23-O8-2006: VISITA a DUE ALLOGGI dell’
UNITE’ D’HABITATION di MARSIGLIA
Premessa:
Di seguito, è narrata
la visita ad un edificio celebre ed importante della storia dell’architettura,
che si chiama Unité d’habitation,
ovvero “Unità di abitazione”, ed è ad opera
dell’architetto francese Le Corbusier, che visse ed
operò nel secolo scorso, in Francia ed in tutto il mondo, ed è uno dei padri
dell’architettura moder-na. L’Unité è stata
realizzata tra il 1946 ed il 1952, e consiste in un grande edificio di
appartamenti di diver-sa disposizione e dimensioni, e prevalentemente
organizzati su due piani, connessi tramite una scalinata all’interno. Essi sono
integrati da alcuni servizi comuni, disponibili a tutti gli abitanti dell’edificio
e anche ad eventuali utenti esterni, come diversi negozi di prima necessità,
degli uffici, degli studi professionali, un albergo, delle sale comuni adibite
a diverso scopo. Tali servizi sono prevalentemente collocati al terzo piano
dell’edificio, che per questo riveste un ruolo particolarmente collettivo e
pubblico rispetto a tutti gli altri. Inoltre, sul tetto-terrazza si trovano
anche un asilo, una palestra, una pista per la corsa esterna e un teatro
all’aperto.
La visita si svolge in
due diversi alloggi, di disposizione spaziale opposta: nel primo si accede dal
corridoio comune dell’edificio al piano inferiore dell’abitazione, e si sale
per andare al piano delle camere; nel secon-do, invece, si entra al piano
superiore, e la scala scende all’altro piano, che si trova quindi al di sotto
del livello di ingresso.
Mi trovo di fronte all'
Hotel Corbusier, al 3° piano dell’ Unité d’habitation in
boulevard Michelet a Marsiglia; sono le ore 21:00 circa, del 23 agosto 2006.
Vedo attraverso la vetrata un giovane, probabilmente sui
25 anni, che sta mettendo a posto gli ultimi
oggetti dietro il bancone del bar della hall. Si reca, poi, alla
scrivania
davanti all’entrata dell'albergo. Il portone di ingresso in legno, inserito in una parete tutta vetrata, é
spalancato, per cui mi avvicino:
-"Mi scusi", dico io nel mio francese stentato, "Siete al completo non é vero?".
-"Sì…" -"Sì, lo so avevo chiamato. Volevo chiedere: é
possibile visitare un appartamento?"
Lui mi risponde gentilmente di sì, che costa 5 euro
(cosa che già sapevo).
Schizzo di un
tramonto sul mare dal tetto dell’edificio, pochi minuti prima di recarmi
all’hotel
A dire la verità, aggiunge,
sarebbe possibile visitarne due: "Uno che è discendente e un altro
ascendente", cioé
uno in cui si entra dalla "rue intérieure" al piano inferiore e si sale al piano delle camere, e l'altro in cui si entra al
piano superiore e si scende.
"Domani mattina, verso le dieci", e mi scrive su un foglietto i numeri degli appartamenti e i piani su cui si trovano.
-"Grazie, arrivederci!"
Il giorno dopo mi presento in orario al primo dei due, ad un piano alto. Mi apre una signora evidentemente alzatasi
da poco, con i capelli un po' arruffati ed in camicia da notte. Dopo un attimo in cui le spiego il motivo per cui sono
lì, si ripara dietro la porta, e mi chiede di ritornare più tardi. Evidentemente non attendeva nessuno.
-"A che ora?" , chiedo.
-"Tra un’ora"
-"Ok, mi scusi, arrivederci!"
Scendo quindi al secondo appartamento, ad
un piano più basso. Suono, mi apre una signora
alta e magra, con appresso il figlio, che, scoprirò poi, ha 9 anni, e si chiama
Gervaso (nome inventato da me ora). Le chiedo se
posso visitare
l'appartamento, come mi hanno segnalato all'hotel. -"Sono 5 euro!", mi informa
prontamente Gervaso. -"Si, lo
so", gli rispondo io. La signora lo rimprovera, anche per averle
detto altre cose, che non ho capi- to.
Lo rimanda in casa, mentre lui si dimostra di un carattere allegramente vivace e ribelle.
Io sorrido, la scenetta mi pare sinceramente simpatica. La signora socchiude le palpebre,
guardando verso il corridoio, e con aria meditativa mi
dice che potrà incominciare la visita con me, e poi proseguire con altre persone
che già ha in programma di ricevere. Le do i 5 euro ed entriamo. L'immediata impressione che ho al primo
sguardo all'interno dell'appartamen- to
é la stessa che ho avuto ieri sera nello sbirciare attraverso una vetrata
lo studio di un architetto
del 3° piano: "La larghezza qui é doppia", ho pensato, "avranno tirato giù una parete tra
due campate e realizzato uno spazio unico a doppia
misura". Mi é parso largo, abbondantemente
largo. E invece no, era proprio una
tipica larghezza di grafie di
alloggi, mi si rivela uno spazio tanto più ampio di quello che mi aspettavo.
Mentre
inizia a spiegarmi l'ingresso e la cucina, Gervaso
si diverte a provocare, accendendo la radio mentre lei parla, o
canticchiando ad alta voce. Lei gli dice di andare di sopra e lui, quando
arriva poi altra gente, vi si trasfe-risce. Mi sta piuttosto simpatico Gervaso. Piu' simpatico della
madre, devo ammettere, la quale é critica nei con-fronti dell’edificio e di
Le Corbusier con delle osserva-zioni che sono
spesso imprecise e grossolane. Appena
entrati loda lo stretto spazio d'ingresso, perché funge da camera d'aria
tra la "rue intérieure" e il
soggior-no, isolando efficacemente dai rumori. Non che la "rue intérieure" mi sia parsa come un luogo particolarmente rumoroso o, comunque, frequentato più che di passag-gio, ma, certo,
io non ci abito lì.
Mi illustra bene la cucina, e mi racconta anche che lei non va spesso al piccolo supermercato del piano com-
merciale, preferendo la più ampia varietà di prodotti di un supermercato più grande all'esterno. A quello dell'edi-
ficio ricorre in casi particolari o di bisogno immediato.
Si passa al soggiorno. Critica le bocchette di riscaldamento, dicendo che sono troppo alte (ad altezza d'uomo).
Questo lo posso capire, al livello del suolo sarebbero state forse più efficaci.
Mi mostra la loggia con soddisfazione, dicendo che é probabilmente la sola abitante che la tiene completamente
spalancata in estate, dilatando lo spazio del soggiorno verso l'esterno. Nella nicchia al muro vedo la foto del pa-
diglione Heidi Weber a Zurigo.
Suonano alla porta. La signora va ad
aprire, e si presenta un gruppo di una decina di
studenti accompagnati da professori provenienti dall'università di Delft. Li fa
accomodare, entrano in soggiorno e lei spiega la situazione. -"Può ricominciare, se vuole"
dico io. -"Ne é
sicuro? E’ gentile! Può fare delle foto nel frattempo. Ce l’ha una mac- china
fotografica?", e mi indica lo zaino. -"No, non ce l’ho, ma lei può
rincominciare". Infatti non ho alcuna
macchina fotografica, ho
fatto invece alcuni schizzi (pochi) dell'esterno dell'edificio. Lei ricomincia quindi dall'ingresso e
dalla cucina. Qui critica a gran voce il piano commerciale
dell'edificio, raccontando di come inizialmente ci fosse- ro molti più
negozi di adesso, e che ora una gran parte é stata sostituita da uffici e studi,
tra cui quelli di diversi architetti. -"Adesso é una zona quasi
morta!" afferma. Io non replico niente, con mio grande
rincrescimento. Non fiato ad alcuna delle critiche che esprime, an- che in modo un
po' plateale, durante tutta la visita. Forse tuttora, con quella gran compagnia,
non direi niente. In fondo per una donna al momento sola con il figlio, in
casa sua, si avrà pure un po' di rispetto e comprensione. Pe- ro' mi rincresce,
perché seppure quella zona non sia una di quelle di più intenso passaggio
degli inquilini di tutto l'edificio, é tutt’altro che "presque morte".
Il gruppo
di nuovi arrivati scatta foto del soggiorno, mentre la signora descrive tra le
altre cose il tetto-terrazza, e
qui parte un'altra critica sul teatro:
-"Le Corbusier ha voluto aggiungere una nota culturale al tetto con il teatro, ma non funziona come teatro, è picco-
lo." dice, ripetendo l'espressione "note culturelle". A me pare evidente che non sia inteso per funzionare come un
teatro vero e proprio, con tanto di scena e attori, ma come un podio per eventi, celebrazioni, feste, riunioni...
Ci rechiamo alla scala, dove ci indica il dettaglio accurato del corrimano, basso verso l'esterno per i bambini,
alto contro il muro per gli adulti. Poi tutti al piano superiore, nella camera da letto matrimoniale, da cui si guarda
fuori, verso le montagne, o in basso, verso il soggiorno di sotto.
La signora ogni tanto mi cerca e mi chiede se sto seguendo, visto che sono stato gentile ad accettare che rico-
minciasse daccapo.
Passiamo alla zona di transito tra le camere su cui si affacciano il locale tecnico dello scaldabagno (individuale per
ogni appartamento), e la doccia dei figli, la quale é dotata di una porta d'ingresso che ricorda quelle delle imbarca-
zioni o delle roulotte. E' incredibile come un manufatto così enorme, che alloggia 1600 persone, sia così curato
nei dettagli, così rifinito e minuziosamente ritagliato nella sua distribuzione degli spazi all'interno dell'alloggio.
Visto che non mi sembrava del tutto avara di critiche e lamentele, entrato nella camera di Gervaso provo a chiede-
re alla signora se la parte di parete scorrevole di divisione tra le due camere fosse tenuta preferibilmente aperta
oppure anche comodamente chiusa.
-"Oh no, c'est bon!", risponde lei, indicando come non fosse necessario tenerla aperta per avere uno spazio più
largo. Io non ho replicato nulla ad alcune sue critiche, e in compenso lei mi ha rassicurato su un dubbio insito
nella mia
domanda, probabilmente causatomi dal vedere un tale numero di persone nello
stesso luogo e nello
stesso momento.
La visita al primo alloggio é terminata, io e il resto del gruppo ci guardiamo ancora un po' attorno in quei locali del
piano superiore, poi dico: "Au revoir, Gervaso!", il quale é sdraiato sul suo letto a leggere un fumetto di Asterix.
"Au revoir", risponde lui dopo che lo saluta anche uno studente, e poi scendiamo, salutiamo e ce ne usciamo.
Mi
distacco anche dal gruppo di olandesi, e mi reco di nuovo al piano di
sopra, visto che nel frattempo si sono fatte le 11:00. Suono, mi apre la
stessa signora di prima, vestita e pronta. Entro e pago la quota. Anche
in questo "tour" vengo guidato da una signora, questa volta da
solo. Il percorso é praticamente identico a quello precedente se non per il fatto che qui si scende al piano delle camere, anziché salire. L’atteggiamento
nei riguardi dell’edificio e del suo archi-tetto è sensibilmente diverso.
Ci sono alcune critiche anche qui, ma il tono è sicuramente più rispettoso. Mi
mostra la cucina. Mi indica come lo sportello comu-nicante tra interno e
“rue intérieure”, per la distribuzione
di prodotti da parte dei negozi e dei servizi comuni, non
svolga la sua funzione originaria, e sia chiuso e utilizzato come armadietto. Lo stesso vale per lo sportello del ghi-
accio, che non viene più distribuito ad ogni alloggio dopo l’invenzione del frigorifero.
-“Ma per l’epoca, andava bene”, commenta.
Mi spiega che la bocchetta ad altezza d’uomo del riscaldamento funziona tuttora, evidentemente non recando no-
ia come nell’altro appartamento.
-“Bello questo!”, commento io un paio di mensole composte insieme appese al muro del soggiorno.
-“E’ Charlotte Perriand che l’ha fatto. La conosce?”
-“Si, si…non personalmente!.. Ma sì. “.
Mi mostra una lampada ad altezza d’uomo di Vico Magistretti.
-“Sì, sì…non personalmente, ma sì.” Il suo alloggio, così come altri
nell’edificio, non ha lo spazio a doppia altezza
( superiore, la
zona pranzo sarebbe stata sul mezzanino, e di sotto il letto
matrimoniale e il soggiorno avrebbero
occupa- to
un unico spazio. -“Non era molto pratico”, dice lei,
spiegando il motivo per cui il mezzanino
è stato prolungato sino alla vetrata della loggia,
eliminando lo spazio a doppia altezza. -“Sì, altrimenti si
sarebbe potuto richiudere la camera matri- moniale”,
suggerisco, pensando che, seppur comprenden- do
l’osservazione, io non avrei rinunciato allo spazio a dop- pia altezza. Nel
frattempo siamo scesi di sotto, dopo che mi ha detto che
la scalinata è opera di Jean Prouvé (“E’
-“Lo
conosce?”, domanda
morto senza
soldi”). Dato che tutto il soggiorno è stato ricavato di sopra, la camera da
letto matrimoniale è rimasta
molto ampia.
-“Anche
questa è bella!” dico io, osservando la nicchia nel muro nello stesso punto del
presente piano delle men-
sole della Perriand appena viste di sopra.
-“Oh, la nicchia c’era già, e poi è stato mio marito a fare i ripiani e a colorarli! “. E’ tutta bianca con dei riquadri co-
lorati di rosso, blu e giallo.
-“Anche a me piace fare delle cose bianche e con i colori primari”, aggiungo io, sempre con il mio francese goffo
e stentato.
Iniziando a dirigersi verso le camere dei piccoli, passa davanti al bagno:
-“Questo glielo faccio vedere più tardi”.
Io deduco che sia occupato, anche se non ho ancora visto nessun altro della casa.
-“Oh no, venite se volete!”, grida una voce di uomo dall’interno del bagno. Al che la signora apre la porta, ed io,
senza entrare, vedo un uomo, rigirato con le spalle alla porta, che pettina i capelli lunghi di una bambina in piedi
nella vasca da bagno, con indosso un accappatoio.
-“Bon jour!”, esclamo io ad alta voce, “Je suis italian!”. Chissà perché poi aggiungo questo particolare, ma se non
altro mi scuso per eventuali strafalcioni in francese.
-“Oh!”, risponde il signore,”Benvenuto!”. Merci, dico ora io a voi. I 5 euro che ho pagato per la visita non c’entra-
vano un granché in quel momento.
Visto il bagno ci rechiamo nelle camere dei figli. Passiamo per il disimpegno, dove mi viene mostrato un altro
scaldabagno ed un’altra doccia. Le porte delle stanze sono colorate gioiosamente.
-“Una porta rossa e una gialla! E’ bello! E’ radioso! “, esclamo io.
Visitate le camere d ella bambina, di una decina d’anni credo, e della sorella di 20, che non è ora in casa, usciamo
su una delle due logge. Da qui si gode il magnifico panorama del parco ai piedi dell’edificio, e delle montagne in
lontananza. Mi spiega che ci sono dei “perroquet” tra gli alberi del parco. Io estraggo il dizionario dallo zainetto per
controllare la traduzione, e mi sorprendo a scoprire che sono dei pappagalli a svolazzare a poca distanza.
Dopodichè ci riavviamo all’uscita, le racconto che già avevo visitato l’edificio 8 anni fa, ma avendo eseguito dei pro-
getti ispirati a dei lavori di Le Corbusier, volevo rivederlo, anche perché molti aspetti e particolari la prima volta non
li conoscevo. Mi porge un loro biglietto da visita ed esco.
Qualche ora dopo, sono ancora all’interno dell’edificio, al 3° piano, dopo diverse salite e ridiscese, ed escursioni
in lungo e in largo. A dire il vero, ho visto e visitato tutto o quasi ciò che è possibile visitare.
Nel recarmi agli ascensori per ridiscendere, svoltando l’angolo mi ritrovo davanti alla signora del secondo alloggio
visitato, che sta discutendo con un tizio.
-“Bon jour!”, esclamo io, sorpreso e lieto di rincontrarla. Chiamo l’ascensore, aspetto qualche minuto, e salgo sul
primo sopraggiunto. Lei sta ancora parlando, così, non volendo disturbarla, entro nell’ascensore senza dire niente.
Mentre si stanno chiudendo le porte, mi accorgo che mi guarda, allora dico: “Au revoir!”, lieto allo stesso modo,
alzando la
mano in saluto. In quel momento ho pensato, anche se non l’avevo affatto deciso
prima, che sarei sce-
so per andarmene, anche questa visita all’Unité d’habitation conclusasi.
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