IL PERIODO GRIGIO
I
l periodo al quale
ci siamo soffermati, raccontando quella che per noi ha il sapore di una
favola, la favola della vita dei giovani del Sud, che hanno vissuto in quello
che è stato da noi definito il periodo grigio: grigie erano le case distrutte
dalla guerra, grigio era il presente e le prospettive per un futuro migliore,
grigia era la vita stessa di ognuno di noi. Era un periodo privo di ogni
interesse: un’esistenza insignificante, erano insomma momenti grigi, quei
momenti della vita in cui veniva meno la speranza e il futuro appariva incerto.
Ecco perché, specialmente i giovani com’ero io, non vedevano l’ora di
partire, anche se quelle partenze erano verso l’ignoto, verso paesi e località
che non conoscevi, ma l’istinto ti invogliava a partire lo stesso
, di andare lontano in cerca di quel benessere che il piccolo borgo
aspromontano non poteva darti.
A
dispetto dei tempi, come scrive Roberto Mantovani in un suo articolo, intitolato
appunto “ in bianco e nero”, le
vecchie immagini non hanno mai
perso il loro fascino. Anzi, tornano a far capolino dai vecchi album di
fotografie, dalle edizioni d’epoca dei libri di storia, nelle stampe
anastatiche di riviste e pubblicazioni d’antan. Solo dieci anni fa, quando
l’Era dell’immagine toccava i vertici della sua apoteosi, tutto ciò che
contrastava con l'ebbrezza cromatica strabordante da perfette esacromie
equivaleva ai resti di una città distrutta al suolo dalle bombe, a un relitto del
passato. Saturo o sbiadito, rutilante o dimesso, brillante o opaco, il colore si
era imposto come la nuova e unica - dimensione del mondo del passato prossimo e,
all’immagine di quel mondo al quale ci siamo voluti riferire.
Con buona pace delle “ mezzetinte” ( nel gergo delle tipografie, come
mi spiega Adriana, che in gioventù faceva la tipografa, si chiamano così le
foto in bianco e nero) che avevano fatto segnare, con il grigio delle case e dei
paesaggi che avevano fatto sognare intere generazioni e che lasciavano aperte le
porte dell’immaginario ai sogni e all’incertezza. Quello, appunto, era il
periodo “grigio” dei nostri ricordi. “Superate le fotografie di Pierre
Trairraz, che illustravano gli stupendi libri francesi del dopoguerra aprendo
finestre sul Monte Bianco che nemmeno la fantasia più fervida avrebbe
immaginato”. Oggi, sono materiale d’archivio come i nostri ricordi e
le immagini sgranate dei servizi fotografici, come pure dei film e dei
documentari di guerra e della cinematografia italiana del
Neo realismo, come “ Ladri di biciclette e L’Oro di Napoli. Potremmo
definirle fondi di museo o di cineteca gli scatti dei pionieri, compresi quelli
dei maestri. Per non dire delle stampe d’annata, virate in seppia, in verde e
blu, considerati peccati d’infanzia di una fotografia ormai distante anni luce
da lastre al collodio, carta salata
e bromuri ( tanto più che i viraggi nascondevano un difetto di fondo e
servivano a rimediare alla ridotta stabilità delle antiche fotografie alla
luce) E cancellati per sempre dalla memoria collettiva date, immagini e nomi
superati dai tempi, neanche fossero motivo di vergogna.
“Ce
stato un momento in cui la messa al bando del bianco e nero è stata quasi
assoluta. A partire dai primi anni ‘80, continua Mantovani, catturati da una
ventata di follia collettiva, tutti i media, con l’eccezione delle riviste
d’arte, che hanno seguito una strada diversa, e dei quotidiani (ma solo fino a
poco tempo fa) si sono rifatti completamente il Look e hanno colorato il mondo.
E naturalmente nemmeno le pubblicazioni di montagna - libri e periodici, senza
differenza - sono rimasti esenti dalla febbre del cambiamento. Le rare volte che
un redattore proponeva una copertina in bianco e nero, veniva guardato dai
colleghi e dai Signori del marketing con il compatimento che si riservava un
tempo ai coraggiosi senza speranza e ai morituri.
Ci
sono voluti anni di liberare il mondo dall’orgia del colore
- a - tutti - i - costi. L’ostracismo
nei confronti del bianco e nero aveva coinvolto tutti. E’ stata una
specie di follia collettiva, un rifiuto del passato in nome del modernismo,
complice la convinzione diffusa che le immagini a colori fossero più “
vere” delle altre. Col tempo, quando l’effetto dell’onda lunga è passato,
ci si è risvegliati come da un sogno che, nella sua fase più intensa, è
arrivato a tinteggiare l’album immaginario del passato, a quel passato che
ognuno di noi é legato, perché fa parte della nostra storia e della nostra
memoria.
Avete
presente i luoghi in cui si svolse la tragedia del Pilone Centrale del Frèney
nel luglio del 1961? Visti a colori sono un insulto alla memoria, ti sbattono in
faccia una realtà che la storia, aiutata nel suo difficile compito dalle
immagini in bianco e nero, aveva ricoperto con un velo di pietà. E lo stesso
discorso si potrebbe fare per il Dru che, ai tempi del famoso salvataggio
capeggiato da Gary Hemming e Desmaison, era entrato nel nostro archivio delle
immagini spogliato dagli effetti del colore.
“La
scrittura fotografica ha bisogno di strumenti e linguaggi diversi. Non esiste un
occhio universale a colori o in bianco
e nero, buono per ogni evento. E non si può nemmeno sostenere, a priori, che
esistono regole precise per orientarsi nel merito. La faccenda è simile a un gioco d’equilibrio.
Con la differenza che la sua riuscita non dipende solo dalla sensibilità
dell’autore, perché qui entra in ballo anche soprattutto la risposta dello
spettatore. Tenendo conto, tuttavia, che ci sono situazioni in cui la scelta del
bianco e nero o del colore sono assolutamente determinanti. Il bianco e
nero - si dice - è la tinta del mito, della tragedia, del passato, del
reportage battente, la fotografia a colori è uno strumento utile per creare
immagini di un’infinità di altre cose, soggetti a situazioni, non ultimi il
paesaggio ( ma per quello Ansel Adams ha dimostrato che anche il bianco e nero
non è proprio da buttare), l’ambito naturalistico,
l’alpinismo, l’arrampicata, lo sci, lo sport in genere.
diroccati,
dagli scugnizzi scalzi per le strade, dalle navi Liberty ferme nel grande porto,
se la Grande Guerra del
15/18, e quella devastante del nostro passato prossimo, cioè dei nostri tempi
fossero state raccontate a colori, avrebbero probabilmente perso l’aura di
tragedia che l’hanno sempre avvolte. Così come le adunate oceaniche del
nazismo, che avrebbero assunto fin da subito le sembianze di una farsa ( e
invece non lo erano affatto), come pure la tragedia dei campi di concentramento
e le sofferenze degli ebrei, degli zingari e dei militari italiani. Ma il
discorso può essere esteso all’infinito, anche sul tema della montagna, perché
noi oggi, nella tarda età, pratichiamo l’escursionismo sui sentieri
dolomitici e le fotografie in bianco e nero del bel tempo antico, anche se le
immagini non inducevano affatto al movimento, anzi: esprimevano
un’indiscutibile fissità. Per
esempio: ve li immaginate Whymper, Mummery o Preuss a colori?
Anche queste opere fotografiche esprimevano un indiscutibile fissità.
Sarebbe una delusione. Non lo sarebbero invece i climber, con i colori
sgargianti di pantacollant e tutine, e nemmeno i torrentisti, gli escursionisti,
i bikers. Insomma, dipende. Però, lo abbiamo già detto, più che il soggetto,
le modalità dell'approccio cromatico riguardano la situazione, il campo visivo,
l’inquadratura. Sono connesse alla sensibilità e alla cultura di chi osserva
le fotografie.
periodi
diversi. Sono immagini rigorosamente in bianco e nero, scattati con una vecchia
macchina fotografica dell’epoca, che avevo acquistato in una bancarella
nei pressi del Porto di Napoli. In quel vecchio album, non ci sono
soltanto le fotografie del periodo “grigio” di quell’epoca, ma moltissime
di quelle fotografie “in bianco e nero”, rappresentano momenti di grande
felicità familiare, riproducono Tiziana, la mia “principessa”, in vari
momenti della sua infanzia e della sua fanciullezza nella solare e meravigliosa
Andora. Parte di quelle fotografie, l’anno scorso li ho raccolte in un libro,
che ho dedicato appunto alla nostra “principessa”. Per farla breve;
continuavo a guardare quelle fotografie che mi toccavano da vicino e così in
profondità e stentavo a capire. Sono belle e significative, che raccontano una parte della
mia vita in bianco e nero. Lo stesso fatto mi è successo leggendo una vecchia
pubblicazione del Touring Club Italiano , edizione 1931, che illustra la
Campania e il Sud d’Italia, compresa la my Old Calabria.
La mancanza del colore e l’infinita gamma dei grigi avevano
semplificato la realtà fino a farmela sembrare più vera e più essenziale.
Anziché aggiungere, mi permettevano di osservare meglio grazie ad un processo
di eliminazione del superfluo. Il vecchio libro del Touring Club aveva usato lo strumento giusto per
comunicarmi qualcosa che cercavo da tempo: il contatto immediato con una realtà
lontana nel tempo. Potenza del messaggio, di una Napoli antica: una Napoli in
bianco e nero, ove ancora oggi domina il “grigio”, il grigio
di una città caotica senza un domani, in cui rispecchiano quei momenti
della vita di ogni giorno, in cui viene meno la speranza e il futuro appare
incerto.
ANNUARIO.
Dal
corpo spinato, fili
Si
arrampicano in aria
Con
la prova dell’urlo. Come una
Primitiva
formula di povertà,
Tutto
il cibo si scioglie
Nelle
gocce per il cuore, tutto il sonno
S’incrosta
alla materia, quell’incontro
Tra
raptus e firmamento
Dove
ritorniamo cancellati”
Milo De Angelis
( da “ Dove eravamo già stati ” )