IL CUORE IN QUOTA MIGLIORA ANCHE SE MALATO

 Così si è espresso il prof. Andrea Pochia, presidente della Commissione Medica del Club Alpino Italiano, in una sua ricerca  medica , studiando un gruppo  di iscritti alle associazioni alpinistiche che rappresentano un campione privilegiato per lo studio della popolazione che frequenta la montagna a scopo ricreativo e sportivo. Gli scopi della sua ricerca sono stati: 1) caratterizzare la popolazione degli iscritti al Club Alpino Italiano nella Regione del Veneto: 2) valutare in questa popolazione la frequenza di sintomi attribuiti durante la pratica alpinistica e/o escursionistica, ricercandone eventuali fattori di rischio. L’indagine è stata eseguita tramite un questionario autocompilato dopo adeguata illustrazione. L’analisi statistica è stata eseguita con il test del chi - quadro e con modelli di regressione logistica multipla. L’indagine ha interessato  un campione di femmine e di maschi. Di questi arrampicavano (alpinisti), mentre altri praticavano solo l’escursionismo (escursionisti).  Da questa indagine ne è emerso che in molti di questi soggetti possono essere presenti patologie croniche ( cardiovascolari), polmonari, renali, ematologiche, metaboliche, ecc.) Che condizionano la risposta dell’organismo all’ambiente montano e, a loro volta, risentono in maniera favorevole o sfavorevole a seconda della quota, del clima, della rapidità di esposizione e delle condizioni cliniche del paziente L’atteggiamento genericamente ed aprioristicamente  restrittivo dei medici, che ancora oggi frequentemente sconsigliano ai loro pazienti il soggiorno ad altitudini superiori ai 1000 m, non è in realtà suffragato da alcuna dimostrazione scientifica. Anzi, negli ultimi anni, varie ricerche hanno mostrato come in presenza di malattia coronarica stabilizzata non solo sia possibile il soggiorno fino a quote anche di 3000 m, ma anche come l’attività fisica in montagna possa contribuire alla riabilitazione funzionale del cardiopatico e quindi al suo precoce reinserimento sociale, con ripristino dal suo benessere psico - fisico. Noi, che non siamo medici, aggiungiamo che è opportuno frequentare i luoghi montani e procedere  con passo costante sui sentieri della montagna. Non importa arrivare per ultimi, non è un disonore, ma è una maggiore sicurezza e tranquillità. Noi andiamo in montagna per godere delle sue bellezze paesaggistiche e non per fare le  gare di chi arriva per primo. Non ne vale la pena. In queste nostre lunghe passeggiate sotto i boschi, abbiamo potuto constatare che se praticate con un certo criterio, portano ad un netto benessere fisico e psichico.

Nell’esperienza acquisita in tutti questi anni, che percorriamo i sentieri alpini e dolomitici, abbiamo imparato che non serve correre, ma procedere passo dopo passo. Solo così, si raggiungerà la meta. “ Ha un gran valore un uomo che sa esporre la propria vita, e pur esponendola deve fare tesoro di tutte le  ragionevoli cautele” . Quindi, un passo dopo l’altro, si raggiunge  la vetta. Solo così facendo, un giorno puoi dire: lassù ci sono arrivato anch’io, e non è una cosa da poco conto, credetemi.

Dal Passo di Pampeago, a quota 2000 metri, si gode un paesaggio mozzafiato,  dove la grande forza sprigionata da queste austere montagne dolomitiche uniche al mondo per la loro estrema varietà di forme e di contrasti, le “Dolomiti si possono definire il regno dell’armonia e la fonte di perenne giovinezza. Arditi profili, rocce articolate, creste bizzarramente sagomate e frastagliate risaltano ovunque in primo piano spesso assumendo l’incantevole aspetto di una fiabesca e capricciosa ricostruzione”.

Da quella località, oltre alle grigie canne d’organo del Latemar, fanno riscontro le rossastre rocce della Roda di Vaèl impressionante per arditezza e levigata nudità. Sono queste le propaggini meridionali del gruppo del Catenaccio, uno dei complessi dolomitici più conosciuti e frequentati. Oltre a questi arditi profili, si può ammirare l’ampia e verde Val di Fiemme che è la “Porta” di maggiore importanza, che dal versante trentino ci introduce nel nucleo principale delle Dolomiti.

Il mattino del 10 giugno, il giorno della nostra escursione, come abbiamo detto  sopra, il cielo era coperto di bianche nuvolaglie che ci hanno impedito di ammirare il paesaggio più bello del mondo. Sul filo della memoria, rivediamo i numerosi e ridenti abitati, sparsi nel suggestivo scenario dei suoi boschi e prati alpini, su un altezza costante di circa mille metri. Cavalese è la borgata principale di questa comunità fiemmese che nel segno di un nobile passato, offre oggi la sua qualificata capacità di residenza estiva ed invernale. In questo quadro di Fiemme, spiccano altri famosi nuclei abitati di nostra conoscenza, come Predazzo che assieme ai suoi dintorni, risulta di fama mondiale per la conformazione geologica del suolo e per i suoi minerali, che costituiscono un grande museo naturalistico. Questi noti centri, oltre che distinguersi per le loro caratteristiche, agevolano felicemente il contatto con la maestosa natura che in alta quota corona la valle. Quassù fra molte e miste espressioni, la più importante e dolomitica è data dal Gruppo del Latemar che spicca per l’originale varietà d'aspretti. Come quasi in tutti i gruppi dolomitici i due versanti di questo complesso montuoso, appaiono assai diversi.

Sullo spartiacque del Passo di Pampeago, oltre ad aver trovato alcune strisce di neve, abbiamo osservato da vicino una stele marmorea di marmo di Verona di nuova costruzione, dedicata a tutti gli alpinisti caduti sulle cime della grande montagna del Latemar. Da quella località, una strada forestale  attraversa e taglia le  pendici della grande montagna che  porta alla Valle di Obereggen, a 1590 metri di quota, ove ha avuto termine la nostra escursione. Questa bellissima montagna dolomitica, era avvolta da una nuvolaglia biancastra, che ci ha impedito di ammirare le sue bellezze, che spiccano per l’originale varietà d'aspretti.

Quella è una valle silenziosa, caratterizzata da spazi di verdi pascoli, e punteggiata da baite e fienili, dove i pastori conducono d’estate il loro gregge al pascolo. Camminando su quella strada bianca, immersa da pascoli ed alte abetaie, sente dentro di te qualcosa di diverso: la libertà e la gioia di vivere. In quella immensa solitudine, non sente più la stanchezza che prima ti opprimeva, ma la serenità dello spirito. Lassù, da quel balcone aperto sul mondo dolomitico, tra  le alte cime che bucano il cielo, in un momento di raccoglimento, mi sentivo più vicino a Dio di quello che sarei stato in chiesa, apprezzando appieno le bellezze che Egli ha creato. Sono sicuro che allo stesso modo lo hanno pensato e lo pensano i grandi scalatori di questi “Giganti della montagna”.

  RIFLESSIONE  SUL GRETO DEL TORRENTE.

“L’amore è una fonte inesauribile di riflessioni, profonde come l’eternità, altre come il cielo, vaste come l’universo”, così faceva a scrivere Romano Battaglia, nel suo libro il: “Fiume della vita”.

Abbiamo già disceso buona parte della montagna e i vari ruscelli che abbiamo incontrato si sono  fusi ed hanno allargato il  letto del torrente, formando un tutt'uno con la natura aspra e selvaggia e superato percorsi stretti fra le rocce, cascatelle pericolose, curve e discese rapide.

Ormai il cerchio si è completato e anche la cima della montagna che abbiamo conquistato e la neve che abbiamo trovato è soltanto un sogno.

E’ stato difficile decidere di affrontare un viaggio simile. Un uomo quando si sente stanco o per l’età, oppure per altri motivi e si trova senza più entusiasmi chiede aiutato agli amici più  fidati, oppure ha la fortuna di incontrare una luce che torna a illuminare il suo cammino. Io e Adriana, abbiamo scelto la via della natura, come certi animali che avvertono i richiami del vento, della pioggia, delle stagioni, e partono, per andare incontro al loro destino. Sono solo un piccolo uomo vissuto , realizzato nella vita con lo zaino affardellato sulle spalle che è salito sulla montagna e ora è disceso seguendo il corso del querulo torrente.  Ogni volta che mi cimento in queste escursioni, sento di aver trovato la strada della serenità, perché sono libero e come alleggerito di quel peso che, a volte, la vita carica addosso. Sono un uomo felice, contento della mia posizione sociale che ho faticosamente raggiunto, lontano dal chiasso e della folla. Sono io e parlo con il vento e con l’acqua che scorre nel fresco ruscello.

Questo ruscello è destinato a crescere  le sue acque che diventano sempre più impetuose. Ora sta entrando nell’età della fanciullezza e canta la sua canzone lieta.

Mi viene in mente di domandare a questa meravigliosa forza della natura come comunicano le creature che conosce.

“Quando due persone vogliono parlare, ma la distanza impedisce loro di unirsi, ricorrono ai sassi lucenti che si possono trovare in mezzo al mio letto, e alle nubi bianche del cielo che coprono la superba e meravigliosa montagna del Latemar. Le parole vengono scritte sulle pietre che le riflettono come uno specchio; attraverso i raggi del sole che filtrano dal folto bosco delle meravigliose abetaie che con prepotenza bucano il cielo in cerca della luce, e sono proiettate sulle nubi e diventano pagine di un grande libro che può essere letto a distanze infinite.

A volte il cielo, come è successo in questa nostra escursione, è invaso da nubi con i messaggi, e ognuno può conoscere la vita altrui: qui non ci sono segreti. Tutti devono sapere che cosa accade attorno a loro per poter dare una mano a chi si trova in difficoltà, per poter gioire di un grande amore e poter piangere per chi non trova la pace.

“ Soltanto nella vita tutto si ripete: eternamente

Giovane è la sola fantasia. Solo ciò

Che non è avvenuto mai e in nessun luogo

Non invecchia mai”.

Siamo ritornati sulle sponde del laghetto di Lavazè, dove si rispecchiano le montagne e la bellezza della natura, tra maggio e giugno è nel suo massimo splendore. Lungo gli argini ci sono i fiori di varie specie e colori, il loro profumo è intenso, inebria il cuore e fa bene all’anima.

  Guido Rey,  così  scriveva della montagna: “ La montagna è di tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete, come per coloro che cercano nella fatica un riposo più forte”. Noi, ci rispecchiamo in quest’ultima frase: “cerchiamo nella fatica un riposo più forte”.

Riportiamo qui di seguito, a completamento del nostro capitolo sul “Passo di Lavazè”, un sonetto  in romanesco di  Federico Tosti, un personaggio davvero straordinario, che a 103 anni, socio decano del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, se ne è andato lasciando un grande rimpianto.

                                                              LA MONTAGNA

Qualcuno me domanna: “ E che ce trovi

De bello su’ste cime sdirupate?

Me spiegheressi er gusto che ce provi

Che te ciammazzi a fa’ste faticate?”

“ Ma che ce trovo? E chi lo po’ descrive?”

La neve, er sole, mille e mille fiori

E zinfonie de luci e de colori!

Su l’anima se spanne, su se vive.

Lassù l’anima mia s’accosta a Dio:

Sento l’eternità. Compreto e pieno

D’ogni dolore mio trovo l’abblio.

Quanno sto su’sti monti benedetti

Tutto è bello, pe’me, tutto è sereno,

Canto all’azzurro e scrivo’sti sonett!”

 

 

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