IL SACRO SUOLO DI ASGARD

 

 

Parte 1 

Il Cavaliere spuntò improvvisamente dalla nebbia come uno spettro. La spada a doppia impugnatura gli pendeva dalla cintura sul lato destro, mentre un grande scudo di bronzo era agganciato all’arcione del cavallo sul lato sinistro. Avanzava al passo, percorrendo l’innevato sentiero che conduceva ad Asgard. Montava uno stallone normanno nero come la pece, che spirava dalle nari la stessa nebbia che strisciava in fondo alla valle fra gli alberi ancora grondanti per la nevicata notturna. Al suo passaggio la natura sembrava ritirarsi, non un suono, non un animale, non un fruscio, come se non volesse disturbare la marcia del possente guerriero. Soltanto il sibilo del vento echeggiava tra i ghiacci intorno alla città, agitando il lungo mantello bianco che dalle spalle scendeva fino a coprire la terga del suo destriero.

Pochi minuti e avrebbe riabbracciato il suo Re e le sue due piccole figlie, a cui era legato da una profonda e sincera amicizia. Una settimana, si disse, tanto era durata la sua missione lontano da quei luoghi a lui cari. Ma d’altronde lui era l’unico che poteva riuscire nell’impresa. Il solo ad Asgard che potesse portare a termine la missione senza intoppi. Era una faccenda troppo importante per rischiare di comprometterla. Ne andava della salvezza della sua gente.

Il cigolio delle gigantesche porte della città lo distolsero dai suoi pensieri, immani blocchi di bronzo istoriati raffiguranti divinità nordiche si aprirono verso l’interno, lasciando intravedere  al condottiero la sua amata Asgard. Per le strade non c’era ancora nessuno, il gelo mattutino era un nemico troppo forte da vincere, anche per gente abituata a lottare fin dalla più tenera età. Perché questa era la vita delle genti del Nord, una continua battaglia per la sopravvivenza, prima contro il rigido clima, poi contro i nemici invasori.

Attraversò la stretta via principale che portava a Palazzo, un lastricato di pietre e calce che faceva risuonare gli zoccoli del suo cavallo. Giunto in prossimità della scalinata che conduceva a Palazzo, salutò le guardie, che s’irrigidirono nel saluto militare, e si avviò a recare omaggio a Odino, come era consuetudine prima di entrare nella reggia. Percorsi pochi gradini la gigantesca statua del Dio gli apparve come sempre in tutta la sua magnificenza. Odino era di fronte a lui, assiso su di una nave vichinga, con le braccia aperte verso l’esterno, come quelle di un padre che accoglie suo figlio. Era quello il suo compito: tenere Asgard sotto la sua protezione, affinché il calore di quell’abbraccio statuario potesse compensare il gelo di  quella terra inospitale. Il corpo muscoloso e levigato era imponente e coperto da una piccola armatura, sul braccio sinistro teneva lo scudo, mentre con la mano destra impugnava Balmung, la spada sacra. Sulla statua, come per magia, la neve non si accumulava mai, e le fattezze del Dio supremo erano sempre ben visibili. Il volto sublime era incorniciato da una florida barba, e la testa era cinta dall’elmo guerriero. Il suo sguardo sembrava penetrarti fin dentro l’animo, come per capire se eri degno di pregare ai suoi piedi. Lasciato il dono che aveva portato con se, si avviò verso l’entrata del Palazzo. Fu subito accolto dalle figlie del Re, che gli saltarono entrambe in braccio sfidandolo a duello.

<<Difenditi, prode guerriero! La tua ora è giunta!>> gridarono riempiendolo di pugni.

<<Mi arrendo, mi arrendo!>> esclamò ridendo e posandole dolcemente a terra.

La più grande storse il naso in gesto di stizza.

<<Il grande condottiero è già domato? E’ tutta qui la tua virtù guerriera?! La fama che ti circonda, dunque, non è più tale!>>

<<Porta a lui dovuto rispetto, Flare…>> La rimproverò il Re entrando nella Sala accompagnato da due soldati.

<<Scusami, padre… non volevo>>

<<Dato che sei mia figlia, ti devi comportare da tale! Hilda accompagna tua sorella nella sua stanza, voglio rimanere solo con lui!>>

<<Siamo sempre alle solite, vieni Flare andiamo via!>> brontolò prendendo la mano della sorella e varcando la soglia che l’avrebbe portata nell’ala nord del Palazzo.

Bjornir attese che le sue due figlie si fossero dileguate.  

<<Finalmente sei tornato… Folken, amico mio! Spero che le notizie che mi porti siano buone!>>

Il volto del condottiero s’incupì all’istante, rispondendo da solo alla domanda.

<<Quanto tempo abbiamo prima che inizi l’invasione?>>

<<Due, forse tre giorni al massimo! Oramai hanno varcato l’Altaelva!>>

Bjornir si volse di scatto verso il messaggero che aveva da poco annunciato l’arrivo di Folken.

<<Corri subito al villaggio di Isun e riferisci che le Legioni di Cesare hanno varcato il fiume e che molto probabilmente domani sera saranno in vista del loro villaggio…>>

<<Non ce n’è bisogno!>> lo interruppe Folken <<Isun è in rivolta, alcuni consiglieri hanno tradito!>>

<<Non è possibile, come lo sai? Come? Dimmelo, ti prego, non sarà per le terre che gli abbiamo negato!>> il Re stava perdendo la pazienza <<Sarebbe da folli gettarsi nelle braccia del nemico per una questione di confini!>>

<<Purtroppo l’avidità del Consiglio e i vecchi contrasti con il Casato dei Megres, che voi appoggiate, hanno giocato un ruolo fondamentale!>>

<<Maledetti bastardi, così facendo forse hanno condannato la nostra gente ad una vita di schiavitù!>>

<<Asgard non è terra di conquista per nessuno!>> replicò Folken incrociando il suo sguardo.

Bjornir fisso quegli occhi di ghiaccio tanto trasparenti quanto profondi, e vide in essi tutto il vanto e la determinazione della sua stirpe guerriera.

<<E sia, allora………. hanno violato il sacro suolo di Asgard, che ne paghino il prezzo!>>

 

 

Parte 2 

All'alba del terzo giorno, Asgard fu svegliata dall'echeggiare dei tamburi da guerra romani, che scandivano la marcia della XIII Legione. Il villaggio rimbombava del cupo suono di morte, mentre i tenui raggi del sole mattutino, si riflettevano sul manto ghiacciato illuminando l’intera vallata. Dall'alto del torrione nord del Palazzo, Bjornir fissava l'orizzonte di fronte a lui, dove il dolce rilievo della collina nascondeva ancora alla vista l'esercito nemico. Il vento quella mattina si era calmato per la prima volta dopo settimane, come se la natura volesse osservare, da neutro spettatore, l'evolversi della battaglia.

Al ritmo dei tamburi, le prime lance cominciarono a spuntare  dal dosso della collina, decine di spilli acuminati, che emergevano in duplice filare. Una massa rosso scura, che si riversava nella piana di fronte alle mura, riempiendola completamente. Al centro di questa prima ondata, troneggiava l'Aquila. Enorme. Possente. Emblema del potere di Roma da secoli, e simbolo della forza militare dell’Impero era rivestita d’oro massiccio, e sorretta da un soldato di statura immane, chiuso nella sua corazza bronzea. Il sordo suono del corno di Odino, che da sempre dava l’allarme al villaggio, distolse Bjornir da quel cupo spettacolo; presagio di morte. Il Re volse lo sguardo verso l’amico, che al suo fianco, osservava anche lui l’esercito romano disporsi in ordine sotto di loro. Cinque centurie si erano già disposte in quadrati perfetti, simili ad istrici pronti a trafiggere ogni cosa.

<<Lui dov’è?>>

Folken non si girò, continuò a fissare l’orizzonte che si colorava di rosa, e poi di giallo.

<<Eccolo!>> disse infine, indicando una cavalcatura bianca che scendeva al passo dalla cima della collina. <<Cesare, l’imperatore!>>

Al suo passaggio i soldati si aprirono a ventaglio battendo le lance sugli scudi, così che il loro tuono di guerra giungesse agli abitanti di Asgard. Avvolto da un mantello candido come la neve, impressionava soprattutto per la fierezza del portamento. Avanzava deciso come un eroe pronto a sfidare gli Dei. L’energia cosmica che emanava, era bianca e glaciale, e si sprigionava da tutto il suo corpo.L’armatura, colpita dai primi raggi del sole, splendeva come un diamante. Portava un elmo a forma di becco, con un lungo cimiero rosso che ricadeva sulle spalle, dove due possenti artigli fungevano da coprispalla. Il torace era rivestito da una corazza leggera e resistente, formata da sottili lamine di bronzo a forma di piuma. L'aspetto era proprio quello del possente rapace, signore dei cieli, pronto a spiccare il volo grazie alle due enormi ali ricurve che spuntavano dalla schiena, e che seguivano il movimento ondulatorio del condottiero al trotto.

<<Dicono sia un guerriero invincibile, nessuno è mai riuscito a sconfiggerlo! L’eco delle sue conquiste è giunto sino ad Asgard. Cosa ne sarà di noi, Folken, se dovessimo uscirne sconfitti? Noi, gente pacifica, costretta a vivere sotto un giogo che rende schiavi!>> Il Re era visibilmente preoccupato e temeva per il suo popolo. <<Tragica sorte ci attende… Cesare è il più grande dei generali. Non hai mai perso una guerra!>> Continuò, cercando di scuotere l’animo dell’unico uomo in grado di salvare la sua gente.

Folken esitò un istante, il suo sguardo fisso sulla catena montuosa che coronava la valle, come se cercasse la risposta tra le splendide vette innevate.Infine strinse il pugno, e una luce intensa brillò nei suoi occhi di ghiaccio. <<Le guerre non sempre le vincono i grandi generali...>> esclamò appoggiando una mano sulla spalla dell’amico <<…a volte sono gli eroi che ne cambiano l'esito!>>

Si volse verso la statua di Odino, per elevare una preghiera al sommo protettore. Proprio in quel momento un messaggero raggiunse il Re, recando un messaggio del nemico.

<<Cesare chiede di incontrarti>> lo interruppe Bjornir <<Dice che prima di sconfiggere un avversario, vuole vederne gli occhi, per conoscere l’animo del suo nemico!>>

<<Dì a cesare che accolgo la sua richiesta!>> rispose Folken senza esitazione.

Sapeva che sarebbe stato utile anche a lui quell’incontro. Doveva capire chi aveva di fronte. In battaglia devi conoscere a fondo il tuo avversario se vuoi sconfiggerlo anticipando le sue mosse.

<<Sei impazzito? Se ti prendono prigioniero siamo perduti! Sei la nostra unica speranza! Non posso permetterlo!>>

<<Devo farlo invece!>> replicò secco Folken <<Per batterlo devo studiarlo, avvicinarmi a lui, capire l'uomo che ho di fronte!>>

Bjornir  non sembrava troppo convinto. Per lui era un rischio non necessario.

<<Almeno fatti scortare da un gruppo di soldati qualora ci fossero sorprese>>

<<Non ci saranno… Cesare è un uomo d'onore e crede fermamente nella sua forza. Non si abbasserà mai ad un gesto deplorevole quale l’inganno!>>

Si volse di nuovo per raggiungere la statua di Odino, che troneggiava dietro di lui, per completare la preghiera, ma il Re lo fermò afferrandolo per un braccio. <<Aspetta!>> disse, incrociando il suo sguardo <<Stai attento mi raccomando, la nostra gente dipende da te!>>

Folken non rispose, fece solo un cenno affermativo con il capo, e dopo un breve sorriso iniziò a salire i gradini che conducevano ai piedi della statua del Dio.Raccolse il dono che vi aveva lasciato il giorno del suo arrivo, e salito in cima alla statua, cominciò a recitare una preghiera, posizionando nelle sette fessure dell’elmo, i sette zaffiri di Odino che aveva recuperato.

<<Mio signore Odino che regni su Asgard, elevo a te una preghiera. In nome della mia gente. Ti prego non abbandonarci. Fa che Asgard possa ancora ascoltare il fruscio del vento ed il rumore dei ruscelli. Che possa ancora scaldarsi al tiepido tepore del sole, e mirare il candido riflesso dei ghiacci. Donami la forza per affrontare il nemico, e Balmung per sconfiggerlo!>>

La terra fu scossa da un fremito, e il vento tornò a soffiare violento sulla valle, come se qualche creature si fosse risvegliata dal suo sonno di secoli.

Cesare si fermò dinnanzi  al suo esercito, osservando da lontano la statua del Dio tremare come se stesse per animarsi. Come se cercasse di scendere dal suo piedistallo di pietra. Poi più nulla. D’un tratto il vento cessò, e la calma tornò ad essere padrona assoluta di quei luoghi.

Quando le porte di Asgard si aprirono, Folken fece la sua comparsa sulla sua nera cavalcatura, il cui manto contrastava fortemente con il candido sentiero innevato. Indossava la sua armatura da battaglia, anch’essa nera come la notte, ed in mano impugnava Balmung, la spada di Odino. La lama emanava un alone azzurro, azzurro come i sette zaffiri necessari per averla. Si avvicinò da solo, al passo, puntando dritto sul nemico, che impaziente lo attendeva.

<<Dunque ecco l'eroe del Nord che di tante leggende si va narrando!>> esclamò l’imperatore, andandogli incontro.

<<E’ un onore poterti incontrare, Cesare>> replicò, fermandosi al suo fianco <<Anche se avrei preferito conoscerti in ben più pacifiche circostanze!>>

<<Il destino è imprevedibile a volte…>> esclamò Cesare con sorriso beffardo. <<Noi d’altronde siamo solo uomini, uomini che cercano di diventare mito, come gli Dei lo sono dalla notte dei tempi! Quale arma abbiamo, noi comuni mortali, se non quella di epiche gesta per essere ricordati!>>

<<Spargere sangue e sottomettere popoli per essere ricordati, non mi sembra la strada giusta da intraprendere. Mi sembra più un gesto da folli!>>

<<Folle è colui che accetta di vivere una vita insignificante. E’ forse così che vorresti essere? Un uomo soltanto di “passaggio”? Un uomo che dopo la morte dei suoi cari mai più verrà ricordato?>>

<<Preferisco che il mio nome finisca nell’oblio, se questo è necessario, ma non si dica che Folken abbia esitato di fronte a te! Non voglio essere complice dei tuoi folli gesti>>

<<E che cosa vuoi allora? Dimmelo!>> replicò deciso l’imperatore.

<<Io vorrei… pace!>>

<<Pace? Non posso crederci, tu sei un guerriero, il più forte e coraggioso di tutta Asgard! Come puoi volere la pace?! Il tuo posto è nei campi di battaglia, nel vivo dello scontro, dove un attimo di esitazione può costarti la vita!>>

<<Ti sbagli Cesare, io non sono un guerriero, sono un soldato. E’ diverso. Combatto solo per necessità, per difendere ciò in cui credo. Nessuno più di me, sa quanto sia terribile la guerra. Vorrei vivere tranquillo tra questi monti, coltivando quei pochi campi che la natura ci offre. Ma soprattutto dormire senza dover scattare in piedi nella notte, al minimo rumore, con la spada già stretta nel pugno. Vorrei svegliarmi al canto del gallo, e non al suono del corno di Odino che annuncia l’allarme. Ma questo tu non lo puoi capire!>>

<<No, infatti! Non lo capisco! Hai forse scordato che è la brama di gloria a rendere un guerriero forte oltre ogni limite?>>

<<La brama di gloria l’ho conosciuta troppo tempo fa per ricordare!>>

<<Sei debole! Porrò fine alla tua vita allora!>>

<<Fallo! Cosa aspetti! Non mi tirerò certo indietro! La follia non si addice ad un grande condottiero! Perché folle è il tuo progetto, e in Ade finirai per questo!>>

<<L’Ade che mi annunci lo vedrai tu per primo!>> Con un movimento fulmineo Cesare estrasse la spada dal fodero, colpendo in direzione del torace. Folken però non aveva allentato la guardia, e riuscì a parare il colpo grazie a Balmung. Le due lame cozzarono in un pulviscolo di frammenti scintillanti.

<<Ma non vedi che questo tuo gesto conferma le mie parole?!>> esclamò fissando il nemico dritto negli occhi. <<La guerra è sbagliata, sbagliata perchè sveglia la bestia che dorme in ciascuno di noi… mostrando in battaglia tutta la sua ferocia!>>

Un ghigno malvagio si delineò sul volto di Cesare <<Bè, allora sappi che la mia non si è mai sopita!>> e con un altro fendente affondò il colpo, facendo barcollare all’indietro l’eroe di Asgard. Nel frattempo, intorno alle due spade, un aurea cosmica si stava via via formando. Azzurra quella che circondava Balmung, gialla quella che emanava dall’arma del condottiero romano.Folken tirò le redini guidando il suo cavallo di lato, in modo da staccarsi dal suo avversario ed avere il tempo per ritirarsi su. Nello stesso istante in cui fu pronto a contrattaccare, si bloccò di colpo. Il suo sguardo fu catturato dalla spada che impugnava Cesare. Una lama mai vista prima, affilata come un rasoio e lucente come il vetro. Portava incise delle lettere che durante lo scontro non aveva notato. Le lesse ad una ad una: E.X.C.A.L.I.B.U.R

<<Ma questa spada…>> tentò di parlare, ma le parole gli morirono in bocca.

<<Leggo lo stupore nei tuoi occhi, tu conosci il mito di Excalibur? E’ la sacra spada forgiata da Efesto, il Dio del fuoco e fabbro degli Dei. Lo stesso che forgiò l’armatura di Achille nella guerra contro Troia più di mille anni fa! Capisci ora perché non puoi sconfiggermi? Il taglio di questa lama è inesorabile!>>

Folken era come paralizzato: aveva di fronte la spada che aveva domato i Galli e i Germani, gli Egizi e i Siri, i Numidi e gli Iberici. Cesare gli si avvicinò, il suo destriero sbuffava irrequieto dalle froghe. <<Ora che sai come stanno le cose, potrai decidere senza incertezze. La vostra sconfitta sarà solo questione di tempo. Arrendetevi, altrimenti non ci sarà un’altra alba per Asgard!>>

Folken esitò, valutando le parole dell’invasore. Dalla sua scelta dipendeva il destino delle genti del Nord. Ma ormai sapeva di avere già deciso. Lui non era come il suo avversario. Guardò Cesare con una nuova luce negli occhi. Due zaffiri scintillanti come il cristallo. Sotto lo sguardo lontano di Odino, alzò Balmung al cielo, toccando con la punta la sacra Excalibur. 

<<Sia maledetto colui che non insanguina la propria spada!>>  

 

 

Parte 3 

I due guerrieri stavano l'uno di fronte all'altro, immobili, chiusi nelle loro splendenti armature. Erano scesi da cavallo, ed ora si fronteggiavano come due titani agli albori del mondo.Da Est giungevano tenui i primi raggi del sole nascente, illuminando i candidi cimieri dei loro elmi da guerra che ondeggiavano nella brezza del mattino. Sotto ai loro piedi, fugaci spirali di neve finissima prendevano vita ad ogni folata più intensa, per poi dissolversi nell’aria come mere apparizioni.

Folken serrò la mano sull’impugnatura della lancia, alzandola poi verso il cielo con un movimento rotatorio, ed iniziò a spostarsi lateralmente a piccoli passi. Avanzava minaccioso, tentando qualche finta per sbilanciare l'avversario, ma il nemico era saldo come una montagna. Sembrava quasi che lo ignorasse, come per invitarlo a colpire. Mentre gli girava intorno cercava con lo sguardo un varco nelle sue difese, un punto vulnerabile dove poteva colpire. Avanzava cautamente, soppesando la lancia nella mano destra per bilanciarne il peso, ed essere pronto ad attaccare.

Cesare dal canto suo, aveva alzato l'enorme Draug a difesa del corpo. Il grande scudo rettangolare lo proteggeva dal mento alle ginocchia, formando con la sua corazza una barriera insuperabile.

Folken saggiò nuovamente l’arma, palleggiandola nella mano e poi, d'improvviso, la scagliò con violenza verso una piccola fessura fra le allacciature dell'armatura sulla spalla sinistra. La lancia saettò velocissima nell'aria e la sua punta di bronzo si conficcò nel grande scudo dell’imperatore, che si era piegato su un ginocchio per reggerne l'urto. Sorpreso, rimase alcuni secondi ad osservare l’arma che aveva perforato il suo Draug, ferma a pochi centimetri dal suo petto. Le sue difese erano state superate e il grande scudo violato. Scrollò la lancia dallo scudo spezzandola contro il terreno, dopodichè si richiuse nuovamente in una guardia impenetrabile.Raccolte le forze, sguainò la lunga spada, e si gettò in avanti verso il combattimento finale. Lo stesso fece Folken, per niente intimorito alla vista della splendente Excalibur.Gli scudi cozzarono in un rombo assordante, mentre l'impeto dei due guerrieri riecheggiò nel loro urlo di battaglia. Tutta la piana risuonò del fragore dello scontro. I due avversari si fronteggiarono a lungo, riparati dietro le loro protezioni di bronzo, con la spada in pugno.

Cesare cercò insistentemente il corpo a corpo per far prevalere la sua potenza fisica, incrociando la lama con quella del nemico. I metalli e i bronzi crepitarono nella fitta scherma ravvicinata, le punte s'insinuarono nelle difese, cercando i varchi nelle connessure delle corazze. Nonostante la sua corporatura più massiccia, l’imperatore non riusciva però a sbilanciare il suo avversario che rimaneva stabile puntellando i piedi sul terreno. Allentò allora la pressione di spinta, indietreggiando di un passo per sferrare nuovamente un'altra carica sfruttando la massa del suo scudo, ma Folken intuì la mossa e con un guizzo di energia fece un gran balzo all'indietro per evitare il nuovo impatto e, acquattato a terra, scagliò un pugnale dal basso tranciando uno spallaccio della corazza. La violenza del colpo fece vacillare per la prima volta il grande Cesare, che dovette appoggiare una mano a terra per non perdere l’equilibrio. Prontamente Folken gli fu sopra con Balmung per finirlo, ma il romano reagì, opponendo il Draug alla scarica furibonda dei colpi, portandolo prima in alto e poi verso destra. La lama del Dio urtò più volte l'orlo del gran bronzo e sfuggì deviata di lato. Percosso, l’enorme scudo rimbombò con fragore. In posizione di svantaggio, Cesare fu costretto ad arretrare sul terreno e, un passo dopo l'altro, si rialzò. 

I due guerrieri si fermarono per un poco ansimanti a riprendere fiato, dopodichè assalirono di nuovo con rinnovato vigore. Le lame delle spade si urtavano vigorosamente, emanando scintille nel clangore delle due armi. Nessuno dei due cedeva di un passo, né rallentava i propri colpi sospinti da innaturale forza. Cesare era raccolto tutto dietro lo scudo e avanzava a piccoli passi, spingendo indietro l’avversario. Il suo sguardo aveva gli stessi riflessi della lama, la sua mano come un artiglio era serrata sull'impugnatura d’avorio. Con la sinistra parava i colpi opponendo il Draug, dopodichè scagliava una serie di fendenti a due mani sullo scudo nemico, piegandolo sotto i suoi possenti colpi. Le sorti dello scontro erano incerte anche se nessuno tra i soldati romani aveva il minimo dubbio su chi alla fine avrebbe prevalso.

L’imperatore era un uomo formidabile, i suoi nervi si tendevano allo spasimo sotto l'armatura, mentre il petto si gonfiava sempre più cercando di raccogliere più ossigeno possibile. Sembrava non conoscere la stanchezza, mentre schivava, parava, e poi fendeva con incredibile foga e precisione. Ma Folken non demordeva, era audace e spavaldo. Abbassava la guardia per invitarlo a colpire e poi, con incredibile destrezza, parava il colpo nello stesso istante in cui attaccava, rispondendo ad ogni assalto. Scattava agile a destra e a sinistra, colpendo il romano da ogni direzione, cercando ogni volta uno spiraglio nelle sue difese. Sembrava che indossasse un’armatura di cuoio, anziché di bronzo. La mischia feroce si protrasse ancora e ancora, finché le spade non divennero pesanti come macigni. La folla era stupita: non riuscivano a capire quale energia misteriosa sostenesse il braccio di quel guerriero del nord contro la furia del loro Generale.

I due combattenti erano sfigurati dall'immane fatica, grondanti di sudore e arsi dalla sete, ma nonostante questo nessuno dei due si arrendeva. Cesare continuava a colpire con immensa potenza, mentre Folken cercava inutilmente di sorprenderlo con un affondo. Alla fine però lo scudo di Folken andò in pezzi, dilaniato dai colpi, lasciando il suo padrone senza difese. Con la spada, unica arma rimasta, si gettò in avanti in un ultimo disperato tentativo. Balmung avrebbe deciso la sua sorte. Cesare però era un uomo d’onore, non voleva vantaggi; e prima che i due corpi venissero a contatto, lasciò la presa sul Draug, che cadde a terra con un tonfo sordo.Il fragore del corpo a corpo echeggiò così ancora una volta nella vasta piana gelata di Asgard, completamente immersa nel silenzio: un clangore di bronzo percosso, grida soffocate, ansimare convulso.I due guerrieri si affrontavano in una mischia feroce, in uno scontro continuo, incessante, senza un attimo di tregua. Ad un tratto un colpo improvviso di Cesare calato dall'alto, sorprese il braccio del suo avversario in una posizione di svantaggio e gli fece cadere a terra Balmung. Poi lo incalzò facendolo arretrare, disarmato.Senza più difese, Folken cominciò ad indietreggiare sul terreno, tenendo sempre lo sguardo fisso su Cesare che si avvicinava per mettere fine al duello. L’imperatore romano si fermò ai suoi piedi, alzò excalibur e calò un fendente deciso in pieno petto. La lucente lama si fermò a pochi centimetri dalla corazza, sulla quale troneggiava una stella dell’orsa maggiore incastonata nel bronzo. Con un sorriso Cesare ripose l'arma nel fodero e allungò la mano al suo avversario che giaceva stremato e ansante di fronte a lui. <<La tua abilità, è grande... forse tra qualche anno non sarò più in grado di contrastarti, e allora tornerò a sfidarti!>>

<<Che significa tutto ciò?>>

<<Prima che iniziasse lo scontro hai parlato di schiavitù e di libertà, ricordi? Bene, sappi mio caro Folken, che nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo! Voi tutti siete condannati ad una vita in questo gelo di Asgard, e se è questa la libertà che desideri… ebbene l’avrai!>>

<<Non capisco, perchè hai condotto le tue legioni fino ai confini più estremi del Nord, per poi tornartene a casa a mani vuote!>>

<<Per la gloria! Per la sete di conquista!>>

<<E poi? Che cosa farai quando avrai soggiogato il mondo intero? Pensi che sarai felice? Che avrai ottenuto ciò che veramente desideri? O non sarai preso piuttosto da un’ansia più forte e profonda, e questa volta invincibile?>>

<<Forse hai ragione, ma non potrò mai saperlo finché non avrò raggiunto i limiti che gli Dei hanno assegnato all’essere umano! Inoltre sapevo dell’esistenza di un valoroso guerriero di Asgard di nome Folken… e per questo ho voluto fronteggiarti! In questo modo il mio nome rimarrà impresso anche qui,  in questi luoghi così remoti e lontani dalla mia terra! La vittoria che ho riportato oggi sarà nuovamente la testimonianza della mia grandezza! Ne parleranno per secoli! E poi ho già conquistato tutto quello che c’era da conquistare, speravo solo di trovare ad Asgard un degno avversario. Comunque così è stato… e di questo te ne sono molto grato!>>

<<Allora te ne tornerai a Roma…>>

<<Si, il tempo delle battaglie è oramai finito!>>

Folken vide una tristezza immensa negli occhi dell’imperatore, e capì che cosa era venuto a cercare. <<Speravi di perdere la vita in questo scontro, non è forse così?>>

Cesare si girò verso di lui <<Eri l’ultimo guerriero rimasto, speravo fossi tu a portare via la mia vita anziché il tempo!>>

<<Perché? Perché brami la morte con tanto ardire? Perché cerchi un guerriero che ti uccida prima del tempo?>>

L’imperatore lo fissò negli occhi, e le sue parole fecero capire a Folken la grandezza del suo animo. <<Perchè se la mia vita dovesse finire domani per una malattia, o per chissà quale altra causa, potrò dire di aver vissuto come un fulmine: poco, ma prima che mi estinguessi… di fronte a me cielo e terra hanno tremato!>>

 

THE END

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