VAL
D'ELSA: SAN GIMIGNANO.
Per
rimanere nella meravigliosa e verde Toscana, con i suo oliveti, vigneti e i
chiassosi cipressi, che delimitano i poderi e i casolari sul crinale delle
colline, segnano i lunghi viali
delle ville e delle fattorie che ondeggiano ad ogni alito di vento e, resi
celebri con la sua immortale poesia - “Cipressi, cipressetti miei”- dal
grande poeta Gesue’ Carducci, figlio prediletto di questa meravigliosa
regione.
Sul
filo della memoria, perché noi oggi, che apparteniamo alla terza ETA, viviamo
di memorie, ritorniamo con il pensiero nella luminosa Toscana, per rievocare una
giornata meravigliosa, una giornata indimenticabile trascorsa nella Val D’Elsa
e a San Gimignano. Ricordo che nell’autunno di alcuni anni
fa, con gli amici del CAI di Mantova, abbiamo partecipato alla lunga camminata
sul sentiero della vecchia Francigena, indetto dalle organizzazioni provinciali
di Siena, per festeggiare e valorizzare il vecchio tracciato della Francigena.
Il
giorno precedente alla passeggiata, abbiamo visitato diversi borghi medioevali
della Val d’Elsa, fra cui il borgo di San Gimignano. Il turrito borgo antico, si potrebbe definire
figlio della Francigena ed è una delle più importanti testimonianze
dell’arte, dell’architettura e della storia del Medioevo in Italia. Tant’è
vero che è stato designato dall'UNESCO, quale “Patrimonio dell’Umanità”.
Prima
di giungere in questo bellissimo borgo medioevale, abbiamo visitato
San Quirico D’Orcia, che è di origine etrusca come la stupenda
“Rocca” di Volterra, che è edificata su una altura che separa l’ampia
valle del Cencia da quella dell’Era: la linea del monte, compatta nella parte
sud, dove predominano le “ Crete”, è bruscamente interrotta, ad ovest, per
il fenomeno delle “ Balze”, mentre a Nord una fertile e rigogliosa campagna,
come tolta da un quadro del Rinascimento, dove ricche sorgenti d’acqua
alimentano orti e frutteti, ricopre le insenature di “ Valle”, di Pinzano e
di “Corrente”.
La
posizione privilegiata della città favorì, come ci ha spiegato l’amico
Gianni Guastalla, fin dal periodo neolitico, insediamenti umani, sicuramente
testimoniati da copiosi reperti archeologici. A partire dal secolo IX a.c., si
diffonde nel territorio volterrano, la cultura villanoviana, sul cui ceppo fiorì
la civiltà degli etruschi e Volterra fu una delle dodici lucumonie che
formarono la confederazione etrusca: il suo territorio si estendeva dal fiume
Pesa al mar Tirreno e dall’Arno al bacino del Cornia e la città conobbe, nel
secolo IV, un periodo di floridezza economica e demografica che trova la sua
conclusione nella costruzione delle grandi mura, il cui perimetro superava oltre
sette chilometri, che noi l’abbiamo definita la piccola muraglia cinese.
Quando
siamo giunti nei pressi della
cittadina medioevale di San Gimignano, il sole
stava tramontando dietro le colline e i cipressi diventavano sempre più
scuri, mostrando la loro bellezza decorativa dei colli brulli. Fin da una certa
distanza San Gimignano si
annunciava con il profilo delle orgogliose torri che dominano le sue case,
ammassate su i tre rilievi di un colle.
Questo
borgo medioevale sorge non lontano da Siena in una posizione strategica, a
trecento metri di altitudine nella valle del fiume Elsa.
Appena
entrati nel borgo antico, ci ha dato la sensazione di essere ritornati indietro
nel tempo: piccoli negozi, Bar - cantina, ristoranti che un tempo erano vere e
proprie osterie, dove i pellegrini della Frangigena si fermavano per
rifocillarsi e per trascorrere la notte al coperto. Infatti, come ci dice la
storia, la cittadina si sviluppò nei pressi di un crocevia che raggiunse la
massima importanza fra il IX e l’XI secolo: l’asse principale era la via
Romea, che collegava Roma alla province transalpine e che in Val d’Elsa
incontrava la via Pisana. Il nucleo primitivo sorse fra i due punti di
riferimento più vicini all’incrocio, la collinetta della Torre, dove sarebbe
stato edificato il castello vescovile, e Montestaffoli, futura sede del potere
secolare.
La
cittadina raggiunse ben presto un invidiabile prosperità economica, che cominciò
a riflettersi nell’orgogliosa dignità degli edifici. Già nel 949 San
Gimignano era designata borgo e, appena cinquant’anni dopo, proprio sul finire
del millennio, veniva costruita una possente muraglia difensiva che circondava
tutta la città e includeva anche un tratto della via Romea o Frangigena, come
dir si voglia. Le aperture verso l’esterno si riducevano all’arco della
Cancelleria sul lato nord, quello dei Becci a sud, la porta Santo Stefano a est
e la garitta di Montestaffolli a ovest, oggi, come ci riferisce la guida locale,
scomparsa. Fra l’XI e il XII secolo, la cittadina, sotto la protezione del
potere vescovile continuò a crescere e a prosperare.
Prima
d’immergerci fra le pagine ingiallite della storia, ci vogliamo
soffermarci sullo straordinario interesse che abbiamo provato su San Gimignano,
che sta non solo nella sua singolare bellezza di borgo toscano inserito in un
verde paesaggio, ma nella struttura dell’insieme urbano e nel suo stretto
coinvolgimento nelle vicende storiche della Toscana. La sua importanza nel
Medioevo è testimoniata dalla presenza delle molti torri e case - torri che
svettano ancora nel centro storico. La nostra grande curiosità, sono state
appunto queste torri svettanti, che più volte, nel corso della nostra visita,
ci siamo domandanti: perché così tante torri in un borgo così piccolo? La
risposta l’abbiamo trovata nelle regole urbanistiche
medioevali del borgo antico.
Regole
urbanistiche medioevali
Fu
In seguito a queste regole che venne costruita tutta una serie di opere
comunali, come fontane e piazze, attorno alle quali sorsero immediatamente
edifici maestosi, quali il palazzo del Podestà, sulla piazza del Duomo, e la
chiesa di san Lorenzo. Nello stesso periodo (1251) venne incluso nel recinto
murario il primitivo borgo di Montestaffoli, fatto indicativo dello sviluppo
raggiunto a quell’epoca da San Gimignano. Esistevano ben nove foresterie
destinate ai mercanti che quotidianamente arrivavano in città e, per quanto
riguarda la popolazione stabile, ogni famiglia di una certa importanza cercava
di dimostrare il proprio prestigio erigendo una torre accanto alla propria casa:
queste agili costruzioni, oggi per la maggior parte scomparse, raggiunsero la
cifra di 72. Il problema dell’eccessiva concentrazione di edifici si fece
sentire in modo sempre più impellente, tanto che le autorità comunali furono
costrette a promulgare una serie di regolamenti che limitavano le dimensioni
delle nuove costruzioni: un edificio non poteva superare le 17 braccia di fronte
e le 24 di profondità, mentre le torri non potevano superare l’altezza della
Rognosa ( la torre del palazzo del Podestà), che era di 50,92 metri.
All’inizio
del XIV secolo le lotte fra guelfi e ghibellini causarono una grave crisi
economica che, accompagnata dalla tremenda epidemia di peste che decimò la
popolazione nel 1348, mise fine alla potenza di san Gimignano.
Ecco
svelato il mistero delle cento
torri di San Gimignano.
I
SIMBOLI DEL POTERE.
Le
torri di san Giminiano, come pure l’altezza dei campanili, oltre ad una
funzione pratica, ha una valenza simbolica: permette un facile riconoscimento e
serve di richiamo. Ma se facciamo un passo indietro nel tempo scopriamo qualcosa
di più: dopo la caduta dell’Impero romano i detentori della cultura erano i
monaci. Proprio dai campanili i monasteri
scandivano i ritmi del lavoro e della preghiera di tutti.
“L’altezza
era fondamentale perché tutti potessero vedere, anche da lontano, i simboli
materiali di questa realtà. Lo stesso vale per le torri signorili non solo di
san Giminiano, ma anche quelle cittadine: ricordavano a tutti chi fossero i
detentori del potere. Basta pensare a Palazzo Vecchio a Firenze” dice
Caprarella. Anche in epoche più moderne, gli edifici o i monumenti che si
stagliano nel cielo delle grandi città ne sono diventati i simboli ( La Tour
Eiffel a Parigi, la Statua della Libertà e l’Empire State Building a New
York, il Big Ben a Londra, per esempio). Aiutano l’orientamento degli
individui attorno a un punto nevralgico.
PER
AVVICINARSI A DIO.
Alto
significa mistico. L’altezza ha rappresentato, soprattutto nel periodo gotico
delle cattedrali, un tentativo di avvicinamento alla divinità. Un esempio
moderno sono le guglie lasciate incompiute dal celebre architetto spagnolo
Antonio Gaudì a Barcellona. Anche la mitica torre di Babele rappresenta il
fallimento tentativo umano di
raggiungere la divinità. E per la stessa ragione che l’uomo cerca Dio fra le
più alte cime dei monti? Ovunque, nel mondo, le montagne sono da sempre dimora
del sacro: gli dei greci vivevano sull’Olimpo, Mosé ricevette le tavole della
legge sul monte Sinai, il Fuji è il monte - santuario dei giapponesi, l’Arat
è la montagna sacra per i turchi e l’Ayers Rock quella degli aborigeni
australiani. Il dio induista Shiva dimora sulla cima del Kailas.
L’altezza
esprime l’idea di un potere superiore. “ Per questo può favorire la
vicinanza con la divinità e l’esternazione dal mondo: non a caso gli eremiti
si rifugiano sui monti” dice Morelli. “ In più l’inaccessibile delle
vette più elevate favorisce il sentimento di sfida dell’uomo con se stesso e
con la natura”.
Una
sfida alla sopravvivenza sempre più rara nella società contemporanea. Secondo
Ulrich Aufmulth, psicologo e scalatore, la passione per la montagna è
strettamente legata al nostro attuale modo di vivere. Per le generazioni
precedenti, infatti, nulla era più assurdo che salire volontariamente e senza
nessuna necessità lungo i sentieri impervi dell’alta quota. Ciò che noi
adesso cerchiamo in alto sui monti, loro lo avevano già trovato in pianura,
insomma, vale solo per i figli della moderna società industriale.:
Con
Adriana e altri amici escursionisti, ci siamo fermati nel piccolo Bar di fronte
alla piazza del Pozzo, per sorbire una buona tazza di caffè ed assaggiare i
gustosi dolcini tradizionali del borgo antico. In una piccola targhetta murale,
ho letto che in quell’esercizio pubblico, era solito frequentarlo dallo
scrittore francese Jean D’Ormesson
e, che, in uno di quei tavolini preparava la stesura del suo ultimo libro: “Il
Vento della sera”. Un romanzo straordinariamente vitale, un imponente e arioso
affresco ricco di personaggi ed eventi, un prezioso tessuto narrativo che
trasforma piccoli e grandi fatti di cronaca in avvincenti storie dentro la
Storia.
Lo
scrittore esordisce nel suo romanzo dicendo:
“Il mondo e la sua storia si richiudono a cerchio attorno a noi: è stato
Javier Romero, una sera di primavera, a San Miniato, ha portarmi la notizia
della morte di Pandora. La giornata era stata, dall’inizio alla fine, superba.
Fin dal mattino, appena aperte le persiane, lo spazio e il tempo avevano assunto
una sorta di trasparenza. Per uno di quei meccanismi pieni di evidenza e di
mistero, un cielo privo di nubi prometteva felicità. Non era ancora scesa la
notte e tutto un pezzo della mia vita crollava di schianto. Compariva
Javier, posava le sue borse, mi metteva una mano sulla spalla, diceva :”
Pandora è morta”. Qualcosa precipitava. Si alzava il vento della sera.
San
Miniato ( Pisa), è un altro borgo medievale ricco di storia della verde e
meravigliosa Toscana, che sorge su di un poggio tra le valli dell’Elsa e
dell’Avola. In questo borgo, fin dall’ultimo conflitto mondiale, vivono
moltissimi scrittori inglesi, ex
ufficiali ed uomini d’affari del
Regno Unito. Qui, viveva e scriveva anche lo scrittore Jean D’Ormesson, che è
nato a Parigi nel 1925 da una famiglia di antica
nobiltà, che di giorno si spostava volentieri nel vicino borgo di
San Gimignato, e si sedeva sempre allo stesso tavolo, ombreggiato da una
grande pianta di glicini. I sangiminianesi, lo ricordano ancora come una persona
molto cordiale e ossequiosa. Fu qui, seduto attorno a quel tavolo, di fronte
alla piazza del pozzo, che ha
scritto “Il vento della sera” e, forse altri romanzi, come
“Il mio ultimo pensiero sarà per voi”.
Lasciamo
l’autore di questo libro, e ritorniamo a parlare del vecchio borgo medievale
dalle cento torri.
Al
cospetto della Rognosa.
Se
osserviamo una pianta attuale della città, vediamo come San Gimignano si
allunghi per circa 800 metri dall’antico convento di sant'Agostino fino alla
porta San Giovanni e come l’asse principale, ovvero l’antica via Romea o
Francigena, corrisponda alle strade di San Giovanni e di san Matteo, includendo
le piazze del Duomo e della Cisterna. Via San Giovanni va dall’arco dei Becci
fino alla porta San Giovanni,
indubbiamente la più interessante fra quelle cittadine per il suo arco
ribassato in stile senese, mentre via San Matteo parte dalla piazza del Duomo e
termina sotto la porta san Matteo.
Ricordo che ci siamo soffermati a lungo per
osservare le mura che proteggono il nucleo più antico della cittadina di
San Cimignano con le sue famose torri che hanno un perimetro di 2177 metri,
lungo il quale si alternano cinque torrioni cilindrici.
La
piazza della Cisterna, che poi sarebbe la piazza del pozzo, dove era solito
fermarsi nel Bar lo scrittore francese, deve il nome alla cisterna costruita nel
1273, e ampliata nel 1346, per raccogliere l’acqua piovana. Su questa piazza
dalla forma triangolare sorgono le torri gemelle degli Ardinghelli, la torre
Becci e il palazzo Razzi con la sua torre. Più a nord troviamo il palazzo
Cortessi con la bella torre del Diavolo e il palazzo Lolli, che apre il passo
alla piazza del Duomo, dominata dal palazzo del Governo o del Podestà, con la
torre Rognosa, la Collegiata, le torri gemelle dei Salvucci e il palazzo del
popolo con la torre Grossa. La Rognosa era originalmente una prigione ( da cui
derivò probabilmente il nome), ma come ci racconta la storia del borgo, dal
1407 diventò la torre dell’orologio.
La
Collegiata di Santa Maria Assunta, romanica nelle origini (XI secolo), fu
modificata e ampliata da Giuliano da Maiano. Tra gli affreschi che arricchiscono
l’interno tripartito, pregevole è il Martirio di San Sebastiano di Benozzo
Gozzoli. Questo pittore lavorò anche alla decorazione della chiesa di
sant'Agostino, costruzione romanico - gotica della seconda metà del XIII
secolo.
Qualcuno,
leggendo la descrizione di San
Gimignano, potrebbe pensare che si
tratta di una grande città , ma in effetti è un antico borgo medioevale,
raccolto al vertice di una meravigliosa collina, nell’affascinante paesaggio
agricolo della Toscana, punteggiata da cento torri e da altrettanti cipressi che
svettano al vento.
Quando
siamo usciti dal centro storico di San Gimignano, la luna era alta nel cielo e
illuminava quasi a giorno la campagna circostante. Fuori le vecchie mura del
borgo, c’era parcheggiato il nostro pesante autopullman, che in poco tempo, ha
raggiunto Colle di Val d’Elsa, o semplicemente Colle, (dove la comitiva dei
mantovani era alloggiata), uno dei più estesi comuni della provincia di Siena,
che è situata nel cuore della Toscana fra Firenze, Siena e Volterra, presso S.
Gimignano, Poggibonsi, Certaldo.
L’insediamento,
di remote origini etrusco - romane, nel periodo delle invasioni barbariche passò
dalle rive dell’Elsa sul “colle” fortificato di Pitticciano, l’odierno
“Castello”. Da allora la presenza di Colle nella vita culturale ed
economica, la Toscana è sempre stata ferventissima ed ininterrotta. Luogo
dantesco ( Pur. XIII, vv. 115 - 119), fiorì come libero ed operoso Comune in
rapporti di alterne alleanze con le potenti città confinanti di Firenze e
Siena, e fino a che divenne ( sec.XIV) “ municipio” fiorentino.
Il
mattino successivo, dal borgo medioevale di
Badia Isola, presso il Burgenuove di Sigerico, monastero fondato nel
1001, la cui chiesa, riferibile al XII secolo, è contrassegnata dai caratteri
del romanico lombardo. L’antica strada proseguiva poi verso Siena lungo le
prime pendici del monte Maggio, toccando località che furono sedi di ospedali,
come San Giovanni e Camminata, incontrando resti del vecchio selciato e il
Ponarrosso, per puntare poi su San Dalmazio e Fondebecci. Questo percorso può
essere più rapidamente svolto seguendo la ss.2, che da Badia Isola si raggiunge
presso Monteriggione. Noi escursionisti, abbiamo seguito
il vecchio tracciato della Francigena, scartando la ss. 2 e transitando
in fondo alla collina dove sorge appunto Monteriggioni. Anche questa città -
fortezza, è racchiusa fra le mura circolare,
ed è un luogo dantesco.
Dalla
piazzetta antistante la chiesa di Badia Isola,
dai caratteri romanico - lombardo, dove le comitive degli escursionisti
si erano radunati, ha avuto inizio la lunga passeggiato sulla Frangigena,
raggiungendo la meravigliosa Piazza del Duomo di Siena. Proseguendo su quel
sentiero, immerso nella selvaggia natura, abbiamo notato che fra quelle zone
collinari, vi è un elemento comune
che li accomuna tra di loro, e con il resto della Toscana, è l’abbondante
presenza di cipressi, disposti in fila lungo le strade o i viali di accesso ai
poderi e alle ville, oppure organizzate in gruppi disposti a caso o
circolarmente. Emblematico è il viale dei cipressi di “ Davanti San Guido di
Gesuè Carducci.
Queste
bellissime piante, che svettano dritte verso il cielo, durante i secoli l’uomo
ha disboscato, ha selezionato le piante utili per i suoi fini, ha prosciugato
alcune zone paludose, ha introdotto le piante di altre regioni; basta pensare
che anche il cipresso, che sembra così connaturato al nostro ambiente, è
originario Asia ed è stato introdotto, forse in epoca romana. Questa pianta si
è così adattata biologicamente al nostro ambiente che in alcuni luoghi, come a
Fonterutoli, si riproduce spontaneamente con una certa facilità; inoltre
sempre in questo luogo, sono stati trovati i medesimi parassiti che si
trovano negli alberi dell’Anatolia che è il luogo di origine. Proseguendo la
vecchia via Frangigena, abbiamo constatato che sulle rocce calcarei prevalgono i
boschi di lecci, sulle altre i boschi di castagno; insieme formano delle
macchie di colore a pelle di leopardo che cambiano aspetto nelle varie
stagioni.
D’inverso,
si, perché noi, siamo stati anche d’inverno
su quelle basse colline, il verde scuro dei lecci e degli ulivi,
contrasta con il bruno dei rami spogli dei castagni; durante la primavera -
estate si alternano due tonalità di verde: cupo dei lecci e degli ulivi e
tenero dei castagni; infine in autunno le zone a castagno assumono tonalità che
vanno dal giallo al rosso - bruno, colori preferiti dai pittori, per dipingere i
loro quadri.
Tutte
le volte che capito da queste parti della verde Toscana, di cui è possibile
godere di queste variazioni stagionali, la visione di questo paesaggio, mi porta
indietro nel tempo e mi fa rivivere la bellezza della mia Old Calabria, si,
perché anche nell’estremo lembo d’Italia, si possono godere questi
spettacoli offertaci dalla madre natura.
L’origine
del tratto toscano della via
Frangigena.
L’origine
del tratto toscano della via Frangigena è legato ai Longobardi che, per
scendere da Pavia nella Tuscia, usarono la via “di Monte Bardone” ( da Mons
Longobardorum), cioè di quel passo che poi verrà chiamato “ della Cisa”.
L’itinerario proseguiva verso sud lungo una direttrice che, attraverso la
Lunigiana e la Versilia, rientrava verso l’interno per toccare Lucca; da
questa città, superate le colline delle Cerbale e varcato l’Arno di fronte a
Fucecchio, risaliva la valle dell’elsa per giungere a Siena, da dove
percorrendo le valli dell’Arbia, dell’Orcia ed altri minori, usciva dalla
Toscana per entrare nel Lazio, superando le alture poste tra Radicofani e il
monte Amiata. Si tratta di un tracciato obbligato che permetteva di tenersi a
debita distanza dai confini dell’Esarcato, in mano ai Bizantini, così come di
stare il più possibile lontano dalla costa, che questi ultimi potevano
controllare via mare.
L’itinerario
divenne più funzionale dopo che i Longobardi poterono controllare stabilmente
la Liguria e la Lunigiana, cosicché
cominciarono a sorgere lungo di esso abbazie ed ospizi per viandanti,
frequentati da pellegrini che divennero via via sempre più numerosi,
soprattutto dopo il Mille quando, con il rinnovarsi della spiritualità, si
diffuse maggiormente la pratica di recarsi a Roma, a Gerusalemme o a
Costantinopoli. Si consolidò così questo
tracciato che divenne, almeno fino al Duecento, il più importante per
giungere a Roma. Da nord, attraverso l’Appennino, e finì per
costituire una sorta di cerniera dei grandi itinerari terrestri del
pellegrinaggio medioevale.
Non
sono sicuro, ma forse, gli ultimi ad arrivare nel grande piazzale del Duomo di
Siena, siamo stati noi, cioè Adriana ed io. Siamo stati premiati per la nostra
costanza e non per la nostra bravura.
IL
DUOMO:
UN
CAPOLAVORO DI ELEGANZA.
Situato nel piano più alto della città, il duomo di santa Maria fu edificato alla fine del XII secolo su una precedente struttura romanica. Alcune fonti sostengono che fu opera dei monaci cistercensi di san Galgano, esperti anche di costruzioni idrauliche ( come dimostrano le numerose fontane della città), ma le decorazioni fanno pensare piuttosto a un prodotto dell’arte locale, privo di legami con lo stile dei religiosi di origine francese. Si dovette aspettare la fine del XIII secolo perché Giovanni Pisano decorasse la parte inferiore della facciata e i suoi magnifici portali, considerati tra i più rappresentativi del gotico italiano. La parte superiore della facciata è opera di Giovanni di Cecco, attivo nel XIV secolo.
L’esterno
della chiesa non presenta i contrafforti tipici del gotico, mentre la facciata
è interamente rivestita di marmo bianco di Carrara attraversato da fasce verdi
di marmo di Prato. Lo stesso rivestimento si ripete anche all’interno, dove
sono degni di nota il pavimento, realizzato da una quarantina di artisti (secolo
XIV -XVI), e il pulpito, opera di Nicola Pisano, i cui rilievi sono annoverati
tra le più elevate espressioni della cultura del XIII secolo.
Nel
nostri girovagare per la chiesa, abbiamo notato che sotto l’abside del duomo
è situato il battistero, ornato dagli affreschi del Vecchietta ( XVI secolo).
Notevole in fonte battesimale, di Jacopo della Quercia (1417 - 1430), decorato
da statue e bassorilievi in bronzo: La fede, La Speranza e il Banchetto di Erode
sono di Donatello: Zaccaria cacciato dal tempio di Jacopo della Quercia; La
Cattura di San Giovanni Battista e Il Battesimo di Gesù di Lorenzo Ghiberti.
Per
mancanza di tempo, non abbiamo potuto visitare il Museo dell’opera
metropolitana, ambientata nei locali dell’incompiuto “ duomo nuovo”, che
racchiude le opere artistiche più preziose del duomo. Ci promettiamo, che nella
prossima visita alla città di Siena, ci recheremo a visitare questo importante
Museo.
UNA
PIAZZA COME UNA CONCHIGLIA.
L’uomo,
da quando è apparso per la prima volta sulla faccia della madre Terra, prima di
ammirare le bellezze del Creato, ha pensato di reperire il cibo necessario per
la sua sopravvivenza, che poi non è altro che la filosofia della vita, perché
l’uomo non vive soltanto di bellezze artistiche e naturali, ma anche e
soprattutto di sostentamento , non solo per la gioia del palato, ma per la sua
stessa esistenza. Noi, prima di scoprire
gli angoli più belli della città di Siena, proprio nella piazza del Campo, in
uno di quei vicoli caratteristici, abbiamo scoperto un piccolo ristorantino,
dove ci siamo rifocillati e dopo di esserci rifocillati, riprendemmo
l’esplorazione della città.
Il
cuore di Siena è appunto Piazza
del Campo , che secondo la leggenda è ispirata al manto che copriva la Vergine
quando apparve ai Senesi durante la battaglia di Montaperti. In questa piazza
semicircolare confluiscono le tre antiche strade che attraversa la città (
quella per Roma, quella per Firenze e quella per la Maremma) e verso di essa
digradano le tre colline sulle quali si estende l’abitato. La sua forma, che
ricorda quella di una conchiglia, e la sua leggera pendenza sono ulteriormente
accentuale dalla pavimentazione. I nove listoni che salgono a raggiera dalla
parte inferiore della piazza simboleggiano il Consiglio dei Nove Uomini Buoni,
che governò la città dal 1287 al 1335, periodo in cui Siena raggiunse una
grande prosperità.
Se
il turista che sosta in questa piazza, se ci fa caso si accorge che sulla parte
inferiore della piazza si affaccia il Palazzo Pubblico o Comunale, superbo e
armonioso esempio di architettura gotica civile, che fu per secoli la sede del
massimo potere cittadino. Leggero e imponente nello stesso tempo, presenta
finestre a tre ogive e una facciata leggermente concava e ornata di merlature.
Il piano inferiore è caratterizzato dai tipici archi senesi, che consistono in
un arco a sesto acuto ribassato e inserito in un altro a sesto acuto.
All’interno
è ospitato il Museo civico, che custodisce i lavori più importanti della
famosa scuola pittorica senese. Nella Sala della Pace, in particolare, fanno
bella mostra di sé alcuni notissimi cicli affrescati da Ambrogio Lorenzetti,
attivo nella prima metà del XIV secolo. Il Buon Governo, Effetti del Buon
Governo in città e in campagna. Il malgoverno e i suoi effetti. Tra gli altri
artisti le cui tele e i suoi affreschi decorano il palazzo, sono da ricordare
Simone Martini. Sono di Pietro e Giovanni Pisano.
Nella
Sala del Mappamondo, dove si riunivano i rappresentanti del Comune, sono
visibili due importanti affreschi, entrambi attribuiti a Simone Martini: la
Maestà e l’imponente Assedi del castello di Montemassi da parte di
Guidoriccio da Fogliano (1328 -139) Situati su pareti opposte., creano un
efficace contrasto tra la dolcezza dell’immagine della Vergine e la bellissima
potenza del condottiero senese. Il Palazzo Pubblico è dominato dalla svettante
Torre del Mangia, trecentesca esecuzione in laterizi sovrastata da una cella
campanaria in pietra. Sotto la torre sporge dal corpo dell’edificio la
Cappella di Piazza, fatta erigere dai Senesi come ringraziamento per la fine
dell’epidemia di peste del 1348, a causa della quale la popolazione si era
ridotta a 25.000 a 16.000 abitanti.
IL
PALIO
In
questa meravigliosa Piazza, durante la dominazione medicea, come scopriamo nelle
pagine ingiallite della storia, nel XVI secolo, nacque e si affermò a Siena la
tradizione del Palio, una corsa di cavalli montati senza sella e lanciati in uno
sfrenato galoppo lungo il perimetro di Piazza del Campo. La competizione si
tiene ancora oggi e richiama appassionati e curiosi da tutto il mondo: vi si
rivivono gli antichi fasti della città, con le alleanze di quartiere ( le
contrade) e le rivalità secolari.
Noi,
siamo abituati a vedere questa bellissima manifestazione due volte all’anno,
attraverso la grande finestra della TV, il 2 luglio e il 16 agosto, dopo una
scenografica sfilata in costume e una parata di sbandieratori, i cavalli e i
fantini delle 17 contrade di Siena si contendono il “palio” ( uno stendardo
araldico) davanti a una folla di senesi al colmo dell’eccitazione, in
un’emozionante gara senza regole, durante la quale sono ammessi anche i colpi
e le frustate tra i fantini e che può essere vinta anche da un cavallo
“scosso”, cioè che ha disarcionato il cavaliere.
Il
rimpianto giornalista televisivo Antonio Frajese, più volte ci ha commentato in
diretta TV, questa emozionante gara, facendoci innamorare non solo della città
di Siena, ma soprattutto dei magnifici cavalli senesi. Egli così ha detto
parlando del Palio: “ Il Palio non è soltanto la replica di un torneo
medioevale, ma anche di uno degli aspetti più genuini della cultura popolare
senese.
Noi,
siamo innamorati della verde e lussureggiante Toscana, e ogni volta che c’è
l’occasione, ci andiamo volentieri. Per noi, la Old Toscana, è come il primo
amore che non si può dimenticare. E ogni cosa si trasfigura: i volti ci
appaiono belli, gli uomini gentili, le case, la natura stupenda. Sentiamo il
mondo pervaso da una forza positiva, animato dal soffio dell’assoluto. Amando
questi luoghi ci immettiamo nel grande respiro dell’universo, diventiamo parte
del suo moto e della sua armonia. Questi sono i segni del vero innamoramento. A
volte appaiono subito, a volte solo dopo un po' di tempo. Ma non mancano mai di
stupirci.