L'antiparlamentarismo
Il Partito Socialista oscillava fra la separazione dai riformisti e l'unità a tutti i costi con essi. Al Congresso di Bologna del 1919 l'unità venne mantenuta eludendo i problemi politici, mentre il gruppo parlamentare agiva ormai in piena autonomia dal partito, offrendo una dimostrazione lampante che le tesi antielezioniste e antiparlamentari hanno una base concreta . Il parlamento è uno strumento di dominio della borghesia e la partecipazione alla sua vita quotidiana, nonostante le buone intenzioni, si trasforma nella peggior forma di corruzione, di cedimento e di compromesso anche per autentici rivoluzionari.
L'astensionismo non è tanto un mezzo indispensabile per la preparazione rivoluzionaria quanto un elemento catalizzatore per la selezione dei veri rivoluzionari. Per Bordiga l'astensionismo è legato a due fattori: la separazione dai riformisti e l'esistenza di un processo rivoluzionario iniziato in Russia. L'astensionismo fine a sé stesso non ha nessun significato.
Se compito dei socialisti, cioè dei rivoluzionari, non è quello di amministrare gli affari borghesi, occorre che sia ben chiara la distinzione: in parlamento si va solo "per distruggerlo dall'interno" e non per farlo funzionare meglio dei borghesi.
Ma il parlamento in Occidente, a differenza che in Russia, dove Lenin poteva applicare la frase appena ricordata, non si presta ad essere utilizzato come "tribuna" per la denuncia dei guai provocati dal capitalismo. Il parlamento occidentale è una vecchia trappola che macina qualunque parlamentare con velleità tribunizie, anche il più saldo di fronte all'opportunismo. Il parlamento è la fogna in cui scorrono solo chiacchiere e in cui ogni azione utile alla causa proletaria si impantana e viene resa sterile prima ancora di potersi manifestare. Un'attenta analisi degli affari del parlamento italiano, nato già vecchio dalla rivoluzione nazionale, dimostra che prima vengono decisi gli affari delle oligarchie industriali e finanziarie, si stabiliscono maggioranze esecutive, e dopo essi vengono dati in pasto alla discussione di minoranze ormai impotenti.
Non poteva naturalmente essere una questione di principio: i rivoluzionari agiscono anche all'inferno, se necessario. Infatti quando l'Internazionale ordina al Partito Comunista appena formato di partecipare alle elezioni del 1921, questo vi partecipa mettendo in campo tutte le sue forze, addirittura espellendo le sezioni che rifiutano di disciplinarsi alle direttive.
Ciò che non è ammissibile è l'implicazione tattica della politica parlamentare che avvolge tutta l'attività dei partiti operai fino ad estendersi nel campo dell'azione diretta di classe. La politica del fronte unico nacque per coinvolgere i proletari non comunisti nello scontro con la borghesia e finì per coinvolgere i partiti comunisti nella politica socialdemocratica.
Nel 1921 la delegazione italiana al III Congresso dell'IC, relatore Terracini, difende la posizione critica della Sinistra nei confronti della tattica del fronte unico, ma non è compresa dalla maggioranza dei delegati. Il relatore non svolge bene il compito affidatogli, ma nulla giustifica l'interpretazione data alla sua relazione se non il pregiudizio in fondo democratico-parlamentare. L'accostamento all'estremismo anarcoide o consigliare è del tutto arbitrario e lo stesso Lenin se ne fa portavoce. Bordiga percepisce il danno. Terracini, ha meritato la lavata di capo poiché si è espresso con linguaggio e concetti non comunisti, ma purtroppo le critiche di Lenin e la sua autorità verranno in seguito utilizzate contro la Sinistra italiana del tutto a sproposito. Lenin era d'accordo sulla separazione dai riformisti, ma non era però consapevole del fatto che in Occidente la tattica del Fronte unico avrebbe portato ad una innaturale alleanza politica con questi e non soltanto ad una azione comune. Più tardi l'insistere su questa tattica portò addirittura a proporre la fusione tra il Partito Comunista e quello Socialista da cui ci si era appena distaccati. Il ritiro aventiniano in difesa del parlamento contro il fascismo non è che la chiusura del circolo vizioso di un'azione parlamentare che non era per nulla intesa in senso distruttivo, alla Lenin.
Nell'Internazionale si stavano precisando delle posizioni opportunistiche sulla tattica a partire dalle alleanze politiche e ciò si manifestava sul piano dell'azione parlamentare prima che nella lotta diretta. I compagni bolscevichi non se ne rendevano conto, Bordiga sì.
Nonostante il disastro che poteva profilarsi, o proprio per questo, egli non conduce aprioristicamente una lotta contro quelli che saranno in seguito avversari anticomunisti. Il II Congresso del PCd'I rappresentò un punto di svolta nei rapporti con l'Internazionale con la presentazione delle Tesi sulla Tattica nella quali non si parla di parlamentarismo o meno, ma si evidenzia in modo assolutamente scientifico l'intreccio mortale fra politica borghese e tattica proletaria sbagliata. I delegati dell'IC presenti al Congresso, ormai portatori di un indirizzo precostituito, nonostante la quasi totalità dei voti congressuali vadano alle Tesi di Roma, prendono posizione contro di esse.
Ad una successiva conferenza, tenutasi a Berlino (aprile), Bordiga rinsalda la convinzione che nell'Internazionale stia maturando non solo un atteggiamento tattico errato, ma anche una grave incomprensione teorica dei problemi della rivoluzione in Occidente. Come nel caso delle Tesi di Roma, non rende le sue preoccupazioni del tutto esplicite, ma gli argomenti affrontati negli articoli scritti in quel periodo hanno quasi tutti l'intento di raddrizzare le traballanti tesi altrui. Sulla questione del fronte unico, per esempio, vi sono riaffermazioni di principio contrarie all'impostazione che nel movimento comunista era corrente, anche se al ritorno da Berlino Bordiga dirà che si era di fronte a valutazioni differenti nell'ambito però di un percorso comune.
Al IV Congresso dell'IC egli ripropone gli stessi temi nella presentazione delle Tesi sulla Tattica dell'Internazionale. Anche qui la questione dell'antiparlamentarismo non viene più affrontata in quanto tale, ma riecheggiata nella questione del fronte unico e della nuova mostruosità tattica scaturita dall'insufficienza teorica del movimento: il governo operaio. Gli appassionati interventi di Bordiga non riescono a scalfire l'affasciamento delle diverse posizioni frontiste. Si tratta ormai di una difesa "disperata" demandata soprattutto alle Tesi, che non troveranno riscontro né presso l'Internazionale né presso altri partiti. La discussione sarà rinviata al V Congresso. Le stesse Tesi ripresentate tali e quali dalla Sinistra saranno... archiviate per sempre.
L'antiparlamentarismo comunista, essendo legato anche alle questioni generali di tattica, ha quindi basi completamente diverse da quello anarchico. Nel 1924 Bordiga scrive un articolo molto chiaro nell'occasione delle elezioni, che daranno alla lista guidata dal partito fascista il 65 per cento dei voti: l'astensionismo era una proposta che la Sinistra faceva all'Internazionale e non un atteggiamento moralistico anarcoide; l'applicazione della proposta aveva senso soltanto nel contesto di un indirizzo unico di tutta l'Internazionale, ecco perché è stata abbandonata; le nostalgie astensioniste di oggi, 1924, sono il frutto di stati d'animo che non hanno nulla a che fare con il comunismo e la nostra convinzione antielettoralistica; chi dice oggi "non andiamo alle elezioni" lo dice perché sa che le elezioni non si tengono in piena "libertà" per via del fascismo; questo tipo di astensionismo deriva proprio dalla convinzione elezionista che occorra gareggiare "sportivamente" per un risultato numerico a noi favorevole.
"Io non dico, si badi, che dobbiamo accettare le elezioni come una disfida da raccogliere sul terreno della violenza: la opportunità di accettare le provocazioni di tale natura si decide con ben altri coefficienti di strategia politica, che oggi certo la escludono. Ma, non potendo parlare della trasformazione della campagna elettorale in guerra di classe, dobbiamo almeno guardarci severamente da attitudini politiche che facciano smarrire alla massa il senso della necessità della soluzione rivoluzionaria avvenire".
Queste parole vengono scritte nel febbraio del 1924. Nell'aprile il "listone" fascista stravince le elezioni. Nel giugno, dopo l'assassinio di Matteotti, l'opposizione abbandona il parlamento chiedendo "la restaurazione dell'autorità della legge" e il Partito Comunista si accoda al piagnisteo democratico. Solo più tardi Bordiga riesce a convincere Gramsci a smettere quella pagliacciata. Nel novembre Repossi, deputato della Sinistra, rivendica in parlamento la violenza di classe contro la dittatura fascista ricordando che "noi non viviamo nell'attesa di un compromesso borghese per il quale la borghesia invoca oggi l'intervento del re, per il quale la socialdemocrazia riformista e massimalista fa gettito della lotta di classe... Il centro della nostra azione è fuori di quest'aula, fra le masse lavoratrici".