Il centralismo organico
È stato detto che la concezione organica del partito in Bordiga è di tipo "mistico" o "messianico" o "biologico" o "cibernetico" ecc., ma le varie definizioni a proposito di una teoria "bordighista" del partito non si addicono a tale concezione.
Non esiste una teoria bordighista di partito, né la si deve trarre arbitrariamente dagli scritti di Bordiga.
Il percorso che lo porta al centralismo organico è in realtà molto breve e si sviluppa in modo del tutto empirico nei primi anni di attività politica all'interno del PSI. In quegli anni egli non fa altro che applicare le sue letture marxiste alla realtà del partito, che è una realtà molto distante dalle necessità della rivoluzione. La sua contrapposizione ai vecchi notabili socialisti, ai massoni, agli ultrariformisti e ai sindacalisti è di tipo pratico: non potrete mai guidare una rivoluzione vittoriosa con questo tipo di strumenti politici. Come se avesse detto che non si può piallare una tavola con una spugna, ci vuole una pialla.
Nelle Tesi di Roma del 1922 ribadisce questo concetto nei confronti del nuovo partito comunista e dell'Internazionale ed estende il campo alla tattica dei due organismi. Nello stesso anno, dopo poche settimane, scrive un articolo sul principio democratico, dove raccoglie in modo sistematico le osservazioni precedenti sullo stesso tema.
Lasciamo perdere chi vede mistica e messianesimo ovunque non ci sia la concezione gerarchico-stalinista-volontarista del partito. Ma anche la concezione biologica è errata. Il centralismo organico è stato più volte paragonato al funzionamento di un organismo vivente, ma questo si forma in embrione, cresce, invecchia e muore; possiede organi differenziati, un cervello, un sistema nervoso, degli arti. L'organizzazione delle cellule viventi in un individuo animale non rappresenta ancora bene la dialettica e la dinamica del partito rivoluzionario. Questo si forma e si sviluppa secondo determinazioni più complesse di quelle che permettono la vita individuale, perché alcune determinanti sono storiche, dipendono dalla maturità delle condizioni sociali, cosa alla quale l'organismo individuale è assai poco sensibile.
Inoltre l'organismo biologico ha anche un ciclo biologico. Le sue cellule si moltiplicano da un embrione che contiene già tutte le informazioni dell'individuo sviluppato, poi degenerano e muoiono, l'individuo scompare. Il partito formale non ha cicli predeterminati: può nascere, svilupparsi, degenerare, morire con criteri diversi da quelli che segue l'insieme animale di cellule, mentre il partito storico non scompare mai.
Anche la concezione meccanicamente "cibernetica" è errata. Il flusso di informazione che Bordiga presuppone a doppia direzione fra centro e periferia del partito, senza che si formi una prevalenza dell'uno o dell'altra, non può essere paragonato al sistema del termostato, per quanto corretto da sensori ed elaboratori "intelligenti" in senso informatico. Il sistema cibernetico è un sistema in equilibrio, ripete eternamente sé stesso per quanto complesso lo si voglia costruire.
Bordiga, come la maggior parte degli scienziati, ha osservato e registrato il divenire storico della forma partito con metodo sperimentale classico. Prima viene la prassi, su di questa si sviluppa una teoria, in seguito questa è verificata se riesce a prevedere il fenomeno nella sua ripetibilità anche artificiale. Quindi, una volta che il partito possiede la teoria, il processo dell'azione può essere invertito: rappresentando coscienza e volontà, può dettare la tattica. Per questo quando l'Internazionale si fece dettare la tattica dalle "situazioni" Bordiga insorse contro tale metodo, dimostrando che dietro di esso vi era stato un difetto nella teoria.
Nel 1924 scrive un articolo sull'organizzazione e sulla disciplina nel partito nel quale vi sono già tutti gli elementi sviluppati del centralismo organico: "L'azione che il partito svolge e la tattica che adotta, ossia la maniera colla quale agisce verso l'esterno, hanno a loro volta conseguenze sulla organizzazione e costituzione interna di esso. Compromette fatalmente il partito chi, in nome di una disciplina illimitata, pretende di tenerlo a disposizione per una azione, una tattica, una manovra strategica qualunque, ossia senza limiti ben determinati e noti all'insieme dei militanti".
Il partito quindi non si forgia soltanto con la lotta di classe, ma è forgiato dalla sua stessa azione nei confronti della classe, è prodotto e fattore di storia, la sua natura è dinamica in quanto tutti gli elementi, quelli esterni e quelli interni, contribuiscono a far sì che possa essere un elemento di vittoria o di sconfitta.
Gli individui, i capi, i pensatori o i semplici gregari hanno la stessa funzione. Non in senso democratico ed egualitario, ma nel senso che possono essere ugualmente determinanti per il mantenimento del partito sulla strada rivoluzionaria. Se il partito degenera, non vi sono "colpe", ma fatti reali da studiare e da non ripetere; vi sono battaglie da condurre senza moralistiche accuse, processi, autocritiche, espulsioni o fucilazioni. Se la battaglia è persa si ricomincia daccapo difendendo la teoria, rompendo la vecchia organizzazione degenerata, passando a nuove generazioni rivoluzionarie il testimone della "staffetta storica".
Tutto ciò non rappresenta la "teoria bordighista del partito" e del suo centralismo organico, ma l'individuazione, all'interno della teoria marxista, di quali siano gli strumenti adatti alla vittoria della rivoluzione. Il centralismo organico non è una specie di regola o uno statuto bensì la via che la rivoluzione si è data per superare le categorie organizzative proprie della società borghese. La rivoluzione, ricorda Bordiga in Il principio democratico, non è una questione di forme, ma di contenuto. Il contenuto è questo: nel partito l'individuo deve essere collocato in relazione organica con il tutto, quindi l'Io dev'essere negato; l'odio di classe deve assumere una valenza positiva per l'affermazione della società futura (bisogna cioè superare il comunismo rozzo ricordato da Marx nei Manoscritti); l'odio per il capitalismo deve accompagnarsi all'odio per le forme organizzative delle società divise in classi; l'adozione di forme organizzative tipiche della società di classe (Stato, esercito ecc.) deve accompagnarsi alla consapevolezza che esse sono transitorie; "L'abuso di formalismi organizzativi senza una ragione vitale è stato e sarà sempre un difetto e un pericolo sospetto e stupido" e al partito non deve mancare "il coraggio di combattere per un simile risultato, vera anticipazione della storia e della società di domani".
La negazione dell'individualismo non è da confondere con la negazione democratica dell'individuo, ottenuta con l'appiattimento da caserma o da conta di voti egualitari. L'organismo partito è composto da elementi che sono per loro natura differenziati e che trovano la loro giusta collocazione in tutte le manifestazioni differenziate di "energia".
Non si tratta di una astratta teoria ma della pura e semplice applicazione di un metodo che anticipa, quando le condizioni lo permettano, i rapporti futuri all'interno della specie umana. Non c'è una relazione diretta fra i "capi" e la formazione di una gerarchia burocratica, Bordiga lo ricorda commemorando Lenin. Non c'è automatismo fra la funzione del capo e la prevaricazione, la formazione di oligarchie, l'autoritarismo tipico dell'organizzazione borghese. Il capo e gli strumenti di direzione del partito sono funzionali a ciò che rappresenta un obiettivo che va oltre la società capitalistica. Sono strumenti forgiati dal lavoro collettivo e che per questo solo fatto lo esprimono nella sua completezza.
Negando il capo tradizionale delle società divise in gerarchie e classi, Bordiga non nega la naturale differenziazione delle cellule sociali, ma nega che esse possano individualmente arrogarsi la pretesa di guidare la storia o anche solo la tattica dell'organizzazione rivoluzionaria. Non cadiamo nell'assurdità, dice nella conferenza su Lenin, di trattare come una nuova morale rivoluzionaria cose che furono risolte quattro secoli fa da un Machiavelli. Mettiamo i battilocchi al posto che loro compete.
Eppure Bordiga è stato uno di quei pochi dirigenti rivoluzionari in grado di imprimere un indirizzo agli avvenimenti quando gli equilibri sociali tendevano a spezzarsi e maturava la rivoluzione. Egli è stato in grado, cioè, di attuare quel rovesciamento della prassi. che è l'unica manifestazione plausibile della volontà, attraverso l'organo partito, quando, secondo una sua espressione, la società si polarizza.
La disciplina ai suoi "ordini" era entusiastica e spontanea. Il Partito Comunista d'Italia, di cui fu fattore e prodotto nello stesso tempo, non ebbe bisogno di capi supremi, di grandi apparati direttivi, di segreterie burocratizzate, di collegi di probiviri, di regole e di statuti. Non ebbe baffuti "Padri", "Guide luminose" o "Tracciatori di solchi" da tramandare alla Storia con la maiuscola. Venuta a mancare la spinta rivoluzionaria, la polarizzazione storica, Bordiga fu prima isolato e poi cancellato dalla storiografia ufficiale dei partiti cosiddetti operai. La storia di pochi anni condensò una sua massima: "Gli operai vinceranno se capiranno che nessuno deve venire. L'attesa del Messia ed il culto del genio, spiegabili per Pietro e per Carlyle, sono per un marxista solo misere coperture di impotenza. La rivoluzione si rialzerà tremenda, ma anonima".