La verità si troverebbe
nel mezzo. Nient’affatto. Solo nella profondità.- Arthur Schnitzler
Il ragazzo
che leggeva Grant Morrison
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Sino ai 15 anni, contrariamente
ai suoi amici e coetanei, non aveva mai avuto un mito. Non un cantante,
non un calciatore, non un personaggio famoso da ammirare, sognare ed emulare.
Tutto ciò, verosimilmente, era dovuto ad una certa fiducia di fondo
nelle sue capacità, all’immatura voglia di apparire più maturo
degli altri ed al troppo lento incremento delle sue conoscenze. In sostanza,
aveva un ego smisurato ed una scarsissima cultura generale, caratteri che
mal si sposano con l’adolescenziale adorazione per le star. Poi, un’estate,
la fulminazione: Invisibles. Chiuso in camera sua a leggere, steso o appollaiato
in posizioni improbabili sul divano, ne divorò avidamente i tredici
volumi in meno di un mese. Il fatto che si trattasse di un fumetto evidentemente
ricchissimo di significati, spunti di ricerca e materiale di riflessione,
unito al non averci capito |
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assolutamente nulla,
lo eccitò a tal punto che decise a tavolino di fare dell’autore
di una simile opera, Grant Morrison, il proprio idolo: d’altra parte, nessuno
mai prima d’allora era riuscito ad invogliarlo con tanto magnetismo alla
meditazione, all’uso dell’LSD ed allo studio di altre culture (non necessariamente
in quest’ordine). Cominciava persino a sentirsi attratto dai libri, ed
avvertiva l’impulso ad ampliare i propri orizzonti musicali e cinematografici,
ma d’altronde era un ragazzo che non cedeva tanto facilmente alle lusinghe
delle tentazioni, e perciò si guardò bene dal lasciarsene
ghermire, anche stavolta. Ad oggi, è passato quasi un anno dall’illuminazione,
e non solo l’imberbe fanciullo continua a seguire con immutata passione
le gesta narratorie di quella che considera la sua guida spirituale non
ufficiale, ma porta avanti una sana venerazione per il |
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Maestro e per le
sue opere, e non dimentica il progetto di un pellegrinaggio a Glasgow,
città natale dello scrittore. Tuttavia, siccome non è completamente
ottuso dalla propria infatuazione, ha scelto di non abbracciarsi ciecamente
a ciò che, col tempo, potrebbe rivelarsi una bufala, e tiene zelantemente
sotto stretto monitoraggio la creatività contenutistica e linguistica
dell’unico autore di fumetti che vorrebbe sinceramente veder assurgere
ad icona della cultura pop. A suo dire, è un piacere farlo. Nonostante
impegni tutta la propria volontà per non essere prevenuto nell’avvicinarsi
alle storie di Morrison, infatti, non passa pagina senza che un fremito
gli corra lungo la schiena, e la consacrazione a vate dello scozzese più
fascinoso dopo Sean Connery prosegue incrollabile, divellendo ogni ostacolo
lungo la strada. Avere un simile culto e trattenersi dal diffonderne |
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il verbo è umanamente
impossibile, e così il ragazzo che leggeva Grant Morrison non può
esimersi dal provare a rendere partecipi del suo entusiasmo i propri conoscenti.
Ad esempio, quando gli viene oziosamente domandato per quale ragione si
senta così coinvolto da quell’artista in particolare, risponde che
mentirebbe, se sostenesse che per lui il creatore di gioielli come Il Mistero
di Dio o Flex Mentallo non è genericamente un genio, e più
propriamente un autore eclettico, carismatico ed immaginifico, ripetitivo
solo nello stupirlo e nell’esaltarlo con idee deflagranti e simbolismi
mirati a consentire per ogni suo lavoro più |
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livelli di lettura. Naturalmente,
aggiunge sempre che mentirebbe in egual misura se non ammettesse che le
abilità dell’attuale sceneggiatore di New X-Men vanno molto oltre
il rapido e scarno tratteggio che ne ha dato. Un modo come un altro per
implorare tacitamente l’interlocutore di chiedere di più, di pretendere
spiegazioni approfondite, di dichiararsi pronto a fare un giro sui carboni
ardenti pur di farsi prestare un’opera di quel tanto decantato poeta pop.
Ma c’è poco da fare, e la discussione non riesce nemmeno a trascinarsi
al di là del primo, infimo, traguardo. Ci sarebbe da uscire frustrati
da continue esperienze di questo genere, ma la fede permette di resistere
a questo ed altro, ed un giorno, si augura il ragazzo, tutti comprenderanno
la gloria di Grant Morrison. Nell’attesa, il giovincello parla di se stesso
in terza persona e, non sapendo far altro che |
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predicare ai convertiti,
ha deciso di condividere con il pubblico di alcuni siti che trattano di
fumetti le riflessioni e gli spunti di discussione che gli sono stati suggeriti
dal primo anno e mezzo di impiego del poliedrico scozzese sulla più
venduta serie mutante del momento.
Impressioni sparse – e un po’ convulse
– su New X-Men
Sergej Bubka, saltatore con l’asta,
stabilì primati su primati facendosi alzare l’asticella di un centimetro
alla volta, nonostante avesse la consapevolezza di poter saltare molto
oltre. Grant Morrison ragiona |
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alla stessa maniera, e questa filosofia
del non tentare l’exploit inconsulto ad ogni occasione, pur passando di
record in record, è qualcosa cui bisogna plaudere senza indugi,
in quanto giova a tutte le parti in causa: se l’autore può permettersi
di convogliare i propri sforzi su pochi punti focali, sviluppandoli globalmente,
il lettore avrà vita facile e felice nel concentrare solo su di
essi la propria puntuale attenzione, per poi avere una più agevole
visione d’insieme del fumetto stesso, che dal canto suo risulterà
armonicamente omogeneo, pur nella sua screziatura. In sostanza, questo
ineffabile scrittore ha colto l’essenza del fumetto seriale e l’ha messa
in bella mostra: che l’intento sia filantropico, didattico o autocelebrativo,
a noi poco importa. A voler approfondire la problematica della concezione
che il britannico dal multiforme ingegno ha del fumetto mensile (quando
non addirittura quindicinale), vengono rapidamente a galla le diverse componenti
che lo scozzese ha ritenuto opportuno |
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inserire nel suo ciclo di New X-Men
affinchè avesse un successo giustificato dalla qualità del
prodotto. In primo luogo, ha compreso la necessità di mantenere
costanti tra un episodio e l’altro direzione e verso del fluire della vicenda,
non consentendole in alcuna occasione di deviare durante la propria corsa,
in modo da non costringere il lettore a ripassare periodicamente l’accaduto
per non perdere il filo dell’intreccio. Niente fill-in, niente episodi
unicamente retrospettivi o introspettivi, che dilapidino la tensione accumulatasi
in precedenza: se lo scioglimento della trama si allontana nel tempo, è
solo perché accadono nuovi eventi imprevisti, secondo una struttura
narrativa a gradini, non perché le spiegazioni vengano posticipate
di alcuni mesi al fine esclusivo di allungare il brodo e vendere di più
con meno fatica. Altra intuizione di rilievo, in merito all’adeguamento
delle storie alla loro periodicità, è l’introduzione nel
fumetto di una tecnica di regia che si potrebbe definire di presa diretta
in pseudo-soggettiva di gruppo: in |
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modo quasi spiazzante, invece di
descrivere momento per momento ciò che avviene in ogni luogo dove
siano presenti mutanti, Morrison sbatte spesso davanti al lettore il fatto
compiuto, comunicato attraverso le parole dei personaggi, oppure solo sottinteso
e destinato ad essere desunto da fattori esterni. Da ciò e dall’assenza
di flashback, ellissi o sbalzi temporali superiori alle poche ore all’interno
dei singoli episodi, con assoluta naturalezza e posto per assunto che il
tempo nell’universo Marvel scorre più lentamente che nella realtà,
scaturisce l’impressione che ogni numero di New X-Men racconti gli avvenimenti
susseguitisi in un certo lasso di tempo, diciamo la giornata stessa in
cui il fumetto viene pubblicato, e che a noi non sia dato conoscere direttamente
quanto prodottosi nel frattempo. È evidente che questo metodo di
affrontare una narrazione destinata ad una pubblicazione cadenzata getta
le proprie basi nella coerenza e coesione di atmosfere, personaggi e situazioni
tra un numero ed il |
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successivo, offrendo peraltro ragione
di digressione verso la dibattuta questione della continuity: premesso
infatti che essa è indispensabile alla conservazione dell’identità
stessa del fumetto americano, migliaia di storie da conoscere a menadito
per poter raccontare la propria sono un deterrente immotivato per qualunque
autore scelga di accostarsi ad una serie complessa come X-Men; pertanto,
lo scrittore britannico ha risolutamente preferito orientare la fucina
della propria inventiva in direzione della costituzione di presupposti
che potessero dare origine ad una nuova epopea, destinata indistintamente
a vecchi e nuovi fruitori, caratterizzata da una ferrea continuity interna
alla gestione particolare. Ma la destituzione d’importanza di un’azione
di pedante adesione alla tradizione precedente non è l’unico punto
di attrito fra lo sceneggiatore dal lucente cranio rasato e certo genere
di fan. Non di rado e con alterne motivazioni, infatti, gli si muove la
critica di stare scrivendo degli Ultimate X-Men, piuttosto che degli |
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X-Men: un simile apprezzamento,
contrariamente ai propositi di chi ne è convinto assertore, dimostra
che è avvenuto il pieno raggiungimento degli obiettivi che lo scozzese
si era prefisso, e che quindi i suoi mutanti sono perfetti interpreti del
mondo attuale. Nel tanto contestato Morrison Manifesto, per l’appunto,
tralasciando i passi nello specifico, il concetto di fondo era la demistificazione.
Per ottenerla, a mio parere, le strade possibili da seguire erano due:
o collocare gli X-Men in un contesto di realismo e quotidianità
da letteratura del secolo scorso, privandosi però di una vasta gamma
di alternative, oppure sfruttare integralmente la sospensione dell’incredulità
del lettore. È lampante quale linea sia stata seguita in New X-Men:
dalle ceneri di quarant’anni di storie e dal pizzico di senso del concreto
che può essere utile al progetto, è stata plasmata una realtà
spassionatamente fantascientifica ed aliena alla nostra, che tuttavia appare
come perfettamente credibile a chi le si avvicina, al |
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punto da essere facile all’immedesimazione.
Questo perché la primapenna del parco-testate mutante è riuscito
a sviluppare un cast di comprimari folto e funzionale alle storie raccontate,
un clima di generale evoluzione rispetto al passato, nuove nemesi, nuovi
conflitti interni ed esterni ad ogni singolo personaggio ed al gruppo in
toto, ed ha imposto un ritmo serrato alla narrazione, con continui colpi
di genio, numerosi cambi di inquadratura e passaggi repentini e sincopati
da una scena all’altra. Complessivamente, quindi, la vera abilità
dello scozzese si è manifestata nella conduzione dell’operazione
di riabilitazione di un gruppo di supereroi che aveva perso la memoria
di |
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se stesso: le rivoluzioni apportate
ex novo da Morrison, infatti, non sono state tante quante le modifiche
a ciò che già c’era ma mal funzionava, attraverso un’attenta
e consapevole trasformazione delle potenze in atti. La visuale profondamente
critica che l’autore ha dovuto adottare nel rapportarsi a personaggi ormai
dotati di vita propria lo ha convinto della convenienza – se non addirittura
dell’ineluttabilità – di conservare invariate le tematiche di fondo,
pur alleggerendole delle appendici cancrenose che avevano portato al declino
di quella che era stata la punta di diamante qualitativa (e quantitativa)
della produzione Marvel per decenni. Nel concreto, gli X-Men sono sempre
stati degli emarginati, e nelle loro storie è sempre stata presente
– talvolta in modo spropositato e ridondante o assurdamente innaturale
– la problematica del razzismo. Con il nuovo millennio, l’apertura delle
frontiere, la globalizzazione ed internet (e faccio questo elenco con tono
lucidamente qualunquista), era quasi |
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venuto a cadere il momento “pedagogico”
nelle avventure dei figli dell’atomo, e di conseguenza il nuovo sceneggiatore,
conscio dell’esigenza di mantenere il comic book ancorato ad un solido
messaggio, ha ampliato il concetto di diversità abbassandolo di
livello, inserendo finalmente nella scuola di Westchester mutanti raccapriccianti,
insostenibili alla vista, al tatto o all’olfatto. Riassumendo, la New X-Men
di Grant Morrison ha numerosi motivi di esistere: oltre ad essere una serie
prodiga di innovatorii aspetti programmatici, racconta – con innegabile
classe e soffusa ironia, per giunta – storie intriganti e mozzafiato, popolate
di personaggi peculiarmente caratterizzati, in grado di trasmettere emozioni
e modelli di pensiero mai scontati, mai stereotipati e soprattutto mai
statici. In sostanza, infatti, è proprio il dinamismo ad impregnare
ogni vignetta di questo fumetto, ed a far crescere di attimo in attimo
nel |
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lettore l’ansia di arrivare
all’ultima pagina “per vedere come va a finire”, e poi riprendere daccapo
a leggere con la stessa passione di prima, ma stavolta con la mente attenta
a cogliere ogni finezza dispensata dall’autore, e l’orecchio teso ad auscultare
la vita che pulsa tra le fibre della carta stampata.
Youngest
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giugno 2003 - logo titolo: Janquito |