di BRIAN
MICHAEL BENDIS e ASHLEY WOOD - su SPAWN - Cult Comics
Una
non-recensione per un non-fumetto: analisi di un non-racconto.
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L'eclettico
Brian
Michael Bendis stupisce sempre di più. Stupisce prima di tutto
per la disinvoltura con cui passa da un genere di fumetti ad un altro mantenendo
un approccio con la narrazione sempre personale e mai banale. Ma stupisce
ancora di più per la straordinaria capacità di rendere vivi
i suoi personaggi nel modo più semplice possibile, ossia tramite
i dialoghi. Bendis non scrive didascalie che descrivano cosa stia succedendo
nella storia che ci sta raccontando. Non perde tempo (suo e nostro) ad
illustrarci i pensieri degli attori della stessa. Non ci impone
la sua presenza come narratore onniscente. Egli si limita a far
parlare i suoi personaggi... e lo fa in maniera magistrale, riuscendo a
descrivere, illustrare e commentare una storia usando esclusivamente le
loro parole. Proprio come succede in questo Hellspawn, serie nata
come contraltare di "Spawn" che Todd McFarlane, il suo creatore,
ha voluto per aggiungere una dimensione adulta alle vicende del
suo personaggio. Per questo l'ha affidata proprio a Bendis, che già |
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con "Sam
e Twitch" gli aveva dimostrato di saper trattare temi inconsueti con
un taglio che poco aveva a che vedere con le altre produzioni TMP,
da sempre legate (più o meno) alla tradizione della fumettistica
seriale supereroistica. Lo scrittore di Cleveland ha deciso di proporre
un fumetto assolutamente anomalo per la produzione mainstream USA, un prodotto
che denota maggiori affinità con il formato del Libro Illustrato
piuttosto che con quello classico del Comic Book. Non è casuale,
infatti, che quelle di Ashley Wood siano indicate nei credits come,
appunto, illustrazioni... e non come disegni. Così come non appare
casuale nemmeno la scelta stessa del talentuoso pittore-illustratore australiano
per cercare di dare forma alla sceneggiatura. Essendo questa basata in
maniera esclusiva sui dialoghi era necessario che la parte grafica fosse
affidata a qualcuno che riuscisse a distillare immagini dotate della profondità
necessaria per sopperire alle (volute) mancanze formali del testo. Un supporto
grafico che deve fungere più da commento al testo stesso che non
da suo |
naturale complemento...
e Wood riesce perfettamente nell'intento regalandoci veri pezzi di bravura,
alternando svariate tecniche di lavorazione e modificando continuamente
le sue scelte stilistiche (facendosi oltretutto
aiutare, in un albo,
da quel Bill Sienkiewicz che è stato un vero e proprio apripista
per questo genere di artisti). L'interazione tra scrittore ed illustratore
produce in questo caso un effetto quasi distopico, con una particolarissima
struttura ad incastro dove i loro ruoli si vengono ad accavallare l'uno
all'altro.
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Bendis e Wood,
quindi, si alternano a raccontare, ma è sicuramente merito
dello scrittore (e della sua brillante sceneggiatura) se tutto questo riesce
ad avere un aspetto omogeneo ed una resa piacevole ed interessante. Anche
in questa serie, infatti, risaltano decisamente quelle che sono le caratteristiche
principali dello stile di Bendis. Alla rarefazione delle infrastrutture
tipicamente fumettistiche (emblematica ed esemplare l'assenza dei balloons
in gran parte dell'opera) corrisponde una condensazione narrativa fortemente
caratterizzata da contaminazioni cinematografiche, vista la continua alternanza
di campi e controcampi, flashback e voci fuori campo e visto l'uso frequente
di immagini e situazioni diacroniche e non-diegetiche. Un esempio lo abbiamo
con quella che sta diventando una sua peculiare caratteristica, davvero
unica nel mondo dei comics. Molto spesso le pagine dei suoi albi sono contraddistinte
dalla reiterazione della stessa vignetta a cui viene cambiata esclusivamente
la parte testuale. Ma anche quando vi sono piccoli cambiamenti grafici,
l'impressione è che l'autore voglia |
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veramente
proporci una visione
cinematografica della storia che ha in mente,
approfittando delle possibilità offerte dal montaggio e dal cosiddetto
effetto-Kulesov(*).
Non mi sembra esagerato, perciò, parlare di quest'opera, e di altre
dello stesso autore, come di un film disegnato. E non mi sembra
un caso che questa definizione la si possa adattare solo alle sue produzioni
meno vincolate ai canoni del fumetto supereroistico. In quei casi il suo
approccio cambia radicalmente e Bendis si concentra sull'uso personale
di tecniche narrative tradizionali. In opere come questa Hellspawn,
invece, emerge completamente la sua straordinaria capacità di creare
la narrazione quasi dal nulla, sfruttando i poteri magicamente evocativi
delle parole parlate come un illusionista farebbe con conigli e colombe.
E sono proprio illusioni quelle che il (parole sue) "ragazzo di Cleveland
precocemente pelato" ci propone in questa serie... non propriamente
racconti. Le sue storie non procedono linearmente ma si sviluppano con
intricate ramificazioni che gli permettono di eseguire i suoi giochi di
prestigio con i tempi ed i ritmi della narrazione, dilatata e contratta
a suo piacimento a seconda |
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della situazione.
Illusioni... come le ombre che prendono vita sullo schermo cinematografico,
vero punto di riferimento dell'autore in opere come questa. E proprio le
ombre, metaforiche ma non solo, sono le protagoniste di questo atipico
fumetto che si propone di mostrarci il lato oscuro delle cose, di indagare
tra le pieghe di una realtà che troppo spesso viene mostrata solo
a colori, di farci riflettere sulle infinite possibili sfaccettature
dell'animo umano. Un fumetto impegnativo, impegnato e di non facile lettura,
in cui ad una evidente (ma voluta) mancanza di azione e narrazione fa da
contrasto un'attenzione maniacale per l'approfondimento degli aspetti sociali
e psicologici. Quasi stupisce trovare Bendis ancora alle prese col solo
medium fumettistico. Speriamo solo che le sue annunciate (ed inevitabili,
visto il suo stile) peregrinazioni nel mondo del cinema non gli facciano
dimenticare le sue origini... e continui a deliziarci con i suoi bellissimi
e personalissimi fumetti.
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(*)
Il regista russo Kulesov dimostrò negli anni '20 che montando più
volte un'unica immagine accostandola a diverse situazioni la percezione
degli spettatori della stessa immagine cambiava radicalmente a seconda
degli accostamenti, dimostrando così l'importanza del montaggio
e facendone il vero fulcro della narrazione cinematografica.
Giugno ‘02 |