Non so esattamente
quale sia il processo creativo di uno scrittore di fumetti. Non so in quanta
parte sia fondamentale l’ispirazione, o quanto divenga indispensabile l’esperienza
per ingannare il processo chimico dell’illuminazione e fare i conti con
un foglio bianco che reclama la sua degna trasfigurazione. Tutto quello
che so è che mi sento miseramente cieco, nell’accezione più
vasta del termine, quando leggo storie di questo tipo. Conosco Rhino
da sempre, fin dalle sue apparizioni come avversario di Hulk.
Per anni l’ho visto scorrazzare sulle varie testate cercando di incornare
il supereroe di turno. Questo era Rhino: quello che distruggeva le cose.
Nient’altro. Poi un giorno arriva Pete Milligan, guarda il character
e dice: “Ehi, qui c’è qualcosa che nessuno ha ancora tirato fuori.
Rhino ha qualcosa da dire!”.
E ora non
posso fare a meno di chiedermi quanto del risultato fosse racchiuso nel
Rhino originale, e quanto invece sia frutto della mente di Milligan, così
acutamente geniale nell’intravedere potenziale in un personaggio che chiunque
darebbe per spacciato in partenza. La storia di cui parlo, divisa in due
parti, è un interessante racconto lontano dalle |
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atmosfere
ragnesche, come ormai i lettori di Tangled Web (pubblicata su L’Uomo
Ragno nella traduzione italiana) saranno abituati a riscontrare.
L’apparizione del Ragno è limitata ad un paio di tavole, ed il suo
contributo alla storia è praticamente insignificante. Come il titolo
suggerisce, il vero protagonista è Rhino, nemico storico di
vari eroi Marvel su cui nessun autore si era mai soffermato,
limitandolo al ruolo di cattivo di turno senza pretese. Nel racconto assistiamo
ad un lento e progressivo dipanarsi del personaggio, colto nei suoi vari
aspetti quotidiani, impariamo a conoscerne qualità e difetti, attraverso
l’uso delle didascalie entriamo nei suoi stessi pensieri. Il Rhino che
ne emerge è un personaggio diverso dal grosso carrarmato che
conoscevamo, più simile ad un intrigante incrocio tra Elephantman
e Forrest Gump che al grigio supercriminale che si vantava della
possenza del suo corno (ogni riferimento sessuale è puramente casuale,
ovviamente: in quelle storie vigeva ancora il Comics Code…). Sotto
la scorza del duro rinoceronte batte il cuore di un essere puro, ingenuamente
lontano da concetti quali bene e male, fermamente vincolato all’unica cosa
che sa fare: rompere tutto ciò che incontra. Rhino è un idiota. |
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E’ questa
la ferma convinzione di Pete Milligan. Per quanto sia forte e robusto
il suo corpo, il suo cervello è tristemente incapace di reggere
un mediocre ragionamento. Ma non il suo cuore. Ed è proprio il suo
cuore, la sua sensibilità, a spingerlo a rivendicare una vita differente.
Una vita priva di ragni, lontana da inutili ed insensati scontri, lontana
da quella spessa armatura diventata opprimente quanto una grigia prigione.
L’uomo ricerca la sua dignità, che sente di aver perduto quando
ha permesso alla scienza di violare la sacralità del suo corpo rendendolo
forte, ma nello stesso tempo condannandolo ad un destino di solitudine.
E’ una crisi di mezza età, come l’autore stesso ci suggerisce, quella
che attanaglia Rhino. Causata da un amore impossibile, rafforzata dalla
crudele superficialità che media e Uomo Ragno gli riservano. Una
crisi che lo spinge sull’orlo di un baratro, proprio quando una folgorante
illuminazione lo spinge a compiere un atto altrettanto estremo, dagli esiti
forse non meno nefasti. Di ricorrere nuovamente alla scienza, nel tentativo
di rendersi adeguato alle pretese della mediocre normalità. Di riconquistare
con l’artificio una dignità che |
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sente non
essergli mai veramente appartenuta. Ovviamente non tutto è come
sembra, ed anche il più grande successo nasconde in sé l’ombra
del fallimento, e Rhino stesso dovrà imparare a sue spese quanto
la dignità sia un concetto effimero e lontano da quella comune accettazione
che tentava di raggiungere. In tutto questo percorso interiore, l’apparizione
del Ragno è superflua laddove non diventa addirittura deleteria,
dimostrandosi incapace di vedere in Rhino qualcosa di più del solito
supercriminale. Penso che dal mio tono entusiasta sia facile desumere quanto
abbia apprezzato questo racconto. Ed anche se è vero che gli autori
inglesi sono un po’ il mio punto debole, ritengo che oggettivamente ci
troviamo a discutere di una storia (e di una collana) che farà storia.
I disegni di Fegredo sono il degno complemento dei testi, lirici ed intensi,
assolutamente non supereroistici nella loro statica espressività.
Il prodotto nel suo complesso è un intelligente ed ispirata esplorazione
del concetto di |
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supercriminale,
al quale viene resa giustizia dopo anni di insulsi cialtroni in calzamaglia.
Un fumetto che si prende sul serio, se vogliamo, lontano dalla Marvel più
tradizionale e che forse strizza l’occhio alla Vertigo, o in generale
ad un approccio non scontato all’universo fumettistico. Continuo a trovare
intrigante questa commistione di stili e generi, che vede ne L’Uomo Ragno
la pubblicazione in contemporanea dell’Amazing |
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Spiderman
di Straczynski, il Peter Parker di Jenkins
e i
cicli di Tangled
Web di diversi autori. Paradossalmente il risultato è un prodotto
che potrebbe deludere chi ha una chiara idea di chi sia l’Uomo Ragno e
di quali siano le sue avventure, proprio per la sua atipicità. Sicuramente,
d’altro canto, un mix affascinante che dovrebbe essere preso in seria considerazione
da chi non si è mai avvicinato al Ragno temendone la ripetitività.
Un plauso alla Marvel per la crescente attenzione che dedica agli autori
ed alla libertà creativa che sembra finalmente disposta a concedere,
preferendo racconti ispirati ed interessanti a pedanti rivisitazioni e
approfondimenti della continuity ufficiale.
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agosto 02 |