Le radici e l'ambiente
Oreste Bordiga, padre di Amadeo, era professore di economia agraria a Portici, presso Napoli. Di origine piemontese, monarchico di idee liberali, aveva sposato Zaira degli Amadei, di famiglia aristocratica napoletana.
Se i fattori materiali originari segnano gli individui come segnano i popoli, le nazioni e le classi, il giovane Amadeo non poté fare a meno di assorbire il tetragono spirito cisalpino, addolcito da un armonico intreccio con l'umanesimo meridionale. Questa non vuole essere naturalmente una tesi scientifica; allo stesso titolo le stesse determinazioni avrebbero potuto produrre un umanesimo tetragono, una qualche specie di quella sociologia grigia e schematica che oggi alimenta buona parte dell'affarismo editoriale.
Sta di fatto che Bordiga intraprese studi scientifici e, già al liceo, dimostrò anche di possedere un'oratoria da tribuno, in grado di inchiodare l'attenzione dei compagni di scuola e di attirare l'oculata vigilanza della polizia. Direbbe il miglior Trotzky che si era avuta una saldatura dialettica fra la passione e l'algebra.
Abbiamo la data del 1907 per l'inizio della formazione marxista di Bordiga. Essendo egli nato il 13 giugno del 1889, aveva diciotto anni. La polizia registra nei suoi archivi che la scelta marxista fu dovuta all'influenza del professore di filosofia alla scuola di Portici. Nel 1910 si iscrive al Partito Socialista. Nel 1911 incomincia a scrivere sulla stampa di partito, nello stesso anno in cui viene fondato il giornale della Frazione Rivoluzionaria Intransigente La Soffitta. In occasione del primo numero Rosa Luxemburg scrive una lettera piena di speranza per il fermento che all'interno del partito, si opponeva alla "strada che conduce all'abisso".
Il sottotitolo della rivista socialista Critica sociale era: Rivista di socialismo scientifico e i riformisti l'avevano abolito. Gli intransigenti chiedono un ritorno al marxismo riconoscendosi nel significato integrale del titolo messo in "soffitta".
C'è fermento contro la corruzione politica e la degenerazione opportunistica e ciò sarà determinante per il giovane Bordiga. Anche Lenin è attento alla situazione italiana. La conseguenza della battaglia intransigente è l'uscita, al Congresso di Reggio Emilia del 1912, dell'ala ultrariformista di Bissolati. "Una scissione è cosa grave e dolorosa, ma qualche volta è necessaria", scriverà Lenin in quell'occasione. Bordiga utilizzerà più volte questa espressione.
L'iscrizione al politecnico, tradizionale fucina di ingegneri, avrà la sua influenza sulla sua formazione politica. L'ingegnere è progettista e costruttore, lavora su un programma, cioè con "dati del futuro", sulla base di ciò che esiste, cioè i dati del passato. Troveremo ben più di una traccia di tutto ciò nell'opera di Bordiga. Egli disprezzerà l'esistenzialismo degli attivisti che sacrificano l'avvenire per l'effimero successo del momento, così come disprezzerà tutte le specie di utopisti fuori tempo, coloro cioè che intendono il comunismo come un modello ideale cui fare aderire la realtà. Nel 1925, quando il partito ormai in via di bolscevizzazione, operaista, teorizzatore dell'organizzazione per cellula di fabbrica, gli rinfaccia di essere, oltre che ingegnere, un intellettuale dogmatico, lontano dalla classe operaia, egli fa notare, in un articolo su L'Unità, che la dirigenza centrista del partito "operaio" è costituita da un'assoluta maggioranza di avvocati e nessun operaio. Se si volesse scherzare, aggiunge, basterebbe far presente che in una società non capitalistica sarebbero sempre indispensabili gli ingegneri e assolutamente inutili gli avvocati .
Gli avvocati ebbero il sopravvento, come si sa. O meglio, ebbe il sopravvento la controrivoluzione, che degli avvocati si servì come migliori interpreti del suo programma.
Nel lavoro di Bordiga sono stati riscontrati qua e là riferimenti più o meno riconoscibili al lavoro del padre economista agrario, o all'ambiente intellettuale napoletano cui era tributario da parte di madre. Si tratta di un'osservazione troppo limitata. In effetti la formidabile macchina teorica che all'inizio del secolo era in preparazione nel cranio del futuro ingegnere fu, come sempre, l'espressione concentrata di fenomeni sociali maturi. Si ritrovano negli scritti di Bordiga reiterati riferimenti, a volte seri e a volte ironici, al crogiuolo culturale che preparò e seguì la rivoluzione borghese italiana come rivoluzione non antifeudale, quindi peculiare in Europa, portatrice di fenomeni capitalistici da studiare con la massima attenzione. Sono, questi, elementi che potrebbero essere riferiti di volta in volta a Labriola. Cattaneo, Pisacane, Sella, Croce, De Sanctis, Nigra, tanto per rimanere tra i nati del secolo scorso, ma anche a Galileo-Newton-Leibnitz, citati spesso insieme; oppure Peano ed Einstein, sicuramente studiati a fondo, dato che, nei lavori di Bordiga si ritrovano concetti quasi identici ai loro.
La grande importanza data da Bordiga nella sua opera alla terra, all'ambiente, alle opere umane che ricoprono la crosta terrestre come lavoro passato, non ha solo radice negli studi del padre. Essa è presente nella ricerca della borghesia italiana nel corso della sua rivoluzione nazionale che, ricorda Bordiga, non fu uno scherzo, anche se molti rappresentanti borghesi, considerati individualmente, furono sciatti e tentennanti.
La borghesia rivoluzionaria italiana stabilisce la sua identità nazionale registrando un dato di fatto storico di fondamentale importanza: il capitalismo è nato in Italia con i liberi Comuni, le Repubbliche marinare, le Signorie mercantili e bancarie. In Italia il capitalismo ha lasciato da quasi mille anni una testimonianza capillare di lavoro passato nelle città, nelle campagne e nel rapporto fra città e campagna. La rivoluzione borghese italiana non è stata una rivoluzione antifeudale: il rapporto fra città e campagna, per quanto il contadino fosse miserabile, era più simile a quello inglese che a quello francese.
Per Bordiga si tratta di cogliere questo rapporto in termini marxisti: la questione agraria non significa solo terra, contadini, proprietari, come nell'angusta visione "feudalistica" dei riformisti e poi degli stalinisti. Significa soprattutto teoria della rendita, ovvero ripartizione del plusvalore prodotto nel ciclo capitalistico; significa moderno meccanismo in linea con l'affermarsi del monopolio in tutti i campi, radice del parassitismo sociale e dei tentativi borghesi di combatterlo o di volgerlo socialmente ai propri fini. In Italia la terra rappresenta da secoli il tramite dell'accumulazione capitalistica aperta, non l'economia feudale chiusa.
Questa osservazione la troviamo, non sviluppata, in Engels: l'Inghilterra compie la sua rivoluzione senza bisogno di espropriare la terra ai landlord sostenitori della Corona, perché l'agricoltura era già condotta capitalisticamente. Perciò gli inglesi si sobbarcano ancora il costo di una monarchia inutile quanto appariscente. In Francia occorse invece stroncarla e distribuire le terre frazionate ai contadini. Fu una vera rivoluzione antifeudale, ma venne ipotecato il futuro con il peso della massa contadina proprietaria, incapace di non mangiarsi il prodotto della terra, quindi meno efficiente nel processo di accumulazione del capitalismo.
Bordiga attinge molto presto (ne troviamo traccia per esempio nei suoi primi articoli sul Mezzogiorno) alla conoscenza che la parte rivoluzionaria della borghesia italiana aveva accumulato a causa della peculiarità storica della Penisola. Nei suoi lavori ricorrono spesso accenni alla questione agraria alla sistemazione del suolo, alle peculiari forme urbane, alla classe dominante italiana nella formazione del suo Stato nazionale, una classe ipocrita e vigliacca nel suo insieme e che tuttavia, contraddittoriamente, aveva uomini validi, in grado di unire scienza e politica.
È particolarmente cara a Bordiga l'immagine della rivoluzione non come scoppio isolato, ma come risultante dell'accumulo continuo di eventi che ha la sua risoluzione in una singolarità storica, vera e propria anticipazione della teoria delle catastrofi, sintetizzata in una riunione dell'aprile del 1951. L'accumulo è dovuto all'opera dell'uomo che agisce nella storia. A nessuno è concesso, se non per diventare ciò che egli chiamava un battilocchio. di isolarsi dalla storia e far credere che siano le proprie idee a muoverla. A nessuno è concesso di credere che il battilocchio sia un fattore di storia come egli dice di essere. Se qualcuno ci casca, come effettivamente capita alla stragrande maggioranza dell'umanità, è degradato immediatamente al rango di "sottofesso".
Bordiga tiene nel massimo conto l'opera non "fessa" di coloro che lavorano "per risultati del domani", a qualsiasi classe appartengano. Egli stesso è uno di questi risultati, preparato da tutti coloro che, in Italia o in altri paesi, hanno lavorato per un capitalismo puro o per la rivoluzione comunista, la qual cosa è indifferente, se l'osservatore riesce a collocare le fasi storiche nella giusta sequenza.
Il retroterra teorico di Bordiga è costituito quindi dal notevole fermento della borghesia italiana nel periodo a cavallo della sua rivoluzione nazionale; borghesia che esprime, tramite alcuni personaggi eclettici e dalla vasta cultura, la necessità di collegare ogni disciplina in una visione globale.
Questi personaggi, poco conosciuti ma nell'insieme rappresentanti il rigore personale e l'austerità, la molteplicità degli interessi e la capacità, se necessario, di combattere, piacevano molto a Bordiga. Non erano semplici "battilocchi", ma operosi carpentieri che costruiscono le arcate del ponte con il futuro. Perché il "comunismo non è una dottrina ma un movimento, esso non muove da idee ma da fatti" ed ha come presupposto "tutta la storia precedente e soprattutto i suoi risultati nei maggiori paesi civili" .
Prendiamo per esempio il citato Carlo Cattaneo. Milanese, propugnatore della scienza e della tecnica oltre che capo militare nella rivoluzione nazionale, fu sostenitore del metodo scientifico di Galileo, conoscitore della realtà sociale dell'Italia dei Comuni e della questione agraria ad essa legata (tanto da farne oggetto di comparazione con l'economia agraria inglese). Fu fondatore, nell'inizio del 1839 di una rivista, Il Politecnico, sostenitrice della scienza sperimentale e rassegna sulla dinamica tecnica e sociale capitalistica.
Prendiamo per esempio Francesco De Sanctis, avellinese, partecipante all'insurrezione del 1848 con i suoi studenti, ministro dell'istruzione alla proclamazione dell'Unità ed eccezionale critico letterario in grado di maneggiare con sicurezza Hegel nello studio dei rapporti fra la letteratura e sue basi storiche. O Quintino Sella, piemontese, ingegnere, scienziato e tessitore dello Stato unitario, propugnatore della modernità capitalistica e cosmopolita, capostipite di quella destra storica che porterà il capitalismo italiano alle estreme conseguenze, così ben descritte e studiate da Bordiga.
Rigore e molteplicità degli interessi furono dunque la base della formazione del giovane futuro capo del comunismo rivoluzionario "italiano". Il rigore nelle formulazioni, la lucidità dell'esposizione e la logica ferrea con cui Bordiga lanciava la sua critica contro gli avversari hanno certamente a che fare con il metodo assorbito al politecnico; ma non basta, ovviamente, essere giovani ingegneri per portare alle estreme conseguenze politiche tale metodo.
Il giovane Bordiga ha certamente studiato il metodo dialettico, non soltanto mutuandolo dalla lettura di Marx, ma risalendo a Hegel e studiando il capovolgimento del suo idealismo nel materialismo storico. Più tardi ne darà conferma nei suoi commentari sui Manoscritti del 1844 e in altri testi, ma è sicuramente agli anni giovanili che va fatto risalire un uso così ferreo di un metodo critico che va oltre quello di Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo.
Bordiga veniva capito al volo da un uditorio operaio anche su temi considerati "difficili". Disprezzava il "culturalismo", ma rifiutava di volgarizzare il marxismo e tradurlo in linguaggio da digest, cioè di "ridurre i macigni in pillole". Era un oratore eccezionale, ma non trascinava mai le assemblee con la demagogia o la semplice oratoria: convinceva chi lo ascoltava con la sequenza inesorabile di connessioni logico-dialettiche. Quelle che compagni meno rigorosi credevano piccole maníe si rivelano ad uno studio attento elementi di un metodo per nulla casuale, derivante da un'armonica integrazione di diverse discipline: "Noi crediamo alla rivoluzione, non come il cattolico crede in Cristo, ma come il matematico ai risultati delle sue ricerche".
Troviamo per esempio in alcune sue argomentazioni, riferimenti precisi alla linguistica, alla matematica, alla fisica, alla biologia ecc. Rifiutava le traduzioni approssimative degli stalinisti e traduceva o faceva tradurre dall'originale tutto ciò che, tratto da Marx, serviva agli articoli e alle riunioni. Incitava i compagni allo stesso rigore e invitava tutti a dare il minor peso possibile al "pensiero" elaborato attraverso il proprio Io, in modo da evitare aberrazioni individualistiche. Voleva che tutto fosse scritto in termini inequivocabili e odiava sinceramente i politicanti che parlavano a braccio di questioni che bisognava invece trattare come l'algebra o la geometria.
Da questo punto di vista lo studente Bordiga è certamente influenzato dalla scuola che, partita da Galileo, cerca oggi di dare una risposta univoca ai problemi posti dall'apparente dicotomia tra la fisica classica, cioè il mondo delle leggi della massa, del moto e dell'energia, e il mondo della complessità biologica, ambientale, sociale, ecc., cioè il mondo del divenire delle forme e del cambiamento. Di tale tentativo la scuola scientifica italiana a cavallo dei due secoli è piena di esempi contraddittori. Da una parte un mondo non solo accademico, ma gretto e tradizionale, legato alle convenzioni e alla sua politica interna; dall'altra, una ricerca di prim'ordine, per nulla scollegata dalle grandi correnti della scienza internazionale, influenzata più o meno consapevolmente dalla recente rivoluzione nazionale.
Non sappiamo se Bordiga abbia letto e studiato direttamente certi autori che si possono collegare ad alcune sue ripetute affermazioni, ma per esempio i concetti di "organicità", per quanto riguarda la struttura del partito, e di "invarianza", per quanto riguarda le costanti storiche sociali nella produzione e riproduzione umana, derivano da studi scientifici e non solo da osservazioni contingenti.
"Organicità" significa relazione tra certi fenomeni fisici o sociali e l'organismo vivente, fino alla concezione detta "olistica" dell'indagine sui fenomeni. Questa concezione è presente in modo esplicito nei lavori di Bordiga. Con essa si tende ad eliminare la separatezza delle parti e si intende l'organismo (o il fenomeno) come un tutto che è maggiore della somma delle singole parti che lo compongono.
Il termine "invarianza" ha significato più esteso di quanto appaia a prima vista. Categorie invarianti compaiono nel concentratissimo III paragrafo (Il metodo) della Introduzione del 1857 di Marx a Per la critica dell'economia politica, ma il concetto di "invariante" sta anche alla base delle scienze matematiche, fisiche e in genere naturali, ed è stato utilizzato per dare l'idea che ogni forma o processo naturale sia alla fine riconducibile ad una astrazione matematica. Con tale concetto si presuppone che i fenomeni qualitativi siano traducibili in termini quantitativi, quindi ci si connette direttamente al problema della conoscenza della realtà e alla possibilità di previsione. Alcune formulazioni in Bordiga ricordano molto da vicino quelle di un matematico torinese a lui contemporaneo, Giuseppe Peano.
Peano fu teorico del rigore scientifico, inventore del simbolismo logico oggi massimamente diffuso e ricercatore di un linguaggio universale per la scienza. Alcuni risultati di Peano influenzarono anche personaggi del calibro di Hilbert, Russel e Whitehead. Russel afferma ad esempio che Peano era sempre più chiaro e più brillante degli altri matematici nell'illustrazione delle sue posizioni. Ne dedusse che ciò fosse dovuto al possesso di una formalizzazione logica più rigorosa.
Bordiga è insistente su questo punto in molti suoi testi: le "idee" chiare derivano da una chiara impostazione teorica; l'azione diventa una conseguenza naturale. Teoria e azione, cioè formalizzazione e linguaggio, "segno" che cambia o fa cambiare le cose, non sono scindibili. Questa unità di teoria e azione sono anche il cemento dell'organismo partito: "Il possesso da parte del partito comunista di un metodo critico e di una coscienza che conduce alla formulazione del programma è una condizione della sua vita organica".
Alcune lezioni sul I Libro del Capitale di Marx tenute ai prigionieri politici di Ponza durante gli anni di confino si arricchirono di una formalizzazione algebrica comparsa tra il 1959 e il 1960 e chiamata Abaco. A commento di questa formalizzazione Bordiga richiama il partito alla necessità di redigere, oltre a successive matematizzazioni del lavoro di Marx, un dizionario internazionale in almeno quattro lingue sulla terminologia marxista. Nota inoltre che dalla disputa sulla contrapposizione Bucharin-Luxemburg si può uscire soltanto smettendo di chiacchierarvi intorno e costruendo una formalizzazione del problema dell'accumulazione che elimini le diatribe stratificate negli anni dalla discussione individualistica tra personaggi politici. Nella comunità scientifica di fine secolo Peano fu un sostenitore sia della trasformazione del linguaggio naturale soggettivo in simbologia logica oggettiva, sia di una lingua universale affinché il mondo, cominciando dagli scienziati, finalmente parlasse la stessa lingua.
Bordiga non avrebbe mai pensato che si potesse "creare" una lingua artificiale che fosse poi normalmente usata. Il linguaggio segue determinazioni materiali e il suo utilizzo può essere guidato solo in minima parte; ma il linguaggio scientifico può e deve essere rigoroso. Il metodo di notazione logica di Peano gli permetteva di smascherare le apparentemente poderose costruzioni di colleghi famosi semplicemente trascrivendo in simboli logici le loro disquisizioni. Per formalizzazione Bordiga intende appunto un insieme di notazioni astratte che non siano indistinte e soggettive come nel linguaggio "naturale", che siano cioè, come dirà nel '29 a Ponza, "di tale potenza da lavorare e camminare per conto loro, in certo senso fuori della coscienza e dell'intelligenza e come vere macchine per conoscere". Si tratta di un problema di epistemologia ormai riconosciuto dagli stessi scienziati borghesi più seri, quelli che, pur essendo lontani anni luce dal marxismo, ne hanno applicato il metodo per giungere ai moderni risultati, interessanti anche per noi. "Il trattare le entità su cui si indaga con misure numeriche e relazioni matematiche tra le loro misure quantitative, conduce a rendere le nozioni, le relazioni e il loro possesso e maneggio meno individuali, più impersonali, valevoli collettivamente. Il puro apprezzamento qualitativo contenuto in giudizi e indagini comunicati in parole del linguaggio comune, serba l'impronta personale in quanto le parole e i loro rapporti assumono valore diverso da uomo a uomo secondo le precedenti tendenze e predisposizioni materiali, emotive e conoscitive. Sono quindi personali e soggettivi tutti i giudizi e i principii morali, estetici, filosofici e politici comunicati e diffusi a voce e per iscritto. I sistemi di cifre e le relazioni di simboli matematici (...) tendono a stabilire risultati validi per tutti i ricercatori, o almeno trasferibili in campi più vasti senza che siano deformati facilmente da particolari interpretazioni".
Gli stessi concetti sono contenuti in modo esplicito in appunti di quegli anni, che forse dovevano servire allo stesso scopo: il linguaggio è una macchina per conoscere e anche cambiare il mondo, i segni che lo rappresentano sono convenzioni che servono per eliminare le differenze e quindi anche le manipolazioni soggettive. Qui sta la differenza tra Peano e Hilbert, Frege, Russel, secondo gli storici della scienza: Peano lavorò per anni al suo Formulario trasformandolo in un laboratorio che attingeva da tutto il mondo idee per fissarle in un linguaggo comune, per eliminare le manipolazioni soggettive, appunto. L'apparato simbolico serviva a Peano per comprimere i concetti ed eliminare le chiacchiere, oltre che per l'uso matematico. Russel volle sostiture la logica all'aritmetica e fallì il compito. Bordiga annota sull'uso della logica: "Noi non neghiamo l'esistenza della logica come scienza e tecnica strumentale delle forme del pensiero; è anzi ben noto che nella concezione marxista al suo impiego si accompagna quello della dialettica, o scienza delle relazioni, di cui avremo a parlare. Ma ciò che deve essere chiarito è che la logica è costruita e giustificata dalla sua applicazione e corrispondenza alla realtà e non codificata a priori nella nostra testa e solo dopo applicata alle cose"..
L'applicazione della sola simbologia che trasforma i nostri concetti in notazioni "universali" non basta, perché l'"universale" si rivela alquanto aleatorio se si dovesse occupare di sé stesso: "Ora se col meccanismo linguaggio si costruisce la scienza, oltre che coi dati sperimentali, e si attende dalla scienza stessa il perfezionamento di quel meccanismo, si è in un circolo vizioso perché mai la scienza acquisterà un valore indipendente dal meccanismo stesso: o questo ha una sua interna perfezione su cui si poggia la scienza, e siamo alla tesi aprioristica, o esso strumento linguaggio-pensiero è imperfetto di sua natura, e almeno in parte saranno sempre imperfette le operazioni della scienza e le sue riforme del modo di parlare e di pensare". Ma come rivoluzionari non possiamo certo fermarci al circolo vizioso e Bordiga dimostra, con esempi ingegneristici di meccanica (contraddizione tra la misura e il misuratore), come si possa superare il problema uscendo dal sistema da osservare (misurare).
Se i segni riflettono le nostre imperfezioni, devono essere corretti affinché possano essere eliminate le nostre domande sulle cose misteriose del mondo; "correggere e rettificare il meccanismo del linguaggio significa modificare opportunamente il valore dei termini che rappresentano le cose e i fatti reali e [il valore]delle relazioni logico-sintattiche suscettibili di sempre maggior adattamento al loro scopo".
Galileo rischiò di finire bruciato sul rogo per avere anticipato un concetto simile a quello di Peano e di Bordiga nel Dialogo sui massimi sistemi: noi non possiamo conoscere il tutto, che è troppo grande per la nostra intelligenza; possiamo però conoscere la parte, se la indaghiamo con metodo corretto. Allora la conosciamo come la conosce Dio. La differenza sta nel fatto che Egli ha conoscenza infinita, mentre noi conosciamo per gradi; tuttavia la qualità della nostra conoscenza, se ottenuta tramite procedimenti non soggettivi e cioè matematici, è uguale alla sua.
Cattaneo, da noi citato come parte dell'ambiente in cui si forma la borghesia nazionale e l'anti-borghesia internazionale, riprese Galileo e sostenne una teoria dinamica dell'incivilimento come scienza del conflitto tra le forze sociali interne alle nazioni e tra le nazioni: siccome il limite oggettivo della scienza è la sperimentazione, storia e scienza venivano a coincidere. Non è marxismo, ma contribuì a prepararne l'avvento in Italia, e Labriola ne fu un buon divulgatore, come Pisacane ne fu un anticipatore, dato che "parlava di lotta di classe operaia prima di aver letto Marx".
A questa scuola si formò l'unico rivoluzionario comunista occidentale che osò tirare i baffi a Stalin e dirgli: non è marxismo, il tuo, e sarà una catastrofe. Non lo diceva per polemica politica, lo diceva per certezza scientifica. La segretaria traduttrice non osava tradurre e Stalin dovette sollecitarla. Mancava ancora circa un decennio ai processi e alle fucilazioni, ma linguaggio e comportamenti si stavano velocemente adeguando alla nuova realtà russa. Se gli schemi logici e i princìpi matematici non hanno una validità a priori, ma "in realtà la suscettibilità di adattarsi del pensiero è assolutamente senza limiti", nel senso che il mondo suscita i problemi e l'uomo adatta i suoi strumenti conoscitivi alla loro soluzione, l'incepparsi della rivoluzione doveva provocare un nuovo linguaggio, nuovi strumenti di conservazione controrivoluzionaria. Di qui la necessità di una battaglia per la riaffermazione dei principii, unico grandioso lavoro possibile dopo di allora. Lo pretende l'invarianza della dottrina: una volta che lo strumento teorico è dato, allora non è concesso il dubbio o il cambiamento di metodo finché una nuova rivoluzionaria questione sia posta sul tappeto dalla maturità del processo. Il retrocedere della rivoluzione comporta il "ribattimento dei chiodi" marxisti finché non tornerà il momento dell'azione, dell'attacco.
Come si vede, la continuità nell'affermazione del bisogno di un metodo scientifico per la certezza del divenire è un invariante rivoluzionario. Ogni epoca ha la sua scienza, ma ogni scienza è indagine sul futuro, la scienza è previsione calcolata. Anche la Terra Promessa di Mosè è una previsione calcolata. La sua scienza di calcolo è un popolo vivo e reale che si muove secondo la sua storia, e l'epoca dispone come certezza scientifica di un dogma: l'ha detto Javeh. Dietro il dio ci sono millenni di esperienza, il mito è un condensato di storia. Il "fesso" ne ride, lo scienziato impara a interpretarlo.
Bordiga si fa gioco di chi lo chiama dogmatico. Per irridere al dogma, dice, bisogna prima arrivare all'altezza del dogma. E in una riunione generale contrapporrà provocatoriamente la Bibbia ad un preteso scienziato sovietico. Nel 1955 riprende il tema in un articolo scritto in morte di Albert Einstein. Agli occhi della borghesia decadente sembrano superate le certezze "dogmatiche" dei suoi antenati rivoluzionari. Per questi la certezza della loro vittoria materiale era posta nelle teorie scientifiche e ritenevano che l' universo fosse calcolabile alla perfezione in ogni momento e luogo, dato un punto di partenza, se solo la limitatezza umana non impedisse di accedere agli strumenti necessari. La scienza classica era giunta a un limite, bisognava superarla inglobandola, non rinnegarla come invece fecero e fanno i teorizzatori dell'indeterminismo.
Gli scienziati della borghesia decadente, dice Bordiga, ripropongono "in forme aggiornate tutto il dubbio antico sui rapporti tra oggetto e soggetto, realtà ed esperienza, natura e conoscenza umana"; Einstein tentò di agganciarsi alla strada storica senza scendere a patti con il nuovo soggettivismo e non avrebbe mai detto, se fosse stato un rivoluzionario anche in campo sociale, "è solo molto probabile che la borghesia e la sua ideologia se ne vadano al diavolo".
Ciò che in Bordiga i biografi scambiano alternativamente per purezza teorica, dirittura morale, dogmatismo, ricerca ostinata dell'ortodossia ecc. altro non è, in realtà, che rigore scientifico marxista.