E
COME EXTINZIONE
(OVVERO
M COME MORRISON)
GIXM
nuova serie numeri 17-18
Panini
Comics
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Come immagino
molti di voi là fuori nel mondo reale ben sapranno, con questo trittico
di storie Grant Morrison prende le redini dei mutanti di casa Marvel
pronto a condurli nel XXI secolo. Coadiuvato da un Frank Quitely
in splendida forma (e fortemente sinergico con gli sforzi dello scrittore),
quel Grant che molti di voi conosceranno per Animal Man o per i
suoi Invisibles pone in queste prime storie gli spunti per una gestione
lunga e significativa.
Prima di addentrarmi
nel vortice delle impressioni, due parole sullo stile dell'autore. Se avete
letto il suo ciclo su JLA per la DC, qui stenterete a riconoscerlo.
Rispetto a quella serie infatti, Grant ricorre ad una tecnica cinematografica
con l'abbandono quasi totale delle didascalie. Tutto ciò che avviene
è narrato attraverso i dialoghi o tramite l'uso dei dettagliatissimi
disegni di Quitely. Può darsi che questa sia solo una scelta dettata
dalla necessità di riavvicinarsi al blockbuster X-Men dell'anno
scorso, ma a mio avviso è un'espediente per trasmettere una maggiore
tridimensionalità dei personaggi stessi (non essendo filtrati dalle
didascalie sembrano più reali, quasi che il fumetto non sia una
storia inventata ma la semplice registrazione di eventi realmente accaduti).
Un po' come
accadeva per gli stessi Invisibles. Inoltre farà piacere a chi non
ha mai letto x-storie prima d'ora sapere che per scelta Morrison ha rinunciato
agli opprimenti richiami alla continuity: nel suo ciclo i personaggi agiranno
e al limite accenneranno ad eventi passati, ma sempre in modo da soddisfare
il vecchio fan cronofanatico senza spaventare il povero neofita cronopatico.
Ritornando alle storie in questione penso che la prima cosa che salti all'occhio
sia lo stravolgimento estetico della serie. Via i costumini in spandex,
le nuove uniformi nere ben sposano il clima di semioscurità che
ha avvolto gli X-Men. Il look dei vari personaggi è stato rivisto
e modernizzato, in alcuni casi abbruttito (penso in particolare alla nuova
Jean
Grey). Certamente non passa inosservata l'evoluzione dell'aspetto di
Bestia, fulcro della prima storia di questo trittico. Dopo lo shock iniziale,
veniamo lentamente introdotti in questi nuovi X-Men: attraverso dialoghi
misurati e mai ridondanti conosciamo i singoli personaggi, e le evoluzioni
dei loro rapporti nelle ultime settimane. I problemi coniugali di Jean
e Scott, la rinnovata ossessione pacifista di Xavier, le
problematiche relazionali della Bestia. In particolare mi ha stupito il
nuovo ruolo assegnato a Wolverine da Morrison: diviene la coscienza
del gruppo, l'elemento saggio in grado di valutarne obiettivamente le azioni
e di rilevarne le contraddizioni.
Ed attorno al
gruppo, il mondo là fuori. Ricorrendo alla suddetta tecnica cinematografica,
l'autore usa una serie di personaggi di contorno per introdurre le vicende
e per porre riflessioni fuori campo. Penso in particolare al personaggio
di John il brutto, punto di vista del "neofita" che quasi non conosce
gli X-Men. o al taxista di Westchester, con le sue opinioni da uomo di
strada. e perchè no alle stesse notizie diffuse da radio e tv, vere
voci fuori campo non per questo meno politiche nei loro aggiornamenti.
L'elemento centrale di tutta la storia è la filosofia di Xavier.
Più volte in passato questa è stata messa in discussione,
salvo poi tornare all'assioma che la pace si ottiene solo con la pace.
Ora sembra non essere più così. Per anni gli X-Men hanno
vissuto ai margini della società, rinchiusi nella loro villa-culla
(puro crepuscolarismo, se mi concedete la citazione). Pur minacciati dall'esterno,
da vari mutanti malvagi o umani razzisti, non hanno mai dovuto rinunciare
ai loro principi. Tutti i loro scontri si risolvevano in un confronto tra
ideologie, con l'assunto che la loro filosofia di non belligeranza
e di semplice resistenza dovesse trionfare. E questo andava bene finchè
gli avversari agivano secondo una propria moralità distorta. Ma
ora sulla scena si è affacciata una nuova generazione: quella che
in tributo a Morrison definirei "ipermutante".
Una generazione
caratterizzata non solo dai poteri superiori, ma da una diversa connotazione
morale. O meglio, dall'assenza di ogni moralità. Questo nuovo superuomo
(Nietzche vi dice niente?) non ha nessun interesse a confrontarsi con gli
x-men sulla loro filosofia. Vuole semplicemente l'estinzione della razza
mutante, e non ha nessun freno di sorta per ottenerla. Nessun ricordo doloroso,
nessun trauma infantile. Solo spietata determinazione al massacro.
Gli x-men
si ritrovano incapaci di reagire. Fosse per loro, il genere mutante sarebbe
già condannato. Nonostante la loro moralità sia stata ridimensionata
(penso all'eutanasia effettuata da Ciclope), la loro precisa intenzione
di agire in base a ciò che ritengono giusto li limita al ruolo di
sconfitti. Non appare quindi casuale che a risolvere la situazione sia
un'ex criminale, Emma Frost (centro nevralgico della squadra di
Morrison), da sempre caratterizzata da un'amoralità di fondo. Proprio
lei, come nuovo elemento del gruppo, segna il punto di rottura: non abbiamo
più come qualche anno fa criminali che si "convertivano" alla filosofia
di Xavier, ma gli x-men stessi (Xavier in testa) che si risvegliano
da un sogno comatoso. Non si possono affrontare i massacri con il sorriso,
non ci si può nascondere dietro a maschere di rispettabilità
quando si lascia che tutto ciò accada. Quello che gli x-men sono
stati in questi trent'anni viene velatamente suggerito essere pura ipocrisia.
Ed è per questo che Morrison sul finale spinge sull'acceleratore,
e pone le basi per quella che sarà la nuova filosofia mutante del
XXI secolo. E di più non dico, per non rovinarvi la sorpresa...
Giusto per dimostrare
che la storia l'ho letta, una riflessione estemporanea. Uno dei personaggi
di contorno usati da Morrison, il succitato John il brutto, ha lo
straordinario potere di avere "tre facce tutte come quella di un maiale".
La bruttezza, come elemento caratteristico, è sempre stata bandita
dagli eroi, anche da quelli più alternativi come appunto gli x-men.
Essere un x-man significa essere belli e potenti. e questo preconcetto
non viene applicato solo dall'esterno, ma per un gioco di specchi dagli
x-men stessi. Logan dà per scontato che John abbia un qualche potere
mutante, restio nell'accettare che quest'ultimo sia "solo" brutto. Ciò
spinge a riflettere sul dubbio significato della parola mutante: dovrebbe
incarnare tutte le diversità, ma lo fa esaltando la standardizzazione
della perfezione. La conseguenza che mi sarei aspettato sarebbe stata l'introduzione
di John nel gruppo, come emblema di quello che sono i mutanti.
Ma poi ho riflettuto...
se Morrison volesse invece dimostrarci che la standardizzazione della bellezza/potenza
nei fumetti è la stessa che applichiamo nella nostra vita, nella
scelta delle persone da frequentare, delle compagnie di cui circondarci?
A quel punto ho trovato logico nella sua verosimiglianza il destino di
John. E' proprio in questi dettagli che apprezzo l'operazione dell'autore:
non è semplice rivitalizzare una testata che sembrava non avere
più nulla da dire. E' ancor più complesso conciliare fan
di vecchia data con nuovi avventori, tutti con una chiara concezione di
come gli x-men dovrebbero essere, puntualmente pronti a disconoscere qualunque
scostamento dalla loro interpretazione dei personaggi. Sembra addirittura
impossibile riuscire a farlo scrivendo storie che abbiano realmente qualcosa
da dire, e non si perdano nei meandri della continuity mutante. Con questa
storia Morrison ci ha dimostrato cosa saranno i suoi x-men (o dovrei dire
m-men?):
a voi la scelta se rimpiangere un mito di altri tempi o accettare che le
cose cambino per tutti, anche per chi aveva fatto del cambiamento la propria
ragione d'essere.
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