Fusione Fredda anno '00
(Scritto da G. Carlini)
A 11 anni di distanza dall'annuncio
siamo ancora al punto di partenza ?
Era
il 23 Marzo 1989 quando due elettrochimici dell'università dello UTAH,
Martin Fleischmann e Stanley Pons, attraverso una conferenza stampa
annunciarono la scoperta della fusione "fredda".
Chiunque può immaginare quale scalpore
suscitò tale avvenimento 11 anni orsono.
Con questo mio 'articolo' non intendo certo
intraprendere discorsi sui risvolti sociali della vicenda ne tantomeno
commentarla, mi limiterò semplicemente ad esporre (il più chiaramente
possibile!) il fenomeno dal punto di vista scientifico per come ho
potuto apprenderlo nelle mia ricerca bibliografica.
Prima di tutto, però, credo
sia meglio spiegare brevemente cosa sia la fusione
nucleare: dal latino fusio-onis, la fusone nucleare è la
reazione per cui due nuclei leggeri, spesso Idrogeno o suoi isotopi,
entrano in collisione fondendosi in un unico nucleo più pesante.
Tale reazione
avviene con grande sviluppo di energia. È un po quello che accade sul
Sole, quando due nuclei di Idrogeno si avvicinano tra loro; grazie ad
una serie di reazioni nucleari, si ha la formazione di un nucleo di
Elio-4 e la contemporanea liberazione di una grande quantità di
energia. Nel Sole è la fortissima attrazione gravitazionale a
comprimere i nuclei ad alta densità. Inoltre, a causa delle temperature
estremamente elevate (circa 10 milioni di °C), i nuclei, acquisiscono
una energia sufficiente per poter vincere la cosiddetta barriera
Coulombiana, ossia la reciproca repulsione elettrostatica e si
avvicinano abbastanza da subire la fusione.
Condizioni di
questo tipo non sono facilmente riproducibili sulla terra. Anche se per
produrre energia non ci occorre emulare, in tutto e per tutto, le
reazioni che avvengono nel Sole. A noi "bastano" quelle
reazioni che utilizzano una miscela di Deuterio (D o Idrogeno-2) e
Trizio (T o Idrogeno-3). Ma l'energia necessaria ad avvicinare due
nuclei di queste sostanze equivale, se tradotta in termini di
temperatura, a molti milioni di gradi centigradi. Per questo motivo,
tale tipo di fusione nucleare è detta Termonucleare o
"calda"; in contrapposizione a quella non termonucleare o
"fredda", così detta perché condotta a temperatura ambiente
e a pressione atmosferica. Anche in questo tipo di fusione è necessario
avvicinare i nuclei di Deuterio e Trizio a distanze tali da poter
permettere le reazioni di fusione, che però vengono accelerate dai
cosiddetti catalizzatori ; molto usati nell'industria chimica;
essi producono nella reazione chimica un'accelerazione della stessa,
senza peraltro alterarne le condizioni del suo equilibrio
termodinamico.
A seconda
del processo di catalisi che viene utilizzato, si parla di
fusione fredda prodotta mediante CONFINAMENTO MUONICO o CHIMICO.
Mi soffermerò ora più attentamente su
questi due tipi di confinamento e ancor più su quello chimico che ha
delle notevoli similitudini con quello proposto da Fleischmann e Pons.
Il CONFINAMENTO
MUONICO:
il muone è
una particella che ha una massa circa 200 volte quella dell'elettrone ed
ha una vita media di 2,2 milionesimi di secondo. Dato che nel
disintegrarsi, il 99,5% della massa del muone si trasforma in energia,
si è pensato di utilizzarlo come catalizzatore nelle reazioni nucleari.
In effetti, il muone riesce a far avvicinare i nuclei di Deuterio e
Trizio a temperatura ambiente e pressione atmosferica, tuttavia la
possibilità che tale processo possa avere delle applicazioni
nell'ambito della produzione energetica su scala industriale è legata
al fatto che tale particella, prima di "morire", possa
catalizzare almeno un migliaio di reazioni. Questo perché altrimenti
non sarebbe sufficientemente produttivo il bilancio energetico (cioè
l'energia fornita al sistema sarebbe superiore a quella prodotta dallo
stesso).
Tornando in
dietro, la prima verifica sperimentale di questo fenomeno fu fatta nel
1957 da L. Alvarez a Berkeley, ma più approfonditi calcoli dimostrarono
che la quantità di energia prodotta era molto ridotta, dato che il
muone riusciva a catalizzare una sola reazione prima di disintegrarsi.
Ad oggi, le ricerche, più che altro sistematiche, su miscele di
Deuterio-Trizio nell'intervallo di temperature che va da -260°C a 530°C,
ha portato al risultato di non più di duecento fusioni per ogni muone.
Un valore ancora troppo basso visto che duecentocinquanta reazioni per
muone rappresentano il limite minimo per compensare l'energia fornita al
reattore muonico dall'esterno con quella liberata dalla reazione stessa.
Anche se in un
futuro prossimo non fosse ancora possibile raggiungere le mille reazioni
per muone, sarebbe comunque realizzabile un ibrido di reattori in cui la
fusione catalizzata da muoni sia seguita da reazioni di fissione
nucleare. In tal caso, la prima fornirebbe i neutroni necessari per la
seconda.
Il CONFINAMENTO
CHIMICO:
la fusione fredda
basata su tale tipo di confinamento, è caratterizzata dalla proprietà
che ha il Palladio (oro bianco) di impregnarsi di Idrogeno e dei suoi
isotopi.
L'interazione tra
Palladio e Idrogeno, è stato e lo è tuttora, oggetto di numerosi
studi.
Proprio in questo
panorama si inserisce la reazione di fusione prospettata da Fleischmann
e Pons e dunque la loro cella elettrolitica, utilizzata negli
esperimenti di fusione fredda.
L'apparato dei due
ricercatori era costituito da una soluzione liquida a base di Deuterio
in cui sono immersi due elettrodi (anodo e catodo), uno costituito da
Palladio e l'altro da Platino. Fornendo dall'esterno energia alla cella
elettrolitica, perché è di questo che si tratta, collegando i due
elettrodi ad una batteria, si ha il passaggio di una corrente da un
elettrodo all'altro attraverso la soluzione elettrolitica che,
sensibilizzata dal passaggio di corrente, da origine a diversi prodotti
da "elettrolisi": Elio, Trizio, neutroni, raggi Gamma e raggi
X. Inoltre si registra una quantità di calore prodotto che, tradotto in
termini energetici, risulta essere maggiore di quella immessa nella
cella attraverso la batteria.
Secondo
Fleischmann e Pons ciò è dovuto alle particolari proprietà del
Palladio che, fungendo da catalizzaore, costringe i nuclei degli atomi
di Deuterio a stare tanto vicini da fondersi.
Infatti, i due
ipotizzarono che l'eccesso di calore prodotto, non era attribuibile ad
una reazione chimica nota, ma ad una reazione nucleare e poiché la
soluzione elettrolitica conteneva Deuterio, considerarono plausibile la
fusione di due nuclei dello stesso.
I risultati
principali dei loro esperimenti furono che le celle elettrolitiche
avevano prodotto una potenza di 4 Watt contro 1 Watt fornito, con un
rendimento quindi del 400% e che i neutroni sono stati prodotti con un
ritmo di circa 40.000 al secondo; (per i detrattori della fusione
fredda, per poter parlare di vera e propria fusione, i neutroni prodotti
per secondo dovrebbero essere almeno mezzo miliardo).
In seguito altri,
ripetendo gli esperimenti dei due elettrochimici, giunsero a risultati
simili, dove la rilevazione dei neutroni prodotti era affidata a due
metodi diversi: la via elettrolitica o "umida" (adottata da
Fleischmann e Pons) e la via del "caricamento gassoso" o
"secca" (avviata nei laboratori dell'ENEA di Frascati)
in cui si propone di caricare il Deuterio sotto forma di gas nel
Palladio. Si notò però ben presto che la via elettrolitica rispetto a
quella secca aveva il vantaggio di una maggiore facilità nel
caricamento del Deuterio nel Palladio, dovuta al fatto che il meccanismo
dell'elettrolisi alla superficie degli elettrodi, responsabile della
penetrazione dei nuclei di Deuterio all'interno del reticolo cristallino
del Palladio, equivale ad una pressione di molte migliaia di atmosfere,
cosa difficilmente raggiungibile con il caricamento gassoso.
Va però detto che
gran parte della comunità scientifica internazionale accolse con molte
polemiche i risultati sperimentali e tuttora permangono scetticismo e
sfiducia.
I maggiori dubbi
avanzati dalla comunità scientifica, sono legati alla reazione di
fusione tra i due nuclei di Deuterio. Infatti, in esperimenti condotti
in condizioni di quasi-vuoto (cioè non in presenza di materia
condensata come per il Palladio), si verificò che nella reazione tra
due nuclei di Deuterio, nel 50% dei casi si hanno come prodotti:
Neutrone + Elio-3; nell'altro 50% si hanno: Protone + Trizio; in fine,
con una bassissima probabilità (una su un milione), si hanno: Elio-4 +
raggi Gamma + calore. Invece, in molti esperimenti sulla fusione fredda
è stata rilevata una debolissima traccia di Neutroni e di Trizio,
mentre risulta essere di gran lunga la reazione dominante quella in cui
si ha la produzione di Elio-4.
In altre parole i
"fusionisti caldi" sostengono che nella fusione fredda si
producono un numero di particelle nucleari troppo basso per poter
giustificare il calore prodotto. Mentre , per i "fusionisti
freddi" la sola presenza di calore basta ad ipotizzare una reazione
nucleare (dato che l'energia da questa prodotta segue la formula di
Einstein).
Un ulteriore
motivo di polemica, scaturisce dal fatto che la produzione di Elio-4 non
è accompagnata dall'emissione di raggi Gamma, cosa che invece avviene
nella fusione "calda".
A tutt'oggi il
problema più immediato della fusione "fredda" resta quello
della riproducibilità, non solo per un fatto di applicazione delle
eventuali potenzialità tecnologiche, ma ancor più per un migliore
studio del fenomeno.
Ma se da un punto
di vista sperimentale, la questione sembra giunta ad un livello
conclusivo, con la constatazione in diversi esperimenti di un eccesso di
calore, da un punto di vista teorico sono numerose le controversie sulla
natura e sui meccanismi degli effetti della fusione "fredda".
Una delle teorie
più solide fu enunciata da un docente di Fisica Nucleare dell'Università
di Milano, Giuliano
Preparata, che elaborò la sua "teoria coerente
sulla fusione fredda". Tale teoria si basa sull'elettrodinamica
quantistica (QED) nella materia condensata, secondo i libri di testo la
materia consiste in un insieme numerosissimo di sistemi elementari (come
atomi, molecole, ecc.) tenuti insieme da forze elettrostatiche, come la
forza di Coulomb, caratterizzate da un cortissimo raggio d'azione; le
forze elettrodinamiche, invece, hanno la caratteristica di esercitarsi a
grandi distanze e pur essendo deboli fra due corpi, suppliscono a tale
limitazione con enormi fattori di amplificazione dovuti alla loro natura
cooperativa (o coerente).
Preparata con la
sua teoria accostò tali forze all'analisi teorica della materia
riuscendo a giustificare i meccanismi dei risultati sperimentali di
Fleischmann e Pons.
Comunque per poter
fugare qualsiasi dubbio si attende la presentazione di un dispositivo in
grado di fornire una potenza adeguata almeno ad un uso domestico e benché
ciò sia stato più volte annunciato ancora non c'è nulla di certo.
È ovvio che se in
futuro ci fosse la possibilità di utilizzare apparati del genere
potremmo forse mettere da parte i combustibili fossili, dismettere le
ricerche sulle fonti di energia rinnovabili e magari disporre di più
fondi per cercare di salvare questo pianeta anziché soffocarlo
lentamente. |