La concezione del partito
Nel 1920, al II Congresso dell'Internazionale Comunista, Lenin presenta le 20 condizioni di adesione, poi diventate 21 in seguito alla richiesta di maggior rigore presentata dalla Sinistra "italiana". Da questo particolare documento risultano evidenti le difficoltà di considerare l'IC come un unico partito. La presenza di un elenco così dettagliato di norme significa di per sé che non esiste nessuna omogeneità fra i partiti nazionali che aspirano a far parte del partito mondiale che si vorrebbe costituire.
Nelle tesi sul partito presentate da Zinoviev, la questione del partito è impostata in modo coerentemente marxista, ma si riferisce ancora ai singoli partiti comunisti nazionali, anche se devono essere uno solo per paese, e al funzionamento democratico interno, basato sui meccanismi elettivi, quindi sul centralismo democratico. Considerato come era stata costituita, la nuova Internazionale non poteva dare di più. D'altra parte nel movimento operaio internazionale non era mai stato raggiunto un punto più alto del II Congresso del 1920 e non fu raggiunto in seguito. Tutto ciò rappresentava anche un grave impedimento per lo sviluppo ulteriore dello stesso movimento operaio internazionale, specie in Occidente.
Negli scritti giovanili di Bordiga si riscontra una concezione del partito già ferocemente antiformalistica. Egli non sopporta i vecchi notabili, la routine elezionista e clientelare, la prassi della politica per la politica. Utilizza la sua influenza nella Federazione Giovanile nel tentativo di rompere con questa prassi e vorrebbe isolare i giovani dall'ambiente mefitico del partito. La polemica anticulturalista è anche polemica positiva per un partito di natura ben diversa da quella del vecchio PSI. "Ecco in che cosa noi vediamo tutto un programma del movimento giovanile. Sottrarre la formazione del carattere all'esclusiva influenza della società presente, vivere tutti insieme, noi giovani operai o no, respirando un'atmosfera diversa e migliore, tagliare i ponti che ci uniscono ad ambienti non socialisti, recidere i legami per cui ci si infiltra nel sangue il veleno dell'egoismo, della concorrenza; sabotare , in una parola, questa società infame, creando oasi rivoluzionarie destinate un giorno ad invaderla tutta, scavando mine destinate a sconvolgerla nelle sue basi".
Questa concezione ancora acerba della comunità umana che deve temprarsi per la rivoluzione è un anticipo delle più mature conclusioni sul centralismo organico. Il partito non è semplicemente uno strumento organizzativo, ma molto di più. Il partito rivoluzionario è diverso dai partiti borghesi "non è un partito operaio tra gli altri", come già aveva detto Marx, ma l'organo della classe rivoluzionaria.
Lo schifo per i partiti tradizionali non deve tradursi nella negazione del partito. Molto presto Bordiga mette in guardia contro la concezione anarchica che l'organizzazione centralizzata sia un male in sé. Mette in guardia soprattutto dal trovare surrogati del partito in organismi immediati che non possono per loro natura essere l'organo di direzione rivoluzionaria: "Dopo certi risultati della tattica sindacalista ogni rivoluzionario cosciente deve riconoscere la necessità della esistenza di un partito , in un senso, è ben vero, diversissimo da quello in cui lo intendono i riformisti".
L'arretratezza della concezione del partito nell'Internazionale porterà Bordiga a scrivere due articoli fondamentali sulla rivista teorica del PCd'I nel 1921. Possibile che non fosse evidente per dei marxisti ciò che la rivoluzione russa aveva prodotto sul partito bolscevico? Possibile che non si riuscisse a capire che Lenin rappresentava tutto il contrario del democratismo, dell'elezionismo, della burocrazia, del carrierismo personale? Non ci si accorgeva che il partito bolscevico, al di là del suo linguaggio forgiato nei compiti ancora democratici della rivoluzione russa, rispecchiava una natura interna completamente diversa da quella dei partiti occidentali?
Nel primo dei due articoli nominati, Bordiga richiama le tesi del II Congresso presentate da Zinoviev e le utilizza come base di partenza. Egli però va molto al di là del contenuto di esse. Scrive che in una concezione dinamica dei rapporti fra le classi, il proletariato si muove storicamente per abbattere il dominio della borghesia; quindi esprime una sua storia, una sua esperienza, registra vittorie e sconfitte, in una parola forgia la teoria della sua rivoluzione. Il proletariato nel suo insieme non può essere il depositario di questa teoria. D'altra parte solo nella dinamica storica il proletariato è una classe, altrimenti non è che un ceto sociale accanto agli altri. Ma nella dinamica storica il proletariato è una classe per sé solo se esprime una guida teorica e pratica, il suo partito: "La classe presuppone il partito, perché per essere e muoversi nella storia la classe deve avere una dottrina critica della storia e una finalità da raggiungere in essa".
I partiti della II Internazionale fallirono nei loro compiti rivoluzionari non perché fossero falliti i partiti proletari, ma proprio perché essi erano organismi che avevano cessato di essere dei partiti.
Nel secondo articolo, che è un tutto unico con il primo e che è uno degli scritti più belli e nettamente "scientifici" di Bordiga sul partito, si affronta la dialettica fra l'organizzazione, la classe e il movimento storico. Il partito assolve al suo compito come fattore di coscienza, in quanto esso possiede la concezione teorica del processo rivoluzionario al di sopra e in comune con tutti gli aderenti; assolve al suo compito come fattore di volontà, in quanto disciplina, coordina e centralizza le sue componenti e quelle della classe, assicurando le possibilità di vittoria.
Il partito non vive al di fuori delle determinanti materiali in cui versa la classe e la società. Esso è un fattore di storia, ma prima di tutto un prodotto della storia stessa. Guai però se da questo si deducesse che ad ogni mutamento di situazione si debbano cambiare i princìpi teorici e organizzativi. Non bisogna infatti confondere il cambiamento di situazione con i cambiamenti storici.
Si capisce che vi sono già delle critiche, e anche abbastanza esplicite, a fenomeni che nell'Internazionale del 1921 erano appena in embrione. L'offensiva del partito rivoluzionario ha un senso soltanto quando la situazione economica e sociale pone le masse realmente all'offensiva contro la società borghese. Altrimenti si cade nell'atteggiamento volontarista, col quale si crede che sia sufficiente il gioco delle forze organizzate e ben disciplinate da una direzione internazionale che inquadra milioni di lavoratori, per spostare la situazione generale dal ristagno al moto rivoluzionario.
"Non si creano né i partiti né le rivoluzioni. Si dirigono i partiti e le rivoluzioni, nella unificazione delle utili esperienze rivoluzionarie internazionali".
Nelle Tesi di Roma del 1922, già citate in precedenza, Bordiga precisa i rapporti fra la situazione storica, la formazione e lo sviluppo del partito rivoluzionario, l'influenza sulla classe, e la tattica. Centro delle argomentazioni è ancora l'unità di teoria e azione con le relative conseguenze che la rottura di questa unità può avere sul partito.
Le tesi saranno criticate da una lettera ufficiale del Presidium dell'IC, lettera scritta da Radek e poi ritirata perché ritenuta "inopportuna". In tale lettera si sorvola sull'impostazione teorica e si ribadisce semplicemente la direttiva dell'IC sulla conquista della maggioranza, sulla questione del Fronte unico e sulla parola d'ordine del Governo Operaio. Ormai l'Internazionale procede per frasi fatte, la lettera è di uno squallore mortale, burocratico, e Bordiga risponde per le rime: scrive altrettanto burocraticamente al giornale di partito Lo Stato Operaio pregando di avvisare i suoi lettori che essa non ha valore "ufficiale" e il giornale la pubblica. Egli prevede che di questo passo non solo vi sarà un disastro per quanto riguarda l'azione delle masse e l'influenza del partito su di esse, ma verrà minacciata anche la coesione interna dell'organizzazione comunista.
Nel 1923 l'Internazionale pensa di rinsaldare la coesione in pericolo cooptando gli elementi "dissidenti" nell'apparato direttivo. In un primo tempo i centristi rimangono titubanti di fronte alle sollecitazioni a ricoprire incarichi direttivi nell'IC. Bordiga li esorta a non accettare: "Non sfuggirete al dilemma: o desistere da ogni velleità di resistenza alle direttive di Mosca, o abbracciarle come una croce senza più protestare o lasciare la direzione anche parziale del partito".
L'appello cade nel vuoto. In Italia, anche se la stragrande maggioranza del partito è con Bordiga e la Sinistra, un piccolo numero di dirigenti è di fatto già con Mosca anche sulle questioni di principio. Fino a questo momento però i problemi organizzativi esistono solo nei confronti dell'IC, che cerca, senza riuscirvi, di far sostituire alla direzione del partito Bordiga con Tasca (della destra), in quel periodo a Mosca.
Nella battaglia contro la degenerazione dell'IC, Bordiga è isolato anche se ha dalla sua parte tutta la base. Ma tale base non ha minimamente influenza sul comportamento dell'Internazionale. Alla fine, come abbiamo visto, incominciano le defezioni e le epurazioni, prima al vertice, poi negli organismi direttivi periferici, poi nelle sezioni.
Sempre nel 1923, una "fortunata" operazione di polizia porta all'arresto di Bordiga e di altri dirigenti comunisti che sono denunciati per complotto contro lo Stato. L'aggettivo è di Bordiga: la struttura di sicurezza del partito era a prova di polizia.
Il processo si conclude con l'assoluzione degli arrestati, essendo accolta in pratica la tesi sostenuta da Bordiga: un complotto sarebbe possibile in una situazione completamente diversa; ma in una situazione diversa il potere non agirebbe con leggi ordinarie (tribunali ecc.), agirebbe con leggi straordinarie; "Non è un paradosso concludere che se c'è il processo, il complotto non c'è".
In carcere Bordiga riesce a instaurare un canale di comunicazione con l'esterno e a inviare messaggi in codice. Redige un "manifesto" contro le posizioni dell'Internazionale e invita i compagni del gruppo dirigente a firmarlo. Questi accettano malvolentieri, meno Gramsci, che non se la sente di scontrarsi con Mosca. Senza l'unanimità il documento viene abbandonato.
Approfittando del fatto che Bordiga è in carcere, la responsabilità del partito passa a Togliatti e Terracini che subiscono fino in fondo le influenze dell'IC. Nella concezione di partito dei centristi la lotta politica diventa regola e Togliatti confessa nella sua corrispondenza che bisogna togliere di mezzo politicamente Bordiga. Gramsci ha paura delle reazioni della base e tentenna. Il partito non è già più quello che intendeva il suo fondatore.
Nelle elezioni del 1924 l'IC e il nuovo gruppo dirigente del partito cercano (ingenuamente o provocatoriamente) di legare Bordiga a responsabilità parlamentari. L'enorme influenza del fondatore del partito sugli iscritti e sull'elettorato rappresenterebbe in effetti un mezzo sicuro per avere un gran numero di voti. Ma Bordiga rifiuta. Non si appella alla sua tradizionale posizione astensionista, ma oppone gli stessi motivi che gli fecero rifiutare le cariche direttive.
Nel maggio 1924, a Como, si tiene una conferenza clandestina del partito. "L'insuccesso del proletariato italiano nel dopoguerra... dimostra che un partito eterogeneo o un blocco di partiti diversi non forniranno mai lo stato maggiore della rivoluzione vittoriosa", afferma Bordiga. Gramsci è ancora legato alle prospettive delineate con la fondazione del partito a Livorno, ma dice che bisogna superare le Tesi di Roma e trovare un accordo con l'IC: "Non è tanto necessario fare una discussione di principio... quanto bisogna invece prospettare le soluzioni pratiche dei problemi immediati".
Il centralismo democratico impone ancora la presentazione di tesi e la votazione su di esse. La Sinistra raccoglie l'adesione di 35 federazioni su 45 e della Federazione giovanile, il centro di 3, la destra di 5, due si astengono. Non è evidentemente una questione di democrazia interna, bensì di rapporti storici che si stanno delineando. L'IC imporrà al partito il nuovo centro, minoritario, non omogeneo, spaesato per la responsabilità che gli viene attribuita, impaurito dalle reazioni che la base del partito può ancora sviluppare nel caso di un attacco frontale contro la persona di Bordiga.
Al V Congresso dell'IC (dal 17 giugno all'8 luglio 1924), la Sinistra ripresenta le Tesi sulla tattica dell'Internazionale già presentate al IV Congresso. Bordiga si rende conto che si sta delineando una sinistra nel partito russo, ma non intende parteggiare, il suo intento è sempre quello di superare il federalismo dei partiti nazionali per giungere ad un vero partito mondiale. La sterzata a sinistra impressa da Zinoviev al V Congresso è troppo apertamente dovuta agli errori compiuti dall'IC nei confronti della situazione tedesca. Non si può ritenere il gruppo Brandler il solo responsabile delle sconfitte, dato che esso applicò le direttive frontiste del IV Congresso; non si può neppure assumere un linguaggio di "sinistra" solo perché si è acconsentito al cambio di direzione nel KPD, con il quale la sinistra tedesca ha preso in mano il partito.
Nella situazione attuale, chiede Bordiga, non vogliamo tanto la svolta formale a sinistra, quanto la "rettifica generale dell'Internazionale". La parola d'ordine del "governo operaio" non era meno ambigua e pericolosa di quella del "fronte unico" che, nelle oscillazioni tattiche dell'IC, doveva sostituire.
Al V Congresso Bordiga mette in guardia per la prima volta contro il "grosso pericolo di un revisionismo di destra (che) minaccia il partito russo". Qui si vede la differenza fra la sua elaborazione teorica e quella di Zinoviev o anche di Trotzky. Dall'interno del partito russo l'opposizione nascente non era consapevole del vero pericolo che minacciava l'Internazionale e in effetti non lo sarà mai.
Bordiga fu il primo e il solo a dedurre dall'andamento materiale dei fatti e dalla previsione "scientifica" che le questioni dello Stato russo si stavano sovrapponendo a quelle dell'Internazionale, con grave pericolo non solo per la sua autonomia e indipendenza, ma per la possibilità futura di compiere il passaggio al Partito Unico Mondiale. E sferrò una battaglia che oggi possiamo dire persa in partenza, ma dai contenuti importantissimi per capire la vera portata della catastrofe che nel breve corso di due anni, dal 1924 al 1926, distrusse l'Internazionale come partito della rivoluzione.
Al congresso apre dunque gli interventi del PCd'I con un lungo discorso in difesa della concezione marxista della lotta di classe e dell'organizzazione, e lo riprende nei giorni successivi; ripresenta le tesi sulla tattica dell'IC; replica a Zinoviev sull'apparente sterzata a sinistra; replica più volte a Bucharin sul problema delle frazioni e del centralismo; tiene un lungo rapporto sul fascismo ad integrazione di quello del Congresso precedente; cerca di dimostrare le ricadute della tattica sulle questioni sindacali; dimostra, con un programma d'azione per il partito italiano, che si poteva e si doveva agire in modo coerentemente rivoluzionario senza bisogno di oscillazioni tattiche.
Le parole volarono, i testi rimangono.
Nel successivo Congresso federale di Napoli (clandestino), Bordiga espone in modo netto e duro le proprie posizioni. Gramsci interviene stroncandole aspramente. Per evitare il solito schiacciante riscontro numerico alle posizioni della Sinistra, Gramsci fa chiudere il congresso senza la tradizionale votazione sulle tesi.
Nel 1925 la polemica interna si tramuta in lotta aperta. Togliatti al V Congresso dell'IC si era schierato apertamente per la prima volta contro la Sinistra e il risvolto pratico fu un indurirsi della lotta interna, che per Bordiga non aveva più nulla di decente e di comunista. I suoi interventi si fanno più rari e anche i suoi articoli sulla stampa di partito. Nel febbraio scrive un lungo articolo in difesa di Trotzky, dato che l'attacco contro questi veniva utilizzato anche in Italia contro la Sinistra. L'articolo non viene pubblicato e viene subito trasmesso a Mosca con richiesta di istruzioni.
Nel giugno-luglio scoppia la questione del "Comitato d'intesa". Un gruppo di compagni della Sinistra, esasperati dalla situazione interna di partito, dà vita ad un comitato con il compito di raccogliere i compagni intorno al vecchio nucleo fondatore. Bordiga non partecipa all'iniziativa e non firma i documenti che vengono fatti circolare, ma, non appena si profila il pericolo del loro isolamento tra attacchi e calunnie di ogni genere, si dichiara aderente al comitato, forse nell'intento di bloccare con la sua autorità una lotta politica che stava assumendo toni per nulla politici. All'accusa di frazionismo risponde come aveva risposto al tribunale che lo aveva incarcerato: non c'è frazionismo perché non vi sono le condizioni materiali per la nascita di una frazione: "non ci sentiamo spinti, dalle ripetute provocazioni della centrale, alla miserabile risposta di fabbricare un partitino dissidente ad uso di dirigenti a spasso".
Nel pieno della campagna denigratoria contro il Comitato d'Intesa, la Centrale pubblica l'articolo di Bordiga in difesa di Trotzky per dimostrare che l'accusa di trotzkismo nei confronti della Sinistra è fondata.
La questione del Comitato d'Intesa si spegne dopo alcune settimane, ma ormai la frattura è insanabile. Nel frattempo il partito riorganizza i suoi ranghi operai sulla base dei consigli di fabbrica, abbandonando l'organizzazione territoriale. Bordiga si oppone: nel partito vi sono solo comunisti, indipendentemente dalla classe di appartenenza e dal mestiere; con l'organizzazione per azienda si compie un gigantesco passo indietro di natura sindacal-operaista.
Da notare che su questo problema invece Trotzky è favorevole all'organizzazione per azienda. Questo non è che un aspetto delle contraddizioni dell'opposizione "trotzkista". In effetti, mentre Bordiga aveva mantenuto una linea di attacco "esterna" alla degenerazione dell'Internazionale, richiamandosi al rigore marxista contro i pasticci teorico-tattici dell'insieme informe di partiti nazionali influenzati da quello russo predominante, Trotzky si era mosso all'interno della logica sia russa che internazionale dell'organizzazione. Questo fatto aveva permesso alla Sinistra italiana una maggiore coerenza (Trotzky era per esempio favorevole al fronte unico), ma anche una maggiore libertà di critica. Trotzky si era legato le mani con un atteggiamento di compromesso che non lo abbandonerà fino alla morte nei confronti delle questioni russe.
In Italia, sulla stampa di partito ormai da un anno gli articoli di Bordiga sono preceduti da corsivi redazionali che lo attaccano duramente o ne stravolgono le posizioni. Ogni risposta o rettifica non fa che precipitare la lotta politica in una spirale sempre più "impolitica" e degenerata.
Questa pesante situazione, che si trascina fino al 1926, quando al Congresso di Lione e al VI Esecutivo allargato Bordiga tenterà l'ultima strenua difesa delle sue posizioni, imprimerà un marchio indelebile alla sua concezione del partito. Egli partecipa ad entrambe le occasioni di discussione per una strenua e ultima difesa di fronte alle capitolazioni opportunistiche dell'Internazionale e del partito. Al Congresso di Lione l'Internazionale fa mancare i mezzi clandestini ai delegati della Sinistra, quindi sono rappresentati in grande maggioranza solo gli allineati alle posizioni centriste. Questa volta si vota e i voti mancanti sono attribuiti d'ufficio alla centrale.
Bordiga presenta ulteriori tesi in cui tutto è riassunto, dalle questioni russe alle questioni italiane, dalla natura del partito alla sua tattica, dalla politica propugnata dalla Sinistra a quella della centrale (ordinovismo). Parla per più di nove ore a commento della situazione tremenda verso cui si incamminerebbero il partito e l'Internazionale se il metodo della lotta politica e la meschinità dell'intrallazzo e del patteggiamento prendessero piede.
La soluzione, dicono le Tesi di Lione, non sta nel quadro nazionale ma nell'ambito di una rigenerata Internazionale. Altrimenti l'ambiente comunista diventerà talmente avvelenato da soffocare qualsiasi possibilità rivoluzionaria. La concezione di partito che ha preso piede non ha nulla a che fare con le necessità della rivoluzione, perché il partito che si sta configurando è un'entità che divora sé stessa invece di attaccare l'avversario.
Parole profetiche, ripetute al Sesto Esecutivo allargato dell'IC nel mese di febbraio.
Il precedente Esecutivo Allargato di Mosca era stato organizzato quasi interamente contro il "trotzkismo", al quale era stata accomunata la Sinistra italiana. Nella sua relazione Zinoviev, con notevole incoerenza, aveva accusato Bordiga di non comprendere il ruolo del partito quando la rivoluzione rallenta, e quindi di rifiutare la tattica del fronte unico e di tutte le rivendicazioni parziali che pur bolscevicamente erano tese al raggiungimento dello scopo finale. Bucharin aveva accusato la Sinistra di luxemburghismo e di sindacalismo, spingendo l'invenzione fino a fare un parallelo con la "scuola olandese" della II Internazionale. Lo stesso Bucharin aveva poi offerto una spiegazione della necessità della lotta "antitrotzkista": un conto sono le divergenze in un partito all'opposizione, un altro sono quelle in un partito al potere, quando la discussione e la lotta politica hanno ripercussioni immediate e negative sulla politica generale.
Con ciò Bucharin aveva decretato la sconfitta della Sinistra (e temporaneamente del movimento marxista) con un accenno al fatto che le questioni russe stavano prendendo il sopravvento nell'Internazionale e questa si sarebbe dovuta piegare alle esigenze dello Stato russo. Esattamente quella che sarà l'accusa di Bordiga nella riunione successiva e direttamente contro Stalin.
Il VI Esecutivo Allargato è l'ultima assise di partito alla quale Bordiga partecipa. La confusione è grande. Zinoviev raggiunge Trotzky in un blocco di opposizione. Serpeggia per la prima volta la frase "socialismo in un solo paese" a confermare le preoccupazioni di Bordiga. L'opposizione internazionale sembra allargarsi, ma la sua unità è fittizia, dovuta soltanto al contrasto comune con la direzione staliniana. Ma non vi è, in effetti, un programma comune qualsiasi.
L'intervento principale di Bordiga occupa un'intera seduta e rappresenta un riepilogo delle motivazioni che gli hanno fatto assumere un ruolo di opposizione aperta, al limite dell'indisciplina e del "frazionismo", nei confronti del partito e dell'Internazionale. La rivoluzione russa ha rappresentato un avvenimento grandioso, egli afferma, ma nella rivoluzione occidentale occorre andare oltre, perché non basta l'opera di restaurazione teorica di Lenin contro la II Internazionale. D'altra parte la storia di Lenin è storia di frazioni, egli continua: non sono le frazioni che rendono opportunisti i partiti ma è l'opportunismo che penetra in essi gridando all'unità a tutti i costi.
Bisogna andare oltre il pur grande insegnamento dell'Internazionale. Bisogna denunciare il partito che vive di una lotta contro sé stesso e giungere ad un ambiente comunista in cui ci si tolga "dalla mente e dal cuore" l'insieme delle categorie borghesi che questa società inculca negli uomini. Bisogna giungere ad un partito mondiale in cui non sia possibile per una parte, individuo o gruppo che sia, esternarsi o dominare sul tutto.
Nonostante quarant'anni di isolamento, questa concezione si ripresenterà immutata alla fine della guerra. Nel 1945 non partecipa personalmente alla "fondazione" del nuovo partito. L'organizzazione nasce con troppi iscritti che rappresentano bene la confusione esistente nello sfascio postbellico. Molti sono ex partigiani che hanno combattuto illudendosi di poter tenere le armi a guerra finita per la rivoluzione. Nella confusione molti sfilano il 25 aprile per festeggiare la libertà democratica portata dalle armi alleate. All'inizio dell'anno Bordiga redige a Napoli le tesi sulla Natura, funzione e tattica del partito rivoluzionario nelle quali ribadisce l'unità dialettica di teoria, azione e organizzazione. Per la prima volta nella storia, egli scrive ripetendo le parole di Marx, un partito non lotterà per portare al potere una nuova classe dominante, ma dirigerà il proletariato verso l'instaurazione di "rapporti produttivi tali che permettano di eliminare la pressione economica e lo sfruttamento di classe su classe". Spiega quindi perché l'Internazionale fece degli errori analizzandone la natura e dimostrando che si può andare verso la vittoria solo a patto di non commetterli più. Il nuovo partito della rivoluzione si distinguerà da ogni organizzazione precedente perché non parteciperà più alla normale vita politica del mondo borghese fatta di manovre, espedienti, alleanze, meccanismi elettivi.
Le tesi furono pubblicate nel maggio del 1947. Tuttavia nel 1948 buona parte delle sezioni presenterà delle liste elettorali mentre il partito funzionava ancora secondo il vecchio metodo democratico.
Nel 1951 i materiali precedenti vengono ulteriormente sistemati nelle Tesi caratteristiche del partito. La base della formazione della direzione rivoluzionaria non è la coscienza individuale e nemmeno l'abilità o la cultura dei capi: "essa consiste solo nella organica unità del partito", dove "unità" non è intesa soltanto nel senso di unione, ma soprattutto di armonia fra le diverse funzioni. Centro, periferia, rapporto con la classe e il mondo "esterno" sono tutt'uno e non vi è priorità gerarchica di una parte qualsiasi sull'altra. La vecchia concezione del partito in cui agiscono individui e capi illuminati, sapienti e coscienti, deve essere sostituita con quella "di un tessuto e di un sistema che nel seno della classe proletaria ha organicamente la funzione di esplicare il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi".
Compresa materialisticamente la diversità tra la rivoluzione russa e la rivoluzione occidentale, si deve comprendere anche la diversità tra il partito bolscevico, la sua tattica e la sua strategia nel corso di una doppia rivoluzione (democratica antifeudale e, nello stesso tempo, proletaria): "Assurdo trasportare tale strategia alla situazione in cui lo Stato borghese ha dietro di sé una semisecolare tradizione democratica e con partiti che ne accettano il costituzionalismo".
La forma partito, l'organo della classe nella sua rivoluzione, non scaturisce da un modello pensato da qualcuno, ma è imposta dalla necessità storica. Per questo nelle tesi citate vi è una lunga parte che descrive le successive "ondate storiche dell'opportunismo": la prima, anarco-soreliana; la seconda, socialdemocratica; la terza, staliniana. Nel nuovo partito non vi saranno elezioni di capi, votazioni su tesi contrapposte o lotta per i posti nella gerarchia interna.
"Nessun movimento può trionfare nella storia senza la continuità teorica, che è l'esperienza delle lotte passate. Ne consegue che il partito vieta la libertà personale di elaborazione e di elucubrazione di nuovi schemi e spiegazioni del mondo sociale contemporaneo; vieta la libertà individuale di analisi, di critica e di prospettiva anche per il più preparato intellettuale tra gli aderenti; difende la saldezza di una teoria che non è effetto di cieca fede, ma è il contenuto della scienza di classe proletaria, costruito con materiale di secoli, non dal pensiero di uomini ma dalla forza di fatti materiali, riflessi nella coscienza storica di una classe rivoluzionaria e cristallizzati nel suo partito".