LE
ALPI APUANE:
Dopo
le Dolomiti del Gruppo di Brenta, in
questa giornata afosa di luglio, siamo saliti fin quassù al massiccio
appenninico delle chiare forme alpine aspre e dirupate ( non per nulla gli è
stato dato il nome di “Alpi” Apuane) separa tre regioni dalle individualità
ben precise: la Lunigiana, la Carfagnana e la Versilia.
A
Pontremoli, abbiamo lasciato l’Autostrada della Cisa e ci siamo immessi
su di una strada comunale che porta al vertice del massiccio e al Santuario
della “ Madonna del Monte”, il più antico della Lunigiana e della provincia
di Massa Carrara. Questa di oggi, non è una escursione come quelle che siamo
abituati di fare quasi tutte le domeniche, ma é una giornata di riflessione e
anche di festeggiamenti a carattere familiare: festeggiamo il mio 74 esimo
genetliaco, anche se con un mese di
ritardo, ma per festeggiare una ricorrenza non si è mai in ritardo, sebbene
ognuno di noi, non accetta volentieri gli anni che passano, ma questa è la
realtà della vita.
La
strada sale ripida e con molti tornanti, che in principio attraversa piccoli
villaggi, grumi di case barbicati nel costone, delimitati da piccoli orti e
oliveti, ma man mano che sale, le case si fanno sempre più rare ed il bosco di
castagni di alto fusto invadono perfino la strada, facendola diventare una
galleria di frescura dove le piante formano un tutt’uno con la strada.
Il
paesaggio è praticamente annullato dalle fronde vaporose di queste secolari
piante, che per millenni, hanno sfamato la popolazione locale.
L’appartata
Lunigiana.
Il
nome di questa regione ( che corrisponde all’alta e media valle del fiume
Magra) deriva dall’antica colonia romana di Luni, fondata nel 177 a.C. Il
paesaggio è abbastanza accidentato: solo qualche ristretta fascia alluvionale
orla i maggiori corsi d’acqua; limitate sono anche le aree collinari. I
valichi che mettono in comunicazione la valle con regioni limitrofe le
hanno riservato una notevole funzione di transito: il fondovalle principale
infatti percorso da importanti vie di comunicazione, fra cui l’Autostrada
della Cisa
La
Madonna del Monte
Per
il momento, tralasciamo di fare la cronaca della regione e delle Alpi Apuani, e
cerchiamo di parlare della località
più suggestiva del Centro Italia, m.992 sul mare, dal “ Vertice Montis” di
Mulazzo che domina la valle del Magra fino al Mar Tirreno, che dista solo 15
chilometri dall’Autostrada della Cisa ( casello di Pontremoli). Il Santuario
della Madonna del Monte (Mulazzo, provincia di Massa Carrara), è una località
che una volta in vita bisogna raggiungere e contemplare: una località tale che
dopo un primo incontro, vi si ritorna: per vedere, capire e gustare, come è
successo a Tiziana, la nostra “Principessa”, che è rimasta impressionata di
questa magica località montana.
Su
quella bellissima località di montagna, dove l’occhio spazia in un paesaggio
meraviglioso, oltre ad un grumo di case e all’ottimo ristorante: “Il
Rustichello”, gestito dai simpatici fratelli Pino e Fernando, che non sono
“toscanacci” ma dei liguri
veraci, trapiantati nella verde Lunigiana. In quel Ristorante, immerso fra i
castagneti, abbiamo festeggiato il
mio compleanno e soprattutto abbiamo scoperto la bella storia del Santuario
della Madonna del Monte di Mulazzo, che è stato incluso nel novero delle Chiese
dove si può lucrare l’indulgenza plenaria del Giubileo del 2000, ha una
storia molto antica, anche se corredata da una scarsa documentazione.
La
Storia.
Come
al nostro solito, abbiamo indagato sulla storia di questo santuario e nella
nostra piccola indagine, è emerso che il primo documento che si conosce è
del 1282 e presenta il Santuario come “ cella” monastica benedettina
alle dipendenze dell’Abbazia di S. Andrea di Borzone presso Chiavari. Il
convento, che sorgeva in una zona di grande importanza strategica, funzionava
anche da ospizio e da rifugio per i viandanti. La vita monastica cessò verso
alla fine del ‘400, quando il Santuario passò sotto la giurisdizione dei
marchesi Malaspina, signori di Mulazzo, e vi restò fino alla fine del secolo
scorso. Il 2 luglio 1877 il santuario fu sottomesso, quale oratorio, alla
parrocchia di Pozzo.
Ora
il Santuario del Monte è Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto con Decreto
del Ministro dell’Interno in data 11 ottobre 1986, col titolo di Parrocchia
Santuario Madonna del Monte - Mulazzo, con un proprio territorio - che comprende
oltre il Monte della Madonna, la frazione “ La Crocetta” e “ Chiascola”
- e con un proprio archivio parrocchiale.
Non
si fa fatica a riconoscere la sua costruzione, che presenta carattere romanico.
Il
porticato ed il basso campanile in fronte richiamano lo stile di alcune
costruzioni d’oltre Alpe. Abbiamo
constatato che dietro l’altare
dell’attuale Santuario è incisa sul muro la data del 1302 che molti ritennero
probabile anno della fondazione della Chiesa stessa: tale data invece potrebbe,
ciò non è una nostra intuizione, ma lo studio di esperti studiosi, ma potrebbe
coincidere con l’ampliamento della “ cella” benedettina così come altre
due date ( una del 1502, rilevabile ai piedi di un bassorilievo che raffigura la
Madonna col Bambino e un’altra del 1505 incisa sull’architrave della porta).
La parte più antica del Santuario mostra
i resti di una costruzione a pietre ben squadrate e murate senza calce. Tale
costruzione, ci richiama alla Chiesa Romanica che sorge in località Castello di
Andora, che molti anni fa visitammo spesso ed era meta di lunghe passeggiate
nella pineta in cerca di funghi, quando
la nostra “Principessa” era piccolina e noi, appunto abitavamo, per motivi
del nostro servizio istituzionale, a Marina di Andora.
Dopo
quest’inciso rievocativo, ritorniamo a descrivere l’interno del Santuario del Monte. Abbiamo osservato che
all’interno di questa Chiesa, le nude pareti conducono all’altare dominato
dalla copia della Madonna col Bambino. L’originale, di fattura artigianale in
stile bizantino, come apprendiamo da
una pubblicazione, è stato oggetto di un furto sacrilego il 23 luglio 1979, il
grave fatto avvenne mentre si svolgeva, dal 17 al 23 luglio ‘79, la “
Peregrinatio Mariae” nella parrocchia di Filattiera (MS).
Il
Santuario fu ed è sempre meta di pellegrinaggi: un tempo i pellegrini salivano
a piedi, come del resto succedeva anche in altre località, recitando il Santo
Rosario e di notte riposavano sotto il porticato della Chiesa. Oggi si sale al
Santuario in macchina, come abbiamo fatto anche noi in questa bellissima
giornata d’estate. Come ci dicono i
fratelli Pino e Fernando, proprietari
e gestori del “Ristorante il Rustichello”,
l’affluenza al Santuario è notevole da Pasqua a settembre e vi si celebrano
feste solenni il giorno dopo Pasqua, l’Ascensione del Signore, il 2 luglio (
festa del voto), L’Assunta e i pellegrinaggi dei sei 13 mensili di Fatima dal
13 maggio al 13 settembre di ogni anno alla Madonna del Monte, con la
conclusione il 13 ottobre a Groppoli chiesa “ Madonna di Fatima”.
Ci
siamo domandati, perché il Santuario più antico della Lunigiana sorse proprio
sulla cima di questo monte?
La
risposta delle origini di questa
costruzione su questa montagna di un verde lussureggiante, che poi non è altro
che un balcone panoramico sul Mar Tirreno, sono circondate da una antica
leggenda. Però, come in tutte queste storie, vi è un racconto popolare che
parla di un uomo genovese che, accusato ingiustamente di omicidio, come spesso
succedeva nel Medio Evo e anche nella nostra Epoca, si diede alla macchia,
oltrepassò il monte Cornoviglio e scese verso Mulazzo, dimorò dei Malaspina.
Si fermò a dormire sul crinale del monte che sovrasta il paese di Mulazzo. In
sogno avrebbe visto la Madonna che lo rassicurava sulla sua sorte. Al suo
risveglio al mattino, vide una “mistà”, che alla sera non aveva notato.
Quel giorno l’uomo fu avvisato che le accuse nei suo confronti erano cadute.
Quel fatto destò sorpresa negli abitanti dei paesi vicini. Gli abitanti di
Mulazzo, Pozzo, Busatica, Castagnetoli, Montereggio e Parana, con il consenso
dei Malaspina che misero a disposizione il terreno, decisero di erigere, nel
luogo dove l’uomo aveva trascorso la notte, una chiesa votiva, ma la leggenda
continua: gli operai addetti alla costruzione
della chiesa, alla fine della giornata lavorativa, riponevano
accuratamente nascosti gli attrezzi di lavoro. Con sorpresa il giorno dopo non
li trovavano più. Questo accadde due o tre volte, finché gli operai decisero
di scoprire chi rubava gli attrezzi. Una sera si appostarono, non colsero
nessuno in fragrante, ma all'imbrunire videro una bianca colomba dirigersi sugli
attrezzi e poi volare sulla sommità del monte sopra Pozzo. Un gruppo di persone
per scoprire il mistero la segui, e, giunti sulla cima dove avevano visto
dirigersi la colomba, trovarono gli attrezzi da lavoro allineati sull’erba. La
cosa destò impressione, alla fine si pensò che forse era la Madonna a volere
la sua chiesetta in quel luogo. Così fu scelto il “ vertice montis” il
luogo dove erigere il santuario.
Il
nostro Paese è disseminato di storie e di leggende come questa a sfondo
religioso o profano, artistico e umano. L’Italia è un Paese piccolissimo, con
tremila anni di storia, dove ogni luogo, ogni pietra sono carichi di simboli e
di ricordi e noi, camminiamo su di un tappeto di foglie morte, dove è sepolta
la nostra storia e il nostro passato, le nostre radici e la nostra fede
religiosa. Come abbiamo potuto osservare nei nostri continui spostamenti, nelle
nostre escursioni, abbiamo potuto
constatare che ogni singola regione
è un microcosmo. Per esempio, la Lombardia, dove noi oggi viviamo felicemente,
ha i colossi innevati e la grande pianura nebbiosa. Il Trentino - Alto Adige le
sue montagne dolomitiche che tutto il mondo ci invidia. La
verde Toscana, con le montagne di marmo e coste coperte di pini. La
Sicilia le rocce nere di Catania e il maestoso Etna e quelle miele di Palermo,
mentre Messina ha il meraviglioso Stretto
e di fronte a Milazzo, punteggiano il grande mare dell’arcipelago delle Eolie,
con i suoi piccoli “giganti fumanti”. Quelle isole di fuoco, non sono altro
che le preziose pietre che il dio
Eolo, che ha staccato dalla collana
e gettato a ventaglio intorno alla Sicilia, che ancora oggi, sono come le vide
Ulisse. E , su questo territorio variegato, sono cresciute, nell’arco dei
millenni, le civiltà greca, etrusca, romana, bizantina, medioevale,
rinascimentale, barocca, moderna, città Stato e imperi.
Una
bellezza in miniatura, vulnerabile dal turismo di massa. Che, perfino
quando non costruisce niente, ne altera comunque lo spirito.
Perché
il Cristianesimo, anche se muore, poi risorge?
Sicuramente,
nel periodo del Medio evo, nel nostro Paese vi era più fede religiosa, ma
soprattutto più apparizioni, leggende,
narrazioni di fatti, specialmente di argomento storico o religioso, arricchiti
dalla fantasia popolare di elementi immaginari e meravigliosi. Molti Santuari,
più importanti o meno importanti di questo della Madonna del Monte, sono
entrati nella leggenda.
Monsignore
Maggiolini, nel suo ultimo libro: “ La fine della nostra cristianità” .
Egli osserva che la società si sta scristianizzando e che, se continua così,
il Cristianesimo potrà addirittura scomparire dall’Italia. Il sociologo
Francesco Alberoni, così si
esprime in merito: “ Mi pare impossibile. Sta sparendo, è vero, una certa
pratica religiosa, i dogmi perdono di importanza e viene dimenticato il
catechismo. Ma il Cristianesimo, una volta entrato, lascia nel cuore degli
uomini una strana, indelebile speranza; quella nella redenzione etica del mondo.
Nei
Vangeli, Gesù annuncia l’avvento del regno di Dio. Allora ogni colpa sarà
perdonata, ogni male eliminato, gli affamati verranno saziati e il sorriso
spunterà sulle labbra di chi piange. E questa trasformazione incomincia ad
apparire già con la sua presenza sulla terra. Egli, infatti, predica e pratica
un ordine morale trascendente”.
A
questo proposito, rammentiamo le pagine del
Vangelo, e nella “parabola delle vigne”, il padrone da a tutti lo
stesso salario, ai primi come agli ultimi, facendo valere la sua bontà contro
la logica meritocratica del mondo. In un’altra condanna, con una generosità
non umana, un immenso debito di 10 mila talenti ( un talento equivaleva a 6ooo
denari) al suo servo che, invece, esige la restituzione di 100 denari ( un
denaro era la paga giornaliera di un bracciante agricolo) dal suo compagno. In
quella del “Figliol prodigo”, il padre non solo perdona le colpe commesse,
ma accoglie il figlio dilapidatore festeggiandolo. E’ una bontà
inconcepibile, al di fuori degli schemi del comportamento umano. E questo stesso
tipo di bontà Gesù l’attua praticamente. Perdona l’adultera prima di
chiedere il pentimento e la salva dalla lapidazione rischiando la sua vita. E,
come strada per il regno, dice: “ Non giudicare, porgi l’altra guancia, ama
il tuo nemico”.
Egli
non lascia una “Legge” dettagliata come la Toràh ebraica e la Sharia
islamica, ma un ideale trascendente. Nessun cristiano, perciò, può
considerarsi “ giusto” o “ salvo”. Ma non può nemmeno ignorare il male,
perché Gesù si contrappone esplicitamente a Satana, “ il principe del
mondo”. Risultato: il Cristianesimo è una religione complessa, difficile, che
si presta a molte interpretazioni e divergenze. Ma è inconfondibile proprio
perché ha al suo centro quella promessa, quell’ideale sublime. Se gli uomini
lo dimenticano, se non credono più, non cercano più, non sperano più nella
trasfigurazione della natura umana, il Cristianesimo si eclissa. Se lo
ritrovano, rinasce.
Perciò
il Cristianesimo è scomparso nelle guerre quando abbiamo compiuto atti
spaventosi contro gente come noi. E’ scomparso nella caccia alle streghe,
nella persecuzione degli eretici. E’ scomparso nei massacri delle rivoluzioni
francese e russa, nei campi di sterminio tedeschi e sovietici. Scompare quando
ci facciamo accecare dall’avidità, dall’invidia e dalla vendetta. Quando
inganniamo, falsifichiamo i fatti. Quando ci appelliamo alla legge e alle
istituzioni dimenticando lo spirito che le ha generate. Perché, nel cuore delle
istituzioni dell’Occidente, anche quelle laiche, c’è, quasi sempre,
l’ideale di fratellanza, giustizia e verità che ha trovato la sua espressione
nelle parole e nell’esempio di
Gesù Cristo.
Visto
in questa prospettiva, il Cristianesimo è già morto molte volte, e continua a
morire oggi. Però è rinato altrettante volte e continua a rinascere. E, morto
fra i cristiani e fra i non cristiani, è rinato e rinasce fra i cristiani e fra
i non cristiani.
Forse
sarà stata l’aria fina del monte sopra Pozzo che ci ha aperto la testa,
facendo lievitare la fantasia; forse sarà stato quel mondo lunare con le sue
montagne bianche di marmo, con sullo
sfondo il cielo che si fondeva all’orizzonte
con il mare; non so: l’idea scaturì spontanea, una tentazione, come al mio
solito, di indagare sull’origine del Santuario della Madonna del Monte, e poi,
per completare il resto, ci ha dato una mano l’articolo del sociologo
Francesco Alberone, che ha scritto
appunto sul Cristianesimo.
Il
marmo di Michelangelo
Lasciamo
il campo religioso, perché mi sembra di essermi allungato un po' troppo, e
ritorniamo a parlare del paesaggio fantastico della verde Toscana, con le
cave di marmo che punteggiano il costone
da dove si gode una vista
favolosa e mozzafiato.
Al
di sopra dei “ravaneti” ( bianchi mantelli detritici accumulati in secoli di
lavoro dagli scalpellini e dalla polvere pirica) si aprono sui versanti delle
Apuane 320 cave ( un miglio considerando anche quelle abbandonate): uno dei
maggiori complessi marmiferi europei. Gamma di colori: dal nero di Colonnata al
bianco splendente di Carrara, dal persichino al bardiglio, dal paonazzo al
cipollino. Marmi già noti ai romani che a Luni imbarcavano i blocchi fatti
scivolare a valle sulle vie di “lizza”, e ben cari a Michelangelo, che dal
Monte Altissimo aprì una strada fino al mare per i marmi destinati a decorare
la facciata di S. Lorenzo in Firenze. Alle vie di “lizza” e ai lunghi traini
animali si sono oggi sostituiti teleferiche, strade ferrare e carrozzabili. E
anche la tecnica romana e medioevale di estrazione per mezzo di cunei di legno e
scalpelli, o quella più moderna della polvere pirica, è stata soppiantata dal
filo elicoidale.
Il
ricordo delle cave
Mentre
con la mia famiglia sostavamo sul promontorio del Monte, il mio pensiero e il
ricordo di queste cave di marmo, mi portano indietro nel tempo e mi fanno
rammentare la bellissima escursione con gli amici del CAI di Mantova. Dopo di
aver attraversato gole profonde, boschi di castagno, borghi e villaggi dell’età
medioevale che sono arroccati sui piccoli pianori; e poi stradine e tranquille
cittadine. Un ambiente sereno, dove i boschi si fondono armoniosamente con le
zone coltivate. Quei luoghi sono una meraviglia, una cosa fantastica; si
spalancava fra le rocce d’un bel grigio azzurro, spaccate, squarciate dalle
mine che avevano messo a nudo le viscere bianche. Il marmo usciva dalla terra
rossa, così candido che abbagliava. Avevamo una vista completa dal bacino Mac
Guire. Nella zona che interessava la nostra escursione c’erano almeno una
quindicina di cave tutt’intorno, grandi e piccole, collegate da strade,
vagoncini Decauville, lizze, teleferiche. Alcune, su in alto, erano appena una
ferita; la più grande, in basso, era immensa. Ricordo che a lato di
quest’ultima cava, ce nera una più piccola, una cava abbandonata da molti
anni. E’ stato lì, che ci siamo fermati per fare un piccolo spuntino e un
meritato riposo, perché i sentieri da quelle parti, salgono ripidi verso la
vetta e quindi, sono molto faticosi. Le mine ed il filo elicoidale avevano
lavorato bene dentro, lo squarcio era alto non meno
di cento metri, largo il doppio, e anche ben profondo, slabbrato,
rosseggiante, con i blocchi bianchi che venivano fuori, sui quali s’accaniva
una moltitudine di operai. Specie sul piazzale centrale, bianco di polvere e di
massi di marmo in attesa d’essere trasportati, c’era un fervore,
un’alacrità che si comunicava a tutto l’anfiteatro. L’aria era
attraversata dal ronzio fitto del filo elicoidale, il martellio di centinaia di
strumenti non aveva posa.
La
nostra meta era la cima dell’Altissimo, ma noi, cioè io ed Adriana mia moglie
ed altri nostri amici, ci siamo fermati nei paraggi di questa immensa cava
marmifera. Un signore, dell’apparente età di circa 60 anni, che era
addetto alle teleferiche, ci ha
riferito, che se volessimo raggiungere la cima dell’Altissimo, ci avrebbe dato
una mano. L’avremmo raggiunta salendo di cava in cava. La prima teleferica
passava sopra un vallone selvaggio, con una sola gittata, terminando a una cava
mezza abbandonata. Era una teleferica assai rudimentale, usata per il trasporto,
quando non avevano voglia di salire a piedi. Andava ad acqua. Un cassone pieno
faveva scendere col suo peso il carrello superiore, e tirava su il carrello
inferiore che trasportava, oltre al materiale, un cassone vuoto. Adriana e le
altre signore che facevano parte del gruppo, hanno avuto paura di salire su
quelle teleferiche all’apparenza fatiscenti o medioevali. Erano teleferiche
vecchie ma funzionanti. La nostra piccola squadra, una decima di escursionisti
in tutto, ha preferito di sostare nei paraggi delle cave abbandonate e poi
discendere dal sentiero che eravamo saliti. Comunque, per noi, che non avevamo
mai visto da vicino una cava, è stata una bellissima esperienza.
Il
ristorante sul Monte Mulazzo.
Attorno
alla villetta del Ristorante, “Il
Rustichello” vi è arroccato il piccolo borgo antico, delimitato da crinali,
pianori e meravigliosi boschi. Quello è un ambiente sereno, un luogo di pace
dove regna la tranquillità, dove i boschi si fondono armoniosamente con i
piccoli orti e i prati verdi. Adriana, lo ha definito un luogo veramente adatto
per stare in compagnia e in pace con il creato. Quasi attaccato alla montagna e
un po' staccato dal piccolo grumo di case del villaggio, che ospita soltanto
dodici abitanti, sorge appunto il ristorante :
un ristorante su prenotazione ed è molto ricercato per le sue specialità
“Porchetta e cinghiale allo
spiedo con funghi porcini”, nonché salumi e formaggi caprini di produzione locale, il tutto innaffiato da un “Chianti rosé”.
Non è stato un vero e proprio banchetto il nostro, ma un pranzetto sobrio e
alla buona e poi, è stato un
motivo di più per dire, facciamo un giorno di festa in compagnia, tanto per
fare qualcosa, per evadere dalla calura della Valle Padana, che in questo
periodo di grande afosità, è resa invivibile, mentre quassù, a mille metri di
quota, l’aria è fresca e la vita
è più vivibile.
Dopo
il pranzo, siamo usciti per una breve passeggiata fra i boschi, con il pretesto
di trovare dei funghi, ma i funghi non si trovano sul sentiero e poi, bisogna
essere bravi esperti per non avere dopo delle brutte conseguenze. I funghi li
abbiamo trovati, ma sul banchetto della contadina che li aveva raccolti nei
boschi e che li vendevano ai bordi dell’Autostrada della Cisa. Ne
volevamo comperare alcuni, come pure dell’ottimo formaggio caprino per
portato a casa, ma non ci siamo fermati ed abbiamo preferito proseguire la
nostra corsa.
Dal
vertice del Monte, la cosa più bella che un turista possa ammirare è il
meraviglioso paesaggio: un paesaggio pittura, da dove l’occhio spazia
all’infinito fra cielo monti e vallate, intuendo che oltre la grande valle di
Pontremoli vi era il mare.
Immaginavamo che da quella posizione, se guardi verso destra, si apre una
Liguria inaspettata: orti chiusi da muri a secco, vigne alternate a oliveti e
rari cipressi, case a grappolo sotto un campanile aguzzo o preziosamente
barocco. Bastano dieci minuti di macchina e subito dopo Aulla, una breve
arrampicata sulle colline di Sarzana ed ecco la Riviera
di Levante, ed ecco ritrovato il ritmo sereno della Liguria quasi
mitologica che fu dei turisti e dei letterati inglesi dell’Ottocento. Qui, nel
Medioevo, prosperava una società contadina e pastorale, come quella che abbiamo
trovato nella Valle del Magra con Pontremoli. Oggi si assiste al dramma del
progressivo spopolamento.
Anche
quassù al Santuario della Madonna del Monte, succede la stessa cosa: i piccoli
villaggi barbicati sul costone, sono quasi abbandonati ed esiste il dramma dello
spopolamento come nella vicina Liguria. E pensare, che questi sono luoghi
incantevoli, luoghi dove l’uomo possa trovare la sua giusta dimensione. Ma
vivere quassù, su queste montagne lussureggianti e nella parte opposta le
montagne bianche di marmo, non ci sono prospettive per il presente e per il
futuro dei giovani. Ricordo gli uomini imbruttiti dalla fatica in quelle
gallerie dove si estraeva “l’oro bianco”: il marmo di Carrara. Rivedo
ancora il canalone centrale del monte, sforacchiato, straziato dalle cave dei
Mac Guire, vecchie e nuove, che si aprivano nei suoi fianchi; i fili elicoidali
tesi da una riva all’altra, i cavi delle teleferiche, i canapi delle lizze, le
ruote metalliche che giravano, ronzavano. Poi incominciava un andirivieni di
sentieri, scale, gallerie, che di terrazza in terrazza a picco sulla testa. Di
tanto in tanto, vedevo uscire dalle viscere della terra anche dei giovani che
sembravano vecchi, imbruttiti dal pesante lavoro. A fare il minatore da quelle
parti si incomincia da ragazzi, perché altrimenti
non vi sono altre prospettive di vita. Nelle piccole piazzette dei villaggi, ho
visto tante lapidi, lastre di marmo bianco con incisi i nomi dei caduti nelle
gallerie. Molti di questi morti, erano appunto ragazzi. Ecco spiegato l’arcano
dell’abbandono e dello spopolamento di questi borghi montani, aspri e
selvaggi. Quassù, rimangono soltanto le
donne e gli anziani, i pastori e le capre.
La
nostra passeggiata nei boschi è terminata su di una piazzola panoramica. Da
quella posizione una striscia
azzurra appariva all’orizzonte, larga, uguale, oltre la quale c’era
il mare! Il mare! Adriana rideva. Tiziana spalancava la bocca per
riprendere fiato, allungava il collo fuori della blusa quasi scollata. E come mi
sentivo debole sotto i suoi occhi castani pieni di stupore, che mi guardavano
sotto un ciuffo di capelli colorati svolazzanti dall’aria frizzante della
montagna. Con un filo di voce, mi ha detto: “ Tanti auguri “gatto”, si,
perché, la mia “principessa”, non mi ha mai chiamato papà.
Prima
di lasciare il sacro Monte, abbiamo piegato il ginocchio davanti alla Vergine
Maria, e abbiamo pregato nel solo modo che noi sappiamo pregare:
“
Oh Madonna benedetta, dolce padrona del monte, fra i fiori gialli e bianchi
blocchi e montagne di marmo, dove si vede il mare brillare nella sera che muore.
Fra odore di erbe aromatiche, di funghi e di castagne, dolci ricordi sciolgono
il nodo alla gola che hai avuto nel giorno. Quassù, fra questa verde montagna,
c’è un posto dove si spegne la malinconia come il sole nel mare e ti senti
libero sotto la tua protezione, e ti sembra che sei ritornato, ragazzo, a
giocare fra le cose perdute nel tempo.
C’è
il tuo piccolo tempio in cima a questa montagna da non scordare mai perché tra
i fiori gialli della sera, ritrovi il dolce incanto della felicità e della
preghiera”.
Il
sole era ancora alto nel cielo, ma grandi nuvoloni scuri venivano spinte dal
vento tiepido verso est. Di tanto in tanto, si sentiva un tuono lontano, quello
era un segnale inequivocabile: il temporale si stava avvicinando. Quando abbiamo
salutato il Signor Pino e Fernando, incominciavano a cadere le prime
gocce d’acqua.