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Biografia tratta da "Universo" - Istituto Geografico De Agostini - Novara.

Galileo Galilei

Astronomo e fisico italiano (Pisa, 1564- Arcetri, Firenze 1642). Le sue scoperte scientifiche in meccanica e astronomia, e soprattutto il metodo sperimentale-matematico usato per le sue ricerche, fanno di lui il fondatore della scienza moderna e una delle figure più grandi e affascinanti dell'umanità.

Figlio di Vincenzo, rinomato musicista, e di Giulia degli Ammannati, G. ereditò dal padre l'amore per la musica, la vivacità dell'indole e il carattere indipendente, insofferente di qualsiasi imposizione. Quando nel 1574 la famiglia tornò a Firenze, G. ricevette in questa città la sua prima educazione a carattere prevalentemente umanistico, divenendo, fra l'altro, valente suonatore di liuto e coltivando con passione il disegno. Testimonianze dell'educazione letteraria di G. e del suo gusto di lettore, che sarà poi anche gusto di scrittore di classica semplicità, sono i suoi scritti giovanili su Dante, sull'Orlando Furioso e sulla Gerusalemme Liberata, cui preferi' il poema dell' Ariosto. Ma il padre aveva deciso di farne un medico e nel 1581 lo immatricolò all'Università di Pisa. A quell'epoca nell'ateneo pisano dominavano la filosofia e la fisica di Aristotele *. In particolare, l'insegnamento dell'astronomia si fondava sul sistema geocentrico aristotelico, perfezionato nel Il sec. d. C. da Claudio Tolomeo. Secondo questo sistema l'Universo è una sfera perfetta, al centro si trova la Terra immobile e intorno ad essa ruotano i corpi celesti. Nel 1532 l'astronomo polacco Niccolò Copernico * aveva bensi' pubblicato un libro in cui veniva esposto un sistema eliocentrico, in cui il Sole è considerato immobile al centro dell'Universo e intorno ad esso ruotano i pianeti, ma la sua teoria non aveva raccolto molti consensi.

Secondo quanto racconta Vincenzo Viviani, discepolo e biografo di G., questi, appena diciannovenne, avrebbe fatto a Pisa la sua prima scoperta. Si trovava un giorno nel duomo, quando, osservando le oscillazioni di una lampada che andavano lentamente smorzandosi, si chiese se la durata di queste oscillazioni rimanesse sempre la stessa nonostante esse diventassero sempre meno ampie e, servendosi come orologio del battito del suo polso, constatò che ciò accadeva effettivamente. Tornato a casa, ripeté l'osservazione con i più diversi corpi oscillanti e sempre trovò che la durata delle oscillazioni di ognuno di essi rimaneva costante malgrado il loro smorzarsi. Le oscillazioni di un pendolo, quindi, permettono di scandire il tempo. Fu una scoperta importantissima che è tuttora alla base del funzionamento degli orologi. Non soltanto, ma essa dimostra la validità di quel metodo che G. già seguiva nelle sue esperienze: il metodo sperimentale, che egli fondò e che sarà la via attraverso cui si svilupperà la scienza moderna.

G. frequentava già il terzo anno all'Università di Pisa quando, iniziando lo studio della matematica, ne fu cosi affascinato che abbandonò gli studi di medicina e decise di tornare a Firenze. Qui Ostilio Ricci, discepolo del Tartaglia *, gli trasmise l'amore per Archimede, come risulta dai primi lavori di G.: l'invenzione della bilancia idrostatica per la determinazione del peso specifico dei corpi e la scoperta di alcuni teoremi sul baricentro (1586- 87). Questi due lavori gli procurarono -a venticinque anni - la nomina a professore di matematica all'Università di Pisa. Ma lo stipendio era assolutamente inadeguato ai suoi bisogni specialmente quando, con la morte il peso della numerosa famiglia cadde sulle sue spalle. Le difficolta' economiche e l'intenso studio non sopraffecero tuttavia l'esuberante vitalita' e il carattere giovanile di G., che amava discutere vivacemente con discepoli e amici, gustare pranzi in comune e il buon vino. Nel 1592 riusci' a trovare una sistemazione piu' remunerativa all'Universita' di Padova, dove ottenne la cattedra di matematica. I diciotto anni trascorsi in questa citta' saranno per G. i migliori della sua vita, grazie anche all'enorme liberta' di pensiero garantita dall'illuminato governo della Repubblica Veneta. In questo periodo gli fu fedele compagna una veneziana, Marina Gamba, dalla quale ebbe tre figli, due femmine e un maschio. A Padova G. insegnava non solo all'Universita', dove le sue lezioni avevano enorma successo, ma anche a studenti che raccoglieva come dozzinanti nella sua casa. Il suo interesse per la tecnica lo teneva inoltre spesso occupato in una sua officina, dove costruiva, con un meccanico, strumenti matematici: qui ideo' e costrui' un ingegnoso regolo calcolatore, il cosiddetto compasso geometrico e militare, e un termoscopio progenitore del termometro. A quegli anni di intenso lavoro risalgono le sue ricerche sui fenomeni meccanici, i cui risultati saranno da lui pubblicati, quarant'anni piu' tardi, in un'opera che e' il suo capolavoro.

Nel 1604 comparve in cielo una nuova stella e tutti accorsero alle sue lezioni desiderosi di conoscere la sua opinione. Egli affermò che questa stella si trovava enormemente più lontana della Luna, e tale affermazione suonò come un grido di ribellione contro un indiscusso e millenario principio. Infatti Aristotele distingueva due mondi: il mondo etereo dei cieli, ove tutto e' immutabile ed eterno, e il mondo sublunare, cioe' tutto cio' che si trova entro la sfera della Luna, nel quale le cose si corrompono e periscono; a questo mondo appartiene la Terra. Affermare che la nuova stella si trovava molto più lontana della Luna, significava affermare che qualche cosa era mutata nei cieli che dovevano essere incorruttibili ed eterni: G. si pronunciò apertamente contro le antiche idee. Ma la completa rottura avvenne quando, cinque anni più tardi, G., volgendo al cielo il cannocchiale, vide ciò che occhio umano non aveva mai visto. Il cannocchiale non fu inventato da G., poichè già se ne costruivano in Olanda, ma G. fu il primo che ne intui' le enormi possibilità, che lo perfezionò e se ne servi per l'osservazione del cielo. Il 25 agosto del 1609 dalla cima del campanile di San Marco a Venezia, ne mostrò l'uso al doge e alle altre personalità. L 'entusiasmo fu grandissimo e G. ottenne un aumento di stipendio. In seguito costrui' anche un cannocchiale adatto a vedere ingranditi oggetti vicini: si trattò di un rudimentale microscopio *, costituito di piccole lenti semplici montate su supporti in legno o in cartone. La sua attività di microscopista fu comunque del tutto secondaria.

La notte del 7 gennaio 1610 G. rivolse al cielo il primo cannocchiale e nello stesso anno pubblicò il Sidereus Nuncius con la notizia delle sue scoperte che facevano crollare il mito della perfezione dei corpi celesti e che mostravano la probabilissima correttezza del sistema eliocentrico. La superficie della Luna non gli appariva liscia e perfetta, ma disseminata di montagne, valli e crateri; il Sole, considerato fino allora il più puro simbolo dell'incorruttibilità celeste, gli apparve cosparso di macchie. Inoltre la scoperta delle fasi di Venere provava che questo pianeta ruota intorno al Sole e che la Terra non è quindi il centro di tutti i movimenti celesti; mentre la scoperta dei quattro maggiori satelliti di Giove offriva un modello di un sistema planetario in miniatura. In onore della casa de' Medici, G. chiamò" pianeti medicei " questi satelliti di Giove. L 'importanza di queste scoperte accrebbe enormemente la fama di G., e Cosimo Il lo chiamò a Firenze nominandolo primario filosofo e matematico del granducato di Toscana. In un primo tempo egli riusci' a ottenere il riconoscimento delle sue scoperte dai maggiori scienziati dell'epoca, tra cui Keplero * , e anche dai potentissimi astronomi gesuiti. In un suo viaggio a Roma nel 1611 infatti fu ricevuto con grandi onori da Paolo V: nel giardino del Quirinale potè mostrare le sue scoperte agli scienziati gesuiti del Collegio Romano e fu iscritto all'Accademia dei Licei. Ma già cominciavano le prime scaramucce, prodromi della tempesta; qualcuno pose in dubbio la priorità delle sue scoperte astronomiche; altri, aristotelici, insorsero contro i risultati di uno studio sui corpi galleggianti. Nel 1613 la situazione si fece più grave: le scoperte celesti, che provavano la verità del sistema copernicano, lo fecero ardito a manifestare le sue idee, sicuro che tutti avrebbero dovuto arrendersi all'evidenza dei fatti. E in quattro lettere fra cui sono celebri quella a Benedetto Castelli ( 1613) e quella a Madama Cristina di Lorena (1615) - circolate in innumerevoli copie (non tutte esatte), cercò incautamente di mostrare che la teoria del movimento della Terra non è in contrasto con il contenuto delle Sacre Scritture. Le lettere destarono grande scalpore e gli provocarono violenti attacchi. G. fu denunciato alla Congregazione del Santo Uffizio di Roma. Malgrado gli sforzi fatti da G.. in un suo nuovo viaggio a Roma, il Santo Uffizio, presieduto da Roberto Bellarmino, nel febbraio del 1616 pronunciò la censura contro il sistema copernicano, ingiungendo allo scienziato pisano di astenersi dall'insegna- re, difendere o trattare la dottrina copernicana. G. accettò e promise di ubbidire.

Questa prima sconfitta non poteva certo fermare G. nel suo lavoro di ricerca: tornato a Firenze, malgrado la malferma salute, riprese gli studi, le osservazioni e la preparazione di nuove opere. Nel 1623 pubblicò il Saggiatore, nel quale, rispondendo alle critiche al sistema copernicano fatte da padre Grassi in un suo libro, espone la sua teoria sulle comete, riespone le sue scoperte celesti, ribatte punto per punto le teorie del Grassi. E' un'opera vivacissima, scritta con abilità di consumato polemista e con quella chiarezza di esposizione che fa di G. un maestro della prosa scientifica.

Nello stesso anno saliva al papato con il nome di Urbano VIII il cardinale Maffeo Barberini, che aveva celebrato in versi le scoperte celesti di G. e questi senti' rinascere la speranza. Dopo alcuni anni di lavoro, ottenuto l'imprimatur, pubblicò nel 1632 il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, nel quale, pur non proponendo palesemente una scelta tra il sistema tolemaico e il sistema copernicano, sono ben chiare le convinzioni dell'autore. L 'opera suscitò grande ammirazione in tutta l'Europa, ma cinque mesi dopo giunse a G. l'intimazione di recarsi a Roma per rendere conto del suo libro che, a ragione, era stato giudicato un'opera di critica, di polemica, di battaglia. Il processo durò quattro mesi; il 16 giugno 1633, nel palazzo del Quirinale, il Consiglio del Santo Uffizio condannò G. all'abiura e al carcere ad arbitrio della Santa congregazione, proibendo il Dialogo. Il 22 giugno G. pronunciò l'abiura. La condanna al carcere fu subito commutata da Urbano VIII prima in relegazione nel giardino della Trinità dei Monti, poi a Siena e infine ad Arcetri. La vittoria dei gesuiti pose fine alla speranza di G. di indurre la Chiesa a riconoscere la libertà della scienza e riempì di profonda amarezza il suo animo. Gli ultimi anni della sua vita, trascorsi ad Arcetri, furono rattristati ancora da due terribili sciagure: la morte della diletta figlia Virginia, che era clarissa al convento di San Matteo con il nome di suor Maria Celeste, e la cecità che lo colpì nel 1637. Ma in tanti dolori seppe, per la forza del suo carattere, continuare lo studio e le ricerche e mantenere una viva corrispondenza epistolare con amici e ammiratori. Nel 1638 fu pubblicata a Leida la sua più grande opera i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai moti locali, nella quale sono riassunti, estesi e rielaborati gli studi sulla meccanica che aveva proseguito per oltre quarant'anni. Era il suo capolavoro, che dava alla scienza moderna le sue prime leggi. G. fu infatti il primo a formulare, sia pure in forma non completa, il principio di inerzia, a riconoscere cioè che in assenza di forze un corpo si muove con velocità costante. Ma egli andò assai più in là, stabilendo il principio della relatività detta poi galileiana, che restò valido fino a Einstein, e scoprendo le leggi del moto accelerato di un corpo sotto l'azione di una forza costante. L'aver formulato il principio che in tali condizioni la velocità ad ogni istante cresce proporzionalmente al tempo intercorso dall'inizio del moto, e conseguentemente che lo spazio percorso è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerlo, segnò la definitiva sconfitta della teoria aristotelica del moto emise in evidenza la possibilità di applicare la matematica allo studio di tutti i fenomeni naturali.

E' questo un risultato tipico del metodo di indagine di G., metodo che forse rappresenta la sua più importante eredità, al di là anche dei suoi specifici contributi nei diversi campi del sapere. Per G. la conoscenza si raggiunge mediante la sintesi di due strumenti altrettanto indispensabili: le cc sensate esperienze" e le cc certe dimostrazioni ". Le prime debbono portare alla misurazione dei fenomeni da studiare: occorre cioè andare al di là dell'osservazione qualitativa, che si limita a una descrizione superficiale senza capacità di previsione, per giungere a formulare i risultati dell'esperienza per mezzo di numeri. Soltanto a questo punto è possibile enunciare come ipotesi una legge sotto forma di relazione matematica che permette di prevedere 1;'er mezzo di operazioni e dimostrazioni assolutamente" certe ", il risultato di qualsiasi altra misura relativa ai fenomeni studiati. Se l'esperienza conferma il risultato previsto con il calcolo, l'ipotesi è confermata e la legge assume per lo scienziato un effettivo valore conoscitivo nel campo dei fenomeni naturali. In caso contrario sarà necessario cambiare ipotesi e formulare altre leggi, finchè una di esse non si accordi con i fatti empirici. E' importante sottolineare che in questo modo l'esperienza che convalida la teoria deve essere in genere prodotta ad arte dallo scienziato, che non si limita quindi ad osservare passi- vamente i fenomeni naturali, ma li riproduce e li provoca in condizioni adatte e particolari, ideate appunto per ottenere una conferma o una negazione a una data domanda.

Il metodo di G. faceva quindi scendere dal cielo delle astrazioni i concetti e i dibattiti scientifici, ancorandoli a precise osservazioni, esperienze e misure. In questo nettamente si differenziava - per la prima volta nella storia del pensiero - dal metodo della metafisica e della filosofia, aprendo la via alla scienza sperimentale.

 

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