Chi è Silvia Geraci?

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Stanata dal cesareo è nata a Carini (PA) il 16/04/82 da subito diffidente, misantropa e incontentabile. Silvia ha occupato l'infanzia a leggere e "giocare a partire", attività che l'accompagnano tutt'ora nella forma di continui traslochi emotivi. Scritta la prima storia a sei anni, non ha quasi mai smesso, ritraendosi dal racconto, al monologo, alla poesia. Attualmente passa il tempo a disgustarsi del mondo, inginocchiarsi di fronte alla bellezza, e indignarsi della morte. Studiare da tre anni Filosofia non l'ha aiutata, ma lei ne è contentissima





 

 

 > Il rapporto con l'amare
> Marco
Lasciati dire
che a volte
non ti sai guardato:
è allora
che vorrei spiegare,
e non posso,
e gioco solo a mimare parole
con lo sguardo che non ti lascia.

E tu allora
sei ben più del gesto
di quel momento:
sei tutti i tuoi occhi
e tutti i tuoi dolori
hai pelle rugosa e di bambino,
sei la tua stessa vita
per me inscenata.

E' allora che mi penso
come un trenino
che a due anni non hai avuto,
o come per te scarpa,
o sentiero.
E mi prende il bisogno
d'esserti una stagione buona,
la pienezza senza noia di una festa,
una musica nuova
di note e tempi ancora mai pensati
cha incanti l'antico serpente, il divenire
e ti renda libero dall'irreversibile.

O essere quel gioco insensato
di linee e raggi nel fogliame
che infinita l'attimo e ti fa indugiare,
per la bellezza.

Vorrei che non mi riconoscessi
se ispessissi l'orizzonte
per nasconderti l'assenza della meta
e conservare l'entusiasmo al navigare.
E celare i fili,
se dalle fessure rimaste
tra le palpebre anziane
tu vedessi ancora
le mie collane colorate danzare
a riempire il cielo,
davanti la tua casa a mare,
e la tua mente
a distoglierla dal tuo finire.

Vorrei esserti poi
memoria viva dei tuoi occhi
in cui riluca la coscienza
per sempre, e il tuo pensare

 

> Aletheia
Cercavo
sotto veli di pietra
un profilo greco.

Ma è un rivelarsi
di sfoglie di visi cubisti
e tra le pieghe sdrucite
degli zigomi
un pullulare malsano.

Persino la tua chitarra
di curve nette
lucenti
è ora una seppia gonfia
che si trascina
sfaldandosi.

E' un attimo:
appare
scompare
si rivela
di garza sterile.

Se rivedo sbattere
i nostri corpi
non hanno più il suono
del leggero scuotersi
delle farfalle.
 
> Devozione
Brandelli a stracci
sporchi di trucco
perlacei e chiassosi
li ho scacciati
li ho scuciti di dosso.

Nuda e devota
a capo rasato
mi sono presentata a noi.

Nel chiostro degli abbracci
ai fiati di cioccolata
è apparso un pozzo di calore
sa di umido e di muschi
e un bambino vi si avvolge.

La tua pelle
mi serve per coprirmi

quando rabbrividisco
a soffi di là fuori
sul mio pallore e le sue crepe,

e non ti riconosco.

 

> Mani
Mani sospese
a volute
arpeggiano silenzi
e sgranano l'aria
come lunga treccia buia.

Col tonfo
della pomice sull'acqua
potrei farle sparire,
le mani,
strisciare acuminate
dietro il sipario,
attutite da velluti.

Armonie decorate
e compiaciute,
le mie,
che celano
solo silenziosi
moti armonici,
indolenti
nel farsi inghiottire.

Avrei voluto vederle
le mani
battere su un pianoforte,
come prostitute,
a precipizio,
noncuranti di eteree lacerazioni.

Ma il palmo è caldo,
è una conca
e le tue guance
si riversano come latte:

e ti tengo nelle mani
perchè tu non senta mai
rivoli di te colare.
 
> 12/nov (sciogliersi)
E' un ricadere stupefatto
come braccia
di peso abbandonate,

il penzolare inerte
delle estremità dei nostri nodi.

Lo spazio sibila un ritessere
prima che si smemorino incaute
le vie del riallacciarsi.

Ma s'impiglia il passo
su mari di maglie slabbrate,
e l'orizzonte infessurato
non si riesce a srotolare.

Volge alla fine
questo giorno d'autunno,
si fanno di buio
gli abbracci rossi della vite.

Ed io posso
accompagnarti
solo per un tratto
nel tuo tumefatto
cambio di stagione.
 
> Palermo
C'è un mezzo metro
di casa
tra il mio braccio e il tuo
mentre camminiamo accanto
come per caso.

E' inverno
e Palermo
si volta per noi
frusciante di sete.

Luccica
violacea,
è sera,
ha pendenti
di cristallo
e plastica colorata
a festoni tra gli alberi,
tergicristalli
come ventagli,
e sonagli
di clacson.

Prende il sole
dei faretti allucianti
sotto tendoni rossi,
cercando l'odore di alghe secche
dei pescivendoli.

Dalle pasticcerie infiocchettate
scivola denso
un odore di martorana
pungente
che si mescola al gelo,
sbuffi di caffettiere
come il vapore dei nostri fiati,
e il tintinnio delle tazzine
come frammenti di ghiaccio
che ci cadono negli occhi.

 

> Settembre
Riportami,
settembre lì gronda
di terra scura
profumano le rocce mentre vi sprofondano.
I campi screpolati di sterpaglie
si gonfiano come seni
al gocciolare degli ultimi bagnanti.

Tu sei ancora lì
e trattieni tutto
nell'otre dei tuoi occhi di creta.
Soffia aria di menta,
e si copre di cotone la pelle brunata;
la nostra estate svanisce.

La notte però
il mare ancora sbianca di luna
e ti rotoli nell'argento
della battigia
come quando c'ero anch'io.

E' l'acqua che adesso
ti cinge le gambe
e t'inscurisce la schiena.

La voce sente il buio,
eppure parli ancora,
incalzato dall'urlio frusciante del mare.

 

> Orfeo mancato
Mistura di umori e narcisi:
l' odore che semini
all'allontanarti.

E' il mio fiato
ammorbato di sabbia
a sospingerti via,
vela di carta piegata.

Ma le mie dita
affondano
nel tuo palmo
ti stiro
ti tendo
come arco,
corda di chitarra.

Attendati,
ti costringo
a una radura provvisoria
per risuonare ancora
chissà quanto.

Resta,
vattene,
Orfeo mancato
che commuovi
e incenerisci anche
i petali legnosi delle pigne.
 
> Bivio morto
Cigolii di nostalgia sospetta

in questa notte
e calzari immobili,
i miei,
sospesi
con ali di gesso.

Radici incerte
avvinghiano i passi
a questo bivio morto.

Ed eventi attesi
che non verranno.

Ho in mano lame
rivolte contro te
che pendi dal mio seno.

Giro e rigiro
il loro luccichio che tenta.

Fili di carne ci uniscono.
 

 


 I limoni occhieggiano tra le foglie scure e luminose, come gocce di sole raggrumato, pendono come oro povero di una terra che si sfa nella luce. Ma i limoni, dalle crepe nella buccia spessa, spruzzano sul viso lo stupore dell'aspro, un colare nascosto che perfora chi li assaggia, brucia di gelo e resta. Raccogliendo le gocce aspre celebri del passato, vogliamo seguirne i solchi tracciati, stillando anche noi un succo quasi sempre scomodo e inatteso

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