Sul filo del tempo

Dal testo: "Considerazioni sull'organica attività organica del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole" (1965, estratti).

E' compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde sé stesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell’uomo sociale.

Partito storico e partito formale. Questa distinzione sta in Max ed Engels, ed essi ebbero il diritto di dedurne che, stando con la loro opera sulla linea del partito storico, disprezzavano di appartenere ad ogni partito formale. Da ciò nessun militante odierno può inferire il diritto ad una scelta: di avere le carte in regola col "partito storico", e infischiarsi del partito formale. Ciò non perché Marx ed Engels fossero superuomini di un tipo o razza diversa da tutti, ma proprio per la sana intelligenza di quella loro proposizione che ha senso dialettico e storico.

Marx dice: partito nella sua accezione storica, nel senso storico, e partito formale od effimero. Nel primo concetto è la continuità, e da esso abbiamo derivata la nostra tesi caratteristica della invarianza della dottrina da quando Marx la formulò non come una invenzione di genio, ma come scoperta di un risultato della evoluzione umana. Ma i due concetti non sono in opposizione metafisica, e sarebbe sciocco esprimerli con la dottrinetta: volgo le spalle al partito formale e vado verso quello storico.

Quando dalla invariante dottrina facciamo sorgere la conclusione che la vittoria rivoluzionaria della classe lavoratrice non può ottenersi che con il partito di classe e la dittatura di esso, e sulla scorta di parole di Marx affermiamo che prima del partito rivoluzionario e comunista il proletariato è una classe, forse per la scienza borghese, ma non per Marx e per noi; la conclusione da dedurne è che per la vittoria sarà necessario avere un partito che meriti al tempo stesso la qualifica di partito storico e di partito formale, ossia che si sia risolta nella realtà dell’azione e della storia la contraddizione apparente - e che ha dominato un lungo e difficile passato - tra partito storico, dunque quanto al contenuto (programma storico, invariante), e partito contingente, dunque quanto alla forma, che agisce come forza e prassi fisica di una parte decisiva del proletariato in lotta.

Questa sintetica messa a punto della questione dottrinale va riferita anche rapidamente ai trapassi storici che sono dietro di noi.

Se la sezione sorta in Italia dalle rovine del vecchio partito di II Internazionale fu particolarmente portata, non per virtù di persone certamente, ma per derivazioni storiche, ad avvertire la esigenza della saldatura tra il movimento storico e la sua forma attuale, fu per aver sostenuto particolari lotte contro le forme degenerate ed aver quindi rifiutato le infiltrazioni non solo delle forze dominate da posizioni di tipo nazionale, parlamentare e democratico, ma anche in quelle (italice, massimalismo) che si lasciarono influenzare dal rivoluzionarismo piccolo-borghese anarco-sindacalista. Questa corrente di sinistra lottò particolarmente perché fossero rigide le condizioni di ammissione (costruzione della nuova struttura formale), le applicò in pieno in Italia, e quando esse dettero risultati non perfetti in Francia, Germania, ecc., fu la prima ad avvertire un pericolo per tutta la Internazionale.

La situazione storica, per cui in un solo paese si era costituito lo Stato proletario, mentre negli altri non si era giunti a conquistare il potere, rendeva difficile la chiara soluzione organica di mantenere il timone della organizzazione mondiale alla sezione russa.

La Sinistra fu la prima ad avvertire che, qualora il comportamento dello Stato russo, nella economia interna come nei rapporti internazionali, cominciasse ad accusare deviazioni, si sarebbe stabilito un divario tra la politica del partito storico, ossia di tutti i comunisti rivoluzionari del mondo, e la politica di un partito formale che difendesse gli interessi dello Stato russo contingente.

Questo abisso si è da allora scavato tanto profondamente che le sezioni "apparenti", che sono alla dipendenza del partito-guida russo, fanno nel senso effimero una volgare politica di collaborazione colla borghesia, non migliore di quella tradizionale dei partiti corrotti della II Internazionale.
Ciò dà la possibilità, non diremo il diritto, ai gruppi che derivano dalla lotta della Sinistra italiana contro la degenerazione di Mosca, di intendere meglio di ogni altro per quale strada il partito vero, attivo, e quindi formale, possa rimanere in tutta aderenza ai caratteri del partito storico rivoluzionario, che in linea potenziale esiste per lo meno dal 1847, mentre in linea di prassi si è affermato a grandi squarci storici attraverso la serie tragica delle sconfitte della rivoluzione.
La trasmissione da questa tradizione non deformata agli sforzi per rendere reale una nuova organizzazione di partito internazionale senza pause storiche, organizzativamente non si può basare su scelta di uomini molto qualificati o molto informati della dottrina storica, ma organicamente non può che utilizzare nel modo più fedele la linea tra l’azione del gruppo con cui essa si manifestava 40 anni addietro e la linea attuale. Il nuovo movimento non può attendere superuomini né avere Messia, ma si deve basare sul ravvivarsi di quanto può essere stato conservato attraverso lungo tempo, e la conservazione non può limitarsi all’insegnamento di tesi e alla ricerca di documenti, ma si serve anche di utensili vivi che formino una vecchia guardia e che confidino di dare una consegna incorrotta e possente ad una giovane guardia. Questa si slancia verso nuove rivoluzioni che forse non debbono attendere più di un decennio da ora per l’azione sul primo piano della scena storica; nulla interessando al partito e alla rivoluzione i nomi degli uni come degli altri.

La corretta trasmissione di quella tradizione al di sopra delle generazioni, ed anche per questo al di sopra di nomi di uomini vivi o morti, non può essere ridotta a quella di testi critici, e al solo metodo di impiegare la dottrina del partito comunista in maniera aderente e fedele ai classici, ma deve riferirsi alla battaglia di classe che la Sinistra marxista (non intendiamo limitare il richiamo alla sola regione italiana) impiantò e condusse nella lotta reale più accesa negli anni dopo il 1919 e che fu spezzata, più che dal rapporto di forze con la classe nemica, dal vincolo di dipendenza da un centro che degenerava da quello del partito mondiale storico a quello di un partito effimero distrutto dalla patologia opportunistica, fino a che storicamente non venne rotta di fatto.

La Sinistra tentò storicamente, senza rompere col principio della disciplina mondiale centralizzata, di dare la battaglia rivoluzionaria anche difensiva tenendo il proletariato di avanguardia indenne dalla collusione coi ceti intermedi, i loro partiti e le loro ideologie votate alla disfatta. Mancata anche questa alea storica di salvare se non la rivoluzione almeno il nerbo del suo partito storico, oggi si è ricominciato in una situazione oggettiva torpida e sorda, in mezzo ad un proletariato infetto di democratismo piccolo-borghese fino alle midolla; ma il nascente organismo, utilizzando tutta la tradizione dottrinale e di prassi ribadita dalla verifica storica di tempestive previsioni, la applica anche alla sua quotidiana azione perseguendo la ripresa di un contatto sempre più ampio con le masse sfruttate, ed elimina dalla propria struttura uno degli errori di partenza della Internazionale di Mosca, liquidando la tesi del centralismo democratico e la applicazione di ogni macchina di voto, come ha eliminato dalla ideologia anche dell’ultimo aderente ogni concessione ad indirizzi democratoidi, pacifisti, autonomisti e libertari.

È in questo senso che tentiamo di fare altri passi, utilizzando le amare lezioni del lunghissimo passato, per scongiurare nuove crisi della linea del partito storico, cancellando le miserie e le meschinità che ci ha presentato l’avvicendarsi di tanti e disgraziati partiti formali, seguendo anche in questo antichi moniti dei grandi maestri, primi sulla asprezza della lotta contro le influenze dell’ambiente borghese di commercio, di adulazione personale e di volgare caccia al predominio e alla popolarità di gnomi, che troppe volte ricordano quelli che Marx ed Engels spostavano con sdegno sereno dallo imbrattare la propria strada.

( Da "In difesa della continuità del programma comunista", edizioni "Il programma comunista", Milano 1970, rintracciabile anche all'indirizzo: http://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/considerazioni.htm )