IL G. 8. CHI CI CAPISCE E’ ... BRAVO. AVANTI CLICK

 Nel mese di giugno,  rimaneva soltanto da sciogliere un dilemma che assillava i nostri Signori politici: Il vertice del G8 rimarrà o non rimarrà a Genova?  Ma il governo ha cercato di conciliare l’esigenza della vivibilità della città e quella della sicurezza e della tranquillità di svolgimento del vertice. Il dilemma, da quanto apprendiamo dai Massi Media, TV e carta stampata, è stato risolto. Insomma, non cambierà la scelta del capoluogo ligure come sede. Del summit dei Paesi maggiormente industrializzati, perché, arrivati a questo punto, qualsiasi spostamento di sede è giudicato molto più rischioso, dal punto di vista della sicurezza, che non rimanere nel luogo voluto tre anni fa dal governo D’Alema.

E’ quanto ha detto al Senato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante le sue dichiarazioni programmatiche, messe a punto dai due sottosegretari alla presidenza Gianni Letta e Paolo Buonaiuti.

Noi non siamo politici e neppure ci intendiamo molto di politica, però a nostro modesto parere, come da semplici cittadini di provincia, essendo in un periodo democratico, cerchiamo di dire la nostra una volta tanto nella vita. Pensandoci bene, ci viene spontanea la domanda. Sono sicuro che nessuno di questi politici, evidentemente conosce la città di Genova, sotto il profilo dell’ordine pubblico come la conosco io, per aver svolto per molti anni servizio d’istituto.  Quanto al controllo di Genova, i responsabili della sicurezza hanno assicurato al ministro Scajola di essere in grado “ di monitorare anche il sottosuolo della città tombino per tombino”. Infatti sono stati saldati tutti i tombini e sono state istallate paratie fisse per chiudere il maggior numero possibile di accessi, nuove attrezzature e sistemi di protezione per gli agenti ( anche i Carabinieri sono stati dotati di sfollagente), ma soprattutto  è stato previsto l’uso prevalente di idranti e lacrimogeni. Ma tutto questo non è servito a  molto, per fermare quella marea di facinorosi internazionali, assetati di vendette e devastazioni, specialmente i ”Black - block”, che hanno devastato, distrutto, incendiato e saccheggiato il centro della città rimessa a nuovo per l’occasione.

Come scrive Pecar sulla Voce di Mantova: “Ora che apparentemente tutto è finito, devo confessare che malgrado gli sfibranti bombardamenti mediatici non sono riusciti a capire chi siano stati realmente i brutti e cattivi durante lo svolgimento dei lavori dell’ultimo G8 in quel di Genova, mi sono persino letto l’Unità  che è il Libero di sinistra e Libero che è l’Unità di destra, ma all’infuori di qualche delirante cialtronata di parte non ho trovato altro. Tutti gli attori di questo desolante spettacolo hanno fatto al meglio il loro dovere. Hanno fatto il loro dovere le forze dell’ordine, forse un po' troppo considerato quel poco che guadagnano, hanno fatto il loro dovere i loro superiori e ho scoperto che il tutto consiste  nel non fare nulla se non la classica alzata di mani che significa chiaramente: la colpa non è mia ma degli altri, eppure questi guadagnano molto, hanno fatto il loro dovere i manifestanti che ben scaldati al sole e probabilmente anche da qualcuno posizionato comodamente in qualche fresco salotto sono passati tragicamente dalla parte del torto, hanno fatto il loro dovere i giornalisti che ci hanno detto di tutto e fatto vedere di tutto senza farci capire nulla, abbiamo fatto il nostro dovere noi gente della strada che abbiamo discusso e ci siamo accapigliati per cose di cui non sappiamo nulla, hanno fatto il loro dovere i genovesi che ci hanno rimesso tranquillità, botteghe, banche,  auto e probabilmente verranno risarciti tra trenta o quaranta anni con un centesimo del valore del danno realmente subito, ha fatto il suo dovere il nostro Cavaliere nazionale che diventato improvvisamente tutto casa e chiesa e scudo spaziale malgrado le tendenze europee, ha fatto passare tre giorni da sogno ai rappresentanti degli inquinatori, dei bombaroli all’uranio, delle multinazionali farmaceutiche che propongono cure da centomila al giorno a gente che prende mille lire al mese  i quali tra uno "champagnino" ghiacciato e un massaggio shiatsu hanno gettato sul tavolo conferenziale gli ordini di chi gli ha pagato la campagna elettorale e infine hanno  fatto il loro dovere anche  la sinistra e la destra, la prima che ha abbaiato a più non posso contro una manifestazione ideata e voluta  da lei la seconda che con la finezza di sempre ha tacciato di vigliaccheria e di eversione tutto ciò che in quei tristi giorni di destra non è stato.

Praticamente se la posta non fosse stata così alta e non ci fosse scappato il morto avremmo fatto l’unica cosa che sappiamo fare: avremmo fatto ridere! DS. E SINISTRA,

CRISI DI IDENTITÀ' E DI RUOLO.

L’opinionista Ernesto Galli Della Loggia, nell’articolo di fondo del Corriere della Sera di mercoledì 25 luglio, così   scrive: “ Forse quanto di davvero importante accaduto a Genova nei giorni scorsi è rimasto finora nascosto. A Genova, infatti, forse ha avuto termine il lungo ciclo iniziato nella stessa città in un altro luglio di tanto tempo fa; il ciclo trentennale del rapporto felice tra il Partito comunista italiano e la piazza apertosi appunto nel luglio 1960.

Anche prima di quella data, naturalmente, mobilitare le masse e portarle sulla via a sfidare provvedimenti e divieti del governo era stato tra gli strumenti essenziali della presenza dei comunisti sulla scena italiana. Ma quella mobilitazione e quelle lotte di strada di prima del 1960 non servirono certo alla rivoluzione: servivano al Pci per garantirsi uno spazio di esistenza, per assicurarsi una legittimità che altrimenti non sarebbe stato difficile forse contestargli: serviva essenzialmente a dissuadere chiunque avesse pensato di cancellare il partito di Togliatti con un colpo di forza”.

Il giornalista Ernesto Galli della Loggia, con  il suo articolo, ci ha portati indietro nel tempo e ci ha fatto rivivere  due momenti diversi del nostro passato prossimo, che  hanno come sfondo la bellissima città di Genova. In quelle tristi giornate del luglio del 1960 e dell’ottobre ‘66, c’ero anch’io a Genova, e stavo, naturalmente, dell’altra parte della barricata.  In quel tempo, facevo parte del II Battaglione Carabinieri di Genova, con il grado di sottufficiale comandante  di una squadra fucilieri meccanizzata. Sicuramente, non è stata una battaglia cruenta come questa del G8 di questi ultimi giorni, ma è stata altrettanto combattuta come una vera guerra. Ad un certo punto, per domare i facinorosi, sono dovuti intervenire i carri armati ed i mezzi cingolati, per portare la Città alla normalità. Ricordo  i violenti scontri in Piazza De Ferraris, in Piazza Caricamento e a San Pier d’Arena. I motivi di quello scontro con le forze dell’ordine, li ha citati sopra il giornalista Galli Della Loggia, e cioè: “ serviva al Pci per garantirsi uno spazio di esistenza: serviva essenzialmente a dissuadere chiunque avesse pensato di cancellare il partito di Togliatti con un colpo di forza”

La Città di Genova, è una sede difficile per l’Ordine pubblico,  lo dimostrano i fatti di ieri e quelli di oggi. Il 3 -4 luglio 1960, come il 5 - 6  ottobre del 1966, è un’altra data che non posso dimenticare, perché in quei giorni c’è stata un’altra battagli con i  facinorosi del Partito comunista italiano, che aveva indetto uno sciopero generale nella città di Genova, particolarmente sensibile sotto il profilo dell’ordine pubblico. Quelli sono stati due giorni duri di lotte da superare, ma anche quella volta , tutto è  ritornò alla normalità. In quelle due occasioni, il Comando del  1 Reggimento Carabinieri di Milano, mi ha concesso due encomi solenni, così motivandoli: Il Brigadiere Diego Cocolo, comandante di squadra fucilieri, nel corso di massiccio sciopero generale attuato in grande città particolarmente sensibile sotto il profilo dell’ordine pubblico, fedele interprete degli ordini ricevuti, dava prova di saldo attaccamento al dovere e cosciente sprezzo del pericolo nel guidare i suoi uomini alla carica di forti nuclei di facinorosi che, per aver travisato lo scopo della manifestazione, si erano dati a devastazioni di ogni genere aggredendo con violenza le forze di polizia. Nel corso di ripetuti interventi contribuiva efficacemente a disperdere i numerosi teppisti ed a ristabilire l'Ordine Pubblico”

Cambiano i tempi, ma  la violenza non conosce confini, come è successo con il G8 di Genova. Anche qui, le forze dell’ordine si sono comportati benissimo e sono tutti lodevoli di ricompense al valore. La politica è stata sempre così scabrosa, tanto che l’uomo della strada non ha mai capito nulla. D’altra parte tutti i governi in carica, pur attenti a non provare neppure un tale colpo di forza, si erano però sempre sentiti perfettamente legittimati a sostenere la sfida della piazza comunista , a  rispondere ad essa con le buone ma, se serviva, come è stato più volte necessario anche con le cattive.

“Con il luglio ’60 lo scenario cambiò alla radice. Grazie alla nuova legittimazione democratico - antifascista, guadagnata dal Pci contro Tambroni e supinamente riconosciuta dai più, a partire da quel momento non fu più possibile per alcun governo restare al suo posto contro la piazza comunista. Di pari passo la piazza cominciò a servire al Pci in modo nuovo: come risorsa di prim’ordine nella schermaglia politica quotidiana, come strumento di pressione in un’accorta strategia sempre più totalmente iscritta nell’orbita di un potere consociativamente spartito.

Ricordo i lunghi anni dell’autunno caldo e del terrorismo, della protesta sociale diffusa e delle stragi mafiose, quando tutte le forze di polizia eravamo sul piede di guerra, di quella guerra senza fine e con un nemico invisibile da fronteggiare, la risorsa della piazza non venne mai meno alla dirigenza comunista. Ne bastarono certo a spezzare  il virtuale monopolio le episodiche esplosioni dell’autonomia o del movimento studentesco: l’una e l’altro dovettero presto imparare a proprie spese quanto fosse arduo stare sulla strada senza o contro il Pci. A quale capitale di protezione simbolica e di aiuto concreto significasse dover rinunciare. In ogni senso, dunque, il poter tenere la piazza è stato deciso per definire l’identità e il ruolo politico del Pci. Ma anche dei suoi eredi: basti pensare a come fu abbattuto il primo governo di Silvio Berlusconi.

Ma il caso ha voluto che ciò che a Genova era cominciato, proprio a Genova forse finisse: il ciclo virtuoso del lungo rapporto tra la sinistra istituzionale e la piazza sembra terminato. Non già perché nei giorni scorsi nel capoluogo ligure sia comparsa una piazza nuova, una piazza estranea in tutto e per tutto alla tradizione comunista sia pur aggiornata e rivista. Ma perché, ciò nonostante, gli eredi di quella tradizione hanno personalmente cercato di abbarbicarvisi, non esitando a fare mostra di “codismo”, si sarebbe detto un tempo, della più desolante indecisione.

“Con ciò essi hanno confessato il fatto decisivo: i Democratici di sinistra sanno ormai di non poter più contare su una piazza propria. Si sforzano di agganciare e di interpretare quelle altrui, cercano di piegarle alle proprie evanescenti prospettive politiche, di starci dentro perché credono che esse comunque rappresentano i “ giovani”, i “ movimenti”, i “soggetti deboli” e gli altri stereotipi della modernità sociale visti con gli occhi della sinistra, ma si capisce benissimo che loro per primi non ci credono per nulla ( e, infatti una parte lo dice a voce alta). Si capisce che per tutti si tratta solo di una mimesi caricaturale di ciò che da tempo hanno cessato di essere e di avere; che i figli e i nipoti di Berlinguer cercano solo di consolarsi del grande lutto di non essere più ciò che furono, non riuscendo ahimè ad essere niente altro”.

“Praticamente se la posta non fosse stata così alta e non ci fosse scappato il morto - come scrive Pecar - avremmo fatto l’unica cosa che sappiamo fare : avremmo fatto ridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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