Articolo 31 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia

  1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, e di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita culturale e artistica.

  2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale ed artistica ed incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

 

Noi bambini abbiamo il diritto di giocare in pace senza essere disturbati o rimproverati; vogliamo poter scegliere che giochi fare e poter invitare più spesso gli amici in casa.

Chiediamo ai genitori di trovare ogni giorno almeno un po’ di tempo da trascorrere con noi per ascoltare quello che vogliamo raccontare, per coccolarci.

Vorremmo avere almeno un pomeriggio, dopo la scuola, che fosse libero, senza impegni, per poter scegliere da soli cosa fare. Siamo contenti quando possiamo correre, saltare, ballare, giocare a pallone e vorremmo che queste cose le potessero fare tutti i bambini del mondo.
                                                                                         Un gruppo di bambini trascurati

La macchina meravigliosa

C’era una volta un bambino che non usciva mai di casa e non giocava mai. Quando voleva giocare, la mamma lo costringeva a stare fermo per non sporcare. Quando voleva uscire, non poteva perché aveva tanti compiti. Il povero bambino non aveva amici con cui giocare e passare il tempo.
Desiderava fare tantissime cose, ma purtroppo non li faceva mai. In casa si annoiava, perdeva tempo e non sapeva più cosa fare. Un giorno si stese sul letto perché non sapeva come occupare il tempo libero e si addormentò. Sognò una macchina favolosa, grandissima e coloratissima che risvegliò in lui subito la voglia di divertirsi. Si avvicinò alla macchina e iniziò a toccare i tasti: la macchina partì e lo portò in un posto fantastico, con tanti giochi, tanti bambini che volevano giocare con lui e tanti colori.

Il bambino dopo un attimo di sorpresa, si sentì a suo agio e cominciò a giocare. Finalmente il suo desiderio di giocare e divertirsi si era avverato! Il sogno durò a lungo e quando il bambino si risvegliò, fu desolato perché non vedeva più quelle cose stupende.
Riprese a vivere al solito modo, ma ogni giorno alla stessa ora si stendeva sul letto e si addormentava.
Nel sonno la macchina meravigliosa lo riportava nel mondo dei giochi.
Nessuno si era accorto di nulla.
Un bel giorno il bambino decise di restare in quel mondo fantastico e non si risvegliò più.

                                                                                        Lorella, Elisa, Barbara

Noi pensiamo di essere dei ragazzi piuttosto fortunati perché i nostri genitori ci lasciano giocare, ci comprano giochi vari e anche giocattoli, però purtroppo non è per tutti così.

Per Gaetano, il gioco è «la droga».

IL MIO GIOCO E’ LA DROGA

Miano è un quartiere senza storia, cresciuto nella periferia settentrionale di Napoli negli anni successivi al terremoto. Tra i muri di quei palazzoni grigi e con le finestre troppo piccole è nata un’intera generazione di bambini che gli esperti in problemi dell’infanzia classificano come "minorenni disadattati".
E’ in questo scenario che si svolge la vita di Gaetano "enfant terribile" nel rione Don Guanella, cuore spompato di Miano. Nato dieci anni fa tra le ferite aperte del sisma dell’80, ha un curriculum che non tutti i criminali di professione possono vantare. Oggi è diventato uno spacciatore di droga. Sa che prima o poi finirà in carcere, e tenta di esorcizzare la paura con l’atteggiamento spavaldo di un camorrista incallito. Prima di approdare a Miano, la famiglia di Gaetano ha vagato fra i "bassi" del centro storico, i palazzi abusivi del quartiere Pianura e i container per i terremotati. La casa popolare l’ha ottenuta un anno prima della nascita del bambino che oggi racconta la sua storia.
«A sei anni teneva una banda», dice Gaetano.
«Una banda ?»
«Io ero il capo. Le regole erano tre: fedeltà, coraggio e cazzimma (intraprendenza, sfrontatezza). Avevamo pure il nascondiglio, una vecchia roulotte abbandonata».
In quella carcassa di metallo arrugginito il gruppo conservava il suo tesoro: bambole, braccialetti di plastica, macchinine, oggetti strappati dalle mani dei coetanei, durante gli interminabili raid in bicicletta.
Allora Gaetano aveva solo sei anni, ma i sogni di un bambino avevano già ceduto il posto alla "cazzimma". Nelle sere d’estate lo si poteva scorgere spesso mentre, seduto su una sedia a sdraio, vendeva sigarette di contrabbando sul marciapiede della strada in cui abita.
Di giorno c’era la banda, sempre più intraprendente, sempre alle prese con giochi pericolosi. Di scuola, neanche a parlarne: «Era meglio la fionda», spiegava Gaetano. E stata quella la sua prima arma: «Me la regalarono i compagni quando mi ruppi un braccio: l’avevano fatta con un ramo preso da un albero del bosco di Capodimonte, con due elastici e un pezzo di pelle tolta da una scarpa vecchia».
Quel "giocattolo" divenne presto l’incubo degli abitanti di Miano, presi di mira dai proiettili sempre più sofisticati, come i sassolini strofinati sul selciato fino a diventare appuntiti.
Ma una volta Gaetano alzò troppo il tiro: cominciò a mirare ai ragazzi più grandi,
quelli con la faccia cattiva, che sfrecciano sulle motociclette e hanno un bel da fare, la sera, a vendere la droga e a spartirsi il bottino degli scippi. Fu quello il suo primo impatto con la violenza camorrista. Un pomeriggio vennero nel nascondiglio e ruppero tutto, fionde e giocattoli. Poi se la presero con noi, ci massacrarono di botte. Volevamo vendicarci, ma poi non facemmo niente».
A Gaetano e ai suoi amici non rimase altro che scaricare la loro rabbia partecipando ad un altro "gioco", quasi un rito tribale che si ripeteva da tempo al calare della sera: la caccia alle "zoccole", i ratti di fogna che nel quartiere si trovano a decine. «Li infilzavamo con il filo di ferro, poi li spellavamo che erano ancora vivi».
A otto anni, Gaetano è ormai un uomo fatto. Non è mai in casa, e quel che è peggio nessuno lo rimprovera. L’unico, inutile tentativo di recupero è della madre, che per un anno lo manda in collegio. Troppo tardi: il ragazzo è ormai parte di un meccanismo perverso nel quale è facile entrare, ma impossibile uscire. Fa il palo, poi l’informatore degli scippatori, quindi il "controllore" del lavoro delle prostitute minorenni per conto di una banca locale.
E oggi? Gaetano non risponde, anche se tutti nel quartiere sanno che è un "muschillo", un piccolo, velocissimo e imprendibile corriere della droga. Si allontana ridendo, e canta sotto voce una canzone: «Chi dice ca’e manette sono acciaio/a me me pareno bracciali d’oro».

                                                              (Da "Il bambino dimenticato" Supplemento de LA STAMPA)