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Avete mai letto L'Uomo Ragno? Uno dei personaggi più caratteristici del suo cast è sicuramente la vecchia zia May. Un'anziana vedova, maniacalmente attaccata al nipote Peter (l'Uomo Ragno!), che ha vissuto la sua intera vita editoriale svenendo, subendo infarti, entrando ed uscendo da infiniti ricoveri ospedalieri. Fornendo al pavido nipote una valida scusa per non rivelarle mai la sua identità segreta. A discapito di Peter ha sempre giocato pure il senso di colpa che lo attanaglia fin dal suo esordio: come rivelare all'amata zia di essere responsabile della morte del suo amato marito? Oggi, finalmente, il problema non si pone più. Dopo quarant'anni di imbrogli, sotterfugi, raggiri, morti presunte ed augurate, improbabili ritorni e inquietanti sostituzioni (sembra Beautiful, nevvero?), l'adorabile signora ha scoperto l'identità segreta del nipote. Colpo di scena fine a se stesso, diranno i più, sintomo di radicale evoluzione, sosterranno altri. Personalmente non mi interessa. Apprezzo però l'operazione, in quanto ci ha permesso di leggere "La conversazione", la storia dell'Uomo Ragno sceneggiata da Straczynski e disegnata dal solito John Romita Junior di cui mi accingo a parlare. Cosa aspettarsi dunque dalla storia in questione?
Io dalla vecchina mi sarei atteso un infarto, o perlomeno un bel mancamento. Una folle corsa all'ospedale, ed una bella dose di farmaci ad hoc dall'improbabile effetto collaterale di cancellarle la memoria a breve termine... Bè, questa era la Marvel di un tempo, spero concorderete. L'epoca d'oro e d'argento che non mi sogno di criticare o discutere, ma che ci ha cullato di queste piccole favole a fin di bene per garantire una certa stabilità alle proprie tenere creature. Oggi i tempi sono cambiati. May Parker non è la stessa May di allora. E non mi riferisco solo al taglio di capelli... Sarà anche malata di cuore, ma guardiamola bene: ha retto il peso della morte dei cognati, si è fatta carico senza battere ciglio del giovane Peter ed ha superato la morte di zio Ben, tirando su Peter da
sola. Ha dimostrato con fermezza la sua opposizione all'abbandono degli studi da parte di Peter, ma ha saputo più volte ascoltare e comprendere le ragioni del suo giovane ed incasinato nipote. Ha retto alle fallimentari relazioni con Octopus e Nathan Lubenski, senza mai perdere la speranza nel poter trovare un po' di felicità. Per non parlare poi del suo rapimento da parte di Goblin... L'idea di fragilità che generalmente le attribuiamo, secondo Straczynski, è il difetto di aver osservato per anni la questione dal punto di vista di Peter. Fiero del più recente revisionismo (ed alcuni particolari aggiunti sulla morte di zio Ben faranno certamente storcere il naso a qualcuno), finalmente questo alone di morte imminente abbandona il personaggio per restituirle una capacità reale di interazione. Onestamente mi sarei aspettato un tono cupo e melodrammatico per questa storia. Uno svarione strappalacrime pieno di rimpianti e recriminazioni, un nuovo senso di colpa su cui imbastire la complessata vita di Peter Parker. Ma Straczynski mi ha stupito. In questo racconto c'è emozione, ritmo, dialogo intelligente ed eloquenti silenzi. Una serie di montagne russe emotive, che alterna risate soffocate ad occhi lucidi al limite della commozione. Un dialogo lungo un racconto, senza sbavature e cadute di tono, sinonimo di una
sinonimo di una capacità narrativa che finalmente emerge in tutte le sue potenzialità. I personaggi trasudano dai dialoghi, crescono pezzo su pezzo ad ogni vignetta, si modellano dalla fredda creta ad ogni pagina voltata. Dov'è l'Uomo Ragno? Non c'è. Paradossalmente, Spidey sta diventando una presenza ingombrante nelle pagine di questa rivista. E' superfluo, real- mente privo di interesse. Sono così affascinanti il quadro psi- cologico di Peter Parker, l'efficace cast di comprimari tra i quali si muove e le sceneggiature prettamente urbane imbastite dai nuovi ragno-scrittori, che del costume non si sente affatto la mancanza. Il racconto segue uno schema attesa-rivelazione- -confessione-controrivelazione-catarsi finale tanto caro ai serial televisivi quanto ai dialoghi fumettistici più recenti. Ma non è l'originalità dello schema a colpire, come già accennato: bensì è la capacità dell'autore di proporre un menù già noto e di stupire con la qualità della sua preparazione. L'Uomo Ragno non sta solo diventando un bizzarro esperimento narrativo (la marginalizzazione del costume rispetto all'uomo), ma anche e forse soprattutto un fumetto realmente ben scritto. 
E' come se da qualche parte nella mente degli scrittori si fosse finalmente cancellata l'assurda convinzione che quelli con cui si trovano a trattare siano "solo" personaggi da fumetto. Esattamente come dal lato artistico le inquadrature si fanno sempre più precise ed efficaci, capaci di sottolineare il ritmo narrativo, le sceneggiature si snelliscono sempre più dei clichè fumettistici, dei riassunti ridicoli, delle pause di riflessione nei pensieri del personaggio nel bel mezzo di un dialogo serrato. Questo è cinema a fumetti, se mi passate il  termine. Le recenti trasposizioni cinematografiche, Spiderman su tutte, hanno evidenziato i punti in comune tra i due metodi 
espressivi. Cos'è d'altronde il fumetto, se non una serie di  fotogrammi in successione, che la mente ricostruisce immaginando di colmare gli spazi vuoti tra una vignetta e l'altra? Ecco quindi che scrittori come Straczynski, professionisti del piccolo schermo, scoprono che per scrivere fumetti non devono inventarsi una nuova professionalità. Prese le giuste misure, si ritrovano a lavorare con lo stesso media. Ma senza noiose questioni di budget da rispettare... Il dialogo tra Peter e sua zia, ovvero la storia in questione, è un cortometraggio in tutto e per tutto, che chiede solo alla nostra mente di schiacciare il pulsante play. Ma chi è il Peter che ne emerge? Difficile dirlo. Un uomo che ha vissuto nella menzogna, che per fare del bene a chi amava si è isolato in una torre d'avorio emotiva. Siamo poi realmente lontani dall'imbranato studentello liceale? Fino a questa storia, probabilmente no. I segreti, le vite alternative, sono sicuramente una metafora che Straczynski adotta ad hoc. Non fa forse parte del processo di crescita, della maturità, l'affrontare l'immagine che gli altri hanno di noi, anche a costo di perdere il confronto? Peter che continuava a fingere di essere solo ciò che sua zia avrebbe voluto fosse, non era forse un eterno adolescente che rifiutava di assumersi le reali responsabilità dell'essere adulto? Sicuramente, nel confronto, May ne esce vincitrice. E, sinceramente, perde gran parte dell'antipatia che le avevo riservato in tutti questi anni... 
Questo racconto è un vero punto di partenza, una svolta non per il fatto in sè (evento sin troppo rimandato), quanto per le conseguenze introspettive delineate in queste pagine. Va probabilmente inquadrata nel nuovo filone delle serie Marvel, e non stupisce che avvenga a poca distanza dell'outing compiuto dal capo degli X-Men, il professor Xavier, dichiarando all'umanità di essere un mutante. Una voglia di verità ma soprattutto di concretezza, che taglia trasversalmente tutte le più recenti produzioni supereroistiche: in qualche modo, per qualche strana ragione, questi buffi adolescenti in calzamaglia stanno diventando uomini. Si può concordare o meno con la tendenza generale, a seconda dei gusti personali, ma fintanto il tutto porterà a storie come questa, penso che onestamente non avremo nulla di cui lamentarci.

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settembre ‘02