Astronomia del Medioevo europeo






Agli inizi del Medioevo l'astronomia greca era praticamente sconosciuta in Europa. Non esisteva in Europa una cultura astronomica tale da richiedere una diffusione dell ' Almagesto. La Storia Naturale di Plinio era un testo enciclopedico di carattere scientifico, con le imprecisioni che ci si poteva attendere da un dilettante, per quanto profondamente dedito alla cultura. Le (imprecise) cognizioni astronomiche in esso contenute risalgono al primo secolo a.C.



Non si può sottacere l'ostilità manifestata dal cristianesimo trionfante nei confronti della cultura pagana, ostilità sfociata anche in feroci persecuzioni. Ad Alessandria, nel 389 venne incendiata la Biblioteca da una folla inferocita forse aizzata dal patriarca Teofilo. Nel 415, nella stessa Alessandria, ancora una moltitudine di fanatici cristiani (forse egualmente aizzati dal patriarca Cirillo), trucidò la giovane Ipazia, figlia di Teone Alessandrino, sublime figura di martire pagana, unicamente colpevole di essere stata insigne cultrice di filosofia neoplatonica, di matematica, di astronomia. Ad Atene, nel 529, la scuola neoplatonica fu soppressa dall'imperatore Giustiniano. Simplicio e altri dovettero riugiarsi in Persia.

Con questa attitudine di ripulsa e vero e proprio odio verso la cultura antica, era inevitabile che le più importanti conquiste del passato venissero disprezzate e ripudiate, semplicemente perchè frutto della cultura pagana. Si giunse perfino a negare l'idea della rotondità della Terra. Alcuni Padri della Chiesa e autori cristiani si distinsero in quest'opera repressiva. Ad esempio, S. Agostino negò l'esistenza degli antipodi. E specularmente alla reiezione delle idee classiche, era inevitabile che se ne manifestassero di strampalate, volte spesso a soddisfare esigenze pseudo-teologiche. Basilio il Grande e ancora S. Agostino accettarono l'idea, comune tra i Padri della Chiesa, della esistenza, affermata nella Genesi, delle "acque superiori", situate al di sopra del firmamento, e svolgenti l'ufficio di mantenere fresco il mondo. Secondo Cosma (VI secolo) l'universo era fatto a immagine del Tabernacolo che Mosé aveva costruito nel deserto. Nelle note che seguono quindi, ci limiteremo a dare qualche notizia soltanto sui pochi che si distinsero per un minimo di contributo positivo.



MARCIANO CAPELLA
Marciano Capella (ca. 365 - 440), autore latino originario di Cartagine, scrisse un'opera allegorica intitolata Il matrimonio di Filologia e Mercurio, alla quale associò sette libri dedicati alle sette arti liberali. Il libro VIII tratta di astronomia, ma di argomenti secondari e con scarsa precisione. Nella sua trattazione dei pianeti, dà un elemento interessante: pone i pianeti inferiori in circolazione attorno al Sole, secondo la concezione che assomiglia a quella attribuita ad Eraclide Pontico. Questa particolarità di considerare Mercurio Venere orbitanti attorno al Sole percorrerà tutto il Medioevo, riaffiorando qua là, pervenendo infine a Copernico. L'illustrazione che segue, Fig. , del XIII secolo è un esempio di quanto detto.



E' evidente la imperfezione della rappresentazione nel non aver posto gli epicicli di Marte, Giove e Saturno opportunamente distanziati in modo da non interferire tra loro. Un'altra imperfezione (questa non si sa se apparente o voluta) si ha nell'aver posto il centro dell'orbita solare eccentrica alla Terra.



SEVERINO BOEZIO
Ricordiamo la grande figura di Severino Boezio (ca. 480 - 525). Eminente uomo politico durante il regno del re goto Teodorico. Sulle orme di Quinto Aurelio Simmaco (nella casa del quale era stato allevato dopo essere rimasto orfano, e la figlia del quale, Rusticiana, aveva sposato) si dedicò al compito di tradurre in latino il maggior numero possibile di opere di Aristotele, Platone e altri classici (ancora più encomiabile questo suo proposito se si considera che proveniva da una famiglia cristiana). Sfortunatamente, non ci sono pervenute le sue opere di argomento astronomico (ma si sa che, per incarico di Teodorico, aveva sovrainteso alla costruzione di un orologio ad acqua che Teodorico aveva deciso di donare ad un re barbaro). La sua grandezza, come è noto, assunse la connotazione tragica della condanna a morte che dovette subire per essersi levato contro l'ingiustizia del suo sovrano.

Per la sua eminente statura culturale e morale Teodorico lo aveva nominato magister officiorum (una carica traducibile in capo dei servizi di corte).
Teodorico, che regnava sull'Italia dal 494, si era sostanzialmente affrancato da ogni interferenza da Costantinopoli. Boezio aveva dispiegato le proprie capacità diplomatiche per migliorare le relazioni tra il papa e l'imperatore di Costantinopoli e questa può essere stata la causa scatenante della perdita di favore presso il re. Giustino di Costantinopoli era cristiano ortodosso mentre Teodorico era ariano. Quando il senatore Albino venne accusato di tradimento per aver scritto una lettera all'imperatore, Boezio nella sua qualità di capo dei senatori si levò in sua difesa, e di ciò approfittarono i suoi nemici e il re per accusarlo di tradimento.
Come è noto, durante il periodo di incarcerazione, in attesa dell'esecuzione, ebbe modo di scrivere il De consolazione philosophiae, che è considerata una delle opere letterarie che maggiormente esercitarono influenza nei secoli successivi.



MACROBIO
Accenniamo all'opera di Macrobio, anche lui probabilmente originario del Nordafrica e che visse a cavallo dei secoli IV e V. Appartenente alla cerchia di Simmaco, fu tra gli ultimi rappresentanti della cultura pagana e sicuramente uno dei suoi strenui difensori. Fu autore di un commentario all'ultima parte del De re publica, di Cicerone, il Somnium Scipionis. Nel commentario Macrobio incluse una descrizione sommaria del sistema tolemaico. In particolare, si ha un passo in cui Macrobio fa rialire agli Egizi la nozione della circolazione di Mercurio e Venere attorno al Sole. Questa erronea interpretazione, ripresa in seguito da altri autori europei, diede origine alla denominazione di "sistema egizio" per quel sistema di moti eliocentrici, che sappiamo invece essere stati originalmente concepiti da Eraclide Pontico.



CALCIDIO
Filosofo greco dei secoli IV e V. Non si sa praticamente nulla della sua vita. Una sua opera di una certa influenza fu una traduzione, con annesso un commentario, di parte del Timeo di Platone. Calcidio vi aggiunse alcuni commenti sulle teorie epicicliche. La versione di Calcidio è stata (ed è tuttora) oggetto di studi perchè egli attribuisce la progenitura della teoria degli epicicli ad Eraclide Pontico, mentre è noto che gli storici attribuiscono ad Eraclide soltanto le circolazioni di Mercurio e Venere attorno al Sole. La sua versione del Timeo rimase grandemente favorita anche dopo che l'Europa ricevette le traduzioni di Platone dall'arabo.




GIOVANNI FILIPONO
Giovanni Filipono di Alessandria (fine del VI secolo), fu discepolo, assieme a Simplicio, del neoplatonico Ammonio. A differenza di Simplicio, si convertì al cattolicesimo. Divenuto vescovo di Alessandria, redasse un commento di Aristotele, esprimendo al contempo originali concezioni di meccanica. Tentò una prima riduzione della fisica e della cosmologia aristotelica alla teologia cristiana: ne derivò una critica sostanziale degli asserti aristotelici relativi all'eternità del cosmo. La sua critica investì anche la distinzione aristotelica tra moti naturali e moti violenti, sostituendola con la teoria dell'impetus, precorritrice del concetto di energia cinetica. Alcuni commentatori moderni hanno perfino suggerito che egli abbia concepito la nozione relativistica sulla variabilità del fluire del tempo in funzione della velocità. Nel De opificio mundi criticò l'uso eccessivo di citazioni bibliche, dimostrando con ciò indipendenza di giudizio.



SIMPLICIO
Simplicio (ca. 490 - 560), filosofo neoplatonico, nacque in Cilicia, nell'odierna Turchia meridionale. Sappiamo che studiò filosofia ad Alessandria, discepolo di Ammonio, capo della scuola di Alessandria. Ammonio, in molte sue opere, fu molto critico di Aristotele e questo dovette certamente influenzare Simplicio.
Da Alessandria Simplicio si trasferì ad Atene, divenendo discepolo di Damascio, capo della scuola neoplatonica, e direttore dell'Accademia dal 520. Nel 529 l'imperatore Giustiniano ordinò la chiusura dell'Accademia e di tutte le scuole pagane dell'impero, per cui Simplicio, Damascio ed altri cinque membri dell'Accademia trovarono rifugio in Persia, presso il re Cosroe, che era da tempo in guerra con l'imperatore. In seguito il re di Persia e l'imperatore stipularono un trattato di pace per cui a Simplicio e agli altri fu consentito di ritornare ad Atene con libertà di professare le proprie convinzioni (secondo quanto scrisse lo stesso Simplicio di questi eventi nel 565, dopo la morte di Giustiniano). Ma non è dato sapere con precisione quali siano state le effettive condizioni alle quali furono soggetti i reduci. Simplicio tuttavia, ritornato ad Atene, potè dedicarsi ai suoi studi, ma certamente non gli fu consentito di insegnare la sua dottrina.

Degli scritti di Simplicio che ci sono giunti, si pensa che il più anteriore sia il suo commentario sull ' Enchiridion di Epitteto. A questo segue il commentario sulla Fisica di Aristotele. Entrambe questi commentari sono molto importanti per la storia della matematica e dell'astronomia.
Di enorme importanza per la storia della scienza è anche il commentario al De coelo di Aristotele. Vi dà una descrizione dettagliata del sistema di sfere omocentriche di Eudosso, (naturalmente, fin dove gli è possibile, considerato che non era un astronomo) come pure delle modifiche apportate da Callippo e da Aristotele. Nei suoi commentari, Simplicio dà citazioni della Storia dell'astronomia di Eudemo, non direttamente, ma attraverso citazioni tratte da Sosigene, Gemino e Posidonio.
Simplicio scrisse anche un commentario sugli Elementi di Euclide che ci è giunto in una traduzione araba.
L'importanza di Simplicio come commentatore dei grandi classici dell'antichità è data dal suo profondo equilibrio nel non esitare a mettere in evidenza che il proprio contributo doveva molto ad altri commentatori che lo avevano preceduto, specialmente Giamblico e Porfirio. Egli applicò al proprio lavoro di ricerca l'attitudine mentale del vero scienziato che cerca in tutti i modi di fornire l'interpretazione più sicura degli scritti sottoposti ad indagine.



ISIDORO
Isidoro, vescovo di Siviglia, vissuto a cavallo tra i secoli VI e VII. La sua statura culturale ebbe un ruolo di assoluta preminenza nel prodigare i suyoi sforzi per l'evoluzione del regno dei Visigoti verso la loro romanizzazione. Perseguendo questo obiettivo, al quale dedicò la propria esistenza, Isidoro raggiunse un'erudizione impressionante relativa agli autori dei primi secoli della cristianità, e agli ultimi autori della classicità (soprattutto di quella latina). Fu autore di un'opera monumentale enciclopedica, l' Etymologia, la prima del genere di tutto l'Occidente cristiano. Rimasta incompiuta, essa venne ordinata ed edita da Braulio (590 - 650 circa), vescovo di Saragozza ed amico di Isidoro, in 20 libri in cui dà una descrizione delle antiche scienze. Questa sua opera, dal punto di vista dell'organizzazione delle conoscenze, costituisce un progresso sensibile rispetto a quella di Plinio il Vecchio. Tra le antiche idee, include quella sulla sfericità della Terra.



BEDA, IL VENERABILE
Il trattato definitivo sul problema della datazione della Pasqua fu scritto nel 725 da un monaco inglese, il Venerabile Beda (672 - 735). Il trattato aveva per titolo Della divisione del tempo. Egli aveva proposto un ciclo di 19•28 = 532 anni (ricordiamo che 19 era il numero di anni del ciclo di Metone). Con il calendario giuliano avveniva invariabilmente che un qualsiasi giorno dell'anno slittava di un giorno della settimana da un anno all'altro (adesso, con il calendario gregoriano non più). Allora, tenendo conto dell'anno bisestile, lo slittamento era sempre di cinque giorni in 4 anni. Ma allora, lo slittamento sarebbe stato anche di 5•7 = 35 giorni (5 settimane) in 4•7 = 28 anni (dopo 28 anni si ripeteva il giorno della settimana). Dal momento che il ciclo di Metone di 19 anni si adattava alla datazione della Pasqua, e un ciclo di 28 anni ripeteva il giorno della settimana, ecco che un ciclo di 19•28 anni soddisfaceva la richiesta di far cadere la Pasqua sempre di domenica. Ma la sua fama di erudito insigne è legata alla Historia ecclesiastica gentis anglorum, che spazia dallo sbarco di Giulio Cesare al 731. Vivendo in terre lambite dalle acque dell'Atlantico, con coste caratterizzate da maree molto più ampie di quelle del Mediterraneo, scoprì il meccanismo di durata delle maree, una delle rarissime scoperte scientifiche della seconda metà del primo millennio. E' considerato il maggior presentatore della cultura anglosassone dell'alto Medioevo, e uno dei maggiori eruditi.





GERBERTO DI AURILLAC
Gerberto di Aurillac (930 ca. - 1003), filosofo, teologo, umanista, scienziato, fu papa (Silvestro II) dal 945 al 1003. Dopo aver preso l'abito benedettino, fu in Spagna, dove si dice abbia frequentato perfino scuole arabe di Cordoba e di Siviglia, apprendendovi, tra l'altro, notizie sull'astrolabio e su sistemi di calcolo basati sullo zero, contribuendo a diffonderli in Europa. Grandiosa figura di studioso, fu al contempo umanista e profondo conoscitore delle scienze matematiche. Costruì di persona modelli delle sfere celesti e del globo terrestre, per l'insegnamento dell'astronomia. Alla sua opera di appassionato collezionista è dovuta gran parte della raccolta di manoscritti latini della Biblioteca Vaticana. Tra i suoi numerosi scritti, sono da ricordare un'opera di astronomia, Liber de astrolabio nella quale si ravvisano chiare influenze scientifiche arabe, e un trattato De sphaera.




ALFONSO X DI CASTIGLIA, "EL SABIO"
E' opportuno citare il re Alfonso X di Castiglia (1223 - 1284) detto "il Saggio" per l'alta illuminata opera di patronato sugli studi di astronomia che esercitò presso la sua corte, accogliendovi studiosi arabi, ebrei e cristiani. Le Tavole Alfonsine, redatte sotto la direzione degli astronomi Ishak ben Said, arabo e Yehuda ben Moshek Cohen, israelita, furono accolte con grande favore e godettero di notevole fama anche nei secoli successivi. Attrassero critiche, però, per l'artificiosità delle teorie su cui erano fondate. Si racconta che Alfonso X abbia espresso la frase: "Se Dio mi avesse fatto l'onore, creando il mondo, di chiedere il mio parere, gli avrei consigliato di farlo più semplice".



FRANCIS BACON
Ruggero Bacone (Roger Francis Bacon, 1214 - 1294), si laureò intorno al 1250 a Oxford o a Parigi. Monaco francescano di Ilchester, fu sostenitore di idee nuove che gli valsero insistenti sospetti (ampiamente fondati) di simpatia per l'astrologia e l'alchimia Nell'Opus maius commentò con grande acume le opere di Greci e Arabi. Pur ponendosi nel solco di Tolomeo nel sistema del mondo, non esitò a proporre nuove concezioni sull'estensione dell'universo. Possedeva notevoli cognizioni astronomiche e fisiche (specialmente ottiche). E' considerato un precursore dei tempi moderni.



BURIDANO
Giovanni Buridan (Jean Buridan, ca. 1300 - 1358). Fu rettore della Sorbona e professore tra i più influenti di quell'università. Fu uno dei principali esponenti della teoria dell'impetus. Aderì anche alla teoria dei piccoli moti della Terra: se il centro di gravità della Terra deve coincidere con il centro del cosmo, allora la Terra deve muoversi di continuo in quanto le modificazioni della sua figura (per esempio attraverso i materiali trasportati in mare dai fiumi) determinano un suo continuo movimento rispetto al centro del cosmo. Sulla questione della possibile rotazione della Terra intorno al proprio asse, fu meno deciso di Oresme. Ebbe alcune idee di grande interesse sul moto dei cieli: non accettava, secondo la tradizione, che i corpi celesti fossero posti in moto da intelligenze motrici, ma era convinto che fossero mossi da impetus di natura permanente, come la pesante mola di un fabbro che, una volta messa in movimento, tende a persistere per molto tempo nel suo moto. Contribuì in tal modo a introdurre una visione più naturalistica dei moti celesti.




NICOLA ORESME
Nicola Oresme (1323 - 1382) di Caen, si laureò in teologia presso l'università di Parigi intorno al 1355. Dal 1377 fu vescovo di Lisieux.Fu cultore di temi scientifici d'avanguardia e strenuo oppositore dell'astrologia. Come Buridano e altri, manifestò atteggiamenti critici nei confronti della filosofia naturale di Aristotele e fu uno dei principali esponenti della teoria dell'impetus sul moto dei proiettili. Lasciò un Tractatus de latitudinibus formarum in cui si ha, per la prima volta, il concetto di rappresetazione grafica ottenuta mediante coordinate ortogonali, anticipando di fatto, almeno nelle linee essenziali, la geometria analitica cartesiana.

La sua fama è affidata soprattutto alla sua opera di astronomia, matematica e fisica. Nel suo Livre du ciel et du monde d'Aristote sostenne la tesi, molto discussa in quegli anni dalla Scuola parigina, del moto rotatorio della Terra, suffragandola con una serie di prove ed argomenti molto simili a quelli successivamente addotti da Copernico e Galileo. Ad esempio, ha una risposta (anche se ancora inadeguata) a quelli che sostenevano che se la Terra ruotasse, tutti gli oggetti non solidali con essa (frecce lanciate, sassi scagliati verso l'alto, ecc.), sarebbero rimasti indietro, sarebbero cioè ricaduti a ovest del punto in cui erano stati lanciati. Oresme conclude dicendo che ". . . con nessuna esperienza si può dimostrare che il cielo si muova di moto diurno. . .".



LE TRADUZIONI DALL'ARABO
La traduzione in latino di testi arabi di autori greci fu un evento epocale veramente nuovo. Si potrebbe dire che in esso si ebbe una delle prime manifestazioni di formazione (naturalmente rudimentale) di una comune coscienza europea. Leggere quelle opere di quei mitici autori che erano stati lasciati nell'oblio per un millennio voleva dire ritrovare dei tesori e accampare su di essi diritti di proprietà, perchè quelle opere erano pur state il primo prodotto dell'ingegno di generazioni nostre progenitrici. Erano opere di filosofia, matematica e astronomia, sia versioni arabe di autori greci e sia di autori arabi che praticamente tornavano alla luce. Un uomo svolse in questo campo un'attività enormemente superiore a quella di qualunque altro: Gerardo da Cremona (1114 - 1187 ?). Avuta notizia che nella città spagnola di Toledo, da poco sottratta al dominio arabo, si trovavano un gran numero di opere arabe, tra le quali l ' Almagesto, del quale aveva un particolare desiderio di venire a conoscenza, e che non riusciva assolutamente a trovare in Europa, probabilmente intorno al 1144 si trasferì in quella città, vi apprese l'arabo e incominciò un lavoro di traduzione di una sterminata quantità di opere. Di Aristotele tradusse Fisica e De Caelo. Di astronomia, oltre all ' Almagesto, tradusse Dei luoghi geografici di Teodosio, Delle ascensioni di Ipsicle, Della sfera mobile di Autolico. Tradusse anche opere astronomiche arabe: Del moto dell'ottava sfera di Thabit ibn Qurra, Elementi di astronomia di al Farghani.
La prima ondata di traduzioni riguardò praticamente soltanto opere in arabo. Più tardi si incominciò a tradurre direttamente dal greco in latino. Uno dei più attivi traduttori dal greco fu William di Moereke (ca. 1215 - 1286). Egli tradusse molte opere di Archimede, di Aristotele e di altri.


In meno di una cinquatina d'anni si ebbe in Europa una invasione di opere della classicità greca. L'autore che attrasse maggiormete l'attenzioe fu Aristotele. Presto si manifestarono delle forti perplessità sulla compatiilità degli insegamenti di Aristotele con la teologia cristiana. La tradizione biblica della creazione del mondo contrastava con il canone aristotelico dell'eternità del cosmo. Nel 1210 le opere di Aristotele all'Università di Parigi vennero proibite, sotto pena di scomunica. Ma durante un secolo circa di diatribe accademiche si escogitarono acrobazie dialettiche tali da consentire la loro piena accettazioe nelle università.
Ricordiamo che il curriculum di studi classici uiversitari era articolato su due livelli: il trivium, che comprendeva studi di grammatica, retorica e logica, e il quadrivium, che comprendeva aritmetica, geometria, teoria musicale ed astronomia. Questa suddivisione risaliva a Marciano Capella, ma, per lo meno per le discipline scientifiche, si doveva rimontare ai tempi dei Pitagorici.
Per quato riguarda l'insegnamento dell'astronomia nelle università, si deve senz'altro ammettere che veniva impartito tenendolo ad un livello piuttosto elementare. Un testo essenziale era il Sfera mundi del Sacrobosco (J. Holywood, 1200 - 1256). Un altro libro di testo era Theorica planetarum, di autore anonimo, forse Gerardo da Cremona. Naturalmente non mancavano letture dal De coelo di Aristotele.

Con la ripresa degli studi astronomici, fiorì anche l'attività astrologica. Presso le corti (e anche presso la gente comune) molti astrologi diedero inizio alla loro attività, approfittando dei manuali di astrologia che erano stati tradotti dall'arabo. Naturalmente si andava incotro all'opposizione della Chiesa che non ammetteva una tale pratica, ma si riusciva sempre a trovare una via d'accomodamento. L'astrologia divenne addirittura lo stimolo principale per la produzione e la traduzioe di nuove tavole. Le tavole di al Khwarizmi furono rimpiazzate dalle Tavole Toledane, che erano state a suo tempo compilate nella Spagna islamica nel secolo XI dall'astronomo Ibrahim Al Ishtak al-Zarqali, conosciuto in Europa come Arzachel, e tradotte in latino nel secolo XII.
Le prime tavole prodotte nell 'Europa cristiana furono le Tavole Alfonsine, di cui si è già detto.