IL SACRO SUOLO DI
ASGARD
Parte 1
Il
Cavaliere spuntò improvvisamente dalla nebbia
come uno spettro. La spada a doppia impugnatura
gli pendeva dalla cintura sul lato destro,
mentre un grande scudo di bronzo era agganciato
all’arcione del cavallo sul lato sinistro.
Avanzava al passo, percorrendo l’innevato
sentiero che conduceva ad Asgard. Montava uno
stallone normanno nero come la pece, che spirava
dalle nari la stessa nebbia che strisciava in
fondo alla valle fra gli alberi ancora grondanti
per la nevicata notturna. Al suo passaggio la
natura sembrava ritirarsi, non un suono, non un
animale, non un fruscio, come se non volesse
disturbare la marcia del possente guerriero.
Soltanto il sibilo del vento echeggiava tra i
ghiacci intorno alla città, agitando il lungo
mantello bianco che dalle spalle scendeva fino a
coprire la terga del suo destriero.
Pochi
minuti e avrebbe riabbracciato il suo Re e le
sue due piccole figlie, a cui era legato da una
profonda e sincera amicizia. Una settimana, si
disse, tanto era durata la sua missione lontano
da quei luoghi a lui cari. Ma d’altronde lui era
l’unico che poteva riuscire nell’impresa. Il
solo ad Asgard che potesse portare a termine la
missione senza intoppi. Era una faccenda troppo
importante per rischiare di comprometterla. Ne
andava della salvezza della sua gente.
Il
cigolio delle gigantesche porte della città lo
distolsero dai suoi pensieri, immani blocchi di
bronzo istoriati raffiguranti divinità nordiche
si aprirono verso l’interno, lasciando
intravedere al condottiero la sua amata Asgard.
Per le strade non c’era ancora nessuno, il gelo
mattutino era un nemico troppo forte da vincere,
anche per gente abituata a lottare fin dalla più
tenera età. Perché questa era la vita delle
genti del Nord, una continua battaglia per la
sopravvivenza, prima contro il rigido clima, poi
contro i nemici invasori.
Attraversò la stretta via principale che portava
a Palazzo, un lastricato di pietre e calce che
faceva risuonare gli zoccoli del suo cavallo.
Giunto in prossimità della scalinata che
conduceva a Palazzo, salutò le guardie, che
s’irrigidirono nel saluto militare, e si avviò a
recare omaggio a Odino, come era consuetudine
prima di entrare nella reggia. Percorsi pochi
gradini la gigantesca statua del Dio gli apparve
come sempre in tutta la sua magnificenza. Odino
era di fronte a lui, assiso su di una nave
vichinga, con le braccia aperte verso l’esterno,
come quelle di un padre che accoglie suo figlio.
Era quello il suo compito: tenere Asgard sotto
la sua protezione, affinché il calore di quell’abbraccio
statuario potesse compensare il gelo di quella
terra inospitale. Il corpo muscoloso e levigato
era imponente e coperto da una piccola armatura,
sul braccio sinistro teneva lo scudo, mentre con
la mano destra impugnava Balmung, la spada
sacra. Sulla statua, come per magia, la neve non
si accumulava mai, e le fattezze del Dio supremo
erano sempre ben visibili. Il volto sublime era
incorniciato da una florida barba, e la testa
era cinta dall’elmo guerriero. Il suo sguardo
sembrava penetrarti fin dentro l’animo, come per
capire se eri degno di pregare ai suoi piedi.
Lasciato il dono che aveva portato con se, si
avviò verso l’entrata del Palazzo. Fu subito
accolto dalle figlie del Re, che gli saltarono
entrambe in braccio sfidandolo a duello.
<<Difenditi, prode guerriero! La tua ora è
giunta!>> gridarono riempiendolo di pugni.
<<Mi
arrendo, mi arrendo!>> esclamò ridendo e
posandole dolcemente a terra.
La più
grande storse il naso in gesto di stizza.
<<Il
grande condottiero è già domato? E’ tutta qui la
tua virtù guerriera?! La fama che ti circonda,
dunque, non è più tale!>>
<<Porta
a lui dovuto rispetto, Flare…>> La rimproverò il
Re entrando nella Sala accompagnato da due
soldati.
<<Scusami, padre… non volevo>>
<<Dato
che sei mia figlia, ti devi comportare da tale!
Hilda accompagna tua sorella nella sua stanza,
voglio rimanere solo con lui!>>
<<Siamo
sempre alle solite, vieni Flare andiamo via!>>
brontolò prendendo la mano della sorella e
varcando la soglia che l’avrebbe portata
nell’ala nord del Palazzo.
Bjornir
attese che le sue due figlie si fossero
dileguate.
<<Finalmente sei tornato… Folken, amico mio!
Spero che le notizie che mi porti siano buone!>>
Il
volto del condottiero s’incupì all’istante,
rispondendo da solo alla domanda.
<<Quanto tempo abbiamo prima che inizi
l’invasione?>>
<<Due,
forse tre giorni al massimo! Oramai hanno
varcato l’Altaelva!>>
Bjornir
si volse di scatto verso il messaggero che aveva
da poco annunciato l’arrivo di Folken.
<<Corri
subito al villaggio di Isun e riferisci che le
Legioni di Cesare hanno varcato il fiume e che
molto probabilmente domani sera saranno in vista
del loro villaggio…>>
<<Non
ce n’è bisogno!>> lo interruppe Folken <<Isun è
in rivolta, alcuni consiglieri hanno tradito!>>
<<Non è
possibile, come lo sai? Come? Dimmelo, ti prego,
non sarà per le terre che gli abbiamo negato!>>
il Re stava perdendo la pazienza <<Sarebbe da
folli gettarsi nelle braccia del nemico per una
questione di confini!>>
<<Purtroppo l’avidità del Consiglio e i vecchi
contrasti con il Casato dei Megres, che voi
appoggiate, hanno giocato un ruolo
fondamentale!>>
<<Maledetti bastardi, così facendo forse hanno
condannato la nostra gente ad una vita di
schiavitù!>>
<<Asgard
non è terra di conquista per nessuno!>> replicò
Folken incrociando il suo sguardo.
Bjornir
fisso quegli occhi di ghiaccio tanto trasparenti
quanto profondi, e vide in essi tutto il vanto e
la determinazione della sua stirpe guerriera.
<<E
sia, allora………. hanno violato il sacro suolo di
Asgard, che ne paghino il prezzo!>>
Parte 2
All'alba del terzo giorno, Asgard fu svegliata
dall'echeggiare dei tamburi da guerra romani,
che scandivano la marcia della XIII Legione. Il
villaggio rimbombava del cupo suono di morte,
mentre i tenui raggi del sole mattutino, si
riflettevano sul manto ghiacciato illuminando
l’intera vallata. Dall'alto del torrione nord
del Palazzo, Bjornir fissava l'orizzonte di
fronte a lui, dove il dolce rilievo della
collina nascondeva ancora alla vista l'esercito
nemico. Il vento quella mattina si era calmato
per la prima volta dopo settimane, come se la
natura volesse osservare, da neutro spettatore,
l'evolversi della battaglia.
Al
ritmo dei tamburi, le prime lance cominciarono a
spuntare dal dosso della collina, decine di
spilli acuminati, che emergevano in duplice
filare. Una massa rosso scura, che si riversava
nella piana di fronte alle mura, riempiendola
completamente. Al centro di questa prima ondata,
troneggiava l'Aquila. Enorme. Possente. Emblema
del potere di Roma da secoli, e simbolo della
forza militare dell’Impero era rivestita d’oro
massiccio, e sorretta da un soldato di statura
immane, chiuso nella sua corazza bronzea. Il
sordo suono del corno di Odino, che da sempre
dava l’allarme al villaggio, distolse Bjornir da
quel cupo spettacolo; presagio di morte. Il Re
volse lo sguardo verso l’amico, che al suo
fianco, osservava anche lui l’esercito romano
disporsi in ordine sotto di loro. Cinque
centurie si erano già disposte in quadrati
perfetti, simili ad istrici pronti a trafiggere
ogni cosa.
<<Lui
dov’è?>>
Folken
non si girò, continuò a fissare l’orizzonte che
si colorava di rosa, e poi di giallo.
<<Eccolo!>> disse infine, indicando una
cavalcatura bianca che scendeva al passo dalla
cima della collina. <<Cesare, l’imperatore!>>
Al suo
passaggio i soldati si aprirono a ventaglio
battendo le lance sugli scudi, così che il loro
tuono di guerra giungesse agli abitanti di
Asgard. Avvolto da un mantello candido come la
neve, impressionava soprattutto per la fierezza
del portamento. Avanzava deciso come un eroe
pronto a sfidare gli Dei. L’energia cosmica che
emanava, era bianca e glaciale, e si sprigionava
da tutto il suo corpo.L’armatura, colpita dai
primi raggi del sole, splendeva come un
diamante. Portava un elmo a forma di becco, con
un lungo cimiero rosso che ricadeva sulle
spalle, dove due possenti artigli fungevano da
coprispalla. Il torace era rivestito da una
corazza leggera e resistente, formata da sottili
lamine di bronzo a forma di piuma. L'aspetto era
proprio quello del possente rapace, signore dei
cieli, pronto a spiccare il volo grazie alle due
enormi ali ricurve che spuntavano dalla schiena,
e che seguivano il movimento ondulatorio del
condottiero al trotto.
<<Dicono sia un guerriero invincibile, nessuno è
mai riuscito a sconfiggerlo! L’eco delle sue
conquiste è giunto sino ad Asgard. Cosa ne sarà
di noi, Folken, se dovessimo uscirne
sconfitti? Noi, gente pacifica, costretta a
vivere sotto un giogo che rende schiavi!>> Il Re
era visibilmente preoccupato e temeva per il suo
popolo. <<Tragica sorte ci attende… Cesare è il
più grande dei generali. Non hai mai perso una
guerra!>> Continuò, cercando di scuotere l’animo
dell’unico uomo in grado di salvare la sua
gente.
Folken
esitò un istante, il suo sguardo fisso sulla
catena montuosa che coronava la valle, come se
cercasse la risposta tra le splendide vette
innevate.Infine strinse il pugno, e una luce
intensa brillò nei suoi occhi di ghiaccio. <<Le
guerre non sempre le vincono i grandi
generali...>> esclamò appoggiando una mano sulla
spalla dell’amico <<…a volte sono gli eroi che
ne cambiano l'esito!>>
Si
volse verso la statua di Odino, per elevare una
preghiera al sommo protettore. Proprio in quel
momento un messaggero raggiunse il Re, recando
un messaggio del nemico.
<<Cesare chiede di incontrarti>> lo interruppe
Bjornir <<Dice che prima di sconfiggere un
avversario, vuole vederne gli occhi, per
conoscere l’animo del suo nemico!>>
<<Dì a
cesare che accolgo la sua richiesta!>> rispose
Folken senza esitazione.
Sapeva
che sarebbe stato utile anche a lui quell’incontro.
Doveva capire chi aveva di fronte. In battaglia
devi conoscere a fondo il tuo avversario se vuoi
sconfiggerlo anticipando le sue mosse.
<<Sei
impazzito? Se ti prendono prigioniero siamo
perduti! Sei la nostra unica speranza! Non posso
permetterlo!>>
<<Devo
farlo invece!>> replicò secco Folken <<Per
batterlo devo studiarlo, avvicinarmi a lui,
capire l'uomo che ho di fronte!>>
Bjornir
non sembrava troppo convinto. Per lui era un
rischio non necessario.
<<Almeno fatti scortare da un gruppo di soldati
qualora ci fossero sorprese>>
<<Non
ci saranno… Cesare è un uomo d'onore e crede
fermamente nella sua forza. Non si abbasserà mai
ad un gesto deplorevole quale l’inganno!>>
Si
volse di nuovo per raggiungere la statua di
Odino, che troneggiava dietro di lui, per
completare la preghiera, ma il Re lo fermò
afferrandolo per un braccio. <<Aspetta!>> disse,
incrociando il suo sguardo <<Stai attento mi
raccomando, la nostra gente dipende da te!>>
Folken
non rispose, fece solo un cenno affermativo con
il capo, e dopo un breve sorriso iniziò a salire
i gradini che conducevano ai piedi della statua
del Dio.Raccolse il dono che vi aveva lasciato
il giorno del suo arrivo, e salito in cima alla
statua, cominciò a recitare una preghiera,
posizionando nelle sette fessure dell’elmo, i
sette zaffiri di Odino che aveva recuperato.
<<Mio
signore Odino che regni su Asgard, elevo a te
una preghiera. In nome della mia gente. Ti prego
non abbandonarci. Fa che Asgard possa ancora
ascoltare il fruscio del vento ed il rumore dei
ruscelli. Che possa ancora scaldarsi al tiepido
tepore del sole, e mirare il candido riflesso
dei ghiacci. Donami la forza per affrontare il
nemico, e Balmung per sconfiggerlo!>>
La
terra fu scossa da un fremito, e il vento tornò
a soffiare violento sulla valle, come se qualche
creature si fosse risvegliata dal suo sonno di
secoli.
Cesare
si fermò dinnanzi al suo esercito, osservando
da lontano la statua del Dio tremare come se
stesse per animarsi. Come se cercasse di
scendere dal suo piedistallo di pietra. Poi più
nulla. D’un tratto il vento cessò, e la calma
tornò ad essere padrona assoluta di quei luoghi.
Quando
le porte di Asgard si aprirono, Folken fece la
sua comparsa sulla sua nera cavalcatura, il cui
manto contrastava fortemente con il candido
sentiero innevato. Indossava la sua armatura da
battaglia, anch’essa nera come la notte, ed in
mano impugnava Balmung, la spada di Odino. La
lama emanava un alone azzurro, azzurro come i
sette zaffiri necessari per averla. Si avvicinò
da solo, al passo, puntando dritto sul nemico,
che impaziente lo attendeva.
<<Dunque ecco l'eroe del Nord che di tante
leggende si va narrando!>> esclamò l’imperatore,
andandogli incontro.
<<E’ un
onore poterti incontrare, Cesare>> replicò,
fermandosi al suo fianco <<Anche se avrei
preferito conoscerti in ben più pacifiche
circostanze!>>
<<Il
destino è imprevedibile a volte…>> esclamò
Cesare con sorriso beffardo. <<Noi d’altronde
siamo solo uomini, uomini che cercano di
diventare mito, come gli Dei lo sono dalla notte
dei tempi! Quale arma abbiamo, noi comuni
mortali, se non quella di epiche gesta per
essere ricordati!>>
<<Spargere sangue e sottomettere popoli per
essere ricordati, non mi sembra la strada giusta
da intraprendere. Mi sembra più un gesto da
folli!>>
<<Folle
è colui che accetta di vivere una vita
insignificante. E’ forse così che vorresti
essere? Un uomo soltanto di “passaggio”? Un uomo
che dopo la morte dei suoi cari mai più verrà
ricordato?>>
<<Preferisco che il mio nome finisca nell’oblio,
se questo è necessario, ma non si dica che
Folken abbia esitato di fronte a te! Non voglio
essere complice dei tuoi folli gesti>>
<<E che
cosa vuoi allora? Dimmelo!>> replicò deciso
l’imperatore.
<<Io
vorrei… pace!>>
<<Pace?
Non posso crederci, tu sei un guerriero, il più
forte e coraggioso di tutta Asgard! Come puoi
volere la pace?! Il tuo posto è nei campi di
battaglia, nel vivo dello scontro, dove un
attimo di esitazione può costarti la vita!>>
<<Ti
sbagli Cesare, io non sono un guerriero, sono un
soldato. E’ diverso. Combatto solo per
necessità, per difendere ciò in cui credo.
Nessuno più di me, sa quanto sia terribile la
guerra. Vorrei vivere tranquillo tra questi
monti, coltivando quei pochi campi che la natura
ci offre. Ma soprattutto dormire senza dover
scattare in piedi nella notte, al minimo rumore,
con la spada già stretta nel pugno. Vorrei
svegliarmi al canto del gallo, e non al suono
del corno di Odino che annuncia l’allarme. Ma
questo tu non lo puoi capire!>>
<<No,
infatti! Non lo capisco! Hai forse scordato che
è la brama di gloria a rendere un guerriero
forte oltre ogni limite?>>
<<La
brama di gloria l’ho conosciuta troppo tempo fa
per ricordare!>>
<<Sei
debole! Porrò fine alla tua vita allora!>>
<<Fallo! Cosa aspetti! Non mi tirerò certo
indietro! La follia non si addice ad un grande
condottiero! Perché folle è il tuo progetto, e
in Ade finirai per questo!>>
<<L’Ade
che mi annunci lo vedrai tu per primo!>> Con un
movimento fulmineo Cesare estrasse la spada dal
fodero, colpendo in direzione del torace. Folken
però non aveva allentato la guardia, e riuscì a
parare il colpo grazie a Balmung. Le due lame
cozzarono in un pulviscolo di frammenti
scintillanti.
<<Ma
non vedi che questo tuo gesto conferma le mie
parole?!>> esclamò fissando il nemico dritto
negli occhi. <<La guerra è sbagliata, sbagliata
perchè sveglia la bestia che dorme in ciascuno
di noi… mostrando in battaglia tutta la sua
ferocia!>>
Un
ghigno malvagio si delineò sul volto di Cesare
<<Bè, allora sappi che la mia non si è mai
sopita!>> e con un altro fendente affondò il
colpo, facendo barcollare all’indietro l’eroe di
Asgard. Nel frattempo, intorno alle due spade,
un aurea cosmica si stava via via formando.
Azzurra quella che circondava Balmung, gialla
quella che emanava dall’arma del condottiero
romano.Folken tirò le
redini guidando il suo cavallo di lato, in modo
da staccarsi dal suo avversario ed avere il
tempo per ritirarsi su. Nello stesso istante in
cui fu pronto a contrattaccare, si bloccò di
colpo. Il suo sguardo fu catturato dalla spada
che impugnava Cesare. Una lama mai vista prima,
affilata come un rasoio e lucente come il vetro.
Portava incise delle lettere che durante lo
scontro non aveva notato. Le lesse ad una ad
una:
E.X.C.A.L.I.B.U.R
<<Ma
questa spada…>> tentò di parlare, ma le parole
gli morirono in bocca.
<<Leggo
lo stupore nei tuoi occhi, tu conosci il mito di
Excalibur? E’ la sacra spada forgiata da Efesto,
il Dio del fuoco e fabbro degli Dei. Lo stesso
che forgiò l’armatura di Achille nella guerra
contro Troia più di mille anni fa! Capisci ora
perché non puoi sconfiggermi? Il taglio di
questa lama è inesorabile!>>
Folken
era come paralizzato: aveva di fronte la spada
che aveva domato i Galli e i Germani, gli Egizi
e i Siri, i Numidi e gli Iberici. Cesare gli si
avvicinò, il suo destriero sbuffava irrequieto
dalle froghe. <<Ora che sai come stanno le cose,
potrai decidere senza incertezze. La vostra
sconfitta sarà solo questione di tempo.
Arrendetevi, altrimenti non ci sarà un’altra
alba per Asgard!>>
Folken
esitò, valutando le parole dell’invasore. Dalla
sua scelta dipendeva il destino delle genti del
Nord. Ma ormai sapeva di avere già deciso. Lui
non era come il suo avversario. Guardò Cesare
con una nuova luce negli occhi. Due zaffiri
scintillanti come il cristallo. Sotto lo sguardo
lontano di Odino, alzò Balmung al cielo,
toccando con la punta la sacra Excalibur.
<<Sia
maledetto colui che non insanguina la propria
spada!>>
Parte 3
I due guerrieri
stavano l'uno di fronte all'altro, immobili,
chiusi nelle loro splendenti armature. Erano
scesi da cavallo, ed ora si fronteggiavano come
due titani agli albori del mondo.Da Est
giungevano tenui i primi raggi del sole
nascente, illuminando i candidi cimieri dei loro
elmi da guerra che ondeggiavano nella brezza del
mattino. Sotto ai loro piedi, fugaci spirali di
neve finissima prendevano vita ad ogni folata
più intensa, per poi dissolversi nell’aria come
mere apparizioni.
Folken serrò la
mano sull’impugnatura della lancia, alzandola
poi verso il cielo con un movimento rotatorio,
ed iniziò a spostarsi lateralmente a piccoli
passi. Avanzava minaccioso, tentando qualche
finta per sbilanciare l'avversario, ma il nemico
era saldo come una montagna. Sembrava quasi che
lo ignorasse, come per invitarlo a colpire.
Mentre gli girava intorno cercava con lo sguardo
un varco nelle sue difese, un punto vulnerabile
dove poteva colpire. Avanzava cautamente,
soppesando la lancia nella mano destra per
bilanciarne il peso, ed essere pronto ad
attaccare.
Cesare dal canto
suo, aveva alzato l'enorme Draug a difesa del
corpo. Il grande scudo rettangolare lo
proteggeva dal mento alle ginocchia, formando
con la sua corazza una barriera insuperabile.
Folken saggiò
nuovamente l’arma, palleggiandola nella mano e
poi, d'improvviso, la scagliò con violenza verso
una piccola fessura fra le allacciature
dell'armatura sulla spalla sinistra. La lancia
saettò velocissima nell'aria e la sua punta di
bronzo si conficcò nel grande scudo
dell’imperatore, che si era piegato su un
ginocchio per reggerne l'urto. Sorpreso, rimase
alcuni secondi ad osservare l’arma che aveva
perforato il suo Draug, ferma a pochi centimetri
dal suo petto. Le sue difese erano state
superate e il grande scudo violato. Scrollò la
lancia dallo scudo spezzandola contro il
terreno, dopodichè si richiuse nuovamente in una
guardia impenetrabile.Raccolte le forze, sguainò
la lunga spada, e si gettò in avanti verso il
combattimento finale. Lo stesso fece Folken, per
niente intimorito alla vista della splendente
Excalibur.Gli scudi cozzarono in un rombo
assordante, mentre l'impeto dei due guerrieri
riecheggiò nel loro urlo di battaglia. Tutta la
piana risuonò del fragore dello scontro. I due
avversari si fronteggiarono a lungo, riparati
dietro le loro protezioni di bronzo, con la
spada in pugno.
Cesare cercò
insistentemente il corpo a corpo per far
prevalere la sua potenza fisica, incrociando la
lama con quella del nemico. I metalli e i bronzi
crepitarono nella fitta scherma ravvicinata, le
punte s'insinuarono nelle difese, cercando i
varchi nelle connessure delle corazze.
Nonostante la sua corporatura più massiccia,
l’imperatore non riusciva però a sbilanciare il
suo avversario che rimaneva stabile puntellando
i piedi sul terreno. Allentò allora la pressione
di spinta, indietreggiando di un passo per
sferrare nuovamente un'altra carica sfruttando
la massa del suo scudo, ma Folken intuì la mossa
e con un guizzo di energia fece un gran balzo
all'indietro per evitare il nuovo impatto e,
acquattato a terra, scagliò un pugnale dal basso
tranciando uno spallaccio della corazza. La
violenza del colpo fece vacillare per la prima
volta il grande Cesare, che dovette appoggiare
una mano a terra per non perdere l’equilibrio.
Prontamente Folken gli fu sopra con Balmung per
finirlo, ma il romano reagì, opponendo il Draug
alla scarica furibonda dei colpi, portandolo
prima in alto e poi verso destra. La lama del
Dio urtò più volte l'orlo del gran bronzo e
sfuggì deviata di lato. Percosso, l’enorme scudo
rimbombò con fragore. In posizione di
svantaggio, Cesare fu costretto ad arretrare sul
terreno e, un passo dopo l'altro, si rialzò.
I due guerrieri
si fermarono per un poco ansimanti a riprendere
fiato, dopodichè assalirono di nuovo con
rinnovato vigore. Le lame delle spade si
urtavano vigorosamente, emanando scintille nel
clangore delle due armi. Nessuno dei due cedeva
di un passo, né rallentava i propri colpi
sospinti da innaturale forza. Cesare era
raccolto tutto dietro lo scudo e avanzava a
piccoli passi, spingendo indietro l’avversario.
Il suo sguardo aveva gli stessi riflessi della
lama, la sua mano come un artiglio era serrata
sull'impugnatura d’avorio. Con la sinistra
parava i colpi opponendo il Draug, dopodichè
scagliava una serie di fendenti a due mani sullo
scudo nemico, piegandolo sotto i suoi possenti
colpi. Le sorti dello scontro erano incerte
anche se nessuno tra i soldati romani aveva il
minimo dubbio su chi alla fine avrebbe prevalso.
L’imperatore era
un uomo formidabile, i suoi nervi si tendevano
allo spasimo sotto l'armatura, mentre il petto
si gonfiava sempre più cercando di raccogliere
più ossigeno possibile. Sembrava non conoscere
la stanchezza, mentre schivava, parava, e poi
fendeva con incredibile foga e precisione. Ma
Folken non demordeva, era audace e spavaldo.
Abbassava la guardia per invitarlo a colpire e
poi, con incredibile destrezza, parava il colpo
nello stesso istante in cui attaccava,
rispondendo ad ogni assalto. Scattava agile a
destra e a sinistra, colpendo il romano da ogni
direzione, cercando ogni volta uno spiraglio
nelle sue difese. Sembrava che indossasse
un’armatura di cuoio, anziché di bronzo. La
mischia feroce si protrasse ancora e ancora,
finché le spade non divennero pesanti come
macigni. La folla era stupita: non riuscivano a
capire quale energia misteriosa sostenesse il
braccio di quel guerriero del nord contro la
furia del loro Generale.
I due combattenti
erano sfigurati dall'immane fatica, grondanti di
sudore e arsi dalla sete, ma nonostante questo
nessuno dei due si arrendeva. Cesare continuava
a colpire con immensa potenza, mentre Folken
cercava inutilmente di sorprenderlo con un
affondo. Alla fine però lo scudo di Folken andò
in pezzi, dilaniato dai colpi, lasciando il suo
padrone senza difese. Con la spada, unica arma
rimasta, si gettò in avanti in un ultimo
disperato tentativo. Balmung avrebbe deciso la
sua sorte. Cesare però era un uomo d’onore, non
voleva vantaggi; e prima che i due corpi
venissero a contatto, lasciò la presa sul Draug,
che cadde a terra con un tonfo sordo.Il fragore
del corpo a corpo echeggiò così ancora una volta
nella vasta piana gelata di Asgard,
completamente immersa nel silenzio: un clangore
di bronzo percosso, grida soffocate, ansimare
convulso.I due guerrieri si affrontavano in una
mischia feroce, in uno scontro continuo,
incessante, senza un attimo di tregua. Ad un
tratto un colpo improvviso di Cesare calato
dall'alto, sorprese il braccio del suo
avversario in una posizione di svantaggio e gli
fece cadere a terra Balmung. Poi lo incalzò
facendolo arretrare, disarmato.Senza più difese,
Folken cominciò ad indietreggiare sul terreno,
tenendo sempre lo sguardo fisso su Cesare che si
avvicinava per mettere fine al duello.
L’imperatore romano si fermò ai suoi piedi, alzò
excalibur e calò un fendente deciso in pieno
petto. La lucente lama si fermò a pochi
centimetri dalla corazza, sulla quale
troneggiava una stella dell’orsa maggiore
incastonata nel bronzo. Con un sorriso Cesare
ripose l'arma nel fodero e allungò la mano al
suo avversario che giaceva stremato e ansante di
fronte a lui. <<La tua abilità, è grande...
forse tra qualche anno non sarò più in grado di
contrastarti, e allora tornerò a sfidarti!>>
<<Che significa
tutto ciò?>>
<<Prima che
iniziasse lo scontro hai parlato di schiavitù e
di libertà, ricordi? Bene, sappi mio caro Folken,
che nessuno è più schiavo di colui che si
ritiene libero senza esserlo! Voi tutti siete
condannati ad una vita in questo gelo di Asgard,
e se è questa la libertà che desideri… ebbene
l’avrai!>>
<<Non capisco,
perchè hai condotto le tue legioni fino ai
confini più estremi del Nord, per poi tornartene
a casa a mani vuote!>>
<<Per la gloria!
Per la sete di conquista!>>
<<E
poi? Che cosa farai quando avrai soggiogato il
mondo intero? Pensi che sarai felice? Che avrai
ottenuto ciò che veramente desideri? O non sarai
preso piuttosto da un’ansia più forte e
profonda, e questa volta invincibile?>>
<<Forse hai ragione, ma non potrò
mai saperlo finché non avrò raggiunto i limiti
che gli Dei hanno assegnato all’essere umano!
Inoltre sapevo
dell’esistenza di un valoroso guerriero di
Asgard di nome Folken… e per questo ho voluto
fronteggiarti! In questo modo il mio nome
rimarrà impresso anche qui, in questi luoghi
così remoti e lontani dalla mia terra! La
vittoria che ho riportato oggi sarà nuovamente
la testimonianza della mia grandezza! Ne
parleranno per secoli! E poi ho già conquistato
tutto quello che c’era da conquistare, speravo
solo di trovare ad Asgard un degno avversario.
Comunque così è stato… e di questo te ne sono
molto grato!>>
<<Allora te ne
tornerai a Roma…>>
<<Si, il tempo
delle battaglie è oramai finito!>>
Folken vide una
tristezza immensa negli occhi dell’imperatore, e
capì che cosa era venuto a cercare. <<Speravi di
perdere la vita in questo scontro, non è forse
così?>>
Cesare si girò
verso di lui <<Eri l’ultimo guerriero rimasto,
speravo fossi tu a portare via la mia vita
anziché il tempo!>>
<<Perché? Perché
brami la morte con tanto ardire? Perché cerchi
un guerriero che ti uccida prima del tempo?>>
L’imperatore lo
fissò negli occhi, e le sue parole fecero capire
a Folken la grandezza del suo animo. <<Perchè se
la mia vita dovesse finire domani per una
malattia, o per chissà quale altra causa, potrò
dire di aver vissuto come un fulmine: poco, ma
prima che mi estinguessi… di fronte a me cielo e
terra hanno tremato!>>
THE END
:::Deghe:::