LE DOLOMITI DEL BRENTA. AVANTI CLICK

Domenica  primo luglio, per l’ennesima volta, abbiamo  visitato il meraviglioso Lago di Garda, seduti comodamente sulla tolda dello storico battello G. Zanardelli, mentre oggi 8 luglio, abbiamo esplorato per la prima volta le Dolomiti del Brenta. Il nostro pesante torpedone si è fermato nella periferia della cittadina di Molveno, sulle rive omonime del lago alpino. Molveno è situato sulla riva settentrionale del lago, che si estende tra le rocce scoscese del Brenta ad ovest e il verde delle pendici della Paganella ad est, è raggiungibile dalla Valle di Non, attraverso Fai e Andalo, e a sud, attraverso San Lorenzo in Banale per una pittoresca strada scavata nella roccia. Scoperto fin dal secolo scorso dai primi turisti ed alpinisti tedeschi ed inglesi, divenne subito ideale punto di partenza per le salite al Brenta; ne consegui uno sviluppo turistico sempre in crescendo che anche oggi non accenna ad arrestarsi, ed ha trovato possibilità di risorse, soprattutto per gli sporti invernali, sulla vicina Paganella.

A poca distanza del lago di Molveno: un lago che assume il colore verde, proprio  delle sue montagne che si specchiano perennemente, sorge l’impianto  della cabinovia del Pradel, che in pochi minuti ci ha portati al Rifugio Montanara. (1525 m.). Una piccola sosta, solo il tempo per sorbire un buon caffè e poi, zaino a spalla e via sul sentiero che  conduce attraverso magnifici boschi di pini e larici al Pallon di Tovre, punto panoramico di prima classe su tutto  l’altopiano con Andalo e fino alla Paganella. Poco dopo tutto il gruppo compatto è arrivato ad una biforcazione.

Mentre il sentiero di destra porta al Pizzo Gallino, (2442 m.), attraverso la Malga Dagnola, quello di sinistra ci ha portati al passo dei Camosci, da dove abbiamo ammirato il meraviglioso Lago di Molveno e la valle delle Seghe. Attraverso prati alpestri rocciosi si scende brevemente per poi effettuare l’ultima salita alla vetta del Croz e dell’Altissimo (2339 m.). Su questo sentiero ha proseguito l'escursione della prima squadra, che ha raggiunto la vetta con la grande croce in ferro, che sono rimasti stupiti del panorama offerto su tutto il gruppo del Brenta.

Noi del secondo gruppo, capeggiato  da Sandro Zanellini, che era composto da 21 escursionisti, di cui facevamo parte io ed Adriana mia moglie, Marisa e Fabio Azzini e molti altri nostri amici da sempre, raggiunto il Pradel, abbiamo proseguito il sentiero numero 340 che in leggera salita, in un’ora circa, abbiamo raggiunto il Rifugio Croz ( 1430 m.) dove abbiamo  sostato brevemente, ammirando parte della valle delle Seghe.

Dopo la breve sosta di ristoro, abbiamo proseguito il sentiero che prosegue verso sinistra superando il torrente Masso su di uno stretto ponticello e in circa un’ora abbiamo raggiunto il piccolo Rifugio Selvata (1663 m), che si trova ubicato su di un verde altopiano circondato dal Castelletto di Mezzodi e dal Croz di Selvata. Per poter descrivere quest’angolo bellissimo delle Dolomiti del Brenta, dobbiamo iniziare dal principio, affinché il lettore possa comprendere la posizione esatta di questo presso montagnoso, fatto di campanili e di guglie che si elevano superbamente verso il cielo. Incominciamo col dire che ad Ovest della Valle dell’Adige e comunque vicino al capoluogo trentino, una lunga spina rocciosa si distende in direzione Nord - Sud sprigionando da tutti i suoi lati grandiosità e bellezza. Gruppo di Brenta è il suo vero nome ricco di fama, come lo ha definito Dario Scarpa, nel suo libro “ Dolomiti”, ma per le caratteristiche geologiche e paesaggistiche che esso presenta, può essere pure chiamato “Dolomiti di Brenta”.

Seppure isolato e solitario rispetto agli altri pressi dolomitici, con le sue meravigliose e gagliarde strutture, riproduce ugualmente una schietta immagine della grande e solenne famiglia di cui degnamente fa parte. Mentre ero seduto davanti al piccolo Rifugio di Pradel, ma questo scenario dolomitico lo avevo parzialmente visto  prima di giungere al  Rifugio, l’ho potuto ammirare nella sua superba bellezza, entrando  nel cuore del Brenta attonito rimane lo sguardo di fronte all’imponente schiera; sicché lassù sembra vietata ogni possibilità di accesso. Da quella distanza, per la prima volta, ho potuto ammirare la bella immagine del Campanil Basso, attorniato da cima Brenta e Cima Tosa sovrana del gruppo, sono alcuni prestigiosi nomi del nodo centrale sulle cui pareti che imponenti e ardite con altezza che varia fra i 2800 e 3000 metri,  come ci spiega la nostra guida - Sandro Zanellini - In questo alto fulcro appaiono ai nostri occhi grandiose e severe le masse rocciose, a dominio di un paesaggio occidentale che rende ancor più tipica l’intera bellezza.

Ecco, da questa stupenda bellezza, che i nostri occhi stanno ammirando, nasce la fantasmagorica successione delle colorite guglie e torri, ma anche il piacevole contrasto con i ghiacci dei colossi alpini che uno stupendo panorama permette di ammirare.

Se in questo Gruppo del Brenta molte importanti ascensioni comportano un serio impegno d’alta montagna, grosse soddisfazioni proviamo  certamente  anche noi, che  per la prima volta cerchiamo di percorrere questi sentieri con un po' di fatica e tanta soddisfazione a livello escursionistico.

Dopo questa breve riflessione e questa piccola attesa di riposo, il gruppo è pronto per lasciare il Rifugio Pradel, seguendo il sentiero numero 340 che in leggera salita ci porta verso il Rifugio Groz, a 1430 metri di quota. Il sentiero prosegue a sinistra, attraversando il letto del torrente Masso su uno stretto ponticello costituito da due tronchi d’albero con delle asse collegate fra di loro. Il ponticello , come tutti i ponticelli sospesi, è un poco tremolante, ma non c’è alcuna paura. Gli escursionisti  lo attraversiamo uno alla volta, tenendoci dalla fune metallica di sostegno. Il passaggio è continuo, un passaggio senza sosta, come se fosse una lunga processione. Il lungo serpentone colorato degli escursionisti della domenica, si distende per tutto il sentiero che sale verso la grande montagna. Ogni tanto ti deve fermare, è una sosta obbligata, per fare passare gli escursionisti che procedono in senso contrario, ma è una sosta piacevole e soprattutto distensiva. Quello che c’è di bello su questi sentieri, è che all’improvviso, le persone sono radicalmente cambiate: siamo tutti cordiali e ossequiosi. Un sentimento  questo che sembrava cancellato dal vivere civile, si prova una sensazione interiore, un  affetto profondo: sente dentro di te un impulso, un sentimento improvviso dell’animo verso le persone che camminano vicino a te o che incontri per la prima volta. Quello che è stupendo, è che  comprendi subito  ogni forma di saluto e in qualunque lingua ti viene rivolto . Si, perché, sui sentieri sperduti fra queste meravigliose montagne, incontri persone di ogni estrazione sociale e di diversi paesi dell’Europa. Vedendo tutto questo, provi un sentimento di amore, moto dell’animo che ti fa gioire e ti fa dimenticare persino la fatica. Credetemi, è una cosa veramente bellissima.

 Dopo un’ora circa di cammino, siamo giunti al Rifugio Selva, a quota 1663 metri, che si trova su un verde altopiano circondato dal Castelletto di Mezzodi e dal Croz di Selva. Quello che c’è di bello in questi rifugi alpini, è che c’è tanta umanità e che trovi sempre la tavola preparata, perché anche lo stomaco come i sentimenti e le bellezze create dalla natura in milioni  di anni, ha bisogno del suo sostentamento, l’insieme degli alimenti: vitto, alimentazione, altrimenti la macchina umana si ferma e non va oltre. Il menù, quel giorno comprendeva: polenta con capriolo, oppure polenta con funghi, vino, una fetta di strudel e il caffè. L’amico Fabio, oltre al caffè, ha completato il sostanzioso pasto con un buon grappino di prugna, il nettare degli alpinisti.

Dopo questa  piacevole pausa di “ riflessione”, da questo rifugio immerso fra la meravigliosa natura, abbiamo preso il sentiero numero 319, che costeggia il massiccio  Croz di Selvata, che taglia orizzontalmente la grande montagna. La caratteristica dominante del gruppo è data dalle numerose cenge che in modo orizzontale segnano marcatamente le ardite pareti. Proprio lungo queste  sedi naturali hanno felicemente trovato posto una vasta serie  di sentieri attrezzati, che ad una altezza costante e senza perdere quota collegano fra loro i numerosi Rifugi. La parete a picco era tagliata da una cengia lunga un centinaio di metri, larga una settantina di centimetri, piana, come incisa nella pietra, un terrazzino, e più oltre, il sentieri entrava in un paesaggio fantastico, lunare, di rocce, cocuzzoli e buchi  che abbiamo percorso: uno stretto sentiero attrezzato  da una fune metallica fissata nella parete strapiombante che precipita verso il torrente Masso. Avremmo dovuto percorrere un sentiero forestale che portava nella Valle delle Seghe, ma abbiamo continuato il sentiero che dalla lunga cengia si è immerso in un meraviglioso bosco di conifere e più in basso di faggeti fino alla malga Cicala dove esiste una piccola trattoria. In questa località ci siamo fermati per un breve riposo e per rinfrescarci con una bibita fresca. Questa trattoria di montagna, oltre ad essere circondata da alte abetaie, era circondata da un grande prato verde, dove gli escursionisti bivaccavano  all’aria aperta, mentre le signore approfittavano per prendere la tintarella sotto i raggi del sole. Ti dava l’impressione di essere ad una festa campestre, solo che mancava la musica, ma lo spettacolo era garantito dalla meravigliosa vista panoramica  delle stupende cime delle Dolomiti del Brenta.

Dalla trattoria Cicala, il sentiero 319, portava dritto  alla bellissima cittadina di Molveno, che vista da una certa altezza, ti dava la sensazione di vedere un grande mare verde e con migliaia di persone distese al sole.

Così scrive Dario Scarpa , parlando di queste meravigliose montagne dolomitiche: “ Nelle Dolomiti di Brenta non ci sono però soltanto le poderose architetture rocciose, ma anche una magnifica e rara flora alpina che talvolta s’interpone nella loro nudità, creando così smaltati ed indimenticabili angoli per altrettanti colpi d’occhio. Per tutto questo è ormai indecifrabile il numero di escursionisti ed alpinisti che quassù con fiducia hanno cercato e trovano quella forza d’ambiente per liberarsi dai problemi quotidiani”. Egli aveva veramente ragione. Si, è vero, ognuno di noi, che cammina e a volte si arrampica su quei sentieri e quelle strette cenge, va proprio in cerca di liberarsi dai problemi quotidiani e soprattutto, per trovare un po' di se stesso. Solo a quelle quote, l’uomo laico o religioso che sia, può meditare sulla creazione e trovare quella serenità e quella pace che altrove non ha mai trovato, perché questa è  la forza di quelle stupende montagne.

LA MONTAGNA DEL MISTERO.

Camminammo a lungo prima di arrivare ai piedi di quel complesso montagnoso delle Dolomiti del Brenta, dove si elevano  le sue alti tori , campali e cenge e dove  fra le sue insenature sgorgano piccoli rivoli che danno vita al  torrente Masso. Mentre salivo quel sentiero stretto e panoramico, ricordavo le parole di Sirio , la stella più brillante della costellazione del Cane Maggiore e di tutta la volta celeste, durante la notte precedente di luna piena di Notte infinita:  “ La vita è uguale ad un fiume che nasce come un piccolo rivolo sulle alte montagne dove tutto è pace, purezza e silenzio”. Seguendo il suo corso sino al mare si può conoscere la vita.

Con Adriana, seguivamo il lungo serpentone colorato, che si arrampicava su per il sentiero stretto e panoramico, e la mia mente si apriva, e anche gli avvenimenti lontani mi apparivano molto vicini: credevo di ascoltare le parole di mia madre e mio padre che mi davano i primi insegnamenti della vita.

Poi, a un tratto, mi fermai perché a fianco al sentiero sassoso, posato su di un cespuglio di mugo c’era un uccellino minuto , molto  piccolo e colorato che  gorgheggiava: con un agile passaggio della voce che, nel cantare, va da un suono all’altro sopra una stessa sillaba, quello era un canto melodioso , dolce e particolarmente modulato, caratteristico degli scriccioli, ma che sembrava un gorgheggio di un usignolo. Ma poi, pensandoci bene, ho dedotto che era un fringuello, lo avevo riconosciuto dalle piume di vari colori . Da ragazzo, come tutti i ragazzi della mia età, quando era il tempo dei nidi si andava in cerca di questi piccoli uccellini, per poi allevarli.

La grande montagna era lassù, in parte nascosta tra le nuvole bianche. La sua vetta, il Campanil Basso, il Castelletto di Mazzodi e dal Croz di Selvata era illuminata dal sole, il suo profilo assomigliava a quello di un animale addormentato. Mano a mano che salivamo, sulla nostra destra, la vegetazione si faceva sempre più scarsa, mentre sulla  sinistra dove sorge il Rif.  Selvata, vi è  un piccolo altopiano  verde e con alti conifere, ma apparivano nude rocce dolomitiche. Ogni tanto mi fermavo ad ammirare la grande vallata delle Seghe e più giù il lago di Molveno: lontane, velate, scorgevo le cime dolomitiche. Tutto quel mondo silenzioso e disabitato aveva l’apparenza di un sogno. A tratti una voce pareva ripetermi le parole di Khalil Gibran:

“Forse hai sentito parlare della montagna

Benedetta. Qualora tu ne raggiungessi

Mai la cima, proverai un solo desiderio:

Scendere e ritrovarti con chi abita a valle.

Ecco perché si chiama la montagna benedetta”.

Il sentiero sale  in mezzo alle montagne, dove vi è una grande culla dove il vento va a riposare, sormontata dal Campanil Basso e dalle altre meravigliose guglie dolomitiche. Chi ha bisogno di lui, lo reclama a gran voce; basta affacciarsi dalla piccola cengia senza sporgersi troppo dove l’aria è addormentata e gridare, aspettare che l’eco ripeta più volte il suo nome, fino a che il bambino invisibile apre gli occhi di cielo. Allora l’aria scende dalla montagna, si avvia giù per le gole dirupate, corre sul lago che è di colore verde scuro, trascinando semi di rose e di piante, il vento spazza le montagne e porta a spasso le nuvole per il cielo. Ogni volta che passa il vento, le gente della valle dice che si è svegliato il bambino che dorme in mezzo a queste meravigliose montagne. Sulla via del ritorno, mentre stavamo percorrendo un sentiero in mezzo ai boschi, mentre correvo più rapido sospinto da leggera brezza, una grande ombra mi viene incontro e, dopo essersi fermata a pochi passi da me, cominciò a parlare: “io sono il vento, conosco il cammino della vita e passo in ogni angolo remoto; essendo invisibile posso entrare dappertutto.

Alla fine della grande valle, che ha coinciso con la fine della nostra escursione, ho conosciuto un grande albero pietrificato o mi sembrava tale.  La vista di quella pianta, mi ha portato indietro nel tempo, mi ha  fatto rivivere per un momento la magnifica esperienza Americana, nel grande Parco Naturalistico  della California, dove crescono le sequoie; alberi giganteschi e meravigliosi, che possono raggiungere dimensioni enormi e superare mille anni di vita ; ma  chi percorrerà questo sentiero lo scorgerà facilmente perché è l’unico albero sulla strada. Sicuramente non è una sequoia, ma è un secolare   castagno secco. Sui suoi rami scheletriti e curvi dal vento, che assomiglia a quelle meravigliose piante che germogliano nel Parco del Pollino e  sui Piani d’Aspromonte, in una sola notte dell’anno, come ho appreso da una antica  leggenda , che si tramanda da generazioni in generazioni e che le nonne, ancora oggi, raccontano ai loro nipotini nelle lunghe notti d’inverno, quando sono tutti seduti attorno al focolare. Si racconta che, spuntano fiori azzurri che durano pochi attimi: i loro petali vengono strappati da una folata di vento gelido, la morte, che tutto distrugge e tutto porta via. L’albero bianco è la solitudine, i fiori azzurri sono la fede che trionfa e dona la vita all’albero morto. Quel vecchio castagno morto, come  lo chiamava il grande poeta Giovanni Pascoli: “ l’Italico Pane”. Infatti, nelle passate generazioni, compresa la mia, le castagne hanno sfamato intere popolazioni del nostro Paese.

“ Quando sarai nella valle scoprirai un grande segreto: non appena la luna sarà a picco sull’albero, sentirai uno strano sgretolarsi di vetri, e un sibilo assordante provenire dal cielo. Sui rami di ghiaccio appariranno, come stelle, fiori azzurri. Tutti insieme, nella loro breve vita, si stringeranno l’uno all’altro, fino a diventare due grandi occhi che ti sorrideranno. In quello sguardo che arriverà al profondo della tua anima, riconoscerai Lui in tutta la Sua grandezza. La Sua verità, la Sua bontà, la Sua potenza. Quel breve tempo dei fiori azzurri durerà un’eternità, e quei due occhi, che per un attimo ti guarderanno, non li dimenticherai mai più”.