LA NATURA E L’ARTE
SONO L’ESPRESSIONE
Abbiamo
incominciato questo nostro contesto con alcuni passaggi dal pensiero filosofico
alla conoscenza dei problemi fondamentali della vita, per
poi immergerci completamente, con le nostre periodiche escursioni, nel
cuore della natura, tra il verde dei prati e la bellezza delle meravigliose
montagne dolomitiche che si possono definire il regno dell’armonia e la fonte
di perenne giovinezza. Ma oggi, ci volgiamo soffermare sull’arte,
sull’attività umana che richiede ingegno e abilità tecnica. Quello che
vogliamo sottolinear, non è l’arte in
se ma l’insieme delle opere artistiche, anche con riferimento a un’epoca e a
un solo popolo. Il nostro Paese, senza il forse, è il
paese che fin dai romani, si sono prodigati e hanno fatto di tutto per
conservare il più grande
patrimonio artistico greco, che il mondo ricordi, mentre altri popoli hanno
distrutto opere d’arte d’interesse mondiale.
Se
i nostri progenitori, cioè i romani, hanno fatto di tutto per salvare il grande
patrimonio artistico della Magna Grecia, i talebani hanno distrutto le enormi
statue del Budda costruite quando la civiltà buddista era estesa anche all'Afganistan.
Alte più di cinquanta metri, erano il frutto di decenni di lavoro, espressione
del pensiero, della religione, della civiltà di un popolo.
Attraverso
la grande finestra aperta sul mondo dalla televisione, abbiamo assistito alla
distruzione di queste gigantesche stature scavate nella viva roccia, prima con
le cannonate e successivamente, per completare lo scempio con la dinamite. Oggi,
non rimane altro che la cavità in
quella montagna di roccia - arenaria. Non esistono più le meravigliose
e le gigantesche statue. C’è solo desolazione in quella valle
desertica e bruciata dal sole. Il sociologo Francesco Alberoni, parlando di
questo scempio, così scrive: “ Noi oggettiviamo i nostri pensieri, i nostri
sentimenti, i nostri sogni in prodotti materiali: libri, quadri, sculture, case,
monumenti, templi e distruggiamo, o modifichiamo, quanto non concorda con il
nostro spirito. Perché, se vogliamo capire le vere intenzioni degli altri e
conoscere il loro animo, non dobbiamo ascoltare ciò che dicono, ma osservare
cosa fanno.
I
telebani hanno distrutto le statue del Buddha non tanto perché le
considerassero espressione di idolatria, ma perché non possedevano in se stessi
la capacità di pensare, di creare, di apprezzare una statua, una figura,
un’opera d’arte, è persino una città. Infatti vivono in una Kabul
devastata perché tale devastazione rispecchia il loro animo.
I
nomadi che abitano in tende, odiano le città, le case, le mura, le torri, le
strade, odiano il loro lusso e le loro bellezze. Perciò, quando, nel passato,
se ne impadronivano, le saccheggiavano e le distruggevano. Quando i mongoli
hanno conquistato Bagdad, la stupenda capitale del califfato islamico, dopo
averne massacrato gli abitanti, l’hanno rasa al suolo. Non c’è rimasto più
niente. Ma per i mongoli, quel “niente” era quanto di più vicino essi
potessero immaginare alle grandi steppe e ai deserti dove avevano sempre
abitato. Perciò, se ripensate bene, quel “niente”, di Bagdad e, oggi, dell'Afganistan,
è l’oggettivazione del vero spirito dei vincitori.
Noi
ne restiamo scandalizzati perché siamo una civiltà di costruttori e abbiamo
rispetto per le opere d’arte di altre civiltà. Ma questo tipo di
atteggiamento è raro. L’avevano i romani che hanno conservato il patrimonio
artistico greco, l’avevano i grandi Papi del Rinascimento che hanno conservato
tutto quanto potevano del glorioso passato pagano. Ed è perché possedevano
questo spirito che, a loro volta, sapevano creare opere ancora più belle, come
San Pietro.
Oggi
questo dono lo hanno solo gli Stati Uniti che abbattono i vecchi quartieri ma,
al loro posto, costruiscono stupende città verticali, con i grattacieli che
svettano armoniosi verso il cielo, come le loro bellezze naturali, i loro parchi
e le antiche città dei pellirosse, che sono e rimarranno tali e quali la storia
e la natura hanno tramandato, per la gioia di poterli vedere da vicino, perché
sono opere d’arte che fanno parte del patrimonio dell’intera umanità.
Queste meravigliose città verticali, questi bellissimi parchi naturali, come
pure le città antiche degli indiani nella Mesa Verde, il Grand Canyon, sono state meta di un nostro viaggio
turistico. Ci viene di pensare a Chicago o a quella che, un tempo, era la
brutta, fumosa Pittsburgh.
Di
solito, però, le cose vanno diversamente. I primi cristiani non amavano il
mondo e, ottenuta la libertà di culto, si sono messi a distruggere i templi
pagani o a farne delle chiese. I monumenti mancavano di tradizioni costruttive
e, perciò, hanno trasformato in moschee le basiliche cristiane come santa Sofia
a Costantinopoli. In Europa i protestanti, dopo la Riforma, esprimevano a un
mondo austero e, perciò, hanno asportato dalle chiese arazzi, dipinti,
statue.
Oggi,
in Italia in edifici creati da grandi architetti o in palazzi stupendi, trovate
uffici pubblici di uno squallore incredibile. Essi sono il prodotto e lo
specchio della cattiva amministrazione, che vi oggettiva la propria inefficienza
e la propria mediocrità. Più in generale, prendete un capolavoro, datelo in
mano a un branco di personaggi mediocri, rancorosi e malvagi e costoro, in poco
tempo, lo renderanno repellente come la loro anima.
Sfida
sul Buddha più alto del mondo.
Dopo
la distruzione dei colossi di Bamiyan in Afganistan, di cui ne abbiamo parlato
sopra, i Paesi asiatici entrano in gara per raccoglierne l’eredità. Questa
notizia l’abbiamo letta sulle pagine del Corriere della Sera del 7 maggio us.,
in un articolo di Maria Grazia Cutuli, la quale, nel suo articolo
così scrive : “L’India progetta una statua di 150 metri, la Cina
risponde con un’altra di 153, sarà il Buddha dei record. Il Bodhisattiva che
sorgerà in Cina sul monte Jiuhua sarà costruito con 1.100 pezzi di rame, per
un totale di mille tonnellate. Costerà 55 milioni di dollari, circa 110
miliardi di lire. I lavori cominceranno a settembre per concludersi nel 2004”.
Con
queste stupende e rare statue del Buddha distrutte dai Talebani, sta succedendo
come è successi con la fenice,
l’uccello favoloso dell’Arabia del quale gli antichi credevano che, dopo
cinquecento anni di vita, si lasciasse bruciare sul rogo da lei stessa costruito
per poi rinascere dalle proprie
ceneri. Il culto del Buddha risorge dalle polveri di Bamiyan. Sarà certamente
il trionfo del gigantismo religioso, grandezze e volumi senza precedenti,
meraviglie della modernità destinate a offuscare il ricordo del Buddha
distrutti dai Talebani in Afganistan. “Effetto della campagna iconoclasta
condotta in nome dell’Islam, in Asia di diffonde un nuovo interesse verso il
buddismo e le sue icone. Tale da mettere in competizione le due superpotenze del
continente, Cina e India, sul terreno della fede”.
E’
Pechino a sfidare l’avversario: il suo Bodhisattva, il Buddha della
Compassione, svetterà più in alto del Maitreya Buddha, il Buddha del Futuro,
progettato dagli architetti di New Delhi. Tre metri di più, 153 contro i 150,
per raggiungere un primato mai sfiorato. Nemmeno i colossi di Bamiyan - 55 metri
l’uno, 35 l’altro - si avvicinavano a tanto.
La
statua cinese, come scrive la Catuli, nascerà sul monte Jiuhua, uno dei quattro
santuari buddhisti del Paese. Sarà formato da 1100 pezzi di rame, mille
tonnellate per un costo complessivo
di 55 milioni di dollari. Anche sui tempi Pechino si propone di battere
l’India. I lavori cominceranno a settembre per terminare nel 2004, un anno
prima di quelli del rivale. Il Buddha della Compassione, ispirato a Jin Qiaaqui,
un antico principe coreano che nel ‘719 dopo Cristo si ritirò sulle alture
cinesi, è una divinità militante. Dopo aver ottenuto l’illuminazione, anziché
aspettare il Nirvana, si trasformò in pellegrino per aiutare l’umanità.
Il
progetto indiano, il Buddha del Futuri, pensato con l’aiuto di architetti
britannici, sorgerà nello stato del Bihar e sarà invece di bronzo, con uno
scheletro di metallo. Costerà 200 milioni di dollari e creerà un indotto di
mille posti di lavoro. Più basso di quello cinese, ma non meno ambizioso. Se
c’è un posto dove l’antico spirito di Bamiyan potrebbe rivivere, è proprio
qui. Attorno alla statua, rappresentazione dell’amore di tutti i Buddha, come
in Afghanistan tra il II e il V secolo dopo Cristo, nasceranno monasteri,
pensioni, padiglioni di meditazione, negozi d’oggetti sacri, scuole e
ospedali. Crocevia di fede e turismo. Cosicché persino la comunità indù si è
guardata bene dal sollevare obiezioni. Felice del progetto il Dalai Lama. Meno
contento, forse, del Buddha cinese: la ferita del Tibet, occupato da Pechino, è
sempre aperta. Non basta una statua a risanarla.
Né
in India ne Cina possono definirsi buddhisti. Il culto è minoritario in
entrambi i Paesi. Ma è l’eredità simbolica di Bamiyan ad essere in ballo.
Altri Stati entrano nella contesa. A cominciare dallo Sri Lanka, che vorrebbe
ricostruire due copie perfette dei colossi demoliti dai Talebani. Per finire
all’islamico Tajikistan, che più modestamente, lungo 14 metri. Il reperto,
ritrovato nel 1966, quando il Paese faceva ancora parte dell'URSS, era rimasto a
lungo nascosto, come traccia perniciosa del passato, nei sotterranei del museo
di Dushanbe, la capitale. Resuscitato dopo la distruzione dei colossi di Bamiyan,
si rivela adesso quanto mai prezioso. Non sarà “gigante” come le statue
progettate in India e in Cina, ma di certo più autentico. Mille 500 anni alle spalle.
Sembra
che Lo Sri Lanka si propone di ricostruire due monumenti simili a quelli
demoliti dai Talebani afghani lo scorso marzo e che tutto il mondo ha assistito
impotenti, attraverso i vari servizi televisivi, all’immane scempio.
Mi
è rimasto impresso nella mente, il grande Buddha Svanito di Bamiyan, alto 55
metri, reso acefalo da una cannonata, come pure i grandi piedi, mentre il resto
della grande statua era avvolta in una nuvola di polvere. Quelle meravigliose
statue scavate nella roccia, erano il frutto di decenni di lavoro, espressione
del pensiero, della religione, della civiltà di un popolo.
In un servizio del sociologo F. Alberoni, egli ha così scritto: “ Date
un tesoro a un mediocre o a un malvagio: lo distruggerà”. Egli aveva
veramente ragione di affermare tutto questo.