E vestiti, ancora, dalla
valigia al letto,dal letto al pavimento. La stanza invasa,e loro come
auto-generati insinuano ansia,quasi a non finire. Finché ci sono, attendono,
e le mani non possono che prenderli,sentire le pieghe che offendono le
forme,smentiscono le ore passate ad adattarsi ad un corpo. E ora sotto le
dita sono sottili come fotografie, pieni di rughe, alcuni accartocciati,
altri avvolti con cura,esito di finte rabbie e finto ordine.
La fatica di dar loro la forma da valigia, illusione di forma.
Corpi bidimensionali sono, ora, e nient'altro,mentre lei li svolge
piano,niente di meno,non riescono ad essere niente di meno per occhi che
sensualmente seguono le dita a percorrere ogni piega,che si chiudono stretti
se il viso affonda in una manica, a inseguire l'odore di armadio umido.
Corpi bidimensionali, silenzi allusivi, macchie come testimonianze.
Tutto sul letto,a terra ciò che va lavato, e la valigia vuota,anzi
svuotata,campeggia come una bocca sdentata e cadente,va messa via nel
buio,dietro una porta,per non sentire le sue accuse.
Sbatte lei stessa i denti qualche volta, inghiottendo, tornando a sentire la
stanza intorno a sè. Lei e una valigia. Lei dentro una valigia,o al
contrario. Lei, una valigia.
Via le scarpe,piedi sul pavimento freddo,aderiscono le superfici, si sente
la polvere, le mattonelle spizzicate. E guarda intorno. Nella penombra delle
serrande abbassate a metà sul balconcino, entrano raggi netti e obliqui,
polverosi da ogni singola fessura.
Il soffitto troppo alto in un angolo s'increspa e si scurisce, umidità. Alle
pareti è appoggiata qualche sedia in vimini, un comò dallo specchio
macchiato sta accanto ad un armadio enorme con intarsi,e riempie la stanza
un letto senza lenzuola, con i materassi nudi naturalmente gonfi e grigio
rosa,come malati. Un ritratto molto scuro copre mezza parete, si percepisce
appena un viso tra le volute nere di sfondo e vestito. Dall'altro lato,
sopra il letto,una Madonna con bambino senza cornice. Dalla porta
s'intravede solo il muro del corridoio, ma si percepiscono innumerevoli
camere e pareti, si immaginano divani bordeaux biancastri di polvere, tende
pesanti, tende impalpabili, balconcini salvati da gerani,con il tubo per
innaffiare, lettini a castello in stanze senz'altri mobili, saloni come
vetrine, con tavoli tondi dai piedi scolpiti, poltroncine e cuscini verde
chiaro, a fiorellini scuri,credenze e centrini.
Silenzio di cicale sui rami più alti dei pini che giocano a spezzare i
raggi,a creare ombre ondeggianti sul cortile,e graffio di aghi trascinati
dallo scirocco nella stanza attraverso lo spiraglio del balcone. Silenzio da
sguardo che si posa,da mente che si muove e sguscia e rotola tra pareti e
cassetti e infissi,da corpo che riposa nel caldo del primo pomeriggio. Lei
potrebbe smettere di respirare per ridursi a quell'immobilità,se non
decidesse di raccogliere i capelli lunghi sulla nuca; intravedendo il
proprio collo sullo specchio del comò, torna con lo sguardo alla Madonna
sopra il letto che scopre un seno e un figlio,le guarda gli occhi il petto
il collo la bocca. Non le piace quell'accoglienza. Un collo troppo bianco,
quello. E occhi miti fino al rimprovero. I propri come fessure lucide,
palpebre semichiuse evidenti allo specchio.
Pantaloni e gonne a destra,magliette al centro,vestiti eleganti come
promesse mancate da cullare,consolare, reggiseni e mutandine più
sopra,costumi più in basso... prende un reggiseno da biancheria intima e
quello di un costume. Ancora una volta,qual è la differenza? E cerca nel
primo le garanzie della salvezza dalla banalità, dell'eccitazione che non si
spegne,di mani che tremano nel sfiorarlo. Reggiseni. Un nome nato da un uso,
nato da un corpo, organismo coperto da pelle (e distrattamente si siede sui
grandi materassi), femminile come maschile in fondo, dov'è il confine, dove
nasce l'emozione,cosa fa di un corpo un mistico altro da sé, cosa fa di un
contatto una carezza, cosa fa dell'epidermide la superficie di una bellezza
lontana a cui attingere a occhi bassi?
Domande che erano state di ogni sera, ora pensate in una casa estranea. No,
non era un vero ritorno dalle vacanze questo, eppure erano lontanissime dopo
un centinaio di kilometri di viaggio. Forse lo spazio non ha il potere di
generare fratture, lei si dice, forse la continuità è possibile. Inutile...
la sensazione è del presente come un'eterna anticamera delle nostalgia,
cumuli con cime invivibili, dispersione di pensieri come figli di prostitute
in pezzi di mondo distanti. E oggi i tratti del viso non si abbandonano un
attimo ad occhi fidati, a spazi consueti. I suoi piedi però stanno nudi e
indifesi su quel pavimento ignoto... eppure. Eppure non l'aveva già bagnata
a tradimento quella stanza, non aveva minato quell'estraneità la sua ora
passata lì dentro, i suoi pensieri?
Sul materasso il fosso della sua valigia. Nell'immagine futura, nel ricordo
che avrà di quelle mura c'è il proprio corpo che vi si muove. S'imprimerà
anche questo gesto,la tinge d'assurdo... quattro passi sulle punte, un balzo
nella stanza,il pavimento trema, sottile, spaventata dal rumore della
propria presenza si appoggia al comò. Due manate sul letto per riprendere
confidenza, polvere a sbuffi netti che si alza, resta sospesa, quattro passi
sulle punte anche lei.
La borsa del mare, svapora ancora odore di alghe secche e pelle bruciata,
pigrizia salmastra. Ai piedi del grande letto, il proprio telo disteso, e
come in rassegna le sue notti. Voglia di coprirsi, di riavvolgersi, di
evocare immagini a suo comando e da sola, in una solitudine libera dalla
competizione di quell'enorme letto, di quello specchio giallo, di
quell'immaginetta bianca, sola, riuscendosi a guardare di nuovo con gli
occhi di lui.
Adesso tutto nei cassetti, in fretta. Dietro l'armadio c'è una sdraio gialla
,di legno e tela,che cigola aprendosi. Un braccio abbandonato nel sonno
dondola e sfiora il pavimento. |