Da bravo fan storico delle
serie mutanti quali sono, ho atteso con ansia l'arrivo di questa nuova
serie scritta dal deus ex machina Chris Claremont. Per chi non conoscesse
tale nome, dico solo che Chris ha scritto a partire dagli anni '70 la serie
Uncanny
X-Men e vari suoi spin off (Wolverine, New Mutants, Excalibur...),
creando un intero universo vasto e coerente che si rivelò una vera
miniera d'oro per la Marvel (e scusate se è poco). Purtroppo
negli anni '90 un dissidio apparentemente insormontabile sul futuro delle
collane lo spinse ad abbandonare la casa della meraviglie, gettando un
certo scompiglio tra i lettori affezionati alla sua visione dei personaggi
che aveva creato ed evoluto nel corso degli anni. Ora Chris è tornato,
e dopo una breve parentesi alla guida delle due testate storiche Uncanny
e X-Men, gli è stata affidata una nuova serie completamente libera
da ogni tipo di imposizione, nella quale evolvere la propria concezione
degli eroi in questione. Il numero in oggetto è il quarto
della serie, e rappresenta una sorta di punto di riflessione dopo tre storie
quasi interamente incentrate sull'azione. Proprio questa nuova netta distinzione
tra azione e riflessione, così marcata in questa serie, ha disorientato
inizialmente i fan storici, più legati ad una narrazione equilibrata
ed equamente distribuita tra azione e introspezione. La storia si apre
con la reintroduzione di uno dei personaggi più amati delle
storie mutanti, ovvero Gambit, il ladro cajun. |
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Contemporaneamente assistiamo
alle reazioni dei vari personaggi alla morte di Psylocke, avvenuta nel
numero scorso. Dalle riflessioni di uno degli X-Men, Alfiere, veniamo quindi
lentamente introdotti in quella dimensione onirica tanto cara al Claremont
di un tempo, che ne aveva fatto una delle colonne portanti della serie
sul finire degli anni '80. L'aspetto più |
interessante della storia
è certamente l'assenza totale di scontri. Non limitato dalla
loro pesante presenza, lo scrittore si sente più libero di esplorare
la psicologia di questi pur sempre suoi personaggi sui quali non lavorava
da quasi dieci anni. Ed è sorprendente notare come sembri non avere
perso il tocco, riuscendo a calibrare i dialoghi sul singolo senza interferire
con la narrazione della vicenda. Non può non far riflettere la sensazione
di familiarità che queste caratterizzazioni rievocano, laddove nelle
varie gestioni passate gran parte di essi non riusciva ad allontanarsi
da uno stereotipo che nel tempo era stato cucito loro addosso. Rogue la
ragazzina sensibile, Alfiere il duro soldato, Tempesta la leader incapace
di amare. Pure i personaggi nuovi sembrano svolgere elegantemente il loro
compito, salvo forse il nuovo Thunderbird sul quale nutro ancora diverse
perplessità. |
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Passando ai disegni sottolineo
che continua l'esperimento della Marvel di evitare la chinatura delle tavole,
colorando direttamente i disegni a matita. Gli effetti sono soddisfacenti,
in particolare il taglio meno netto delle immagini favorisce l'effetto
onirico della narrazione. Ciononostante soprattutto nei particolari più
piccoli si sente la mancanza di un tratto più marcato. Per quanto
riguarda il disegnatore, ammetto di non essere un gran estimatore di Salvador
Larroca. Trovo molto belli i suoi disegni, ma tendenzialmente "omologati"
allo standard Image (ovvero disegni molto "cool"), che rende bene
in pin up e pose plastiche, ma tende a soffrire in quanto ad espressività.
Lo stesso storytelling di Larroca mi sembra il punto debole di questa serie,
che forse meriterebbe un disegnatore meno preciso e più capace di
adattarsi allo stile narrativo dell'autore. Tornando a quest'ultimo, un
paio di precisazioni sul suo modo di scrivere. |
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Se conoscete Claremont,
sapete che i suoi scritti sono caratterizzati da una presenza esasperante
di dialoghi e da pesanti didascalie. Questa serie non fa eccezione. Ma
mentre per i primi si può parlare di semplice scelta stilistica,
supportata anche dal fatto che i dialoghi stessi |
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non risultano mai banali
o superflui, le didascalie sembrano tradire una fiducia limitata da parte
dello scrittore nelle capacità artistiche del matitista. In molti
casi infatti le azioni dei personaggi vengono descritte nei minimi particolari,
appesantendone di fatto la lettura e rendendo superflui i disegni stessi.
Mi auguro che il rapporto a stretto contatto aiuti gli autori a coordinare
questo aspetto delle loro storie. Oltre alla verbosità, tratto caratteristico
dello scrivere di Claremont è la costruzione di trame a largo |
respiro, le cui conseguenze
sono riscontrabili solo ad anni di distanza. E se un tempo tale effetto
a lungo termine veniva mitigato dalla pubblicazione intensiva a cui le
serie mutanti erano sottoposte, oggigiorno le ventidue pagine mensili possono
rivelarsi una vera tortura per i lettori più esigenti e meno pazienti.
Può inoltre risultare seccante per molti dei nuovi lettori, a digiuno
dalle epopee mutanti, il doversi confrontare con i richiami continui a
venti anni di storie passate. Se però si compie lo sforzo di superare
lo scoglio iniziale, accettando di poter comprendere solo una parte dei
riferimenti, ben presto la storia in sè coinvolge al punto da sentirsi
da sempre profondi conoscitori delle vicende
X, supportati in questo
anche dal sempre valido supporto redazionale fornito dall'ineguagliabile
Luca
Scatasta. Evito volontariamente ogni confronto valoriale con la serie
New X-Men, scritta da Grant Morrison e pubblicata mensilmente sulla
rivista Gli Incredibili X-Men. Per loro stessa natura si tratta
di prodotti profondamente |
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diversi e destinati a pubblici
diversi, o meglio in un'ottica di marketing, destinati a soddisfare bisogni
diversi dello stesso pubblico. Laddove X-Treme X-Men esplora la
psicologia dei personaggi storici e li destina a nuove vicende pur sempre
di chiaro stampo supereroistico, la serie New X-Men si preoccupa di ridefinire
concetti quali quello di mutante e di eroe, affronta tematiche pacifiste
e getta uno sguardo innovativo all'interazione dei mutanti con il mondo
che li circonda. Due approcci diametralmente opposti, tra i quali però
non è possibile individuarne uno preferibile o migliore in senso
assoluto. Resto però dell'avviso che all'alternanza azione/ introspezione
del nuovo Claremont sia preferibile un più armonioso equilibrio,
che non trasmetta un senso di smarrita insoddisfazione al lettore occasionale
curioso di comprendere le ragioni di un successo decennale. Non posso che
consigliare questa lettura a chi non ha mai letto storie degli X-Men e
soprattutto a chi, magari proprio dopo l'abbandono di Claremont, lasciò
la serie. |
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In essa ritroverete i canoni
di una narrazione attenta ed acuta, capace di esplorare gli infiniti aspetti
dell'animo umano e di esaltare la funzione più tipicamente leggendaria
del supereroe.
Giugno 02 |