apparire da soli o anche coesistere assieme agli alto-strati.
Le nubi medie si presentano a quote da 2.000 a 6.000 metri. Sono costituiti sia di goccioline d’acqua che di cristalli di ghiaccio. Possono dar luogo a brevi precipitazioni.
Soprattutto nella stagione invernale sono frequenti le giornate con cielo completamente coperto da nuvole grigie e basse, caratterizzate da pochi e sbiaditi contorni. Talvolta si hanno prolungate preci­pitazioni a ritmi costanti e uggioso. In altre circostanze la parte inferiore dello strato nuvoloso sfiora le colline e si muove rapidamente sospinta dal vento. Pur facendo parte delle nubi basse, gli strato-cu­muli, gli strati e i nembostrati hanno genesi e caratteristiche differenti.

Le nubi basse comprendono gli strato-cumuli, gli strati e i nembo-strati. Hanno quote sempre inferiori ai 2.500 metri e sono costituite di goccioline d’acqua.



NUBI A SVILUPPO VERTICALE
Questa è una categoria di nubi del tutto particolare, perchè la loro genesi ed evoluzione sono legate a processi convettivi, cioè a movimenti dell'aria secondo una direttrice verticale. Si tratta essenzialmente di cumuli e di cumulo-nembi.
In primavera ed estate notiamo spesso la formazione di cumuli che svaniscono spesso con la stessa rapidità con cui sono nati. (cumuli di bel tempo). All'opposto delle nubi stratificate, i cumuli hanno sviluppo verticale. Si formano grazie alla rapida ascesa di aria calda e sono anche definiti nubi termiche.



Le correnti ascendenti portano queste nubi temporalesche anche a diecimila metri d'altezza. Nelle parti superiori essi assumono forma tipicamente tondeggiante e tendono al bianco (scarsità di umidità), mentre nelle parti inferiori tendono ad appiattirsi e tendono al grigio (abbondanza di umidità): la loro base piatta segna il livello di condensazione.
Spesso le formazioni cumuliformi del mattino, in seguito all'arrivo di aria fredda si trasformano in cumulo-nembi che segnano l'arrivo di un temporale e sono spesso la manifestazione di un temporale in arrivo.

LA PIOGGIA
Osserviamo piogge di diversa intensità e gocce di differenti grandezze. Si comincia da quella molto fine, di solito associata alla nebbia. Poi c’è la pioviggine o acquerugiola. La pioggia persistente deriva da nubi stratificate. Nei temporali si hanno scrosci di pioggia violenti: in tal caso le gocce sono grosse e precipitano con forza.
E’ importante per il formarsi delle precipitazioni che le gocce d’acqua o i cristalli di ghiaccio cre­scano. Essi possono infatti cadere fino al suolo soltanto se sono sufficientemente grandi e pesanti, altrimenti evaporano prima di giungere alla superficie terrestre.
Quando aria calda affluisce sopra uno strato di aria fredda, immobile, la prima sale. Si formano allora nubi stratificate e piogge continue e uniformi. Ciò avviene, ad esempio, allorchè aria marina umida af­fluisce da sudest o sudovest, soprattutto nei mesi invernali, associata a perturbazioni di tipofronte caldo (situazione atmosferica occidentale).



Quando invece si ha irruzione di aria fredda, si hanno annuvolamenti verticali (cumuli) con scrosci di pioggia. Tale irruzione può provenire sia da occidente che da settentrione, associata a per­turbazioni di tipo fronte freddo (situazione atmosferica settentrionale). I temporali di calore estivi e quelli frontali portano con sé forti cadute di pioggia.
In parecchie regioni l’orografia determina una ascesa dell’aria sopravvento alle montagne, con conse­guenti precipitazioni prolungate (situazione di stau). Lungo il versante sottovento si ha di solito tempo buono e secco (situazione di fohn). Lungo la penisola, con situazione occidentale, piove in genere sul versante tirrenico. Quando invece i venti soffiano dai Balcani, le precipitazioni interessano il versante adriatico.


NEVE
La neve è una forma di precipitazione caratteristica dell’inverno, allorchè la temperatura si avvicina a zero gradi. A temperature molto più rigide di zero gradi le precipitazioni nevose scompaiono del tutto.
La neve si forma per il congelamento di gocce d’acqua a temperature comprese tra - 12º a -16º C. Si formano inizialmente cristalli di neve di diverse forme. Intorno allo zero centigrado i cristalli di neve si uniscono tra loro dando luogo al fiocco di neve. Le nevicate abbondanti avvengono intorno allo zero, perché a temperature inferiori l’umidità è scarsa. Ciò spiega anche perché le nevicate abbondanti avvengono alle medie latitudini e non nelle regioni polari.
Se alla superficie terrestre la temperatura raggiunge la soglia degli zero gradi, la precipitazione, altri­menti a carattere piovoso, avviene sotto forma di neve. Per questa ragione, l’andamento del tempo in caso di neve è del tutto analogo a quello che si ha in caso di pioggia. Da notare il fatto che le nevicate più abbondanti avvengono durante l’ascesa di aria calda (fronte ascendente).
Quando il freddo è molto intenso, a partire dai -5º fino ai -10º centigradi circa, le nevicate sono molto rare e poco abbondanti in Valpadana e sulle grandi pianure dell’Europa centro settentrionale.



TEMPORALI
I temporali sono provocati dalla rapida ascesa di aria caldo-umida a quote più elevate (temporali di calore) o dall’incontro violento di aria caldo-umida preesistente con un fronte di aria fredda (tempo­rali frontali). In ogni caso, si hanno forti correnti ascendenti che arrivano fino a 10.000 metri. Il raf­freddamento dell’aria provoca condensazione. Giacchè le nubi temporalesche presentano temperature sotto zero, le precipitazioni in esse contenute hanno forma di cristalli di ghiaccio o di gocce sopraf­fuse.

I temporali di calore sono fenomeni circoscritti, prodotti da un’intensa radiazione solare. Si formano soprattutto sulle pendici dei monti e fanno parte del tipico tempo primaverile ed estivo. I temporali frontali si producono quando un fronte freddo in movimento incontra una massa d’aria calda (riscal­data nei giorni precedenti e quindi caricatasi di umidità). Il fronte temporalesco giunge ad una esten­sione di alcune centinaia di chilometri attraverso l’Europa e si sposta in genere da ovest a est. Sulle coste i temporali frontali sono più frequenti che all’interno e non si limitano all’estate.



IL VENTO
I venti hanno spesso una origine locale. Ad esempio, nelle zone montane, la brezza di valle soffia durante il dì dalla valle verso il monte, e la brezza di monte soffia di notte in senso contrario. Sulle coste, la brezza di mare soffia durante il dì, dal mare verso la costa, mentre la brezza di terra sof­fia di notte in senso contrario.
Altro vento di tipo locale è quello di alcune particolari vallate, come il föhn (discendente).
La causa fondamentale che interviene nella formazione del vento è la differenza di pressione (gradiente barico), ma concorrono a determinare i venti altre forze, di cui le più importanti sono:
  • la rotazione della Terra
  • l’incurvamento delle traiettorie delle correnti d’aria
  • le forze di attrito che si sviluppano alla superficie terrestre
Se a quote diverse le nubi si vedono correre in direzioni diverse, essendo ciò indicativo di venti di­verse, se ne può trarre un’auspicio di prossimo peggioramento del tempo.

La brezza di mare che si sviluppa nel primo pomeriggio è data dalla più fresca aria di mare che si spinge sotto l’aria di terra che ha subito un riscaldamento. Qualcosa di simile avviene in montagna: nella tarda mattinata, in caso di bel tempo, verso il monte soffia la cosiddetta brezza di valle : l’aria sovrastante una vallata avendo subito un riscaldamento, sale verso il monte.
Nel corso della notte si alza un vento contrario: la brezza di terra si stabilisce da terra verso il mare perché durante la notte la terra si è raffreddata più intensamente che il mare. Si ha anche la brezza di monte perché nel corso della notte i pendii tendono a raffreddarsi più intensamente del fondovalle per cui l’aria fredda, dopo il tramonto, tende a precipitare a valle. Queste brezze si presentano prati­camente solo nei giorni estivi sereni, quando non c’è pericolo di ulteriori anomalie. Sono dette anche venti di bel tempo.



IL FÖHN
Il föhn è un vento secco, irregolare, a raffiche spesso impetuose, che scende dalle vallate. Al suo ap­parire la temperatura registra un sensibile aumento, e l’aria diviene limpida Soffia prevalentemente d’inverno e in primavera, in particolare lungo le vallate alpine dell’Italia setten­trionale, e anche in piena Valpadana, da nord verso sud. A Milano, magari dopo giornate di nebbia, il föhn arriva improvvisamente e la trasparenza è tale da permettere di vedere le Alpi. La frequenza del fenomeno è scarsa: l’alta Lombardia e il Piemonte lo registrano una decina di giornate all’anno. Alla confluenza delle vallate alpine con la pianura padana può superare i 100 km orari.
Sull’Italia settentrionale il föhn compare quando la differenza di pressione atmosferica tra il nord e il sud delle Alpi è elevata. Di solito, a sud della catena alpina vi è una depressione in moto verso l’Adriatico, mentre su Svizzera e Baviera vi è un promontorio di alta pressione in moto verso sud.

Il föhn talvolta è presente anche a nord delle Alpi. In questo caso soffia da sud ed è particolarmente caldo. E naturalmente, la distribuzione della pressione atmosferica è l’esatto contrario della prece­dente.
Premesso che per la genesi di questo tipo di vento sono necessarie le alte montagne, venti discendenti di questo tipo si hanno anche sui due versanti dell’Appennino. Quando il libeccio investe la costa tir­renica dell’Italia centrale, la sponda adriatica diventa spesso sede di un vento di caduta di tipo föhn.
Vediamo in concreto cosa succede. I monti costringono l’aria che li investe a salire fino alla cresta, da cui essa scende a valle sull’altro versante. Nella salita si ha un raffreddamento adiabatico in media di un grado ogni 100 metri. Nell’aria in ascesa c’è vapore acqueo che si condensa, generando nuvole e precipitazioni. Ma la condensazione libera anche calore (calore latente di condensazione) che ri­scalda l’aria. Il raffreddamento adiabatico viene quindi frenato, ridotto, a, diciamo mezzo grado ogni 100 metri, anziché un grado intero. Dopo aver superato la cima, le nubi si dissolvono rapidamente perché l’aria che fluisce a valle si riscalda di un grado ogni 100 metri. Calcoliamo cosa succede per una salita di aria fino alla quota di 3.000 metri:

Raffreddamento adiabatico di 1º C ogni 100 metri fino a quota 1500 m ____________ - 15º C
Dai 1550 m in su, raffredd. adiabatico di 0.5º ogni 100 m, fino a 3000 m ___________ - 7º,5 C
Riscaldamento adiabatico in discesa di 1º C ogni 100 m _____________ ___________ + 30º C
Eccedenza termica _____________________________________________________ +7º,5 C

Notare che qui le caratteristiche intrinseche delle masse d’aria non svolgono alcun ruolo. Il föhn non può essere definito un vento caldo. Il calore con cui si manifesta deriva semplicemente dal processo descritto.



LE CORRENTI D'ALTA QUOTA
Le masse d’aria calda e fredda si scontrano anche a sei, dieci chilometri d’altezza. A tali quote, le dif­ferenze di temperatura e pressione sono più nette di quelle che si hanno tra masse in prossimità della superficie. Di conseguenza si hanno situazioni frontali molto più intense (al di sopra di settemila metri si sono misurati venti da 300 a 500 km/h). Questi venti in quota sono detti jet streams e sono tanto importanti che la navigazione aerea ne tiene conto.

In Europa la importante via dei venti d’alta quota è quella lungo la linea Irlanda - Inghilterra - Germa­nia settentrionale - Polonia. Un importante ramo di correnti d’alta quota interessa anche il Mediterra­neo nel semestre invernale.
Le correnti d’alta quota si manifestano con il mutamento di forma e di direzione dei cirri e dei cirro-strati. Mentre i cirri corrono prevalentemente da ovest verso est, le nuvole più basse vanno talvolta in senso contrario . Nel luogo di osservazione si prevedono in genere condizioni di tempo cattivo quando i cirri intersecano da sinistra a destra il senso di marcia delle nubi basse. L’osservatore si pone in tal caso con il vento al suolo alle spalle. Se egli constata che i cirri intersecano le nubi basse da destra a sinistra, ciò indica che un’area di bassa pressione è in allontanamento, e quindi che il tempo è in miglioramento. Una terza possibilità si ha quando corrente al suolo e corrente in quota hanno la stessa direzione. Allora non si prevedono cambiamenti nel tempo.

AREE DI ALTA PRESSIONE
Cielo azzurro, cumuli isolati che si dissolvono rapidamente. Nessun movimento di vento o venti leg­geri e regolari brezze di mare e di valle: ecco la tipica situazione di bel tempo caratteristico dell'alta pressione. Se questa si­tuazione dura più giorni, si ha anche un crescente riscaldamento.
D’inverno un’area di alta pressione causa una bassa temperatura nelle zone di pianura e clima relati­vamente mite in montagna. In luogo di cielo azzurro, in Valpadana si hanno foschie dense e nebbie con una spiccata inversione termica.
La massa d’aria ad alta pressione si abbassa e contemporaneamente si riscalda per compressione, e ciò fa dissolvere le nubi perché diminuisce la percentuale di umidità.
Nelle zone subtropicali si hanno le aree di alta pressione più stabili (notissima quella delle Azzorre).
Oltre che grandi aree di alta pressione vi sono anche cunei o promontori di alta pressione tra aree di bassa pressione successive.

Situazioni meteo che favoriscono il formarsi di aree di alta pressione si verificano spesso soprattutto nella stagione invernale (1) sulla penisola scandinava e (2) sull’Europa orientale.



AREE DI BASSA PRESSIONE
Cirri isolati nel cielo, seguiti da una apparizione di altostrati e cirrostrati, caratterizzano un cambia­mento del tempo. Il giorno seguente l’annuvolamento si ispessisce fino a quando non cadono le prime gocce di pioggia. Il progressivo annuvolamento è accompagnato da (1) una diminuzione di pressione e da un salto di vento orario (in genere da sud-ovest a nord-ovest per le nostre regioni). Questo processo può protrarsi per uno o due giorni.
Il fronte polare è il confine che separa le masse di aria calda subtropicale dirette verso est, dalle masse di aria artica dirette verso ovest. Questo confine non è affatto rettilineo. Lungo il fronte polare si hanno delle ondulazioni e delle spinte di aria fredda che si incunea sotto quella calda. Queste ondulazioni scorrono verso est e danno origine a zone di bassa pressione dette anche cicloni extratropicali.
Queste aree di bassa pressione hanno estensione iniziale di un paio di centinaia di chilometri, ma entro due o tre giorni raggiungono diametri da 1000 a 4000 chilometri.
L’evoluzione tipica è la seguente:
  • Presenza di aria fredda, di origine nordorientale.
  • Venti di sud ovest fanno scorrere aria calda al di sopra dell' aria fredda, dando origine a un fronte caldo (avente in genere orientamento iniziale nordovest - sudest).
  • Irruzione di aria fredda da ovest o nordovest, che va ad incunearsi al di sotto del settore di aria calda, dando origine al fronte freddo (avente in genere orientamento iniziale nordest - sudovest)
  • Il settore caldo si rimpicciolisce sempre più, dato che il fronte freddo avanza verso est più velocemente di quello caldo
  • Incontro del fronte freddo con quello caldo, che dà origine alla fase detta di occlusione (op­pure anche di fronte occluso). Il ciclone si colma progressivamente.
In realtà, l’evoluzione meteorologica non si compie quasi mai nel modo descritto, puramente ideale. Certi ostacoli, come ad esempio le montagne, alterano il processo. Anche la terraferma e il mare eser­citano delle alterazioni. In Europa le depressioni presentano percorsi preferenziali, oppure zone ove esse nascono e si sviluppano con maggior frequenza. Tipica a tale proposito l’area di bassa pres­sione del Golfo di Genova, che determina sempre un accentuato maltempo e forti venti sulla penisola.



I FRONTI ATMOSFERICI
Il fronte caldo (aria calda che scivola sopra aria fredda relativamente immobile, fronte ascendente) tende a manifestarsi con cirri radi da sud ovest, e l’approssimarsi del fronte caldo avviene in ma­niera tranquilla, progressiva. L’annuvolamento assume una forma stratificata e, quasi senza aumento di intensità del vento, incomincia una debole precipitazione che diviene sempre più continua. Il baromentro indica una caduta di pressione.

Il fronte freddo (aria fredda che si incunea sotto aria calda relativamente immobile, fronte di irru­zione) si annuncia invece con alto cumuli anche imponenti da ovest e nord ovest. Il vento si manife­sta con una certa intensità e arriva subito il maltempo, con nubi stratificate oscure e abbassamento di temperatura.

Il fronte freddo, legato a una zona di bassa pressione, riconoscibile dall’allineamento ammassato di nubi cumuliformi, porta vento, rovesci di pioggia e temporali. L’osservatore investito da un fronte freddo proveniente da ovest, assiste a precipitazioni violente, diminuzione di temperatura e vento a raffiche. Ma il fronte freddo si muove velocemente. Dopo il suo passaggio torna il sereno, la visibilità migliora, la pressione aumenta e il vento gira a nord ovest.
In un’area di bassa pressione che si sposta verso est, come nelle nostre zone, nella zona anteriore si hanno venti meridionali (da SE a SW in senso orario), mentre in quella posteriore si hanno venti settentrionali (da NE a NW in senso antiorario). Dopo il passaggio del fronte freddo, con la diminuzione delle correnti d’aria si ha una disso­luzione transitoria delle nubi che porta a un miglioramento effimero delle condizioni atmosferiche. Dopo un breve intervallo si formano nubi cumuliformi imponenti: il Sole riscalda lo strato di aria fredda in prossimità del suolo, molto ricco di vapore acqueo in conseguenza delle precipitazioni av­venute. Questa aria calda e umida sale e si condensa in cumulonembi. Il progressivo raffreddamento porta a nuove precipitazioni. Può accadere che dietro al fronte la pressione non aumenti e che addi­rittura il vortice si approfondisca. In casi di elevata velocità del vento viene apportata aria molto fredda. Si hanno venti impetuosi e rovesci di pioggia molto forti.

Il fronte freddo è un elemento tipico delle depressioni allo stadio iniziale. Esso può essere esteso an­che per un migliaio di chilometri attraverso l’Europa e si sposta preferibilmente da ovest a est. Le Alpi costituiscono un forte ostacolo per le masse d’aria che accompagnano il fronte. I venti di NW e N dietro al fronte spingono e avvicinano le nubi al versante alpino settentrionale. Costrette a salire, si raf­freddano ulteriormente. Si hanno così quelle che i Tedeschi chiamano piogge da stau. Ricordare che in una zona di bassa pressione, in luogo di un unico fronte freddo, possono apparire più fronti freddi scaglionati, uno dietro l’altro.
Vale la regola secondo cui il tempo sarà tanto più instabile quanto più rapidamente interviene la dis­soluzione delle nuvole dopo il passaggio del fronte freddo. Indizi di un miglioramento del tempo si hanno solo quando l’aumento della pressione atmosferica è prolungato e il vento gira a nord e a nordest.