Storia della cartografia antica
(Parte prima)












L'INTERESSE PER LE ANTICHE CARTE GEOGRAFICHE
Nell'introduzione alla sua fondamentale Storia della cartografia, Leo Bagrow cita l'episodio emblematico del monaco bizantino Maximos Planudes (1260 - 1310) che, per la gioia di aver scoperto un manoscritto (naturalmente copia) del Geographia di Tolomeo, celebrò la sua scoperta in versi. Siccome il manoscritto mancava delle carte, Planudes stesso provvide a disegnarle (seguendo le indicazioni del manoscritto), e quando ebbe terminato il lavoro, celebrò ancora l'evento componendo altri versi.
Bagrow dice anche nella stessa prefazione che avendo il sultano Maometto II il Conquistatore (1430 - 1481), dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, avuta notizia che nella biblioteca ereditata dai regnanti di Bisanzio era stato rinvenuto un manoscritto del Geographia mancante della mappa mundi, diede l'incarico a un filosofo del suo seguito di redarre una tale mappa, attenendosi strettamente alle indicazioni del manoscritto. Sapeva benissimo che avrebbe ottenuto una carta obsoleta rispetto ai suoi tempi, ma ciò era precisamente quello che desiderava: qualcosa che assomigliasse a una carta geografica antica.

E' interessante anche la dissertazione che Bagrow fa sulla etimologia della parola "carta". Una spiegazione sulla sua origine si rifarebbe, secondo alcuni a una parola greca che ha il suo equivalente nella voce verbale latina "sculpo (= "io scolpisco"). Malgrado le carte geografiche antiche siano state effettivamente scolpite su pietra, sembra che alla parola non sia da attribuire un'origine proprio così antica, ma piuttosto un'origine associata alla parola portoghese "cartes", usata per indicare fogli di carta, passata poi tanto nella lingua spagnola come in quella italiana. La parola latina charta, che passò poi in tutte le lingue romanze e non, deriva dal greco. La parola Karte fu introdotta nel tedesco parlato da Laurent Fries, cartografo alsaziano del Rinascimento. La parola Landcharte incominciò ad essere usata in Germania a partire dal secolo XVII. I Romani usavano per "carta geografica" la parola tabula. L'espressione imago mundi, coniata nel Medioevo, è molto espressiva per una carta geografica. L'espressione mappa mundi, anch'essa di origine medioevale, era usata dai cartografi per indicare una rappresentazione geografica del mondo in piano (oggi viene spesso usata impropriamente la parola "mappamondo" per l'oggetto che i cartografi indicano con "globo". I cartografi per una rappresentazione cartografica in piano non usano la parola "mappamondo", ma "planisfero").

L'espressione mappa mundi richiama il fatto che qualche centinaio di anni fa le carte geografiche venivano realizzate anche su stoffa (= "mappa"). La parola inglese "chart" è rimasta per indicare soltanto le carte nautiche. Per le carte geografiche terrestri di tutti i tipi gli inglesi hanno adottato il vocabolo "map".

Perchè le carte geografiche antiche sono così desiderate? Essenzialmente per due ragioni:
  • Forniscono un eccellente riferimento per fare il punto su un certo periodo della storia della civiltà, per il loro carattere di estrema sintetizzazione. Forniscono una gran quantità di informazioni sulle conoscenze del tempo.
  • Sono opere d'arte: in esse è concentrato un notevole sforzo intellettuale.
Certe carte geografiche antiche sono opere d'arte impareggiabili. Tanto per cominciare, vennero redatte a mano, su pelli di animali o su papiri, e quindi dipinte. I disegni di abbellimento davano una vivida insostituibile descrizione di usi e costumi locali. Spesso, nelle raffigurazioni in cui erano aggiunte delle figure umane, queste rappresentavano, con molta probabilità, le sembianze dei committenti delle stesse opere, e quindi ci trasmettono anche queste preziose informazioni. Artisti famosi come Albrecht Dürer e Hans Holbein spesso collaborarono alla realizzazione di carte geografiche.

Nel 1918 un pavimento a mosaico venne scoperto in una chiesa nella località transgiordana di Madaba, che mostrava una rappresentazione geografica dell'antica Palestina, della Siria e di parte dell'Egitto. Questa scoperta consentì di risolvere diverse questioni rimaste fino a quel momento indefinite. Ad esempio, il problema di dove fosse avvenuto l'incontro della Vergine Maria con la madre di Giovanni Battista: ". . e Maria si levò in quei giorni e si affrettò in campagna, nella città di Giuda . ." (Luca, 1.39).

Cosa si intendeva per campagna? Si diceva che quando l'arcangelo Gabriele era apparso a Zaccaria nel Santo dei Santi, Zaccaria era Sommo Sacerdote, e viveva a Gerusalemme. Ma Gerusalemme non era la "città di Giuda". Alcuni ravvisarono la "campagna" in Hebron, una località che era stata per un lungo tempo un centro levitico, mentre altri sostenevano che doveva trattarsi di Jutta. Di tutte le soluzioni proposte, soltanto quella data dal ritrovamento della mappa di Madaba venne accettata come definitiva perchè essa mostrava, tra Gerusalemme ed Hebron, una località chiamata Beth Zachari, cioè "casa di Zaccaria". Gli scavi condotti sul sito rivelarono le fondamenta di una piccola chiesa, con un frammento di mosaico contenente il nome "Zaccaria".

Purtroppo la sopravvivevza delle mappe è fortemente problematica, specialmente per quelle costituite di molti fogli separati. Spesso si ha la ventura di trovare pagine singole, un tempo facenti parte di atlanti, in ubicazioni del tutto impensate.
(Nel seguito di queste note, per indicare la voce "carta geografica" useremo in genere la parola "mappa").



CARTE GEOGRAFICHE DI POPOLI PRIMITIVI
Sembra che un certo stimolo a favorire la redazione di mappe sia associabile alla propensione di certe comunità al movimento, allo spostarsi dal luogo d'origine. La tendenza di alcuni popoli primitivi al nomadismo deve aver affinato la loro attitudine a tracciare mappe.

Il mezzo sul quale sono state redatte la maggior parte delle mappe primitive è la pietra o il legno. Osso e pelli sono rari. La pittura su rocce si ha in tutto il mondo. Molte di queste pitture su roccia contengono, oltre ad animali, scene di caccia e, qualche volta, anche schemi che sono stati interpretati da alcuni come diagrammi geografici. In caverne di Schafthausen sono state trovate delle tavolette di osso con un network di linee, ma non si è potuto dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che si tratti proprio di mappe.
Mappe incise su corteccia d’albero, principalmente corteccia di betulla sono molto comuni in Siberia, tra gli Esquimesi e tra gli Indiani del Nord America. Possono essere facilmente trasportabili e questo fatto contribuì alla loro diffusione. Si è osservato che alcune tribù indiane avevano uno speciale talento per le mappe. Molti Indiani, malgrado fossero incapaci di leggere, riuscirono facilmente a identificare nomi di fiumi, di valli, di monti su mappe europee. Un missionario gesuita, J.F: Lafiteau, riportò di aver osservato una grande quantità di queste mappe.
Gli Eschimesi furono probabilmente gli unici a tentare di redigere mappe indicanti i rilievi. F.W. Beechey ebbe la prova di ciò nel 1826 tra gli Eschimesi occidentali dello Stretto di Bering. Egli diede una descrizione di come essi tracciavano sulla sabbia di Kotzebue un modello in rilievo del litorale. “Prima marcavano la linea di costa. Poi indicavano le montagne e le colline, poi le isole, rispettando le proporzioni. Una volta segnate le montagne e le isole, marcavano i villaggi con dei pezzi di bastone piantati verticalmente. Dopo un po’ di tempo diedero una completa pianta topografica della zona”.

Le culture antiche messicane che gli Aztechi ereditarono dai predecessori Maya e Toltechi, erano molto sviluppate quando gli Spagnoli arrivarono. Le mappe erano disegnate con facilità tale da poter essere usate anche da stranieri. Nel 1520, descrivendo all’imperatore Carlo V un colloquio che aveva avuto con Montezuma, Hernan Cortés precisava come, avendo richiesto a Montezuma informazioni sulla possibilità di trovare dei porti di rifugio per le sue navi, il re Montezuma gli fece avere in pochissimo tempo una carta della costa dipinta su stoffa.
Queste mappe erano dipinte su materiale estratto da fibre di agave. Altre erano su corteccia di fico e altre ancora su pelli trattate. In seguito, nel 1526, gli inviati di Tabasco e Xicalango redassero per Cortés una carta dell’intera regione “con la quale io ritenni che mi potevo tranquillamente spostare per la gran parte di essa”. Infatti, si estendeva fino a Panama e lo guidò nel suo difficoltoso viaggio fino all’Honduras.
Quasi tutte le mappe andarono perdute a causa della furia distruttrice dei preti spagnoli. Soltanto due reliquie di cartografia pre-colombiana sono state preservate, con alcune mappe redatte da nativi nel periodo seguente. Ed è su queste che si basa il nostro giudizio sulla cartografia messicana. Mentre nelle mappe redatte dopo la conquista si ha qualche influenza europea, esse mantengono i simboli tradizionali della cartografia primitiva. Sicchè le mappe del cosiddetto Codice Tepetlaoztoc, malgrado siano state redatte su carta europea, fanno uso di una simbologia esattamente eguale a quella dell’antico Messico.


Le carte degli isolani delle Isole Marshall, nel Pacifico, furono uniche nella storia della cartografia. Furono costruite utilizzando fibre di palma, unite una all’altra da fili di palma di cocco, così da puntare in molte diverse direzioni. Delle conchiglie, indicanti isole, erano fissate alle intersezioni dei fili di palma. L’uso di queste carte nautiche dipendeva da una buona conoscenza dei sistemi di swell che si manifestavano nella regione delle Isole Marshall. Riconoscendo questo sistema di onde, gli antichi navigatori polinesiani delle Isole Marshall erano capaci di navigare di isola in isola. Si distinguono tre tipi di queste mappe: le mappe di tipo mattang, che danno soltanto una indicazione teorica dei sistemi di onde, per cui queste mappe potrebbero svolgere una funzione didattica. Mappe di tipo rabbang, indicanti interi gruppi di isole, cioè mappe generali. E infine, mappe di tipo meddo, indicanti varie parti dell’arcipelago.

Il metodo di costruire queste mappe era un segreto custodito gelosamente e tramandato di padre in figlio. Una flottiglia di almeno 15 o più canoe partiva sotto la guida di un esperto interprete di queste mappe. Purtroppo, a mano a mano che i nativi vennero in contatto con le mappe europee non sentirono più la necessità di preservare la loro tradizione sulla costruzione e sull’uso delle loro mappe, che oggi si è persa completamente.



CARTOGRAFIA ANTICA MESOPOTAMICA
Gli storici della cartografia hanno fornito differenti versioni su quelli che possono essere considerati i documenti cartografici più antichi che ci siano pervenuti. Alcuni di questi consistono di incisioni su tavolette di argilla e variano come soggetto da descrizioni schematiche del mondo a rappresentazioni regionali. Naturalmente, le interpretazioni che di queste rappresentazioni vengono date differiscono tra gli studiosi.
Tavoletta di Ga-Sur e sua possibile interpretazione

Una di queste tavolette d'argilla, scoperta nel 1930 presso le rovine dell'antica località di Ga-Sur, circa 200 miglia a nord del sito di Babilonia. E' una piccola tavoletta (7,5 x 6,5 cm) che la maggior parte degli studiosi attribuisce all'epoca della dinastia di Sargon di Akkad (2300 - 2500 a.C.). Su di essa l'interpretazione identifica due zone collinose bisecate da un corso d'acqua. Sono visibili anche delle iscrizioni. Si tende ad identificare la regione rappresentata come quella dell'odierna Yorghan Tepe. Si tende anche ad identificare il corso d'acqua rappresentato con l'Eufrate.


Iscrizione a muro di Catal-Hyuk e possibile interpretazione
Come già accennato, l'attribuzione di rappresentazione geografica "più antica" è piuttosto problematica. Nel 1963 durante scavi presso la località di Catal Hyuk, nell'Anatolia centrale, venne alla luce una rappresentazione murale di circa tre metri di lunghezza, la cui datazione al radiocarbonio venne determinata al 6200 a.C. circa. Secondo l'interpretazione degli studiosi la mappa mostrerebbe in primo piano un insieme di abitazioni (circa 80) e sullo sfondo un vulcano a doppio cono con i fianchi ricoperti di massi in eruzione.



CARTOGRAFIA EGIZIA
Anche l’Egitto non ci ha lasciato quasi nessun documento cartografico. I faraoni organizzarono spedizioni militari, missioni commerciali e pure spedizioni esplorative. Uno di questi primi viaggi fu intrapreso ne­gli anni 1493 -92 a.C. per mare alla mitica Terra del Punt (probabilmente la Somalia). Questo è riportato in un’iscrizione nel tempio di Der-el-Bahri. L’iscrizione è accompagnata da una nave, ma non da una mappa. Erodoto dice di un altro viaggio, ordinato dal faraone Necho (circa nel 596-594 a.C.) per il quale navi fenicie circumnavigarono l’Africa, dal Mar Rosso alle Colonne d’Ercole.
Si hanno altre descrizioni su mura di templi o su papiri, di spedizioni, ma senza mappe. Soltanto nell’Egitto ellenizzato abbiamo un approccio teorico alla cartografia al punto che possiamo rite­nere che le mappe siano state un prodotto dell’ingegno greco. Sappiamo da Erodoto che durante la campagna contro gli Sciti da parte del faraone Sesostri (ca. 1400 a.C.) tutta la terra conquistata venne cartografata.
Non vi possono essere dubbi che gli Egizi possedevano un archivio catastale. I rilievi topografici devono essere stati molto sviluppati perché le inondazioni annuali del Nilo portavano via le pietre miliari di confine, e ogni volta i nuovi confini dovevano essere ritracciati (il ritracciamento era un'operazione molto importante che aveva evidentemente attinenza con il fisco).

Presso il Museo Egizio di Torino è conservata una mappa schematica delle miniere d’oro della Nubia (visibile nella figura accanto). Si ritiene che la mappa sia stata redatta all'epoca del regno di Ramsete IV (1150 a.C.), che diede inizio a un sistematico survey terrestre del suo impero. La parte più importante della rappresentazione è quella che viene generalmente chiamata la mappa delle miniere d'oro. Rappresenta due grandi arterie stradali che corrono orizzontalmente parallele attraverso una regione montuosa rossiccia. Si hanno anche iscrizioni ieratiche.

L'interpretazione della seconda parte del papiro presenta ancora delle difficoltà, per cui non è ancora stata portata a termine. L'illustrazione che segue illustra una possibile interpretazione.

Interpretazione del Papiro Egizio




LA "GEOGRAFIA" DI OMERO
La concezione del mondo dei tempi omerici quale disco circolare piatto, circondato completamente dalle acque di un unico fiume, rimase una nozione popolarmente radicata nel mondo greco, anche dopo che molti filosofi e scienziati avevano accettato la nozione della sfericità della Terra, enunciata dai Pitagorici e altri, ed affermata con prove teoretiche da Aristotele. Secondo quella concezione, subito al di sotto della superficie si trovava la dimora dell'Ade, il regno della Morte, e, ancora al di sotto, il Tartaro, il regno dell'eterna oscurità. All'esterno del fiume Oceano si elevava la volta cristallina (solida) celeste.

Da parte di alcuni si vuole fare riferimento alla descrizione che Omero dà nell'Iliade dello scudo di Achille come della prima rappresentazione cartografica-cosmologica. Infatti, per un lungo tempo, le primitive rappresentazioni dell'ecumene (mondo abitato) inclusero anche riferimenti cosmologici.

Efesto, il fabbro divino, modellò lo scudo di Achille su tre diversi strati di metallo. Al centro erano rappresentate scene terrestri, tra le quali due città, una in pace e l'altra in guerra, nella zona periferica, invece, era rappresentato il fiume Oceano. Tra i più notevoli elementi cosmologici erano rappresentate le costellazioni di Orione, delle Pleiadi e dell'Orsa Maggiore, nonchè il Sole e la Luna. Queste due figure si riferiscono a una ricostruzione eseguita da uno scultore moderno.

Ecco il passo di Omero dal Libro XXVIII dell'Iliade:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cinque dell'ampio scudo eran le zone
e gl'intervalli che, con divin sapere,
d'ammiranda scultura avea ripieni.
Ivi ei fece la Terra, il mare, il cielo
e il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
incoronata la celeste volta,
e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stella
d'Orion tempestosa, e la grand'Orsa
che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
ella si gira ed Orion riguarda,
dai lavacri del mar sola divisa.
. . . . . . . . . . . . . . . . .
Il gran fiume Ocean l'orlo chiudea
dell'ammirando scudo . . . . . . .



CONCEZIONI GEOGRAFICHE E CARTOGRAFIA GRECA
Erodoto di Alicarnasso svolse la sua attività intorno agli anni 440 - 425 a.C. I viaggi che portò a termine gli consentirono di allargare enormemente le conoscenze geografiche dei suoi contemporanei.
Le sue Storie erano essenzialmente dedicate alla lunga lotta che aveva opposto i Greci ai Persiani, ma non tralasciò di includere in esse ogni sorta di notizie sui popoli con i quali era venuto a contatto. Fu dunque anche un avventuroso viaggiatore attraverso il Mediterraneo. Si può ritenere che pur essendo venuto a conoscenza della nozione della sfericità della Terra, abbia continuato per semplificazione a trattarla come un disco piatto.
Comunque, nei suoi scritti non manca di esprimere ironia (addirittura disprezzo) per certi luoghi comuni che continuavano ad essere usati in geografia (il "fiume" Oceano perfettamente circolare, come se tracciato con un compasso, i dimensionamenti assurdi delle parti del mondo, ecc.).

Naturalmente anche Erodoto non è immune da topiche. Dice ad esempio di cinque giovani originari del Golfo della Sirte, che si inoltrarono verso sud, attraverso il deserto, fino a giungere a un grande fiume che scorreva verso est. Sostiene che avessero raggiunto la zona di origine del Nilo, che egli situava nell'Africa Occidentale. E' stato suggerito che tutt'al più ad Erodoto può essere giunta qualche incerta notizia circa qualche grande fiume dell'Africa Centrale, ma è altamente improbabile che al tempo di Erodoto delle spedizioni abbiano potuto attraversare il deserto.

In alcuni punti le conoscenze di Erodoto si dimostrano nettamente corrette, rispetto a quelle dei suoi contemporanei e di alcuni successori. Si rese conto che il Caspio era un mare chiuso, e non un golfo affacciato sull'Oceano. Dice anche che l'Africa era circondata dal mare, citando il viaggio compiuto da marinai fenici per ordine del faraone Necho nel 600 a.C. circa (si pensi che circa 500 anni dopo Erodoto, un geografo del calibro di Tolomeo, pur disponendo di una enorme ricchezza di notizie più precise, commise l'errore di unire la punta meridionale dell'Africa all'Asia).

Nell’antica Grecia, le carte geografiche non esistevano così come le concepiamo oggi. Strabone riteneva che la geo­grafia fosse una scienza derivata dalla filosofia.
Nel mondo classico non erano i geometri (misuratori di terra) ma i filosofi che si dedicavano alla pratica cartografica. E’ probabile che le dispute di argomento geografico sollevate dai filosofi abbiano suscitato ironia nei naviganti o nei geografi abituati a viaggiare come Erodoto.
Un'altra delle concezioni geografiche messe in ridicolo da Erodoto fu quella dei quattro "golfi" (il Mar Caspio, il Mare Arabico, il Golfo Persico e il Mediterraneo) bagnati dal fiume Oceano.

Ad Anassimandro di Mileto (610 - 546 a.C.), filosofo ionico discepolo di Talete, si dice sia dovuta una prima mappa del mondo, ma né Erodoto né Aristotele ne danno notizia. Si dice che Anassimandro abbia introdotto l'uso dello gnomone, forse per averlo appreso dai Babilonesi. Si dice anche che abbia impostato un orologio solare a Sparta.
C'è ancora ampia discussione su quale forma Anassimandro attribuisse alla Terra (se sferica o cilindrica).
Secondo Diogene Laerzio, il commentatore del secolo III d.C. dal quale deriviamo molte delle notizie sui filosofi della Scuola Ionica, Anassimandro fu il primo a tracciare uno schema (perimetron) del mondo, e pure il primo a costruire un globo.

La prima opera geografica greca scritta in prosa fu la Periegesi, (Viaggio intorno al mondo) di Ecateo di Mileto (550 - 480 a.C.), uno dei più antichi logografi ionici (= storico, nell'antica letteratura greca). La Periegesi (di cui ci sono pervenuti circa 300 frammenti), costituisce una sorta di guida alle zone costiere del Mediterraneo, a illustrazione di una carta geografica divenuta famosa.
E' probabile che la carta di Ecateo sia stata basata su una riproduzione di quella di Anassimandro.
Le nozioni geografiche di Ecateo sono chiaramente primitive. Per lui il Caspio era un golfo che sfociava nell'Oceano circolare.
Il secondo libro della Periegesi è dedicato alla Libya (Africa), naturalmente la costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole.
Ecateo potrebbe essere uno degli autori ai quali si riferisce con una certa derisione Erodoto, per aver fornito notizie geografiche grossolanamente imprecise.

Altro filosofo ionico fu Anassimene, sempre di Mileto. La sua epoca non è nota con precisione, ma si può ritenere che sia fiorito nella seconda metà del VI secolo a.C. Aristotele dice che Anassimene sosteneva che il mondo fosse di forma quadrangolare irregolare a causa di una non meglio precisata "pressione" esercitata dall'aria. L'illustrazione mostra una ricostruzione moderna del mondo, così come concepito da Anassimene, e quindi limitato al Mediterraneo (dalle Colonne d'Ercole alla Colchide).

Un evento significativo per la cartografia si ebbe a Sparta negli anni 499 - 498 a.C. Il tiranno di Mileto Aristagora, che aveva trovato là rifugio, convinse gli Spartani, esibendo una mappa metallica (realizzata su una piastra metallica, forse di bronzo) che lui (o qualcun altro) aveva costruito, a intraprendere una campagna contro i Persiani che avevano sottomesso la sua città. Erodoto, dai territori che Aristagora indicava ai Lacedemoni con l’ausilio della mappa, ci lascia intendere che essa doveva rap­presentare parte del Medio Oriente, con l’Iran e l’Armenia.

Il primo tentativo di approccio scientifico alla cartografia greca si ha nel quarto secolo. Dicearco di Messina (350 - 290 a.C.), filosofo greco, discepolo di Aristotele, si applicò a varie discipline. Trattando di geografia nella Descrizione della Terra, indicò per primo la necessità di una linea di riferimento su una carta dell’ecumene. La sua linea correva da ovest a est, da Gibilterra a Rodi, prolungandosi fino alla Persia. Non è sicuro se abbia anche indicato di stabilire una linea di riferimento verticale.

Eratostene (276 - 195 a.C.), pietra miliare nella storia della cartografia, suggeri che un certo numero di linee fossero tracciate parallelamente a una di riferimento, ma non distanziate regolarmente. Era stato nominato all’incarico di direttore della Biblioteca di Alessandria, che probabilmente era dotata di poche carte geografiche ma di molte mappe catastali. Strabone dal quale sono derivate la maggior parte delle notizie su Eratostene, si riferisce in maniera piuttosto confusa alla carta di Eratostene.

Non chiarisce se la carta venne effettivamente redatta da Eratostene o semplicemente arguita dalla lettura delle di lui opere.
E' certo che le conquiste di Alessandro Magno permisero alla comunità scientifica greca di progredire enormemente, anche sulle conoscenze geografiche, specialmente per le regioni asiatiche, e quindi anche Eratostene potè beneficiare di esse.
E' abbastanza curioso il fatto che Eratostene sia stato considerato con scarsa stima dai suoi contemporanei. Gli studiosi moderni invece lo ritengono il "padre della geografia scientifica". Certamente il più grande dei meriti che gli vengono ascritti è quello che si rifà alla straordinaria precisione della sua misura della circonferenza terrestre (il lettore trova notizia di ciò nel capitolo dedicato all'astronomia greca).
Dopo aver risolto il problema fondamentale della dimensione della Terra, Eratostene passò a considerare la dimensione di quello che ancora ai suoi tempi era considerato il mondo abitato. Occorre subito dire che queste dimensioni furono, a cominciare da Eratostene, grandemente esagerate (era inevitabile) e tali rimasero, con successivi aggiustamenti, fino a buona parte del secolo XVIII. Allora, i dimensionamenti del mondo abitato di Eratostene furono: in longitudine, dalle Colonne d'Ercole all'India 70.000 stadi e in latitudine, dalla Terra delle Spezie (Somalia-Etiopia) all'isola di Thule (Islanda?) all'incirca 38.000 stadi. (Per avere un'idea dell'errore nel dimensionamento longitudinale di Eratostene, si tenga presente che, prendendo come riferimento il parallelo di Rodi, 70.000 stadi corrispondono a circa 140º di longitudine, cioè a un'estensione da Gibilterra alla Corea).
Ci sembra ozioso soffermarci sulle ancora numerose convinzioni geografiche erronee di cui Eratostene non riuscì a liberarsi. E' degna di nota, invece, la spiegazione geograficamente razionale che egli fornì per primo delle inondazioni annuali del Nilo (le precipitazioni copiose che si avevano all'inizio della stagione estiva nelle regioni di origine del fiume).

Questa illustrazione mostra una ricostruzione moderna del globo che si dice essere stato costruito a Pergamo da Cratete di Mallos (210 - 150 a.C.). Le dimensioni che Eratostene aveva attribuito all'ecumene e alla superficie sferica della Terra davano origine a un problema: come era possibile che l'intero mondo abitato fosse concentrato in una così piccola zona, praticamente un solo suo quadrante? Ciò non era in accordo con i criteri tipicamente greci di equilibrata simmetria.
Cratete pensò di dare una soluzione al problema ipotizzando l'esistenza di tre "altri continenti".
(Macrobio dice che nel 168 a.C. Cratete aveva visitato a Roma la Cloaca Massima, ed essendosi rotto una gamba durante la visita, durante la convalescenza aveva tenuto delle conferenze che avevano suscitato una grande impressione sull'uditorio).

Le ipotesi di Cratete sui nuovi continenti ebbero una vasta eco anche presso i successori. Cicerone le riprese nel Somnium Scipionis (Il sogno di Scipione). In seguito, Macrobio nel suo commento al Somnium Scipionis, nel 390 d.C. circa, amplificò le teorie di Cratete che finirono per trovare ampio credito nel Medioevo.

Questa illustrazione mostra una ricostruzione, eseguita da Petrus Bertius (Pieter Bert) nel 1630, del mondo così come era concepito dal filosofo greco Posidonio, vissuto dal 135 al 51 a.C. Questa ricostruzione di Bertius venne pubblicata nell' Antiqua Geographia. Come si vede, la Terra aveva una forma lenticolare. E' noto che Posidonio occupa un posto importante nella storia della cartografia.

Ma è altrettanto noto che in genere si ritiene che egli abbia avuto un'influenza nefasta sullo sviluppo delle conoscenze geografiche, perchè Tolomeo si era basato sulla misura (molto erronea) della circonferenza terrestre eseguita da Posidonio, anzichè su quella molto precisa di Eratostene.
Sembra dunque che anche Tolomeo abbia partecipato a quell'attitudine di disistima nei confronti di Eratostene di cui abbiamo detto in precedenza.

Agli studiosi del Rinascimento quindi arrivò (1) la dimensione terrestre (erronea) di Tolomeo e (2) l'esagerata estensione del complesso Europa-Asia (sempre di Tolomeo), con tutte le conseguenze che conosciamo. La figura accanto illustra, ad esempio la dimensione eccessiva che Tolomeo attribuì ad Europa-Asia, rispetto alla realta (il tracciato a tratto pieno è quello che si rifà a Tolomeo).
Posidonio era nato nella località siriana di Apamea. Dopo aver viaggiato a lungo nel Mediterraneo, si stabilì a Rodi, dove aprì una scuola.

Molte delle notizie che disponiamo su Posidonio derivano dagli illustri visitatori di questa scuola (tra questi il generale romano Pompeo il Grande e Cicerone).
A Rodi Posidonio realizzò anche la costruzione di un planetario, quale strumento didattico per le sue lezioni (Cicerone annota ". . . il planetario costruito recentemente dal nostro amico Posidonio, che ad ogni rivoluzione riproduce fedelmente i moti che hanno luogo nel cielo . . ..
Criticò la usuale suddivisione (risalente a Parmenide ed Aristotele) della superficie terrestre in cinque zone climatiche, suddivisione basata fino ad allora su criteri climatici. Sostenne invece che si dovevano introdurre termini astronomici, quali i circoli tropici e i circoli polari.
Marino di Tiro e Tolomeo dunque, basandosi sulla misura della circonferenza terrestre di 180.000 stadi, trasmisero alla posterità la erronea nozione della estensione del mondo abitato (dalle Colonne d'Ercole all'India) per una metà dell'intera circonferenza terrestre.

Questa illustrazione ci dà una ricostruzione moderna del mondo visto dal filosofo greco Strabone, vissuto a cavallo dell'inizio della nostra Era. Egli aveva scritto il suo famoso trattato geografico, Geographia, basandosi sui resoconti dei viaggi compiuti da tanti esploratori, suoi predecessori e contemporanei. Fortunatamente tutti i diciassette libri del Geographia di Strabone ci sono giunti.

Da essi possiamo trarre una gran messe di notizie sui suoi predecessori, specialmente su Eratostene.
Strabone era nato ad Amasia, sul Mar Nero, all'incirca nel 64 a.C. Compì i suoi studi a Nysa, in Caria, e soggiornò a diverse riprese a Roma. Intorno al 25 a.C. si trasferì ad Alessandria. Malgrado la sua asserzione di aver viaggiato estesamente, gli specialisti tendono a privilegiare l'ipotesi che egli abbia largamente attinto al materiale della Biblioteca di Alessandria, ma il suo viaggio di risalita del Nilo fino alle frontiere con l'Etiopia sembra effettivamente avvenuto. E' probabile che le sue opere geografiche abbiano avuto scarsa diffusione a Roma, perchè non sono citate da Plinio.
Ridusse un poco le dimensioni del mondo abitato rispetto a quelle date da Eratostene: 70.000 stadi in lunghezza (anzichè 78.000) e 30.000 in latitudine (anzichè 38.000). Nei suoi scritti non mancò di volgere la sua attenzione al problema delle deformazioni che nascono nel voler rappresentare la superficie sferica della Terra su un piano. All'uopo suggeriva di ricorrere per quanto possibile a un globo ". . come aveva fatto Cratete . .", raccomandando di costruirlo opportunamente grande, di almeno dieci piedi di diametro.

Marino di Tiro, che fiorì intorno all'anno 120 d.C., può essere considerato il primo a proporre la necessità di un approccio matematico alle proiezioni cartografiche. Né i suoi scritti né le sue eventuali carte geografiche ci sono pervenuti ma si sa che egli sosteneva la necessità di un reticolo di meridiani e paralleli, probabilmente originato da una proiezione cilindrica centrale.
Le nostre conoscenze su Marino sono essenzialmente dovute a Tolomeo, che ci informa, ad esempio, che Marino aveva letto pressochè tutte le opere storiche e geografiche dei suoi predecessori e che aveva corretto spesso i loro errori (presumibilmente errori di collocazione geografica delle località). Tolomeo dice di aver visto le carte geografiche costruite da Marino.
Secondo Tolomeo, la caratteristica notevole delle carte di Marino fu il maggiore dettaglio accordato al mondo abitato, rispetto ai predecessori. Ma Tolomeo dice anche che Marino mancò nell'esercitare spirito critico nelle sue investigazioni scientifiche e che addirittura commise degli errori. Ad esempio, secondo Tolomeo Marino scelse un metodo improprio nel trasporre la superficie sferica terrestre in un piano perchè adottò il sistema di spaziare i paralleli equidistanti tra loro per eguali differenze di latitudine (in parole povere, Tolomeo dice che sulle carte di Marino, la distanza, ad esempio, tra il parallelo di 10º di latitudine e quello di 20º era uguale a quella, ad esempio, tra il parallelo di 30º e quello di 40º) e in ciò Tolomeo ha chiaramente ragione, per quanto sembri strano che uno studioso con una chiara attitudine matematica come Marino, abbia potuto commettere un simile errore.
L'opinione degli studiosi moderni è che quali che siano i rilievi di Tolomeo, le opere di Marino devono essere state di enorme importanza per il suo tempo, e che sicuramente esse devono essere state la base sulla quale Tolomeo costruì il suo imponente contributo geografico.

L'approccio di Claudio Tolomeo (ca. 100 - ca. 170 d.C.) alla geografia e alla cartografia fu squisitamente scientifico. Ottenne ciò attraverso una delle sue maggiori opere la Geographike Syntaxis, che lui stesso definì "una guida geografica alla costruzione di mappe". Si tratta della sua opera espressamente dedicata a ciò che oggi intendiamo con i termini di "geografia" e di "cartografia". Nei secoli successivi l'opera venne indicata semplicemente con Geographia, e talvolta, in maniera impropria, con Cosmographia. Di essa fa parte il primo atlante generale del mondo che sia sopravvissuto. Nella parte testuale dell'opera sono indicati gli obblighi del costruttore di mappe e la natura del materiale con cui egli ha a che fare. Questo trattato rimase l'opera geografica teoretica di riferimento per tutta l'età medioevale, venendo soppiantato solo durante il secolo XVI. La geodesia moderna ancora oggi è basata su alcuni postulati contenuti in quest'opera.

Naturalmente, nessun manoscritto originale dell'opera ci è pervenuto. Disponiamo soltanto di alcune copie eseguite durante il secolo XI, presumibilmente da monaci dell'Impero bizantino. Queste copie appaiono costituite di otto "libri".
Per sua stessa definizione, Tolomeo indica chiaramente che l'essenza della scienza geografica si riassume nella "costruzione di mappe" per cui, in conclusione, per lui "geografia" è sinonimo di "cartografia". Consacra il proprio approccio scientifico a questa disciplina affermando la necessità del suo studio tramite l'utilizzo della matematica.

Per evitare, o quanto meno ridurre gli errori che si avevano nelle proiezioni cartografiche di Marino, Tolomeo proponeva quella che oggi viene detta la proiezione conica. Questa consisteva (secondo la personale interpretazione di Tolomeo) nel proiettare i punti della sfera rappresentativa terrestre su una superficie conica il cui asse coincideva con l'asse terrestre, e che doveva essere secante alla superficie terrestre stessa, intersecandola in corrispondenza dei paralleli di Rodi e di Thule (Islanda) (evidentemente Tolomeo prendeva con ciò in considerazione solo l'estensione del mondo abitato).

Per rappresentare poi la parte conosciuta dell'emisfero sud ricorre a un artificio grafico (piuttosto discutibile nella sua arbitrarietà): considera un parallelo a sud dell'equatore (Equinoctialis) e distante da esso quanto la località nordica di Meroe dista dall'equatore stesso. Un aspetto sconcertante della metodologia cartografica di Tolomeo è dato dal fatto che malgrado le critiche che egli rivolse a Marino e malgrado l'enunciazione della sua proiezione conica,
egli si limitò ad usare la stessa soltanto per la sua prima carta generale del mondo, mentre per le rimanenti ventisei carte regionali, fece uso della proiezione di Marino.
Non sappiamo se quest’opera originale di Tolomeo sia stata da lui corredata di carte geografiche, da lui stesso redatte o sotto la sua direzione. In essa sono contenute semplicemente delle indicazioni operative nella realizzazione di carte. In seguito, nel periodo tardo bizantino vennero prodotti dei manoscritti conosciuti come la Geographia di Tolomeo, alcuni dei quali contengono carte geografiche. Grosso modo, questi manoscritti sono stati suddivisi dagli studiosi in due versioni . La Versione A, che contiene 26 carte geografiche regionali, incluse negli otto libri del Geographia, e la Versione B, che contiene 64 carte regionali, anche queste distribuite lungo tutto il testo.

A parte queste mappe, i manoscritti sono accompagnati da due tipi di carta universale del mondo conosciuto ai tempi di Tolomeo, un tipo su un foglio singolo e un altro tipo su quattro fogli. Di questi manoscritti bizantini del Geographia, undici della versione A e cin­que della versione B hanno mappe. Alcuni manoscritti, privi di mappe, contengono però riferimenti a mappe di accompagnamento.
Gli studiosi hanno a lungo dibattuto se gli originali, di cui queste mappe bizantine erano copia, furono fatti da Tolomeo stesso o da qualcun altro.

Se furono fatti da Tolomeo e se davvero le mappe di entrambe le versioni possono essere ascritte a lui, allora quale è la versione precedente tra la A e la B?.
Dei dubbi circa la possibilità di ascriverli a Tolomeo sono stati avanzati per il fatto che in alcuni manoscritti le mappe del mondo a foglio singolo portano il nome di Agatodemo, che si presume abbia disegnato le mappe seguendo le istruzioni degli otto libri di Tolomeo, malgrado la proiezione usata sia diversa da quelle trattate da Tolomeo. Vi sono anche ulteriori problemi: chi redasse le mappe del mondo in quattro fogli e quella su foglio singolo? E infine, è Tolomeo l’autore dei testi del Geographia così come ci sono pervenuti ?

Il Geographia dei manoscritti bizantini, e non abbiamo testi precedenti dell’opera, consiste di otto libri. Il Libro I contiene critiche a Marino di Tiro, istruzioni per la costruzione di mappe e proposte per due proiezioni, una semplice e una complessa. Le coordinate sono date in gradi rispetto a un meridiano di rife­rimento passante per le Isole Fortunate (le Canarie). Il Libro II incomincia con una introduzione sulla valutazione dei dati, preparativi per il disegno, come e in quale ordine marcare i confini, e come usare le tabelle associate. Seguono tabelle di località abitate con latitudini e longitudini in gradi di città, estuari, sorgenti, monti, promontori, ecc. Tutto ciò occupa la maggior parte del Libro II e i successivi fino a parte del Libro VII. Le ultime tre sezioni del Libro VII sono un complemento al Libro I, e danno ulteriori istruzioni circa ciò che ogni mappa dovrebbe mostrare. Il Libro VIII contiene alcune ulteriori istruzioni e, nella versione A, 26 mappe, ciascuna ripiegata a metà e recante sul retro una iscrizione della regione illustrata, dei suoi confini e una lista delle città principali. Le coordinate di queste città sono date non in gradi ma in tempo. La longitudine è espressa in ore e minuti rispetto al meridiano di Alessandria (1 ora = 15º, 1 minuto = 15’), mentre la latitudine è espressa in termini di durata del giorno più lungo (al solstizio estivo).

I dubbi sulla possibilità che questi manoscritti riflettano l’opera originale di Tolomeo, sono stati sollevati a più riprese da frequenti contraddizioni riscontrate, per esempio, dall’inclusione di materiale che non poteva essere conosciuto ai tempi di Tolomeo e da contraddizioni tra i testi e le carte geografiche. Secondo alcuni, Tolomeo fu responsabile solo di alcune parti dei manoscritti. Il Libro I e le istruzioni generali del Libro II sono certamente opera di Tolomeo. Anche le info sui confini di ogni mappa erano sue. Tutto questo faceva parte certamente dell’originale Geographia. E’ anche possibile che Tolomeo abbia scritto i capitoli 3-28 del Libro VIII. Ma ciò deve essere stato molto tempo prima che il Geographia fosse redatto, perché le coordinate di longitudine sono date in gradi e non in tempo. La lista delle principali città può essere stata intesa ad uso degli studenti del Sintaxis (Almagesto) di Tolomeo, il suo manuale astronomico fondamentale. Ma anche in questa opera, le coordinate sono date in gradi. Sembra quindi probabile che la lista sia stata compilata da qualche predecessore di Tolomeo, forse da Serapione Anticherios, che visse 200 anni prima di Tolomeo e che compose una lista del genere.

Qualche autore successivo a Tolomeo può aver messo assieme gli otto libri del Geographia così come ci sono giunti, traendo dati dall’originale, aggiungendo una lista di punti di riferimento, facendo in modo da dare all’insieme una forte verosimiglianza con l’originale. E’ significativo il fatto che nessuno dei contemporanei di Tolomeo, né alcuno dei secoli immediatamente successivi, faccia menzione di un Geographia in otto libri. In tutti gli elenchi delle opere di Tolomeo non c’è alcun riferimento a un Geographia. Nemmeno nel “Suida”, un dizionario di autori antichi con la lista delle loro opere del secolo X.
Quando il Geographia viene menzionato da qualche autore è soltanto per riferimento al materiale polemico contenuto nel Libro I. Agatodemo dice che lui basò la sua carta geografica sugli otto libri del Geographia, ma noi non sappiamo quando egli visse. Questo dei manoscritti è un problema serio da risolvere.

Il monaco bizantino Maximos Planudes (1260 - 1310) fu un collezionista di manoscritti classici. Dopo molte vicissitudini, riuscì ad acquistare un manoscritto del Geographia che attualmente si trova nella Biblioteca Vaticana (Vaticano, Greco, 177). Come lui riferisce, il manoscritto non conteneva mappe, ma soltanto le osservazioni che Agatodemo lasciò su come aveva realizzato la sua mappa del mondo. Maximos Planudes era così soddisfatto di questo ritrovamento da celebrarlo in esametri. Con altri versi egli ci informa di come si decise a realizzare lui stesso una mappa. Ciò fece un gran rumore tanto che l’Imperatore Andronico III espresse il desiderio di avere per sé una copia del Geographia con le mappe. Athanasios, patriarca di Alessandria, che si trovava allora a Costantinopoli, fece eseguire una copia per l’imperatore e Planudes celebrò ancora l’evento con altri esametri.

Planudes ci dice che le sue mappe erano basate esclusivamente sui testi degli otto libri di Tolomeo. Un manoscritto del Geographia è preservato a tutt’oggi nel monastero di Vatopedi sul Monte Athos. Sfortunatamente è stato semidistrutto dai monaci che non disdegnavano di vendere pagine sciolte ai collezionisti, per cui la mappa del mondo è andata a finire al British Museum, e due o tre altre mappe si trovano ora a Leningrado. Studiosi che hanno confrontato il manoscritto di Vatopedi con lettere di mano di Planudes, ritengono che il manoscritto stesso sia stato opera sua, ma esso è incompleto. Probabilmente si tratta di una seconda copia che egli fece per qualcun altro. Planudes dice che riteneva necessario fare una mappa lunga 17 piedi. Altre copie, come quella del manoscritto Vaticano, sono approssimativamente di questa dimensione. Ma siccome il manoscritto originale di Planudes con le sue mappe non è stato ancora trovato, non possiamo dire niente di definitivo circa le mappe originali della Versione A.

Un altro studioso di epoca bizantina che si interessò al Geographia di Tolomeo fu Nikephoras Gregoras (1295 - 1359) che aggiunse diverse note o commenti, generalmente sui margini) al Geographia. A lui è attribuita anche la mappa del mondo su quattro fogli che si trova in alcuni manoscritti, principalmente nella Versione B.



CARTOGRAFIA ROMANA
Pomponio Mela, scrittore latino del secolo I d.C., di origine spagnola, è considerato il primo cartografo romano. La maggior parte delle informazioni geografiche a lui attribuite si rifanno a quelle risalenti ai greci Eratostene e Strabone. La sua conoscenza di alcuni aspetti del Nord Europa è però migliore di quella degli scrittori greci (ad esempio è il primo a citare le "Isole Orcadi"). Potrebbe darsi che la sua condizione di cittadino romano lo abbia favorito nel poter disporre di informazioni geografiche sulle regioni nordiche che stavano per essere conquistate.
L'opera principale di Mela è intitolata De chorographia, che significa "geografia regionale", ed è una descrizione, in tre libri, dei paesi del Mediterraneo, del Nord Europa, e anche di Asia e Africa, regione per regione.

Non si ha alcuna prova che l'opera fosse dotata di carte geografiche. Mela scrisse agli inizi dell'invasione romana dell'Inghilterra, e quindi le sue cognizioni sulle isole inglesi sono del tutto imprecise.
Si hanno molti riferimenti che ci dicono dell’esistenza di mappe nell’antica Roma. Diverse mappe schematiche ci sono state trasmesse, attraverso il Medioevo. Si tratta di mappe che illustravano i testi di classici latini come le storie di Sallustio, le satire di Giovenale, i Pharsalia di Lucano, i commentari di Macrobio al Sogno di Scipione di Cicerone. Perfino prima dell’era cristiana, nel 174 a.C. una mappa della Sicilia era stata fatta per il tempio di Matuta. Varrone (scrittore latino del secolo I a.C.) cita una mappa dell’Italia. Quando una colonia veniva fondata, o un territorio veniva suddiviso, venivano redatti dei piani in duplice copia, una in metallo o in pietra, da essere esposta pubblicamente, un’altra in lino, per gli archivi di stato. Ci sono giunti frammenti di marmo di un piano di Roma fatto fare dall’imperatore Settimio Severo (193 - 211 d.C.).

Sappiamo anche di mappe costruite privatamente, come quella del mondo conosciuto, fatta costruire dal generale Marco Vipsanio Agrippa (63 - 12 a.C.), che si suppone basata su misurazioni stradali fatte eseguire su tutto l’impero dall’imperatore Augusto (27 a.C. - 14 d.C.). Si tratta chiaramente di rilievi a carattere unicamente militare e non astronomico. La mappa di Agrippa fu completata nell’anno 20 e dopo la morte di lui, fu esposta al Campo Marzio. Sebbene delle copie siano state portate ad altre località importanti dell’impero, non una singola copia è sopravvissuta.

Si è per molto tempo creduto che la mappa di Agrippa potesse essere ravvisata, magari in una forma revisionata, nella famosa “Tabula Peutingeriana”, così chiamata dal collezionista Konrad Peutinger (1508 - 1547) di Augsburg.
L’umanista viennese Konrad Celtes, bibliotecario dell’imperatore Massimiliano I, trovata la mappa in una biblioteca, la portò a Peutinger, e da allora essa passò in possesso di costui e addirittura con il suo nome è designata.

Ma studi recenti hanno stabilito che non può trattarsi della mappa di Agrippa perché non reca alcuna traccia di caratteristiche militari, dando soltanto evidenza a luoghi di culto, a centri commerciali, ad acque termali, ecc. In ogni caso, essa non è documento del secolo I ma di un’epoca ben più tarda. Nell’anno 250 venne copiata da un originale del I secolo più grande. Nel 350 venne migliorata la rappresentazione della costa e vennero aggiunte delle isole. Nei secoli V e VI vi venne aggiunto l’oceano. In quest’epoca l’influenza di questa mappa appare nell’opera del famoso Anonimo ravennate. E’ probabile che la forma definitiva della Tabula Peutingeriana, così come fu ritrovata da Celtes, venne fissata in questo periodo.
Non conosciamo il nome dell’autore della Tabula. Potrebbe darsi che esso fosse recato dal primo foglio, oggi mancante, dei dodici originali. Questo perchè l’Anonimo ravennate (parleremo di costui nella cartografia medioevale) cita il nome di un certo Castorius come quello della sua fonte, e quindi si potrebbe pensare che costui sia stato l’autore.

Senza dubbio la civilizzazione romana doveva possedere una buona cartografia. Il gran numero di strade da manutenere, le numerose guarnigioni disperse ai quattro angoli dell’impero, gli specialisti misuratori (agrimensores) sono tutti fattori che indicano una predisposizione a coltivare la costruzione di mappe.
Ma tutto quello che oggi possediamo di cartografia romana è poca cosa: la Tabula Peutingeriana di cui si è detto, alcune mappe nel Notitia dignitatum Imperii romani, la rappresentazione di un frammento di Mar Nero sullo scudo di un soldato romano, schizzi di mappe e istruzioni per rilevatori compilati da Gromaticus Hyginus.



IL MEDIOEVO CRISTIANO
I Padri della Chiesa primigenia erano poco interessati nel perseguire sforzi intellettualistici all’infuori di obbiettivi teologici. San Damiano diceva: “. . . era alla gente umile, non ai sapienti che Dio affidava il compito di proclamare le Sue leggi. San Benedetto non era un campione di scienza. Cosa potevano guadagnare dalla scienza i cristiani ? . . .”. Perfino San Francesco non poteva sottrarsi all’attitudine di stigmatizzare il desiderio di scienza di certi religiosi: “Ci sono molti fratelli che si affannano alla ricerca della conoscenza . . . Questi fratelli che la curiosità spinge alla scienza, nel Giorno del Giudizio si troveranno con le mani vuote.”.

Nel Medioevo tardo (grossolanamente dal X al XV secolo) la cortina di oscurità a poco a poco si dissipò. Molte forze contribuirono a ciò. Il consolidamento della Cristianità e la sua espansione, la formulazione sistematica della dottrina cattolica su basi filosofiche, l’affermarsi di stati nazionali, il sorgere di città, la scoperta di reliquie del passato classico preservate in biblioteche di monasteri o tradotte dall’arabo.

Per quanto riguardava la cartografia, la Chiesa medioevale, quale erede spirituale della romanità, non trovava nulla da condannare nelle pratiche cartografiche dei Romani e dei Greci. La Bibbia non dava regole specifiche sull’argomento. La teoria delle zone climatiche della superficie terrestre venne accettata dalla Chiesa. Ostacoli si ebbero solo per le influenze astrologiche che erano esercitate su ciascuna di queste zone. Naturalmente anche la cartografia medioevale-cristiana risentì fortemente dell'universale anelito cristiano allo spiritualismo e quindi a una rappresentazione estremamente schematica e priva di abbellimenti estetici.

La Chiesa doveva poi gradualmente assumere una sua attitudine nei confronti della cosmologia. Origene aveva consentito una gran varietà di libertà nello stabilimento della dottrina della Chiesa. I problemi erano incominciati a sorgere nel VI secolo con Costantino di Antiochia, conosciuto sotto il nome di Cosma Indicopleuste (geografo e scrittore bizantino, contemporaneo dell’imperatore Giustiniano, quello strano appellativo si riferisce ai molti viaggi da lui compiuti, anche per mare). Di lui ci è pervenuta una Topografia cristiana, in 12 libri, in cui fornisce una spiegazione astronomica e geografica dell’universo in armonia con la teologia cristiana.

Contiene un’enorme quantità di citazioni e notizie che ne fanno una preziosa fonte, ma anche concetti geografico-religiosi estremistici (il mondo-tabernacolo). Egli respingeva l’opinione che la Terra fosse sferica (il concetto di antipodi metteva in difficoltà la teologia), ritornando al vecchio concetto del disco piatto circondato dal fiume Oceano. Ma i Padri non approvarono entusiasticamente le sue vedute.

Giacomo di Edessa (circa 640 - 708) pur essendo vescovo, sottoscrisse la teoria aristotelica della Terra sferica. Ma in genere, la tradizione cartografica romana della mappa circolare venne adottata. Ciò soddisfaceva tutte le richieste della Chiesa.
In genere, le mappe della tradizione patristica sono piccole e schematiche. La schematizzazione si accordava con la visione cristiana (1) di proporre una scarsa esaltazione delle cose terrene e (2) di contrastare nello stesso tempo le acquisizioni scientifiche della paganità. Con il passar del tempo, comunque, esse si arricchirono, si ingrandirono e si colorarono (abbellendosi quindi), raggiungendo la dimensione di tre metri e mezzo di diametro nella mappa di Ebstorf (circa 1284), che come la mappa di Hereford, si trovava probabilmente dietro un altare. La scrittura su tali mappe è in genere in latino, ma spesso i nomi di località sono dati nei volgari locali. Così la mappa di Ebstorf è in basso tedesco e quella di Hereford nel dialetto normanno del vecchio francese. Il contenuto geografico di queste mappe è tratto da Plinio, Solino e Isidoro di Siviglia. Quando una mappa veniva inserita in un codice, sotto forma di libro, cambiava forma, diventando ovale o rettangolare.

Non rimangono tracce della cartografia secolare del medioevo carolingio. Sappiamo, ad esempio, che Carlo Magno (724 - 814) possedeva una ricca collezione di mappe, comprese due tavole d’argento, due delle quali erano piante di Roma e di Costantinopoli, e la terza una mappa del mondo (totius mundi descriptio). E’ probabile comunque che l’ultima non avesse un carattere secolare, perché a quel tempo l’età d’oro della cartografia ecclesiastica incominciava appena, sotto il patrocinio di papa Zaccaria (741 - 752), che aveva dipinto lui stesso una mappa del mondo in Laterano (orbis terrarum descriptionem depinxit). Difficilmente una biblioteca di un monastero o di un nobile era sprovvista di mappe. Sappiamo ciò da molti cataloghi di biblioteche medioevali. Fanno menzione non solo di mappe del mondo (mappae mundi) ma anche mappe della Terra Santa e perfino di carte nautiche.Ma le mappe della tradizione monastica servivano principalmente per l’illustrazione di testi.

Queste mappe, in cui l’est è di solito posto in alto, possono essere suddivise in tre gruppi:

Primo gruppo: mappe di puro tipo romano-cristiano, (dette anche "mappe di tipo T-O"), che mostrano un disco, con l’Asia che occupa la metà superiore e l’Europa e l’Africa i due quadranti inferiori. La fascia orizzontale separante l’Asia da Europa e Africa è formata dal Tanais (Don), dal Mar D’Azov, il Mar Nero, il Mar di Marmara, l’Egeo e il Nilo. Il Mediterraneo è dato da una fascia verticale, ad angolo retto con la prima, per cui queste mappe sono anche dette mappe a T. Appartengono a questo tipo le mappe di Ebstorf e quella di Hereford. Mappe di questo tipo si trovano nelle più svariate dimensioni, da 3 cm di diametro a più di 3 metri.

Secondo gruppo: mappe di tipo Cratete di Mallo, che derivano il nome dal classico prototipo, il globo di Cratete. Questo tipo è abbastanza raro nella cartografia ecclesiastica, perché la Chiesa contrastava l’esistenza degli antipodi. Abbiamo una suddivisione in zone. Le mappe di Marziano Capella e del vescovo Teodulfo sono buoni esempi di questo tipo, che include anche numerose mappe di Macrobio. Associate a queste mappe zonali, ma costituenti una sottospecie distinta, sono le mappe climatiche, che suddividono l’ecumene in sette tipi di clima, secondo gli insegnamenti tolemaici.

Il terzo tipo è un incrocio degli altri due, e comprende le molte mappe dette del Beatus. Queste mappe differiscono grandemente per forma, dimensioni ed apparenza. Sono invariabilmente orientate all’est (est in alto), e la superficie terrestre è talvolta suddivisa, come nel tipo (2) in quattro parti.


I testi medioevali contengono spesso riferimenti ad altre mappe che erano state realizzate o che erano in progetto, ma che non ci sono giunte. Nella mappa che accompagnava il testo dell ‘ Anonimo ravennate (un geografo rimasto sconosciuto, fiorito a Ravenna intorno al 650), Ravenna era posta al centro, dal quale si dipartivano 24 raggi che suddividevano la superficie terrestre in 12 settori diurni e 12 notturni.
Tali mappe sono state ricostruite da studiosi moderni, sulla base di testi sopravvissuti, o frammenti, ma naturalmente una ricostruzione del tutto fedele è impossibile. Non si riesce, ad esempio, a trovare un accordo sulla forma della mappa dell’Anonimo Ravennate, se ovale, rotonda, quadrata, rettangolare, ecc.

Le mappe a T riflettono idee dell’era pre-cristiana, malgrado siano state adattate dalla Chiesa. Sono state chiamate Imago Mundi Rotonda, o anche Mappe Noachidi, dalla loro suddivisione biblica in tre parti, una per ciascuno dei figli di Noé. Le mappe sopravvissute nei manoscritti, risalgono all’VIII secolo, malgrado ci si possa aspettare di trovarne di risalenti al secolo IV. I cartografi-copisti gradualmente inserirono sempre più dettagli negli originali disegni schematici di San Isidoro di Siviglia, modificando la forma in modo da adattarla al formato dei manoscritti.

Le mappe del Beatus e dei suoi seguaci, sono tra quelle che lasciarono maggiormente il loro segno nella cartografia monastica. Beatus di Valcavado, monaco benedettino spagnolo, compilò il suo famoso Commentario dell’Apocalisse nel 776, aggiungendovi una mappa del mondo quale illustrazione. Sfortunatamente il manoscritto e la mappa originale sono andati perduti, ed abbiamo soltanto delle copie, eseguite nei secoli successivi.


Di interesse particolare sono due mappe del XIII secolo indicate dai nomi dei luoghi dove furoino scoperte, le mappe di Ebstorf e di Hereford. La prima era preservata in un monastero benedettino a Ebstorf, presso Lüneburg Heath, e venne scoperta nel 1830. Nel 1845 passò in proprietà dell ' Historisches Verein für Niedersachsen di Hanover, ma purtroppo fu distrutta durante la seconda guerra mondiale. Consisteva di 30 fogli di pergamena, misurando complessivamente 3.58 x 3.56 metri, ed era stata suddivisa nei fogli componenti per facilitarne la conservazione.

Sfortunatamente alcuni fogli mancavano e per un confronto con la mappa di Hereford, si arguisce che uno dei fogli mancanti conteneva un indizio sull’identità del compilatore, forse perfino il suo nome. Ma fonti del tempo indicano che il probabile autore fu Gervasio di Tilbury, un inglese insegnante di legge canonica a Bologna, che fu in seguito al servizio dei Guelfi come parroco di Ebstorf. Egli è anche conosciuto come l’autore di un’opera storica-geografico-mitologica dal titolo Otia Imperialia, scritta nel 1211 e ancora disponibile. La mappa geografica che il manoscritto doveva contenere è mancante. Sembra probabile che la mappa oggi conosciuta come la mappa di Ebstorf sia proprio la mappa mancante dal manoscritto. La data che reca non è completamente chiara: 12.4. La mappa è circolare, con Gerusalemme al centro ed è disegnata su uno sfondo del Cristo Crocifisso, con la testa in alto (est) i piedi alla base (ovest) e le braccia dirette per nord-sud. I monaci chiaramente usavano la mappa come un abbellimento dell’altare. Malgrado sia del tipo T-O, mostra chiare influenze contemporanee. L’Africa non può più essere contenuta nel quadrante a lei riservato, e si estende quindi verso est, spostando l’Asia. E’ coperta con diverse figure di animali, piante e ogni genere di razze mitiche: uomini con la testa di cane, uomini con orecchie gigantesche, piedi enormi, uomini con la coda, ecc. L’autore aveva tratto da molti autori correnti al suo tempo, quali Johannes di Würzburg per la Palestina (1165) e Adamo di Brema (1072) per l’Europa nord-occidentale, da mappe dell’Imago Mundi di Honoris Augustodunensis (1129), e racconti dell’XI e XII secolo, come quelli dell’isola scoperta da San Brendano.


La mappa di Hereford (Plate XXIV) è simile ma un po’ più piccola (1.34 x 1.65 metri). Anche questa ha l’est in alto, con Gerusalemme al centro, e fu usata per abbellire l’altare, nella cattedrale di Hereford. L’autore svela il suo nome in un’iscrizione in francese normanno: “Che tutti gli uomini che posseggono, leggono o vedono queste storie preghino Gesù per la salvezza di Richard di Haldingham and Lafford, che la concepì e la produsse, possa egli gioire in Cielo”. La mappa non è sovrapposta alla figura di Cristo Crocifisso, ma alla sommità vi è un dipinto del Giudizio Universale, con Gesù in trono. Il contenuto potrebbe suggerire che sia molto più vecchia della mappa di Ebstorf, perché corrisponde di più alle mappe basate sulla fonte romana della mappa di Agrippa.



CARTOGRAFIA ISLAMICA
Non è del tutto corretto chiamare questo gruppo di mappe „mappe arabe“, perchè in esso sono contenute opere di Persiani, Siriani e persone di altra nazionalità, ma siccome tutti i cartografi di questo gruppo scrivevano in Arabo, il complesso è stato chiamato con il termine di Cartografia Islamica. Può essere suddiviso in tre fasi.
  • La prima fase, che fu influenzata da Tolomeo ed altri autori greci
  • La fase intermedia, di cartografia puramente islamica
  • La fase Arabo-Normanna
Dobbiamo precisare che una fase non può essere nettamente separata da un’altra per ciò che riguarda il tempo. Si tratta di una suddivisione non cronologica, ma eseguita in base alla forma e ai contenuti. Malgrado la fase del periodo Arabo-Normanno sia incominciata successivamente alle altre due, ci fu un’epoca in cui cartografi arabi furono attivi in tutti e tre i gruppi.
Si sa poco della letteratura e della scienza araba precedente l’era mussulmana. Fu soltanto verso la fine del VII secolo, quando gli Arabi incominciarono ad avanzare verso est che incominciò ad affermarsi la scrittura in arabo. Il primo impulso fu dato dal califfo Abd al-Malik (646 - 705), che stabilì l’arabo come lingua ufficiale di governo. Poco prima, Abal-Aswad al-Duali (? - 688) aveva portato a termine una ri­forma dell’alfabeto arabo, che fino a quel momento era stato adattato alla fonetica siriana, ma ora venne adattato a quella araba. La necessità di stabilire i mesi lunari e di fare predizioni astrologiche, richiedeva conoscenze astronomiche, e per conoscere la direzione della Mecca necessitavano conoscenze geografi­che. Per ordine del califfo Al-Mansur, delle tavole astronomiche nel 772 vennero composte da Mu­hammad ibn Ibrahim, (conosciuto come al-Gazari). Queste tavole erano una traduzione di tavole indiane. Al-Gazari, con il suo Sind-Hind (trattato matematico-astronomico) diede inizio all’astronomia araba.

Questa metodologia indiana tenne banco tra gli Arabi fino al tempo del califfo Al-Mamun (786 - 833) che la fece sostituire dall’astronomia tolemaica. Al-Mamun stabilì un team di traduttori siriani e inviò suoi emissari a comprare manoscritti di Tolomeo a Bisanzio. Nello stesso tempo una serie di os­servazioni astronomiche fu eseguita a Bagdad nell’829 e a Damasco nell’832 e queste formarono la base delle Tavole di al-Mamun dette anche Tavole di Damasco.
Il testo di Tolomeo Elenco di località selezionate, forse nella versione successiva di Teone di Alessandria, venne pure usato per quest’opera, ma con i nomi vecchi sostituiti da nomi arabi. Fu lo studioso arabo Muhammad ibn Kathir al-Farghani (morto nell’830) - Alfraganus per gli Europei - che fece co­noscere la Geographia di Tolomeo. Egli introdusse anche la suddivisione nelle zone climatiche, i cui con­fini coincidevano con quelli dell’ecumene (mondo abitato).
Le Tavole di al-Mamun illustravano questa teoria, ma non davano le longitudini e non fornivano niente più che un elenco schematico di città disposte secondo i climi, assieme a informazioni sulle strade, specificamente le distanze tra le città e le direzioni delle strade. Da qui prese le mosse anche la traduzione e l’adattamento di due altre opere di Tolomeo, la Sintassi (in arabo Al magisti) e il Geographia (in arabo Kitab Gagrafiya).

E’ difficile dire se opere arabe autoctone abbiano preceduto queste opere di origine greca. Mappe itinerarie dovevano essere compilate per vari scopi, per missioni diplomatiche in paesi lontani, per esempio in Cina negli anni 704 - 715. Per campagne militari, per l’avanzata in Asia Minore e nell’Oxus, a partire dall’anno 684. Per diverse spedizioni commerciali, per terra e per mare. Tutte queste conoscenze pregresse vennero sostituite, a partire dal secolo IX dalla nuova scienza del Gagrafiya.

Un esponente notevole di questa prima fase della cartografia araba fu Muhammad ibn Musa al-Kwarizmi (circa 820), che scrisse il testo descrittivo di una mappa, basando il suo lavoro sul testo tolemaico del Geographia o sulla versione siriana di qualche mappa bizantina. L’opera fu scritta dall' 817 all’826 per ordine del califfo al-Mamun, ma l’unico manoscritto esistente è del 1036, e la prima parte di esso fu perduta e non ritrovata fino al secolo XII. Il manoscritto (nell’università di Strasburgo) è accompagnato da quattro mappe.

Le mappe zonali europee produssero imitazioni tra i cartografi arabi: si hanno dei cerchi la cui parte inferiore è suddivisa in zone climatiche, in ciascuna delle quali si ha una lista di paesi. Si ebbero anche mappe che si limitavano ad indicare le zone climatiche e semplicemente con i disegni di alcuni animali o piante. Ibn-Said produsse tre versioni della stessa mappa, una indicante solo le zone climatiche, un'altra con i confini di continenti e oceani, e finalmente una mappa del mondo senza zone.

La fase successiva di cartografia araba è caratterizzata da collezioni di mappe distinte che accompagnano trattati geografici, malgrado questi trattati abbiano un contenuto abbastanza simile, non mostrano più alcuna traccia di cartografia europea. Possiamo misurare la scarsa qualità attribuita dagli Arabi alle mappe di Tolomeo dal rapido declino della sua influenza sulle loro opere. Questo può suggerire che gli Arabi non vennero a conoscenza delle mappe che divennero note in seguito in Europa con il Geographia di Tolomeo.
Le mappe arabe di questo secondo gruppo sono opere schematiche artistiche e ingegnose. Queste mappe sono costruite magistralmente, ma gli itinerari delle strade non indicano le distanze. A causa dei caratteri di uniformità di questa classe di mappe, esse sono state dette gli Atlanti islamici. Un atlante di questo tipo, generalmente consiste di una collezione di 21 mappe: una mappa del mondo, tre carte nautiche (il Mediterraneo, il Golfo Persico e il Caspio) e 17 mappe di separati paesi islamici, con un testo di contenuto standard.

Si è a conoscenza di quattro autori che inclusero delle mappe nei loro trattati geografici. Questi furono Abu Zaid al-Balkhi (920), al-Ishtakhri (934), Ibn Haukal (980) e al-Muqaddasi (985).

La terza fase della cartografia araba è il periodo arabo-normanno, e siccome vi si ebbe la produzione della notevole opera di Idrisi, (1154) potrebbe essere chiamato il Periodo di Idrisi. La sua opera è praticamente unica nel suo genere. Si servì di materiale esistente arabo ed europeo e lo rimodellò a suo modo. Molti in seguito copiarono da lui, ed effettivamente a lui è dovuto il massimo credito per aver impostato lo stile della cartografia di questo periodo.
Quando i progressi del commercio arabo verso l’Europa incontrarono l’opposizione di Bisanzio, di Roma e di Venezia, gli Arabi si diressero verso il nord, lungo il Caspio e su per il fiume Volga. Le loro merci penetrarono fino in Lapponia e al Lago Ladoga. La via d’acqua del Volga divenne molto trafficata da Normanni, Russi, Kazachi e Arabi. Vi avvennero perfino incontri tra geografi-cartografi. All’incirca nello stesso periodo i conquistatori Normanni incominciarono la loro spinta verso sud, e nel secolo XI si stabilirono in Italia meridionale.

Come è noto, durante il primo medioevo il gap culturale tra il mondo cristiano e l'est bizantino-arabo si era accentuato. Ad esempio, gli Islamici del Califfato Orientale avevano familiarizzato con l'Almagesto e il Geographia. Basandosi sul secondo, un certo numero di trattati arabi, intitolati Kitab surat al-ard (Libro descrittivo della Terra) vennero redatti nel periodo islamico iniziale. Uno di questi trattati geografici fu composto perfino dal famoso Al-Kwarizmi. I cartografi arabi di questo periodo si rifecero anche per le loro mappe alle specifiche istruzioni di Tolomeo nel Geographia. Occorre dire che i navigatori arabi penetrarono profondamente, oltre che nella costa africana dell'Oceano Indiano, fino a Zanzibar e oltre, anche a nord nelle pianure russe, attraverso i fiumi che sfociavano nel Mar Nero (Dniestr, Dniepr e Volga), e si spingevano correntemente fino in India e in Cina. All'ovest infine erano familiari con la costa africana fino al Golfo di Guinea.
Quale regola generale comunque, i primi cartografi arabi redigevano le coste con molta stilizzazione, non preoccupandosi della aderenza alla realtà.
A partire dal secolo XI l'espansionismo arabo dovette subire una battuta d'arresto nell'Italia meridionale, dalla quale gli Arabi furono espulsi (non proprio totalmente) dai Normanni, che vi si stabilirono intorno al 1065-1070.
Va detto che i governanti normanni posero speciali cure nel mantenere la cultura araba e anzi nel valorizzarla in tutti i modi. Il re normanno Ruggero II il Guiscardo, tra le molte scienze, protesse specialmente la geografia. Palermo era divenuta uno dei punti di incontro più celebrati di viaggiatori, mercanti, pellegrini, crociati e studiosi di molte contrade.
Non sorprende quindi che alla corte di Re Ruggero prese corpo il proposito di compilare un insieme organico di informazioni geografiche su quanti più paesi possibile, integrato da una carta geografica riassuntiva, il tutto evidentemente da concretizzare in un libro. Sotto il patronato di re Ruggero, fu chiamato a corte il geografo Abdullah Ibn Idrisi, nato nel 1099 a Ceuta, per la compilazione di questo libro.
Il libro doveva contenere le coordinate di un gran numero di località, le distanze tra di esse, la loro distribuzione secondo le zone climatiche. Mappe delle varie regioni dovevano integrare le varie parti. Il titolo del libro, secondo il costume arabo, doveva essere La delizia di colui che desidera viaggiare.
Idrisi stesso era stato un notevole viaggiatore, attraverso Francia, Spagna, Inghilterra, a Costantinopoli e in Asia Centrale. Da studente all'università di Cordova aveva avuto accesso a una gran quantità di materiale scientifico proveniente da diversi paesi e colà disponibile. Sembra anche che per la buona riuscita dell'intrapresa, il re e Idrisi abbiamo reclutato un certo numero di "certi unomini intelligenti" da inviare in molti luoghi per eseguire gli opportuni rilievi geografici. Il libro risultante dal complesso di informazioni richiese più di 15 anni e dovette raggiungere una fama ben ragguardevole se venne considerato l'opera geografica più completa e dettagliata apparsa in Europa nel secolo XII. Il piano di quest'opera è relativamente semplice e allo stesso tempo artificioso. Ciascuna delle sette zone climatiche viene suddivisa in dieci sezioni verticali, arrivando quindi alla suddivisione della superficie terrestre in settanta quadrilateri sferici. Infine, ciascuna di questi settanta quadrilateri viene descritto minuziosamente, con l'accompagnamento di una carta geografica. Naturalmente Idrisi tenne conto anche di descrizioni geografiche di predecessori.

La carta geografica di Idrisi assunse la forma finale di una piastra d'argento, delle dimensioni di 3,5 x 1,5 metri. Purtroppo, nel 1160 questa piastra cadde nelle mani di una moltitudine di fanatici che la distrusse. Nel 1154 pochi mesi prima della morte di re Ruggero il manoscritto dell'opera di Idrisi in latino ed arabo fu completato, assieme alla mappa rettangolare, che constava di 70 fogli, e assieme a una piccola mappa mundi. Ruggero chiamò questo libro Nuzhat al-Mushtak, mentre l'autore invece lo chiamò Kitab Rudjar (il Libro di Ruggero) e l'insieme delle mappe Tabula Rogeriana.

Le opere di Idrisi sono di eccezionale qualità in confronto a opere similari dello stesso periodo, sia per la ricchezza dei dettagli, ma principalmente per il metodo scientifico che vi era impiegato.
Naturalmente, le sue descrizioni di certe regioni, ad esempio i paesi del Mar Baltico, non sono precise, ma mostrano comunque i suoi sforzi di interrogazione dei viaggiatori che avevano visitato quelle regioni. Mostra di conoscere i grandi fiumi Danu (Danubio), Arin (Reno) e Albe (Elba). Nomina la Danimarca e la Snislua (Schleswig).
Purtroppo i contemporanei (specialmente cristiani-europei) di Idrisi mostrarono un incredibile disinteresse per la sua opera, evitando di tradurla in latino. La prima traduzione dell'opera di Idrisi si ebbe a Roma solo nel 1619, e in una forma molto abbreviata.

Secondo alcuni autori arabi, Idrisi compose nel 1161 un testo più dettagliato ed una mappa per il figlio di Ruggero, Guglielmo II. Mentre il primo libro era stato chiamato (da Idrisi stesso) “Il divertimento di colui che desidera attraversare la Terra”, il secondo portava il titolo “I giardini dell’umanità e del divertimento dell’anima”. Malgrado questa seconda opera non sia sopravvissuta, una versione abbreviata, dal titolo “I giardini della gioia” (1192) è sopravvissuta. Consiste di 73 mappe, sotto forma di Atlante ed è ora nota come “Il piccolo Idrisi” . Manoscritti di questa versione sono preservati in molte biblioteche: a Parigi, Oxford, Leningrado, Costantinopoli e al Cairo.

L’influenza di Idrisi durò a lungo. Fino al XVI secolo, a Sfax, in Tunisia, una famiglia di cartografi di sette generazioni di nome Sharfi, produceva mappe del mondo basate, sulle mappe di Idrisi, malgrado mostrassero anche delle carte nautiche europee. Nel 1551, un cartografo della famiglia Sharfi produceva un atlante nautico accompagnato da una piccola mappa sinottica rotonda, simile alla mappa di Idrisi.



LE CARTE NAUTICHE MEDIOEVALI
I lunghi viaggi per mare richiedevano speciali ausili, sotto forma di informazioni scritte, di disegni, o sequenze di segni convenzionali. Abbiamo visto che una specie di "cartografia nautica" esisteva perfino tra popoli che non possedevano una scrittura: ricordiamo i blocchi di legno lavorati dei Groenlandesi e le mappe di fibre dei Polinesiani delle isole Marschall.
Le carte nautiche più antiche occidentali datano dall’inizio del 1300, ma la loro relativa maturità suggerisce che una cartografia mediterranea si sia sviluppata ben prima di quell’epoca.
La guida tipica per la navigazione dei tempi classici era stato il periplus, il portolano dell’antichità greco-romana. Alcuni testi di peripli ci sono pervenuti. Il più antico periplo che ci sia pervenuto, composto dall’ammiraglio cartaginese Annone all’incirca nel 450 a.C. descrive il viaggio lungo la costa dell’Africa occidentale fino alla latitudine di circa 7º sud . Si conosce il periplo di Scilace di Carianda (IV - V secolo a.C.) per le coste del Mediterraneo. Quello di Patroclo, del 300 a.C., lungo le coste del Caspio. Quello di un anonimo autore (circa 89 a.C.) lungo le coste dell’Oceano Indiano occidentale (allora detto Mar Eritreo). Quello di Arriano Nicomediense, del secolo II per il Mar Nero. Quello di Marciano di Eraclea, del secolo V, per le coste del Nord Europa, fino alla foce della Vistola.
Questi peripli sono classificati come Itineraria scripta, cioè come resoconti di viaggi eseguiti effettivamente, e non si sa di eventuali mappe accompagnatorie.

E’ stato suggerito che Bisanzio sia stata la culla delle carte nautiche, probabilmente perche possediamo alcune guide a rotte di mare e a percorsi di terra di era bizantina, ma non c’è niente in quei testi che indichi che erano accompagnati da carte geografiche. Sembra probabile che le carte nautiche siano apparse in un periodo posteriore, sviluppandosi gradualmente a partire da portolani. Dell'origine della bussola magnetica abbiamo detto nella sezione dedicata alla navigazione. Qui è importante che quelle notizie riguardanti la bussola magnetica vengano richiamate perchè vedremo che il modo con cui furono costruite le prime "carte nautiche" teneva conto di quell'importantissimo sviluppo associato alla bussola magnetica (apparso più o meno contemporaneamente ad essa) che fu la "rosa dei venti": il sistema di direzioni dell'orizzonte divenne l'elemento più appariscente delle primitive carte nautiche al punto che le direzioni stesse venivano rappresentate sulle carte in maniera ossessiva (e del tutto superflua rispetto alle esigenze).

Sappiamo che i due bacini nei quali si sviluppò la navigazione furono (1) quello dell'Oceano Indiano dominato dagli Arabi, dagli Indiani e dai Cinesi e (2) il Mediterraneo. Sappiamo che il primo si prestava per la sua vastità all'applicazione della pratica astronomica (per quanto primitiva) della navigazione per latitudine, in cui gli Arabi eccellevano da lunga data, essendo stati i primi ad introdurre l'uso dell'astrolabio (appreso dai Greci) nella navigazione (e avendolo fatto precedere da quell' "astrolabio" molto primintivo, il kamal, di cui si è detto nel capitolo dedicato alla storia della navigazione). Il Mediterraneo si prestava invece a una navigazione non di tipo astronomico, ma "a vista". Naturalmente, la navigazione strettamente a vista non poteva essere sempre praticata ed ecco allora che per i naviganti del Mediterraneo riusciva estremamente utile acquisire familiarità con il sistema delle direzioni dell'orizzonte. Questo spiega come mai sulle prime carte nautiche apparissero così tante rose dei venti, tutte intersecantisi l'una con l'altra.

Nel Mediterraneo nacque dunque la cartografia nautica. E occorre dire anche che la navigazione dell'Occidente all'inizio fu una faccenda veneziana e genovese. Fin dal secolo VII Veneziani e Genovesi avevano incominciato a correre in lungo e in largo il Mediterraneo. E' probabile che fino alla fine del millennio le carte nautiche non siano apparse, o per lo meno, abbiano avuto un aspetto molto primitivo.

Ci dev'essere stata una fase in cui devono aver convissuto raccolte di notizie a carattero portolanico, ereditate dalla produzione del passato greco-romano, con i primi accenni delle carte nautiche.
Le notizie più antiche oggi possedute sull'uso di carte nautiche, risalgono al secolo XIII e indicano l'esistenza di tali carte su navi italiane. La notizia più antica, tramandata da Guglielmo di Nangis e riportata dallo storico francese Charles de la Roncière è quella di una carta nautica che nel luglio 1270 fu presentata al re di Francia Luigi IX (San Luigi), diretto alla Crociata contro Tunisi, sulla nave genovese Paradiso, comandata da Pietro Doria. Sei giorni dopo la partenza da Aigues Mortes e dopo una gran tempesta, avendo chiesto il re dove si trovasse la nave, gli fu indicata la posizione vicino a Cagliari.

La costruzione delle carte nautiche medioevali non era fondata su principi matematici. Finchè si trattava di realizzare carte di zone conosciute, si può senz'altro ritenere che la pratica corrente sia stata quella della semplice copiatura di carte precedenti ritenute affidabili (con opportuni accorgimenti per le dimensioni). La parte di lavoro notevolmente impegnativa doveva essere la realizzazione dello schema del complesso di linee delle rose dei venti. Secondo l'opinione di alcuni, questo reticolo di rose doveva servire a un duplice scopo: anzitutto le varie linee servivano di riferimento nel segnare le posizioni di un certo numero di punti notevoli della costa, di modo che, dopo aver marcato questi punti, l'intero profilo della costa poteva essere tracciato.

In secondo luogo, queste linee servivano anche per la determinazione della rotta iniziale da assumere all'uscita da un porto, quando non era in vista il successivo punto di riferimento. Secondo certi autori, la pratica corrente poteva essere quella di porre la bussola sopra la carta nautica per rilevare direttamente l'angolo tra la punta dell'ago magnetico rivolto verso nord e la direzione di destinazione.

Altra notizia riferentesi all'associazione tra bussola magnetica e carta di navigazione medioevale ci viene data dal maiorchino Raimondo Lullo, che nella sua opera Arbor Scientiae della seconda metà del secolo XIII, dice che i Catalani nelle loro navigazioni facevano uso di "chartam, compassum, acum et stellam maris".

La carta nautica più antica che ci sia pervenuta, di autore e data sconosciuti, ma che si ritiene sia stata realizzata a Genova prima della fine del secolo XIII, è quella che viene detta carta pisana, perchè fu rinvenuta in un archivio di Pisa nel secolo XIX e in seguito andò a finire alla Biblioteca Nazionale di Parigi. In essa sono tracciate con buona approssimazione le coste del Mediterraneo mentre quelle della penisola iberica, della Francia e dell'Inghilterra appaiono piuttosto deformate.

La carta nautica recante la più antica data si trova nell'Archivio di Stato di Firenze e reca la leggenda "Petrus Vesconte de Janua fecit istam certam anno Domini MCCCXI. Comprende il Mediterraneo centrale ed orientale.
Lo stesso cartografo genovese Pietro Vesconte, che lavorò a Venezia, realizzò nel 1318 due atlanti nautici, attualmente conservati al Museo Correr e alla Biblioteca Imperiale di Vienna.
Altra carta datata è quella realizzata dal, genovese Angelino Dalorto, detta carta corsiniana perchè rinvenuta nella biblioteca del principe Corsini. E' datata MCCCXXV e vi sono rappresentate con notevole precisione le coste del nord Europa.
Un'altra carta datata è pure conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Reca il nome Angellino Dulcert e la data 1334 (alcuni ritengono che si tratti sempre del genovese Angelino Dalorto, emigrato a Maiorca dove avrebbe fondato un'officina cartografica).

Ci sono delle carte da attribuire con certezza a una scuola catalana. Nella seconda metà del secolo XIV, dei cartografi ebrei e costruttori di strumenti nautici erano attivi in Maiorca, sotto il patronato del re Pietro III di Aragona. Il capolavoro di questa scuola, lo splendido Atlante Catalano del 1375, ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi, fu opera dell’ebreo Abraham Cresques. L’opera fu donata nel 1381 al re di Francia. Il figlio di Abraham, Jafuda, emigrò nel 1427 da Barcellona al Portogallo con l’incarico di istruttore per i piloti di Enrico il Navigatore.

I cartografi catalani non erano dei semplici copiatori delle opere di altri. I loro compatrioti del regno di Aragona commerciavano con il Mar Nero, conoscevano il Volga e viaggiavano al nord fino al Baltico. Seguendo l’esempio dei loro vicini Arabi di Spagna, essi commerciavano con l’Oriente, senza tener conto della proibizione papale di commerciare con Tunisi, Alessandria e Cipro. Avevano intensi legami commerciali con la Francia e l’Italia e, a partire dal secolo XIV, con le Fiandre e l’Inghilterra. Stabilirono consolati in tutti i maggiori porti, per proteggere gli interessi dei loro commercianti, favorendo in tal modo la raccolta di notizie geografiche sulle località dell’interno. Maiorca, sotto dominio arabo fino al 1248, fu il centro commerciale catalano che promosse la diffusione della cartografia catalana. Ramon Llull, (il Lullo per gli Italiani di cui si è detto sopra) fece uso di cartas de marear, cioè di carte nautiche per le sue opere.

Si ritiene che alla prima metà del secolo XIV risalga quello che viene detto l ' "atlante" Tammar Luxoro, dal nome della famiglia genovese cui appartiene. Di ignoto autore, è composto di otto piccole tavole. Altri due reperti cartografici di quel periodo sono la Tabula del Mediterraneo, del 1333, del genovese Giovanni di Mauro da Carignano e la carta del 1367 del veneziano Francesco Pizigani. Giovanni da Carignano era Padre superiore del monastero di San Marco a Genova, dal 1306 al 1314. Morì nel 1344 e la sua carta reca l'iscrizione attestante la sua paternità della carta.

Tutte queste carte sono redatte in genere su pergamene, abbellite con una intelaiatura di linee di rotta per andare da un punto a un altro. La maggior parte sono all’incirca della stessa dimensione, e hanno il nord in alto. I nomi sono in nero, con le iniziali in rosso. Altri colori sono usati piuttosto abbondantemente. Si ha una gran quantità di figurine varie, in particolare stemmi di città e bandiere. I nomi di località costiere sono scritti spesso perpendicolarmente alla costa, sul mare, sicchè per leggere i nomi è spesso necessario ruotare la carta.

Spesso le linee di costa sono strutturate non secondo un profilo reale ma secondo una stilizzazione geometrica, con alcuni elementi sovente esageratamente accentuati in dimensione, per farli notare meglio. Un esame accurato ha rivelato che nessun tipo di proiezione è stato usato per queste carte: sono state semplicemente disegnate, con qualche accorgimento per rispettare in qualche modo le proporzioni.
Queste carte, che alcuni chiamano anche "carte portolaniche", oppure "carte di rotta" possono essere divise in due categorie, secondo i luoghi d’origine. (1) Le italiane, principalmente da Genova, Venezia, Ancona, e (2) le catalane, da Maiorca e Barcellona. Pochissime carte portoghesi di prima del 1500 sono sopravvissute e nessuna spagnola. Si sa che i Portoghesi sono stati attivi nella cartografia di questo tipo, almeno dal principio del 1400.
Come si vede da questi pochi esempi, in genere le carte italiane comprendono il Mediterraneo e la costa ovest atlantica fino all’Inghilterra meridionale. Alcune carte catalane comprendono anche qualche tratto di costa della Scandinavia e perfino della Cina.

Il problema di quali di questi due tipi sia stato sviluppato per primo non è stato risolto con prove decisive. Si potrebbe anche dire che se c'è stata una differenza di tempo, questa dev'essere stata non eccessiva. E' probabile che gli Italiani abbiano sviluppato una pratica cartografica prima di altri perchè si sa per certo che Genovesi e Veneziani già prima dell'anno 1000 si spingevano per tutto il Mediterraneo. Non è facile trarre delle conclusioni sulla dipendenza di un gruppo dallo stile dell’altro (anche perchè è molto probabile che singoli cartografi si siano trasferiti dall'Italia alla Spagna, e viceversa).

I portolani, così come li intendiamo oggi, fecero la loro comparsa in un'epoca posteriore a quella strettamente medioevale. Un esempio tipico è La sfera di Leonardo Dati, del 1360, o di suo fratello Gregorio, un’opera molto popolare nel tardo medioevo. Dati scriveva in versi, dando informazioni sul mondo, sulla bussola ed altre cose marinaresche, aggiungendo osservazioni, note di viaggio e disegni. In certi manoscritti della Sfera questi disegni sono abbastanza sviluppati, rappresentando porti, capi, isole, uniti da linee.
Vi furono portolani per navigazioni anche tra il continente e le isole. Questi speciali portolani erano detti Isolarii. Il più antico che ci sia pervenuto è un isolario di Cristoforo Buondelmonte del 1420. Contiene non soltanto piani di porti e isole (notevole il piano di Costantinopoli), ma anche una mappa del mondo. Possiamo avere un’idea dell’importanza di questi isolari dal fatto che il primo manuale nautico stampato fu un isolario, subito dopo l’invenzione della stampa. Si trattava di una descrizione dell’arcipelago greco di Bartolomeo Turco, o come era solito farsi chiamare, Bartolomeo dalli Sonetti, 1484. In seguito, nel 1528, Benedetto Bordone ampliò l’opera, aggiungendo il Baltico e perfino alcune isole dell’America e questa fu la fonte per la contemporanea versione turca di Piri Reis.



CARTE MONDIALI DEL TARDO MEDIOEVO
A poco a poco, le carte geografiche divennero indipendenti dai testi. Divennero oggetti essenziali di collezione di monasteri, a partire dal secolo IX. Esempi: (1) La mapa mundi una (monastero di St. Gall), (2) La mapa mundi in rotul due (monastero di Reichenau), (3) La mapa mundi subtili opere (monastero di St Gall), (4) Le duas mappas mundi (abbazia di Tegernsee), (5) Le mappae mundi tres (monastero di Bamberg), ecc. I planisferi di Hereford ed Ebstorf appartengono pure a questa classe.

Abbiamo già detto che Pietro Vesconte fu il primo a firmare le proprie carte. Produsse principalmente carte nautiche, ma anche planisferi. Un suo planisfero può perfino essere anteriore alla sua carta firmata e datata 1311. La prima copia del suo planisfero si ha nel manoscritto di Marino Sanudo Liber Secretorum fidelium crucis . . ., datato 1306 - 1321. Le carte in esso contenute furono per lungo tempo attribuite allo stesso Sanudo. In seguito fu scoperta una copia del Liber Secretorum con la firma del Vesconte e la data 1320, per cui oggi si ritiene che le carte geografiche dell'opera siano sue.

Sanudo aveva scritto l’opera per spronare i monarchi d’Europa ad intraprendere una nuova crociata, e quindi l'aveva accompagnata con mappe: una carta geografica del mondo, carte geografiche del Mar Nero, del Mediterraneo, della Palestina, piani di Gerusalemme.
Un’altra carta geografica del mondo di questo tipo che ci è giunta è di circa un secolo successiva. Fu eseguita da Pirrus de Noha e accompagnava la Cosmographia di Pomponius Mela, in un manoscritto che non porta la data ma che è rilegato assieme a un altro datata 1414. Si nota influenza dalle carte nautiche catalane.

Un famoso cartografo veneziano, Andrea Bianco, aggiunse un planisfero al suo atlante di carte nautiche del 1436. Ma malgrado la sua bravura di cartografo, la sua carta del mondo è superficiale e mostra poco progresso rispetto a quella di Vesconte di un secolo prima. Bianco in seguito aiutò Fra Mauro per il suo famoso planisfero.
La carta Borgia, eseguita all’incirca tra il 1410 e il 1458 mostra pure influenza catalana. Consiste di due piastre di ferro su cui è inciso il disegno. Sembra che sia stata disegnata come decorazione a muro, con colori inseriti in canali incisi. L’oggetto venne scoperto nel 1797 dal cardinale Borgia in un negozio di antichità e da lui acquistato per il suo museo di Velletri. Svolgendo una funzione decorativa, non richiedeva precisione.

La cosiddetta carta genovese del mondo, del 1457, rappresenta la scuola italiana. La sua forma è non usuale, essendo lenticolare, allungata. Malgrado abbia una rete di linee di rotta e somiglianze con carte nautiche del Mediterraneo, ha anche alcune differenze, notamente imprecisioni che suggeriscono che il cartografo non era un professionista.

E’ evidente l’uso fatto in questa mappa delle informazioni tratte dal viaggio di Nicolò de Conti, dopo il suo ritorno da 25 anni di viaggi in Cina e India.
Questa mappa è stata recentemente attribuita a Paolo del Pozzo Toscanelli (1397 - 1482). E' stato suggerito che questa potrebbe essere stata la famosa carta che Toscanelli inviò al re Alfonso V del Portogallo (e una copia della quale si dice abbia inviato anche a Colombo), ma la maggioranza degli studiosi ha scartato questa ipotesi.

Rimane da parlare del capolavoro della cartografia medioevale religiosa. La carta di Fra Mauro, il monaco camaldolese originario di Murano, che fiorì alla metà del secolo XV). In certi momenti dà l’impressione di essere stato un cartografo professionista. I libri del monastero riportano registrazioni per spese di colori, paghe per cartografi. La prima entry riguardante Fra Mauro come cartografo è del 1443, per la sua carta del distretto di Lemmo, in Istria. Negli anni 1448 e 1449 era al lavoro per un planisfero. Il re Alfonso del Portogallo (quello in relazione con Toscanelli), aveva inviato a Fra Mauro denari e informazioni sulle scoperte geografiche dei Portoghesi, e aveva commissionato al frate una carta. Fra Mauro lavorò a questa mappa dal 1457 al 1459, avendo per assistente Andrea Bianco.

Fra Mauro cita spesso Tolomeo, ma non esita a dire talvolta “. . . io non credo a quello che Tolomeo dice . . .”. Le citazioni di Tolomeo da parte di Fra Mauro potrebbero essere intese come un tributo al Geographia che arrivò in Italia in quel tempo.

La sovrabbondanza di dettagli è dannosa per la carta, perché si ha una mistura inestricabile tra elementi accurati e elementi fasulli. Esaminando la carta con accuratezza, comunque, si rimane ammirati per l’estensione delle conoscenze di Fra Mauro. La sua descrizione del mondo è senza paragoni con la produzione contemporanea, e tale rimase per lungo tempo. Introdurre tanto materiale in uno spazio circolare causò inevitabili distorsioni. La Scandinavia, l’Africa e perfino l’Europa ne hanno sofferto. Comunque la precisione di certi particolari è senza pari. Il Mar Caspio e altre regioni sono accuratissimi.
La carta fu completata il 24 aprile 1459 e inviata in Portogallo, ma non è sopravvissuta. Fra Mauro morì l’anno seguente. I suoi schizzi furono preservati perché lo stesso anno, Bianco o qualche altro collega, produsse un’altra carta che venne successivamente scoperta e si trova adesso alla Biblioteca Marciana. E’ una mappa circolare del diametro di 1,96 m, con il sud in alto, montata in una cornice quadrata. Si può presumere che Bianco abbia compiuto il massimo sforzo per riprodurre il più fedelmente possibile la precedente carta.