Cosmologia elementare






COSMOLOGIA E COSMOGONIA
Per cosmologia si intende la scienza che studia l'origine e l'evoluzione dell'Universo nel suo insieme. Per cosmogonia invece si intende lo studio dell'origine e dell'evoluzione di singoli oggetti celesti (ma anche di insiemi di oggetti, come il sistema solare, gli ammassi di galassie, ecc.).
Si può dire che la cosmologia è stata la base delle prime speculazioni filosofiche (si pensi alle ricerche della Scuola Ionica sulla natura dell'elemento primordiale universale). Fino a pochi secoli fa, l'Universo era concepito essenzialmente in termini di Sistema solare. Fondamentali nella concezione del cosmo erano gli assiomi della sua perfezione ed immutabilità. Con Copernico, Keplero e Galileo terminò la concezione geocentrica dell'universo e si passò ad una eliocentrica. Si ebbe l'avvio di una vera e propria rivoluzione nella scienza, perché da allora in avanti il dogma lasciò il posto alla sperimentazione.
Oggi sappiamo che il Sistema solare fa parte della Via Lattea la quale non è altro che una delle moltissime galassie dell'universo (essa è anche chiamata Galassia). Meno di un secolo fa si credeva ancora che la Via Lattea costituisse l'intero universo. Fu soltanto a partire dagli anni '20 che l'astronomo statunitense Edwin Hubble (1889 - 1953) scoprì che alcuni specifici oggetti celesti erano esterni alla Via Lattea, e che certi erano addirittura altre galassie.
Nel 1929, Hubble scoprì anche che pressochè la totalità delle galassie sembrano allontanarsi da noi. Questo fatto diede l'impressione che la Terra fosse il centro di un moto generale di recessione (allontanamento di tutte le galassie da noi). Ben presto si scoprì invece che questo moto di recessione non ha un centro: ogni punto del cosmo può essere considerato centro di un moto di recessione. Le scoperte di Hubble sono considerate l'origine della cosmologia moderna. La quale non può prescindere anche dalla rivoluzione operata nella fisica dall'avvento della relatività.

La constatazione che l'Universo è in espansione ha obbligato a prendere in considerazione il problema della sua nascita: siccome le galassie si stanno allontanando l'una dall'altra a una certa velocità, dobbiamo ammettere che andando indietro nel tempo di miliardi di anni ci fu una situazione nella quale tutta la materia attualmente componente l'Universo era riunita in un unico punto. Questa considerazione ha condotto alla teoria evolutiva del "Big Bang", cioè di un'enorme esplosione iniziale che diede origine all'Universo e che ne causò l'espansione che ancora oggi osserviamo. Secondo questa teoria, l'Universo primordiale sarebbe stato composto di materia densissima e caldissima, concentrata in uno spazio infinitesimo. Il suo stato fisico era così estremo che è difficile perfino da immaginare. Solo la fisica teorica è in grado di descriverlo. Esso sarebbe quindi esploso e si sarebbe espanso, diventando sempre meno caldo e meno denso, fino ad assumere gradatamente l'aspetto con il quale oggi lo conosciamo. Dalla legge di Hubble (che vedremo tra poco) si deduce che l'Universo è nato 15-20 miliardi di anni fa. In realtà, la determinazione della sua età è molto più complessa e rappresenta uno dei problemi principali che la cosmologia moderna si trova ad affrontare. Il valore della costante di Hubble attualmente accettato è compreso tra i 50 e i 100 Km/sec per Megaparsec (ciò significa che le galassie si muovono con velocità che crescono di 50-100 Km/sec per ogni Megaparsec di distanza da noi).

Il primo a proporre lo scenario di un'esplosione iniziale fu il sacerdote belga G.Lemaitre (1894 - 1966) nel 1927, ma solo negli anni '40 il fisico di origine russa G.Gamow (1904 - 1968) lo affrontò in modo quantitativo. Egli ipotizzò che i nuclei atomici più leggeri (idrogeno, elio, deuterio e litio) si siano formati nei primi istanti di vita del cosmo. Successivamente è stato verificato che le quantità di tali elementi presenti effettivamente nell'Universo corrispondono con quelle previste dalla teoria, fornendo una prima conferma della sua validità. Un'altra conferma è giunta nel 1965 con la scoperta casuale di una debole radiazione che permea tutto
l 'Universo, proveniente da tutte le direzioni
. Essa ha un massimo di intensità alla lunghezza d'onda di 2.6 cm e viene detta radiazione di fondo cosmica (CMBR, Cosmic Microwave Background Radiation). Si pensa che sia il residuo della radiazione intensissima ed altamente energetica che si produsse dopo il Big Bang, allorchè ebbe luogo il cosiddetto disaccoppiamento tra materia ed energia (che vedremo in seguito).



RICHIAMI SU EFFETTO DOPPLER RELATIVISTICO
Quando si esamina allo spettrografo la luce emessa da corpi celesti, le linee di emissione che si riscontrano corrispondono a quelle che sono rilevabili in laboratorio nelle emissioni dei vari elementi chimici. Però, per ogni oggetto celeste osservato, le linee di emissione vengono riscontrate, per tutti gli elementi, spostate in frequenza di una quantità costante rispetto alla posizione che avevano in laboratorio. Per avere una spiegazione di questo fenomeno, è opportuno richiamare quello che avevamo detto quando avevamo discusso dell'effetto Doppler relativistico. Secondo esso, la luce emessa da una sorgente S a una certa frequenza f, è ricevuta da un osservatore O,, in moto relativo rispetto ad S, con una frequenza f' che è diversa da f e che dipende dalla velocità relativa tra O ed S. In assenza di interazioni gravitazionali, la relazione tra f' ed f è data da:
f' = f•[(1 - b)/(1 + b)]1/2    (1)
dove, come è noto, con b avevamo a suo tempo (nel capitolo dedicato alla relatività) indicato il rapporto v/c (v è la velocità relativa tra sorgente ed osservatore) e la formula è valida se sorgente e osservatore sono in allontanamento. Per avvicinamento, i segni devono essere invertiti.

L'analisi della formula ci porta a concludere che la frequenza della luce proveniente da un corpo in allontanamento relativo da un osservatore, è ricevuta da questi con un valore più basso di quello al quale era stata emessa (redshift, cioè "spostamento verso il rosso"). Invece, la frequenza della luce di un corpo che si avvicina, viene ricevuta da un osservatore a un valore più alto (blueshift, "spostamento verso il blu"). Sfruttando dunque il fenomeno dell'effetto Doppler relativistico, la misura della frequenza della luce emessa da galassie consente agli astronomi di accertare con quale velocità queste si avvicinano o (più spesso) si allontanano da noi.



LA COSTANTE DI HUBBLE
L’astronomo E. Hubble nel 1929 era impegnato a misurare le distanze di alcune galassie con il metodo delle variabili Cefeidi e la loro velocità con la misura del redshift. Scoprì un fenomeno sorprendente: la velocità v di allontanamento delle galassie era direttamente proporzionale alla loro distanza r dalla Terra. Con notazioni moderne, tale legge di Hubble è espressa dall’equazione:
    v = H0 • r    (2)
dove la costante di proporzionalità H0 è oggi detta costante di Hubble.
Uno dei massimi impegni dell'astronomia di oggi consiste nella misura del valore di H0. Il valore ottenuto da Hubble, H0 = 5•102 Km /s•Mpc, era decisamente sbagliato a causa di errori sistematici nella determinazione delle distanze. All’inizio del 1999 il valore ritenuto più attendibile è:
H0 = (73 ± 8) Km / s•Mpc
La costante di Hubble è un numero che esprime la rapidità con cui l'universo si va espandendo. E' chiamato "costante" perchè ci si aspetta che questo numero sia lo stesso in tutto l'universo. Esso cambia però con il passare del tempo perchè il ritmo con cui l'universo si espande viene rallentato dall'attrazione gravitazionale che, come è noto, si esercita su tutta la materia presente nell'universo. Molti cosmologi preferiscono allora parlare di "parametro di Hubble". (Se per esempio il valore esatto della costante di Hubble fosse 60, ciò significherebbe che lo spostamento verso il rosso di una galassia lontana 2 Mpc (megaparsec), corrisponderebbe a una velocità di espansione di 120 Km/s).
Vedremo nel prossimo paragrafo che l'inverso della costante di Hubble (1 / H0, il cosiddetto "tempo di Hubble"), è una misura dell'età dell'universo. Quanto maggiore è il valore della costante, tanto più giovane dev'essere l'universo.
La scoperta di Hubble fu una vera e propria rivoluzione scientifica in quanto obbligò gli astronomi a rinunciare a un’idea che aveva dominato per millenni la cultura occidentale: quella di un Universo eterno ed immutabile, o come si dice oggi, stazionario.



CALCOLO DELL'ETA' DELL'UNIVERSO
Abbiamo detto che l'inverso della costante di Hubble ci dà l'età dell'Universo. Rendiamo ragione di ciò. Cominciamo con l'esprimere la costante di Hubble in unità del Sistema Internazionale. Vediamo cioè quanto vale, in unità del Sistema Internazionale, una unità della costante espressa come sopra.


(pc = parsec, Mpc = megaparsec, s = secondi, Km = kilometri).
Allora, per avere la costante di Hubble espressa in unità del sistema internazionale, non facciamo altro che moltiplicare il suo valore, espresso nelle unità di cui sopra, per il fattore appena trovato.
Avremo:
H0 (Hubble) = 5•102 • 3.24 •10-20 s-1 = 1.62 • 10-17 s-1
H0 (moderno) = (73 ± 8)•3.24 • 10-20 s-1 = (24 ± 3) • 10-19 s-1.

Questa grandezza, data in unità "secondi alla meno 1" sarà dunque tale che il suo inverso avrà la dimensione di secondi, per cui l'età dell'universo sarà data da:
1/H0 (Hubble) = 6.17 • 1016 s = circa 2 miliardi di anni
1/H0 (recente) = (24 ± 3)•1019 s = da circa 11 a circa 15 miliardi di anni.



L'ESPANSIONE DELL'UNIVERSO
Come abbiamo accennato in precedenza, la legge di proporzionalità diretta tra distanza di una galassia e sua velocità di allontanamento, indica che nell'universo non esiste una posizione privilegiata che possa essere considerata il centro di un'unica espansione cosmica. In verità, qualunque punto può essere considerato un centro di espansione dell'universo. Per rendere ragione al lettore di ciò, facciamo uso di un modello bidimensionale di espansione. Consideriamo la superficie di un palloncino, gonfiato con aria, sulla quale siano posti un certo numero di coriandoli (ciascuno dei quali rappresentativo di una galassia). Continuando a gonfiare il palloncino, notiamo che: (1) ogni coriandolo-galassia si allontana da tutti gli altri, di modo che non si può dire che ve ne sia uno che possa essere considerato il coriandolo-galassia centrale, (2) coriandoli-galassia inizialmente più vicini tra loro si allontanano meno velocemente rispetto a quelli inizialmente più lontani tra loro, proprio in accordo con la legge di Hubble.

(Affermare che le galassie si allontanano è vero se si considerano soltanto i moti su larga scala dei gruppi di galassie. A livello locale può accadere benissimo che due galassie siano in avvicinamento, per esempio perché si attraggono gravitazionalmente.)

Quindi la legge di Hubble ci porta a concepire l’universo come un oggetto sferico in espansione, caratterizzato da un raggio R(t) che varia con il tempo a partire da un istante t = 0 in cui esso aveva un raggio così piccolo da poter essere considerato nullo. Nei paesi di lingua inglese si è affermato l’uso di indicare l’istante iniziale dell’Universo con il termine di istante del Big bang, cioè istante della grande esplosione.



POSSIBILI EVOLUZIONI DELL’UNIVERSO
E' naturale pensare che l'attrazione gravitazionale tra le galassie si opponga all'espansione dell'Universo. Ricorrendo alla relatività generale è possibile studiare la dinamica della sua espansione. La relatività prevede che un universo in espansione abbia fondamentalmente tre possibili evoluzioni.
  • Se la densità media r dell’Universo è minore di un valore speciale di densità detto densità critica, rc, (insufficienza della gravità a contrastare l’espansione) si ha un universo aperto, che continuerà a espandersi per sempre, in quanto l’attrazione gravitazionale non riuscirà a rallentare in modo efficace l'espansione.
  • Se invece la densità media è maggiore della densità critica, (successo della gravità nel contrastare l’espansione), abbiamo a che fare con un universo chiuso, cioè il moto di espansione finirà con essere arrestato dalla gravità. Un Universo di questo tipo giungerà a una espansione massima, in corrispondenza della quale il moto di allontanamento delle galassie cesserà e avrà inizio un moto di avvicinamento delle stesse, per cui, alla fine, tutto l’Universo avrà, proprio come nella sua condizione originale, un raggio nullo (nel gergo cosmologico si tende a chiamare questa situazione: "big crunch").
  • Infine, se la densità media della materia è proprio perfettamente uguale alla densità critica, si ha una condizione limite, in cui l’universo continuerà la sua espansione per sempre, ma con velocità sempre minore.
Quanto abbiamo appena detto è illustrato nella figura 1. Nel diagramma cartesiano, sull'asse delle ascisse sono riportati i tempi, mentre su quello delle ordinate il corrispondente raggio dell'Universo, Rt. La curva marcata con r < rc identifica l'espansione dell'Universo aperto, mentre quella marcata con r > rc identifica l'espansione dell'Universo chiuso. La linea retta tangente alle due curve in uno stesso punto ci permette di affermare che assumendo il valore di 1/H0 quale età dell'Universo (e ciò con la semplificazione di assumere come costante la velocità di espansione) si commette un errore in eccesso.
Siccome secondo la relatività generale la presenza di materia è responsabile della curvatura dello spazio, il valore della densità media r determina anche la curvatura complessiva dell’Universo. Un valore di r minore di rc dà origine a uno spazio a curvatura negativa o iperbolica. In uno spazio di questo tipo la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di un angolo piatto (fig. 2, una curvatura di questo tipo si ha sulla superficie di una sella).

Al contrario, per r > rc si ha uno spazio a curvatura positiva, in cui la somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di un angolo piatto, (che è la situazione che si ha su una superficie sferica, fig. 3). Infine, come caso particolare, se si si ha proprio r = rc, si dice che lo spazio è piatto, cioè euclideo.


Gli studi sul valore di rc costituiscono una delle ricerche fondamentali della cosmologia moderna. Si dimostra che la relazione che lega rc alla costante gravitazionale G ed alla costante di Hubble H0 è data da:
rc = (3•H02) / (8•p•G) = 1.03•10-26 Kg / m3.

Si tratta di un valore di densità estremamente piccolo. Ricordando che la massa di un protone vale 1.67•10-27 Kg, si usa dire che la densità critica si ha quando, in media, in tutto l’Universo vi sono circa sei protoni per metro cubo.
La relatività generale ci ha anche permesso di interpretare correttamente l'allontanamento delle galassie. In effetti questo allontanamento non è dovuto a un moto fisico delle galassie, ma è una espansione dello spazio-tempo stesso: tornando all'esempio del palloncino che venga gonfiato di aria, ciascun coriandolo-galassia non si allontana dalla posizione occupata inizialmente. Però ogni coriandolo-galassia si allontana dagli altri perchè è lo spazio tra un coriandolo e gli altri che si espande.



LA DURATA DELL’UNIVERSO
Dimostriamo ora in maniera elementare che l'inverso della costante di Hubble ci fornisce l'età dell'Universo. Consideriamo una galassia G che si trovi a distanza D dalla Terra e che si allontani radialmente da essa alla velocità v. Se all'istante iniziale, t = 0, la separazione tra i due corpi era nulla e se t0 è l'intervallo di tempo necessario affinchè avvenga la separazione dei due corpi alla velocità v (per adesso supposta costante), si ha ovviamente: t0 = D / v. Ma, siccome per la (2) si ha    v = H0•D,    e    H0 = v / D    e quindi    1/H0 = d / v, in conclusione si avrà:    t0 = 1 / H0
cioè, se la velocità di espansione dell'universo fosse costante, l'inverso di H0 ci fornirebbe l'età dell'universo (come abbiamo del resto già visto con un esempio di calcolo).



COSMOGENESI E TEMPERATURA
In genere, per dara una spiegazione accessibile della cosmogenesi (primi istanti di vita dell'Universo), i relativi testi fanno riferimento al cammino inverso. Si immagina cioè di disporre di un forno del quale si possa aumentare a piacere la temperatura, e lo si riempie (idealmente) di una sostanza qualsiasi, per esempio acqua. I fenomeni che avverranno, all'aumentare progressivo della temperatura, saranno quelli della cosmogenesi, naturalmente in ordine inverso.
  • A temperatura ambiente (T = 300º K) le energie scambiate tra molecole che si urtano sono dell'ordine di 2.6•10-11 GeV (1 GeV = 1 giga elettronvolt, cioè un miliardo di elettronvolt). Alla temperatura di 10.000º K gli scambi sono dell'ordine di 1 eV: queste energie sono sufficienti a rompere i legami molecolari e a eccitare gli elettroni degli atomi che quindi emettono fotoni.
  • Continuando a riscaldare, raggiungendo la temperatura del forno il valore di 1013 K, gli scambi energetici tra atomi sono tali da raggiungere il valore di 1 GeV. A queste energie si ha la disintegrazione dei nuclei atomici nei nucleoni (protoni e neutroni) componenti. Oltre a ciò, queste temperature sono talmente elevate da provocare la fissione delle stesse particelle componenti i nucleoni e il forno si riempie di un plasma di quark e gluoni.
  • Continuando il riscaldamento, il plasma si completa con tutte le coppie di particelle ed antiparticelle esistenti.
L'universo è passato attraverso tutte queste fasi in senso inverso: a mano a mano che la temperatura dell'universo decresceva, diminuiva progressivamente l'energia che le particelle si scambiavano negli urti. All'inizio, dunque, si produssero tutte le particelle possibili, ma la maggior parte di esse decadde. Le rimanenti si legarono tra loro dando luogo a sistemi che richiedevano energia di legame progressivamente decrescente, nell'ordine nucleoni, nuclei, atomi e molecole.

C'è una relazione che è di fondamentale importanza per poter fare una scansione degli eventi che si sono succeduti a partire dal Big Bang. E' una relazione che lega l'istante di tempo espresso in microsecondi, tms, con l'inverso del quadrato dell'energia scambiata in quell'urto, espressa in gigaelettronvolt, EGeV. Questa relazione permette di distinguere le cosiddette ere nello sviluppo dell'universo primordiale. La formula è:
tms = 1 / E2 (GeV)     (3)


LE ERE DELLA COSMOGENESI
  • Nei primissimi istanti di tempo lo spazio era popolato soltanto delle sole particelle fondamentali, cioè di leptoni, quark e delle loro antiparticelle che continuamente si distruggevano e si riproducevano. Nel corso di questa fase, detta era subatomica, le energie scambiate erano troppo elevate affinchè quark e antiquark potessero legarsi per dar luogo a particelle composte.
  • Tenendo presente che l’ordine di grandezza tipico dell’energia di legame dei quark è El(quarks) @ 1 GeV, la formula (3) ci consente di calcolare che l’era subatomica ha avuto termine dopo 1 ms (1 milionesimo di secondo) dal Big Bang. Dopo tale istante, il plasma di quark e gluoni scompare, e i quark e gli antiquark si poterono legare per formare adroni stabili, cioè protoni e antiprotoni, neutroni e antineutroni.
    Durante questa era nucleare le energie in gioco erano ancora troppo elevate per consentire la formazione di nuclei, in cui i nucleoni hanno energie di legame El(nucleoni) @ 8 MeV = 10-2 GeV. Possiamo perciò dedurre, sempre dalla (3), che l’era nucleare ha avuto termine 104 ms, cioè 10-2 s dopo il Big Bang.
  • A partire da tale istante ha inizio la cosiddetta era del plasma atomico, durante la quale lo spazio era pieno di elettroni, protoni, neutroni e nuclei leggeri che si muovevano troppo velocemente per formare atomi.
  • Anche se la formula (3) non è più applicabile, possiamo dire che dopo 1013 s (300.000 anni dal Big bang) le energie scambiate erano tali da permettere il legame degli elettroni ai protoni e ai nuclei leggeri per la formazione di atomi. A quell'epoca, dunque, l’universo entrò nell’attuale era dei processi chimici.
Nella tabella che segue è dato un riassunto delle ere della cosmogenesi.



Le ere della cosmogenesi
 Intervallo (s)Energia scambiata negli urti a fine intervallo (GeV)Temperatura a fine intervallo (K)
Era subatomica Da    0    a    10-611013
Era nucleareDa    10-6    a    10-210-21011
Era del plasma atomicoDa    10-2    a    101310-8104
Era dei processi chimiciDa    1013    a    adesso10-113



LA LUCE PRIMORDIALE
Durante le prime ere della cosmogenesi l’Universo non era attraversato da radiazioni elettromagnetiche (non c’era luce). Infatti essendo lo spazio pieno di particelle cariche libere, che assorbivano e subito riemettevano i fotoni, era come se questi non esistessero (e quindi non poteva esistere la luce). Con la scomparsa del plasma atomico e la formazione degli atomi neutri, invece, l’Universo divenne improvvisamente trasparente ai fotoni, che tutto d’un tratto si disaccoppiarono dalla materia e divennero in grado di percorrere distanze grandissime prima di essere assorbiti. Nel modello di Big bang della tabella di cui sopra, ciò successo a t = 1013 s, cioè circa 300.000 anni dopo il Big Bang. Da allora l’Universo divenne trasparente alla luce.

Per accettare che quanto sopra non sembri piuttosto strano, si pensi che questo è ciò che accade all’interno del Sole e nelle stelle. Fino a che i fotoni sono all’interno di questi corpi, fatti di plasma atomico, si trovano in un mezzo opaco che li assorbe (e subito li riemette) in continuazione. Soltanto quando essi giungono alla fotosfera arrivano in un mezzo trasparente, che permette loro di iniziare a viaggiare. (Quindi, nel nucleo del Sole c'è il buio).



ABBONDANZA DELL’ELIO PRIMORDIALE
In base alle leggi della fisica subatomica (in particolare il cosiddetto modello standard) e le condizioni di densità e temperatura dell’Universo primordiale, è possibile calcolare che, alla fine dell’era subatomica della cosmogenesi, si formarono circa sette protoni per ogni neutrone. Nell’era nucleare successiva, ogni volta che si aveva la fusione di due neutroni e due protoni, si aveva liberazione di energia con la formazione di un nucleo di elio-4 (He42). I protoni che rimanevano, senza più neutroni a disposizione, a causa della repulsione elettrostatica, non furono in grado di legarsi per dare luogo ad altri nuclei. Così, nell’era del plasma atomico, si avevano molti protoni e pochi (relativamente) nuclei di elio. Queste particelle si combinarono poi con elettroni, durante l’era dei processi chimici, dando luogo a una grande quantità di atomi di idrogeno. Fu così che avvenne che l'universo, in media, venne a contenere, in massa, circa il 75% di idrogeno e il 25% elio.

Osservazioni astronomiche precise eseguite su oggetti celesti molto antichi (come gli ammassi globulari, così chiamati perché sono ammassi di stelle a simmetria sferica) hanno confermato queste previsioni .



RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
Mentre erano impegnati ad eseguire misure radioastronomiche, A. Penzias e R. Wilson nel 1963 arrivarono alla conclusione che certi "disturbi di fondo" con i quali avevano a che fare erano in realtà un segnale elettromagnetico continuo proveniente da tutte le direzioni dello spazio. Tale segnale venne ben presto interpretato come la radiazione cosmica di fondo, cioè come la testimonianza fossile dell'enorme esplosione di luce che, all'inizio dell'era dei processi chimici, coincise con il disaccoppiamento della luce dalla materia.

Vediamo di spiegare ora come mai la radiazione originale a 10.000 K, oggi si è ridotta a soli 3 K. Le creste delle onde di tale radiazione sono state progressivamente allontanate tra loro dall'espansione dell'universo. La lunghezza d'onda, originariamente a 10-7 m è progressivamente aumentata fino al valore attuale di circa 10-3 m. Il rapporto tra la lunghezza d'onda attuale e quella originale, 104, oltre che fornirci la misura dell'allungamento della lunghezza d'onda della radiazione ci dà anche il fattore di dilatazione R2/R1 dell'universo (R2 è il suo raggio attuale, ed R1 è il raggio che esso aveva 300.000 anni dopo il Big Bang all'epoca in cui, divenendo l'universo trasparente alle onde elettromagnetiche, la radiazione di fondo fece la sua comparsa).



ISOTROPIA DELL'UNIVERSO
Misurando le proprietà fisiche dell'universo si scopre che esse appaiono molto uniformi (su larga scala) in tutte le direzioni. Per esempio, la densità media della materia è praticamente la stessa in tutte le direzioni (sempre su larga scala) e lo stesso vale per la radiazione cosmica di fondo.
E' difficile spiegare una tale uniformità di struttura dell'universo. Non può essere avvenuta in seguito a un processo di mescolamento: tra i due estremi dell'universo, in una direzione qualsiasi, la distanza è talmente grande che non può essere stata percorsa nemmeno in tutto l'intervallo dall'origine dei tempi. Quindi un processo di mescolamento è da escludere (nel prossimo paragrafo cercheremo di spiegare un po' meglio questo concetto, parlando di "orizzonte casuale").

Nel 1981, A. Guth propose un modello teorico che potrebbe risolvere questo problema. Secondo questo modello, si dovrebbe ammettere che a un'epoca dell'ordine da 10-38 a 10-30 secondi dopo il Big Bang, l'universo sarebbe passato attraverso una fase di inflazione (vero e proprio rigonfiamento), cioè un periodo di crescita rapidissima. Durante tale fase l'universo si sarebbe dilatato di un fattore enorme (addirittura di un fattore pari a 1030). Allora, tutto ciò che osserviamo oggi non sarebbe altro che il risultato dell'espansione di una piccola "bolla di universo primordiale". Siccome tale piccolissima parte di universo era praticamente omogenea, tale è rimasta fino ad oggi.

Se un piccolo palloncino che viene gonfiato molto rapidamente ha, all'inizio del gonfiaggio, tante piccole grinze sulla sua superficie, al termine del rapido gonfiaggio queste grinze sono praticamente scomparse. Nel caso dell'universo, le disomogeneità rimaste dopo l'inflazione sarebbero divenute (secondo la teoria dell'inflazione) i nuclei di formazione delle galassie.



ORIZZONTE COSMOLOGICO E MODELLO DELL'INFLAZIONE
La problematica posta dal modello dell'inflazione è strettamente connessa con quello che i cosmologi chiamano il problema dell'orizzonte cosmologico. Per affrontarlo in maniera elementare partiamo dalla considerazione sul valore finito della velocità della luce. A causa di ciò, sappiamo che la luce di galassie molto distanti che osserviamo, ci fa ottenere immagini di come queste galassie erano nell'istante in cui la luce era da loro partita. La galassia di Andromeda, ad esempio, distante da noi circa due milioni di anni luce, ci appare al telescopio così come era due milioni di anni fa. Si pensi però che con gli strumenti attuali è possibile osservare oggetti celesti (galassie, ammassi globulari, quasar) distanti fino a 13 miliardi di anni luce. Siamo quindi in grado di osservare quale era l'apparenza dell'Universo quando questo era molto "giovane".

Abbiamo anche appreso che più una galassia è distante e maggiore è la velocità con cui ci stiamo allontanando da lei (le galassie lontanissime vengono dette "ad alto redshift").
Dobbiamo poi fare un'altra osservazione: quando riceviamo la luce di una galassia distante, ad esempio, dieci miliardi di anni luce, la vediamo come era dieci miliardi di anni fa. Per vederla come era, ad esempio otto miliardi di anni fa, dovremmo attendere due miliardi di anni. Allora, possiamo dire che in ogni istante, ci sono parti dello spazio-tempo alle quali non possiamo avere accesso ( e reciprocamente, una parte del nostro passato è inaccessibile a galassie molto lontane da noi). Questo ci porta a definire, per un dato istante e per una data condizione di osservazione, il nostro orizzonte cosmologico, cioè quel settore di spazio-tempo al quale possiamo avere accesso. Corrispondentemente, ad ogni istante e per ogni condizione di osservazione, a tutto ciò che sta al di fuori del relativo orizzonte cosmologico non possiamo avere accesso alcuno (a partire dall'accesso visivo).

Diciamo che due oggetti, in un certo spazio, si trovano tra loro in contatto causale (da "causa") se sono in grado di comunicare tra loro per mezzo di un segnale, nel senso che il primo oggetto può provocare nell'altro un effetto in conseguenza del segnale che gli invia. Tenendo presente che i segnali viaggiano nello spazio a velocità finita, è evidente che l'effetto di un segnale emesso da un oggetto si farà sentire sull'altro oggetto dopo un certo tempo (tanto maggiore quanto più distanti sono i due oggetti).
Una regione di spazio-tempo entro la quale un corpo può avere una relazione causa-effetto, è detta orizzonte causale. Ora, il problema che ha molto interessato i cosmologi è dato (come abbiamo indicato in precedenza) dal notevole grado di omogeneità ed isotropia riscontrato anche in regioni di Universo molto lontane tra loro, ciascuna al di fuori dell'orizzonte causale dell'altra. Ai cosmologi appare inspiegabile ciò: come è potuta avvenire la trasmissione di informazioni che ha permesso a queste regioni di assumere le stesse proprietà, essendo la loro distanza superiore a quella che perfino i segnali avrebbero potuto percorrere dall'origine dell'Universo fino ai nostri giorni?

Ecco allora che la modifica al modello del Big Bang proposta da Alan Guth, nota come modello inflazionario potrebbe spiegare la isotropia dell'Universo. Come abbiamo detto, nei primi anni '80 Alan Guth propose una modifica al modello classico del Big Bang, il cosiddetto "modello inflazionario". Secondo la teoria di Guth, nei primi istanti dopo il Big Bang, precisamente dopo 10-35 secondi, l'Universo avrebbe subito una rapidissima espansione, detta inflazione, che nel giro di 10-32 secondi avrebbe aumentato le sue dimensioni di un fattore di 1030. Dopo questa fase, l'evoluzione sarebbe proseguita secondo la teoria classica del Big Bang. Prima della fase inflattiva l'Universo era così piccolo che le galassie (allora semplici microincrespature nella distribuzione della materia) che adesso sono al di fuori dei rispettivi orizzonti causali, potevano trovarsi in contatto causa-effetto. Verrebbe così risolto il problema dell'orizzonte, così come altri problemi della teoria classica del Big Bang.

Secondo Guth, la causa che produsse l'inflazione andrebbe ricercata nell'ambito delle teorie recenti della fisica, quelle che cercano di unificare le quattro interazioni fondamentali: la forza gravitazionale, quella elettromagnetica, quella nucleare debole e quella nucleare forte. Queste quattro forze sarebbero manifestazioni diverse di un'unica interazione. Alle altissime temperature e densità dei primi istanti di vita dell'Universo, esse erano la stessa cosa; si sarebbero poi diversificate nel tempo, via via che l'Universo si raffreddava e si espandeva. Fu proprio durante questo processo di diversificazione che, secondo Guth, avvenne l'inflazione.



LA COSTANTE COSMOLOGICA
Gli astrofisici hanno individuato alcune classi di corpi celesti che emettono quantità note di energia. Come è spiegato nel paragrafo dedicato alle variabili Cefeidi (in astrofisica), avere a disposizione oggetti celesti di luminosità assoluta nota è fondamentale in astronomia, astrofisica e cosmologia, in quanto la misura della loro luminosità apparente (facilmente eseguibile) permette di dedurre la loro distanza dalla Terra.
Tra questi oggetti standard vi sono le supernovae di tipo 1a. Si tratta di esplosioni che avvengono quando una nana bianca si trova in un sistema binario e inizia, con la sua attrazione gravitazionale, a inglobare materiale proveniente dalla sua compagna. Poiché le nane bianche non possono avere più di 1.4 masse solari, quando si giunge a tale limite si innesca una vera e propria reazione nucleare.
Proprio studiando la luce proveniente da supernovae di tipo 1a, gli astrofisici hanno recentemente ottenuto le prime conferme di un’idea teorica piuttosto antica (risalente alla modifica fatta da Einstein alle sue equazioni della relatività generale, in modo che esse ammettessero come soluzione un Universo stazionario). Secondo tale ipotesi esiste una forza universale di repulsione gravitazionale. questa forza è indipendente dalla materia presente nell’Universo, e i suoi effetti non sono visibili su scale relativamente piccole come quelle del sistema solare, ma si manifesta a livello cosmologico attraverso una accelerazione del moto di recessione delle galassie.
In tutti i modelli semplici di espansione dell’Universo visti in precedenza, in cui la costante cosmologica era nulla, l’attrazione gravitazionale tra tutta la materia di tutte le galassie rallentava semplicemente il moto di recessione delle galassie stesse al trascorrere del tempo (di più in un Universo chiuso, meno in un Universo aperto ma, comunque rallentato). L’effetto della costante cosmologica, invece, è quello di opporsi all’attrazione gravitazionale, e quindi di favorire il moto di recessione.
Tecnicamente, questo risultato è espresso dicendo che nelle equazioni della relatività generale compare una costante cosmologica positiva. Per capire qual ‘ è la rilevanza della costante cosmologica, bisogna tener conto del fatto che una forza di repulsione universale dà un contributo all’energia totale dell’Universo. In altre parole, l’evoluzione di un Universo in cui la costante cosmologica sia diversa da zero non dipende soltanto dall’energia che è presente sotto forma di materia e di radiazione, ma anche da quella dovuta alla repulsione cosmica.



PREDOMINIO DELLA MATERIA SULL’ANTIMATERIA
Secondo studi teorici statistici si ritiene che nel Big Bang, la materia sia stata creata in modo perfettamente simmetrico: tante cariche positive quante negative, tanti elettroni quanti positroni, tanti quark di ogni tipo quanti antiquark dello stesso tipo. In base a ciò, il fatto che oggi vi sia una netta prevalenza della materia sull'antimateria (e la stessa esistenza della materia) rimangono fatti inspiegabili (o per lo meno, se ne danno spiegazioni soltanto ipotetiche).
Infatti, secondo la fisica atomica quando una coppia particella-antiparticella si trova nello stesso punto dello spazio, si annichila (cioè scompare) emettendo energia sotto forma di fotoni (e di altri bosoni neutri). Poiché all’inizio le densità erano altissime, ogni particella ha avuto innumerevoli occasioni di collidere con una sua antiparticella e quindi di scomparire. L’Universo non dovrebbe quindi contenere materia (precisamente non dovrebbe contenere né particelle-materia né particelle-antimateria).
Invece, l’esperienza mostra che l’Universo è fatto di quella materia che diciamo ordinaria (per esempio gli atomi e le molecole costituenti i nostri stessi corpi) mentre l’antimateria è molto rara e, quasi sicuramente, non proviene dalla cosmogenesi, ma è prodotta soltanto in eventi ad alta energia che avvengono sia in natura sia negli acceleratori (sia chiaro quindi che in questi ultimi le antiparticelle vengono comunemente prodotte tutti i giorni).
Le ipotesi che sono state formulate finora per spiegare l'asimmetria tra materia e antimateria si rifanno a recentissime leggi della fisica per il mondo microscopico.



LA MATERIA OSCURA
Il processo di addensamento di tutta la materia dell'Universo ha portato alla strutturazione del Campo gravitazionale. Ora, i cosmologi sono arrivati alla conclusione che una notevole parte della massa totale effettiva dell'Universo è dovuta all'esistenza di un tipo di materia che, essendo invisibile, viene detta materia oscura.
Negli ultimi decenni, gli astronomi hanno raccolto svariate prove dell'esistenza di questa materia invisibile che (assieme a quella visibile) lega galassie e ammassi di galassie per mezzo della attrazione gravitazionale complessiva. Malgrado la sua natura resti tuttora ignota, la sua presenza viene giustificata dal modo con cui si manifestano alcuni fenomeni. Eccone una breve descrizione.
  • La rotazione delle galassie a spirale. Le galassie a spirale sono dotate di una rotazione differenziale, nel senso che non avviene rigidamente attorno ad un asse centrale (se così fosse, tutte avrebbero la stessa velocità angolare). Invece, ogni corpo della galassia ruota con una velocità angolare dipendente dalla distanza del corpo stesso dall'asse di rotazione. Poichè la velocità di rotazione angolare dipende dal campo gravitazionale (cioè dalla distribuzione della materia nella galassia) dobbiamo concludere che la massa effettiva della galassia tende ad addensarsi sempre più verso la periferia. Ma la massa luminosa (quella che noi vediamo) di qualunque galassia (cioè le stelle e il gas) è concentrata verso il nucleo e la sua densità decresce verso l'esterno. Dobbiamo ammettere allora che queste galassie spirali devono essere circondate da un grande alone di materia invisibile, che contribuisce al campo gravitazionale delle stesse ma non alla loro emissione luminosa: la materia oscura.
  • La distribuzione di velocità negli ammassi di galassie. Approfonditi studi basati su calcoli statistici hanno mostrato che la stabilità riscontrata in tutti gli ammassi di galassie (stabilità nel senso di mancata dispersione delle stesse a causa del loro moto di rotazione attorno a un centro comune) può essere spiegata soltanto con l'ammettere la presenza di una gran quantità di massa invisibile che garantisce appunto la non dispersione delle stesse (in altre parole le velocità di rotazione delle galassie attorno a un centro comune sono talmente elevate da far sì che la mancata dispersione possa essere spiegata solo con la presenza di una grande massa invisibile).
  • Le lenti gravitazionali. Gli astronomi chiamano lente gravitazionale un ammasso di materia talmente denso da causare deviazioni dei raggi luminosi maggiori di quelle che ci si aspetterebbe di riscontrare se si prendesse in considerazione soltanto la materia visibile. Anche in questo caso si è arrivati alla conclusione (sempre attraverso misure) che le deviazioni anomale sono causate dalla presenza di materia oscura.
I calcoli derivabili dall'osservazione di tutti questi fenomeni, portano gli scienziati a ritenere che la materia oscura costituisca all'incirca il 90% della materia effettiva complessivamente presente nell'Universo.
Il problema di stabilire di cosa sia costituita la materia oscura rimane praticamente irrisolto. Vengono semplicemente avanzate delle ipotesi. Una ipotesi è che si tratti di materia diversa dai comuni protoni, elettroni, neutroni, ecc. Ad esempio, si pensa che potrebbe essere costituita (almeno in parte) di neutrini, particelle che, secondo studi recentissimi, sarebbero dotati di massa piccolissima (molto più piccola di quella dell'elettrone). Essendo molto numerosi (permeano l'Universo come se costituissero una radiazione universale) si è pensato a loro come possibili costituenti della materia oscura. Un'altra ipotesi sulla natura di quest'ultima si rifà a particelle ancora non conosciute, la cui esistenza è prevista solo dalle frontiere più avanzate della fisica teorica. Invero gli scienziati ammettono di non saper dire ancora di cosa sia composto la maggior parte della materia dell'Universo.



L'UNIVERSO E LA RELATIVITA' GENERALE
Abbiamo già visto molto brevemente come Einstein nella Relatività Generale intese strutturato l'Universo: lo spazio-tempo subiva una deformazione, un incurvamento attorno ad ogni corpo, tanto più quanto maggiore era la massa del corpo. A sua volta, lo spazio tempo incurvato modifica la traiettoria che un corpo segue, obbligandolo a muoversi secondo una curva detta geodetica.
A causa della massa enorme contenuta nell'Universo, questo deve risultare globalmente incurvato (localmente può anche essere piatto). Secondo la Relatività Generale, alla densità critica di 10-29 g/cm3 la curvatura dovrebbe essere tale da far richiudere l'Universo su sé stesso.

Nel 1917 dunque Einstein teorizzo un Universo statico e isotropo (stesse proprietà in ogni luogo ed in ogni istante). Ma per ottenere un tale modello fu costretto ad introdurre (artificialmente) nelle sue equazioni un termine espressamente finalizzato a quello scopo che chiamò costante cosmologica (in seguito espresse pubblicamente la propria disapprovazione per aver fatto ciò). Nel 1922 il fisico russo A. Friedmann (sette anni prima della scoperta di Hubble) notò che togliendo dalle equazioni di Einstein il termine cosmologico esse indicavano un moto di espansione dell'Universo e che la sua curvatura diminuiva con il decrescere della densità della materia. Ciò indicava che l'espansione non doveva essere intesa in termini di allontanamento delle galassie tra loro ma di vera e propria espansione dello spazio-tempo.



IL DESTINO DELL'UNIVERSO
E' evidente che la domanda fondamentale che i cosmologi si pongono riguarda l'evoluzione che l'Universo avrà da oggi in poi. Da quanto abbiamo visto, sappiamo che al suo interno agiscono due forze contrapposte: (1) la spinta all'espansione e (2) la gravitazione.
Evidentemente il destino dell'Universo dipenderà da quale delle due forze prevarrà. Abbiamo visto che esiste una densità critica della materia costituente l'Universo, al di sopra della quale la gravitazione riesce ad arrestare l'espansione (ed eventualmente a dare origine a una contrazione).
I cosmologi fanno uso di un parametro, detto Omega, per descrivere il tipo di universo in cui viviamo. Omega rappresenta il rapporto tra la densità di materia totale presente nell'Universo e la densità critica. Se Omega è minore di 1, la materia presente è insufficiente per controbilanciare la spinta di espansione, e l'Universo è destinato ad espandersi indefinitamente. Questo tipo di universo si dice "aperto". Se Omega è maggiore di 1, al contrario, l'espansione verrà prima o poi frenata e poi, lentamente, le galassie cominceranno a riavvicinarsi, fino a scontrarsi e a fondersi tra loro, in un gigantesco impatto che viene definito "Big Crunch" (la situazione opposta al Big Bang). Questo è il caso di universo "chiuso". Infine, se Omega è esattamente uguale a 1, l'espansione rallenterà lentamente ma l'attrazione gravitazionale non sarà sufficiente a far collassare l'Universo su se stesso. È questo il caso di universo "piatto".

Per risolvere i difficilissimi enigmi di cui sopra, il primo dato importante che si dovrebbe acquisire è la quantità di materia totale presente in tutto l'universo. Un primo metodo è quello di determinare la massa di tutte le galassie (e di tutta la materia oscura). Il secondo metodo consiste nell'osservare le velocità di allontanamento di galassie a diverse distanze (cioè a diverse età) e quindi di calcolare di quanto l'espansione dell'Universo ha decelerato in un certo intervallo di tempo.