P.E.A.R.

PIANO ENERGETICO AMBIENTALE REGIONALE

 

 

GLI obiettivi e GLI strumenti

 

 


 

1         OBIETTIVI GENERALI

 

Le linee caratterizzanti la pianificazione energetica e ambientale regionale derivano da considerazioni riguardanti sia l’aspetto della domanda che l’aspetto dell’offerta di energia.

Infatti, se la questione dell’offerta di energia ha da sempre costituito la base della pianificazione, giustificata col fatto che scopo di quest’ultima fosse assicurare la disponibilità della completa fornitura energetica richiesta dall’utenza, è evidente che altrettanta importanza va data alla necessità di valutare le possibilità di riduzione della richiesta stessa.

Gli obiettivi del Piano riguardanti la domanda e l’offerta si incrociano con gli obiettivi/emergenze della politica energetico - ambientale internazionale e nazionale. Da un lato il rispetto degli impegni di Kyoto e, dall’altro, la necessità di disporre di una elevata differenziazione di risorse energetiche, da intendersi sia come fonti che come provenienze.

 

La consapevolezza che l'evoluzione del sistema energetico vada verso livelli sempre più elevati di consumo ed emissione di sostanze climalteranti implica la necessità di introdurre livelli di intervento molto vasti che coinvolgano il maggior numero di attori e tecnologie possibili. 

 

Sul lato dell’offerta di energia, la Regione si pone l’obiettivo di costruire un mix energetico differenziato e, nello stesso tempo, compatibile con la necessità di salvaguardia ambientale.

Diversi sono i punti da affrontare:

-                     la Regione è da alcuni anni caratterizzata da una produzione di energia elettrica molto superiore alla domanda interna: è obiettivo del Piano proseguire in questa direzione nello spirito di solidarietà ma con la consapevolezza della necessità di ridurre l’impatto sull’ambiente, sia a livello globale che a livello locale, e di diversificare le risorse primarie utilizzate nello spirito di sicurezza degli approvvigionamenti;

-                     la diversificazione delle fonti e la riduzione dell’impatto ambientale globale e locale passa attraverso la necessità di limitare gradualmente l’impiego del carbone incrementando, nello stesso tempo, l’impiego del gas naturale e delle fonti rinnovabili;

-                     i nuovi impianti per la produzione di energia elettrica devono essere inseriti in uno scenario che non configuri una situazione di accumulo, in termini di emissioni di gas climalteranti, ma di sostituzione, in modo da non incrementare ulteriormente tali emissioni in relazione al settore termoelettrico;

-                     l’opzione nucleare risulta incompatibile nella definizione del mix energetico regionale;

-                     coerentemente con l’incremento dell’impiego del gas naturale, il piano prevede di attrezzare il territorio regionale con installazioni che ne consentano l’approvvigionamento, per una capacità tale da poter soddisfare sia i fabbisogni interni che quelli di aree limitrofe;

-                     coerentemente con la necessità di determinare un sensibile sviluppo dell’impiego delle fonti rinnovabili, ci si pone l’obiettivo di trovare le condizioni idonee per una loro valorizzazione diffusa sul territorio;

-                     l’impiego delle fonti rinnovabili contribuirà al soddisfacimento dei fabbisogni relativi agli usi elettrici, agli usi termici e agli usi in autotrazione;

-                     in particolare per quanto riguarda la fonte eolica, si richiama l’importanza dello sviluppo di tale risorsa come elemento non trascurabile nella definizione del mix energetico regionale, attraverso un governo che rivaluti il ruolo degli enti locali;

-                     per quanto riguarda l’impiego della biomassa come fonte energetica è necessario porre particolare attenzione allo sviluppo di filiere locali e ai suoi usi finali, considerando le peculiarità di tale fonte nella possibilità di impiego anche per usi termici e nei trasporti, a differenza di molte altre fonti rinnovabili. In particolare, per la produzione di calore e energia elettrica sono preferibili gli impianti di taglia piccola e media;

-                     particolare attenzione richiede lo sviluppo della produzione e dell’uso della fonte energetica “idrogeno” da valorizzare significativamente nelle attività di ricerca e da integrare nelle strategie di sviluppo dell’insieme delle fonti rinnovabili;

-                     è necessario intervenire sui punti deboli del sistema di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica.

 

Sul lato della domanda di energia, la Regione si pone l’obiettivo di superare le fasi caratterizzate da azioni sporadiche e scoordinate e di passare ad una fase di standardizzazione di alcune azioni.

In particolare:

-                     va applicato il concetto delle migliori tecniche e tecnologie disponibili, in base al quale ogni qual volta sia necessario procedere verso installazioni ex novo oppure verso retrofit o sostituzioni, ci si deve orientare ad utilizzare ciò che di meglio, da un punto di vista di sostenibilità energetica, il mercato può offrire;

-                     in ambito edilizio è necessario enfatizzare l’importanza della variabile energetica definendo alcuni parametri costruttivi cogenti;

-                     il settore pubblico va rivalutato come gestore di strutture e impianti su cui si rendono necessari interventi di riqualificazione energetica;

-                     in ambito industriale è necessario implementare le attività di contabilizzazione energetica e di auditing per verificare le opportunità di razionalizzazione energetica;

-                     è prioritario valutare le condizioni idonee all’installazione di sistemi funzionanti in cogenerazione;

-                     nell’ambito dei trasporti si definiscono interventi che riguardano sia le caratteristiche tecniche dei veicoli che le modalità di trasporto;

-                     in particolare si evidenzia l’importanza dell’impiego dei biocarburanti nei mezzi pubblici o di servizio pubblico.

 


 

2         IL GOVERNO DELLA DOMANDA DI ENERGIA

 

 

2.1      Il settore residenziale

 

2.1.1       Obiettivi

 

Il settore degli usi civili, sia perché obiettivamente interessante sotto l’aspetto dell’entità del fabbisogno energetico, sia per la varietà e la capillarità dei possibili interventi che presuppongono un coinvolgimento ed un adeguato approccio culturale da parte dell’operatore e dell’utente, rappresenta un campo di applicazioni in cui sarà possibile favorire una svolta nell’uso appropriato delle tecnologie energetiche.

Le tendenze indicate dall’analisi della situazione attuale, considerando il livello regionale, registrano un forte incremento dei consumi che, a breve termine, non lasciano ipotizzare una naturale inversione di tendenza. La maggiore esigenza di comfort e i nuovi standard di edificazione determinano maggiori consumi che possono essere ridotti, senza intaccare l’esigenza di una maggiore prestazione, affrontando la questione su più piani.

 

 

Gli usi finali termici

 

Lo scenario tendenziale che è stato ipotizzato si basa su una trasformazione del parco edilizio, nel corso del prossimo decennio, paragonabile a quella avvenuta negli ultimi decenni.

Le volumetrie di nuova costruzione sono considerate avere uno standard energetico al minimo accettabile per legge, di conseguenza nel rispetto dei valori introdotti dal D. Lgs. 192/05, ma senza ulteriori sforzi di particolare contenimento energetico.

Insieme all’aumento dei volumi, si osserva un incremento costante anche nei consumi.

Le linee di tendenza in costante aumento sono quindi due: aumento delle volumetrie rese disponibili, da una parte, e aumento del comfort sia nelle abitazioni già esistenti, sia in quelle di nuova offerta sul mercato.

A questa tendenza va dedicata particolare attenzione, poiché la maggiore esigenza di comfort deve essere adeguatamente supportata da un miglioramento degli standard costruttivi, anche nella prospettiva di rispettare i nuovi valori di consumo limite definiti dalla nuova normativa, cioè il D. Lgs. 192/05.

L’aumento dei consumi dello scenario tendenziale è risultato notevole, pari al 26,5 % rispetto ai consumi attuali. Segna comunque una naturale diminuzione rispetto al decennio precedente, determinato da un diffuso miglioramento dell’efficienza energetica di dispositivi, sistemi ed edifici.

 

Anche il settore non residenziale registra un costante aumento e lo scenario tendenziale prevede un incremento simile a quanto previsto per il residenziale.

 

La parallela esigenza di ridurre consumi ed emissioni sfocia nella necessità di rendere più efficiente tutto il sistema dei diversi consumi e riuscire a dare spazio adeguato anche al contributo delle energie rinnovabili.

Per muoversi in questa direzione in maniera strutturata e strategica è necessario definire innanzitutto gli obiettivi e, quindi, dotarsi degli strumenti per il loro raggiungimento.

 

In considerazione delle notevoli possibilità di risparmio energetico collegato agli interventi sulle strutture edilizie, il piano identifica come obiettivo minimo quello di non incrementare i consumi energetici totali di fonti fossili collegati alle strutture edilizie, nonostante eventuali previsioni di ampliamento volumetrico.

 

Il raggiungimento di un obiettivo di incremento zero nell’arco dei dieci anni prevede naturalmente la realizzazione di nuove costruzioni con alti standard energetici e, necessariamente, un parallelo aumento dell’efficienza nel resto del parco edilizio esistente. L’introduzione di tecnologie alimentate da fonti energetiche rinnovabili consente, inoltre, di ridurre ulteriormente le emissioni collegate ai consumi energetici.

 

La realizzazione di nuovi edifici a basso consumo energetico è più semplice da realizzare, anche perché accompagnata da una produzione normativa che spinge decisamente tutto il settore in questa direzione (vedi D. Lgs. 192/05), ma il grande potenziale di risparmio si trova nell’edilizia esistente: la qualità dei programmi di efficientizzazione, la penetrazione sul territorio, la cogenza di alcuni requisiti, la costruzione di meccanismi finanziari dedicati ad azioni per il risparmio di energia sono gli strumenti operativi che permetteranno la riduzione del fabbisogno, senza ostacolare il raggiungimento di maggiori livelli di comfort.

 

Sia che si tratti di edifici esistenti o da costruire, l’approccio dovrà rispettare la seguente sequenza di priorità:

riduzione del fabbisogno (quindi delle dispersioni o degli sprechi, da qualunque parte essi arrivino);

aumento dell’efficienza della fornitura di energia

sostituzione delle fonti energetiche fossili con fonti energetiche rinnovabili.

 

Il D. Lgs. 192/05 definisce nuovi limiti di consumo rispetto alla L.10/91, a cui la nuova costruzione dovrà necessariamente adeguarsi. Si parte dal presupposto, quindi, che anche i consumi energetici massimi saranno commisurati agli standard edilizi di nuova definizione.

L’andamento dei consumi massimi è definito in relazione al fattore di forma S/V, e non muta in maniera lineare insieme ad esso. Di conseguenza un edificio con un fattore di forma alto, e quindi molto disperdente, ha maggiori possibilità di consumo riconosciute dalla normativa. Questo fatto, che prende semplicemente atto di una legge fisica, non porta alcuno stimolo a ragionare, in fase di progettazione, sull’efficienza anche della forma dell’edificio.

A livello locale è comunque possibile proporre una maggiore attenzione agli standard energetici degli edifici di nuova costruzione, riducendo il margine di maggiore consumo permesso alle costruzioni dal valore S/V alto.

Nel caso di una incentivazione, di qualsiasi natura, degli edifici di alta qualità energetica, questo bonus deve essere abolito.

 

 

 

Grafico 1 - Limiti di consumo da 192/05 per le zone climatiche C – D – E.

 

La regolamentazione delle nuove costruzioni è necessaria perché ogni edificio costruito secondo uno standard inferiore a quello disponibile è un’occasione persa che continuerà a consumare una quantità di energia superiore al necessario per decine di anni, e qualsiasi opera di retrofitting non potrà essere efficiente come una nuova costruzione basata su criteri di aumento massimo del comfort e riduzione massima dei consumi.

Nondimeno, la quota di edifici di nuova costruzione costituisce una piccola percentuale del parco edilizio esistente. Mentre il mondo della nuova costruzione inizia ad adeguarsi a nuove modalità ed esigenze di costruzione, anche il mercato della ristrutturazione deve essere contagiato dalla riflessione sulle possibilità di intervento per la riduzione dei consumi.

 

Alcuni strumenti sono già stati formulati e sono da anni in vigore; tuttavia soffrono di applicazione discontinua e di controlli inadeguati: il Dpr. 412 e i successivi aggiornamenti prevede un continuo controllo delle centrali termiche e delle caldaie. Il controllo della caldaia non deve essere interpretato come un mero adempimento burocratico, perché può diventare invece anche la valutazione del funzionamento del sistema edificio, che può risultare più o meno anomalo.

Una campagna precisa sul rendimento delle caldaie, accompagnata da adeguata informazione, può contribuire a un ricambio tecnologico tempestivo e di conseguenza a una riduzione degli sprechi dati da dispersioni, sovradimensionamenti e vecchie tecnologie.

 

In una situazione climatica come quella pugliese un forte avvio deve essere dato alla diffusione del solare termico. Si tratta infatti di una tecnologia ormai matura che può dare un concreto sostegno alla riduzione dei consumi di energie fossili e di emissioni climalteranti. Alle latitudini della Puglia, dove gli inverni sono decisamente miti, la quota di energia necessaria per l’acqua calda sanitaria rappresenta infatti una fetta considerevole dei consumi energetici totali.

 

Per valutare il livello di interventi che possono essere attuati per raggiungere gli obiettivi definiti, si utilizza la modellizzazione del territorio utilizzata nella parte di analisi e la si deforma ipotizzando situazioni nuove o auspicabili, sempre con un occhio alla fattibilità dell’azione.

 

Lo scenario virtuoso qui definito si impegna a individuare alcune possibili azioni di intervento sia sulla nuova costruzione, sia sul parco edilizio esistente, non solo tecnicamente attuabili, ma anche che presentino caratteristiche di plausibilità.

Gli edifici di nuova costruzione rispettano anche in questo caso i valori dati dal D. Lgs. 192/05, come nello scenario tendenziale, ma avendo come obiettivo una riduzione intorno al 20% rispetto ai valore legge limite. Questo è un obiettivo tecnicamente raggiungibile, e che andrebbe anche a stimolare una cultura progettuale orientata al contenimento energetico e non solamente a interpretare la legge come un vincolo numerico a cui ottemperare.

Il rendimento delle caldaie viene considerato migliore rispetto al caso base, portandolo ad almeno il 90% per le caldaie degli edifici di nuova costruzione e di quelle che devono inserire un impianto ex-novo, mentre per le altre si considera un miglioramento medio più lieve, di circa un punto percentuale sul totale, dato dalla naturale sostituzione delle caldaie obsolete e dall’inserimento di caldaie nuove e quindi allo stato della tecnica in tutti gli edifici esistenti che a oggi ancora non sono dotati di impianto di riscaldamento.

 

Per ridurre le dispersioni degli edifici esistenti, si sono ipotizzati anche alcuni interventi sul loro involucro: anche in questo caso l’intervento ipotizzato non viene supposto come adottato da tutte le abitazioni, ma si individua una percentuale di abitazioni che eseguono tali trasformazioni. Gli interventi considerati più diffusi sono la sostituzione dei serramenti, con serramenti a migliore valore di trasmittanza e migliore tenuta, la coibentazione della copertura e, solo successivamente (quindi con una minore quota di diffusione), quelli relativi alla coibentazione delle pareti esterne e del basamento.

 

In questo scenario si è naturalmente valutato anche il possibile impatto dato dall’impiego di fonti energetiche rinnovabili. In particolare, sono state ipotizzate le variazioni sui consumi determinate dall’applicazione diffusa di impianti solari termici per il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria. Il solare termico può trovare applicazione anche nel riscaldamento degli ambienti, in edifici dall’adeguato standard energetico, ma ci si è limitati, in questa analisi, alle applicazioni per acqua calda sanitaria. In particolare si è considerato che tutti gli edifici di nuova costruzione vengano dotati di impianti solari termici che coprano il 70% del fabbisogno di acqua calda sanitaria, calcolato sull’anno intero. Questa è infatti una quota ottimale di dimensionamento degli impianti, che permette di ottenere migliori risultati nel rapporto costi/benefici. Inoltre l’applicazione degli impianti durante la costruzione degli edifici permette di ridurre notevolmente i costi rispetto a un’opera di retrofitting e di ottimizzare anche spazi di distribuzione e locali tecnici.

 

In parallelo si è anche ipotizzato che nelle località dove la metanizzazione è ancora in corso, e dove quindi si ipotizza la realizzazione di nuovi impianti (sia nell’eventuale conversione a metano di impianti esistenti, ma soprattutto considerando gli edifici privi di impianto di riscaldamento che vengono raggiunti dalla distribuzione della rete gas, e quindi potrebbero dotarsi di impianto nuovo), circa il 30% delle abitazioni esistenti potrebbero dotarsi contestualmente di impianto solare termico, sempre per la copertura del 70 % del proprio fabbisogno per acqua calda sanitaria. In questo senso i distributori stessi possono assumere un ruolo di particolare importanza nell’individuazione e diffusione delle tecnologie rinnovabili, riuscendo da una parte a ottemperare agli obblighi di legge per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione previsti dai decreti di efficienza energetica, dall’altra a creare le condizioni organiche e organizzate per una diffusione di tecnologie maggiormente sostenibili per soddisfare il fabbisogno di energia per l’utenza residenziale.

 

In sintesi, le condizioni che sottostanno allo scenario obiettivo sono così riassumibili:

1) incremento delle volumetrie al 2016 e standard Dlgs 192/05 migliorato del 20%;

2) miglioramento del rendimento caldaie (da 75 a 82-84%);

3) completamento della distribuzione del riscaldamento a tutti gli alloggi;

4) sostituzione ACS standard con solare termico, su tutto il nuovo costruito con copertura = 70%; nelle aree di nuova metanizzazione anche l’esistente per il 30% ha copertura =70%;

5) miglioramento parziale dei valori di trasmittanza dell'esistente.

 

Nella tabella successiva si riportano i valori di consumo specifico considerati per le nuovi costruzioni.

 

Valori nuova costruzione (kWh/m2a)

Piani edificio

1 (S/V:0,9)

2 (S/V:0,85)

3 (S/V:0,79)

4+ (S/V:0,58)

media

FG_zona E

92,00

84,00

68,00

56,00

75,00

FG_zona D

72,00

68,00

62,40

44,00

61,60

FG_zona C

60,00

48,00

42,40

36,00

46,60

BA_zona D

73,60

69,60

64,00

46,40

63,40

BA_zona C

56,00

46,40

40,00

34,40

44,20

TA_zona D

73,60

69,60

64,00

46,40

63,40

TA_zona C

56,00

46,40

40,00

34,40

44,20

BR_zona D

70,40

66,40

60,00

42,40

59,80

BR_zona C

56,00

46,40

40,00

34,40

44,20

LE_zona C

56,00

46,40

40,00

34,40

44,20

 

Tabella 1 - Fabbisogni considerati per gli edifici di ogni zona - valori inferiori ai limiti del D. Lgs 192/05.

 

Per le modifiche sui valori di trasmittanza degli elementi edilizi esistenti si sono utilizzati diversi criteri di valutazione.

Per quanto riguarda le pareti esterne si è ipotizzato che sugli edifici anteriori al 1919 non sia semplice intervenire, da una parte perché situati in centri storici e forse anche sotto tutela architettonica, e quindi non sono ipotizzati interventi su  questa categoria di edifici. Sugli edifici costruiti tra il 1919 e il 1945 si è ipotizzata una possibilità tecnologica inferiore di intervento, mentre sugli edifici successivi al 1982 si è ipotizzato un livello migliore di standard energetico, e di conseguenza anche la minore disponibilità a effettuare lavori di radicale trasformazione.

Il numero di abitazioni su cui si è ipotizzato questo intervento è del 15 %.

La sostituzione dei vetri e dei serramenti ha dei notevoli risultati non solo dal punto di vista del contenimento dei consumi in inverno, ma anche per la protezione dal sole in estate. Si è quindi ipotizzata la adozione di vetrocamere a bassa emissività anche in zone climatiche che potrebbero avere valori di trasmittanza più alti, poiché i vetri a protezione solare riducono i carichi termici estivi e i conseguenti consumi elettrici. Si ipotizza di attivare tali interventi sugli edifici precedenti il 1990. Come fattore di applicazione dell’intervento si è considerato il 30 % degli alloggi.

Gli interventi sulle coperture sono considerati tra i più plausibili, poiché le coperture sono l’elemento edilizio che maggiormente necessita di manutenzione, quindi dove è più probabile un intervento dettato da altre necessità a cui accoppiare anche un intervento di risanamento energetico. Per questo sono stati variati i valori di trasmittanza di tutte le categorie di edifici. Si ipotizza di attivare tali interventi sugli edifici precedenti il 1980. La percentuale di applicazione è definita nel 30%

Gli interventi per la riduzione delle dispersione dai basamenti sono invece poco diffusi, perché spesso molto costosi nella realizzazione. Opportuni sempre, facili da eseguire in presenza di cantinati o di locali sottostanti non riscaldati. Percentuale di intervento del 15 % e riduzione del valore di trasmittanza solo per le classi di edifici che più probabilmente sono dotati di locali interrati non riscaldati. Si ipotizza di attivare tali interventi essenzialmente sugli edifici successivi al 1945 e anteriori al 1970.

Nella tabella successiva si riassumono i valori dei parametri utilizzati.

 

 

Classi di età edifici

 

Trasmittanza [W/(m2*K)]

< 1919

1919-1945

1946-1960

1961-1971

1972-1981

1982-1991

> 1991

Intervento (%)

Pareti opache

1,60

0,80

0,45

0,45

0,45

1,00

0,90

15

Serramenti

2,70

2,70

2,70

2,70

2,70

2,70

3,20

30

Copertura

0,35

0,35

0,35

0,35

0,35

0,65

0,60

30

Appoggio

2,00

1,50

0,85

0,85

0,91

0,65

0,60

15

Tabella 2 – Trasmittanze utilizzate per gli interventi sugli elementi edilizi esistenti e percentuali di intervento

 

I risultati della simulazione sono riassunti nella tabella successiva, considerando sia la nuova costruzione che l’esistente.

 

 

Consumo riscaldamento al 2016

 

Nuovo costruito (tep)

Nuovo costruito (%)

Esistente (tep)

Totale (tep)

FG_zona E

1.073

7,79%

13.774

14.847

FG_zona D

9.716

9,31%

104.343

114.059

FG_zona C

1.382

10,16%

13.598

14.979

BA_zona D

11.325

9,50%

119.166

130.491

BA_zona C

13.169

9,56%

137.802

150.971

TA_zona D

2.628

9,58%

27.419

30.047

TA_zona C

7.280

11,16%

65.252

72.532

BR_zona D

922

9,90%

9.314

10.236

BR_zona C

6.269

11,22%

55.861

62.130

LE_zona C

16.109

11,78%

136.783

152.892

Totale

69.873

 

683.312

753.185

Tabella 3 - Consumi per riscaldamento al 2016 – incrementi da nuova costruzione più edifici esistenti

 

Per quanto concerne l’acqua calda sanitaria, viene considerato un incremento dato da un leggero aumento della popolazione. Si considera che gli edifici di nuova costruzione siano dotati di impianti solari, che coprono circa il 70% del fabbisogno. Il fabbisogno delle nuove costruzioni è quindi dato da una parte coperta dal solare e da una parte coperta dall’impianto di riscaldamento.

Fanno eccezione le zone  dove la metanizzazione ha ancora un notevole spazio di diffusione. In tali località si ipotizza la realizzazione di nuovi impianti (sia nell’eventuale conversione a metano di impianti esistenti, ma soprattutto considerando gli edifici privi di impianto di riscaldamento che vengono raggiunti dalla distribuzione della rete gas, e quindi potrebbero dotarsi di impianto nuovo), e che, contestualmente, circa il 30% delle abitazioni esistenti potrebbero dotarsi di impianto solare termico, sempre per la copertura del 70 % del proprio fabbisogno per acqua calda sanitaria.

 

Nella tabella successiva sono indicati i fabbisogni di acqua calda sanitaria residui dopo l’applicazione del solare termico. Nelle due colonne di riepilogo si riportano, in ktep, i valori di fabbisogno dati da acqua calda sanitaria e riscaldamento, nel primo caso senza l’applicazione del solare termico, nel secondo, invece, applicando le quote sopra descritte di produzione da solare termico.

 

 

Consumo (ktep)

 

ACS-nuovo costruito

ACS-esistente

ACS e riscaldamento senza solare

Rispetto a 2004

ACS e riscaldamento con solare

Rispetto a 2004

FG_zona E

68

1.411

17

5,8%

16

2,5%

FG_zona D

805

16.808

138

6,5%

132

1,6%

FG_zona C

146

3.042

19

7,3%

18

0,9%

BA_zona D

782

16.326

154

1,6%

148

-2,5%

BA_zona C

1.516

31.666

196

1,8%

184

-4,4%

TA_zona D

177

3.688

35

9,2%

34

4,9%

TA_zona C

677

14.153

93

10,3%

87

3,9%

BR_zona D

62

1.295

12

16,8%

12

12,0%

BR_zona C

531

11.088

78

17,1%

74

10,8%

LE_zona C

1.160

15.343

187

22,5%

169

10,7%

totale

5.922

114.821

930

8,9%

874

2,4%

Tabella 4 - Fabbisogno per scopi termici, acqua calda sanitaria e riscaldamento, con e senza solare termico

 

Gli interventi previsti sull’involucro degli edifici e sul miglioramento del rendimento della caldaia, a causa del fattore di incremento della volumetria e di incremento della volumetria riscaldata (il totale delle abitazioni occupate) produce un aumento del fabbisogno del 8,9 %.

L’inserimento del solare termico riesce ad abbattere questo valore fino al 2,4%, rispetto ai consumi al 2004.

In questo contesto si è valutata solo l’applicazione del solare termico come applicazione di tecnologie a fonti rinnovabili o di particolare efficientizzazione: possono essere modellizzate e ipotizzate anche altre soluzioni legate alla diffusione della microcogenerazione, per esempio, soprattutto nelle situazioni che presentano un consumo consistente anche sul lato elettrico, oppure di pompe di calore, o anche di mini reti di teleriscaldamento, eventualmente alimentate a biomassa. Tutte queste sono strade percorribili e che, adeguatamente introdotte, possono contribuire alla riduzione di consumi di fonti fossili e di emissioni, anche su edifici già esistenti.

L’introduzione di questi ulteriori interventi consentirà di annullare l’incremento dei consumi di fonti fossili rispetto al livello attuale e, in prospettiva, di consentire addirittura una inversione di tendenza.

 

 

 

Gli usi finali elettrici

 

Lo scenario di riduzione dei consumi elettrici che viene delineato come obiettivo deriva da una stima della distribuzione che si potrebbe ottenere nel caso in cui venissero applicati incentivi alla promozione dei prodotti ad alta efficienza con campagne articolate, che coinvolgano produttori, rivenditori e distributori di energia elettrica e gas e ESCO.

Come nello scenario tendenziale, l'evoluzione dei consumi e dell'efficienza energetica del parco dei dispositivi elettrici installati è determinata sia dal ritmo di sostituzione dei vecchi dispositivi, sia dall’incremento della loro diffusione, sia dall'efficienza energetica dei nuovi prodotti acquistati.

Si assume un tempo medio di vita pari a 15 anni.

Si assume, inoltre, un incremento della penetrazione dei diversi elettrodomestici, calcolata rispetto all'anno precedente, come segue:

§       per i frigocongelatori si assume pari all'1,5 % annuo e include sia l'incremento del numero di abitazioni sia un tendenziale incremento delle dimensioni degli apparecchi stessi

§       per i congelatori si assume pari al 5 % annuo e include sia l'incremento del numero di abitazioni sia una maggior diffusione degli apparecchi stessi

§       per le lavatrici si assume pari allo 0,8 % annuo e rispecchia l'incremento del numero di abitazioni

§       per le lavastoviglie si assume pari al 5 % annuo e include sia l'incremento del numero di abitazioni sia una maggior diffusione degli apparecchi stessi

 

Nel caso degli scaldacqua si è ipotizzato che vi possa essere una ulteriore diminuzione della loro diffusione rispetto allo scenario tendenziale a seguito di una maggiore penetrazione delle tecnologie solari.

Per quanto riguarda i sistemi per condizionamento si assume che i dispositivi venduti vadano ad aggiungersi a quelli già esistenti. In questo caso ci si basa su un incremento di diffusione pari al 20 % annuo rispetto al valore dell'anno precedente.

Nel caso delle lampade si assume un incremento pari allo 0,8 % annuo, rispecchiando l'incremento del numero di abitazioni. Inoltre si assume un tempo medio di vita pari a 1,5 anni.

Per i frigocongelatori e i congelatori si prevede un incremento medio annuo delle vendite, rispetto all'anno precedente, pari al 50 % per la classe A+, al 50 % per la classe A e al 40 % per la classe B.

Per le lavatrici, le lavastoviglie si prevede un incremento medio annuo delle vendite pari al 40 % per la classe A e al 40 % per la classe B.

Per le lampade si prevede un incremento medio delle vendite pari al 30 % per le fluorescenti compatte.

Per gli altri, essenzialmente per i dispositivi elettronici, le ipotesi si sono limitate a considerare la diversa penetrazione, facendo attenzione ad una riduzione dei consumi associati ai sistemi di standby.

Per i condizionatori si punta ad alla vendita di prodotti di classe A.

 

Nella tabella successiva si riassumono le distribuzioni degli elettrodomestici previste per lo scenario virtuoso.

 

Apparecchio

Diffusione per classe di efficienza energetica (%)

 

A+

A

B

C

Altro

Frigocongelatori

21

52

18

9

0

Congelatori

1

63

21

15

2

Lavatrici

0

80

20

0

0

Lavastoviglie

0

64

18

18

0

Condizionatori

0

9

15

48

27

 

Tabella 5 - Stima della distribuzione di dispositivi per classe energetica nello scenario obiettivo

 

Come si può notare, nello scenario di riduzione oltre la metà di frigocongelatori, congelatori, lavatrici e lavastoviglie risultano essere di classe A. Nel caso dei frigocongelatori, inoltre, inizia a crescere la presenza della classe A+. Per i condizionatori la classe A è ancora limitata, in conseguenza della recente espansione sul mercato di dispositivi con caratteristiche energetiche scadenti.

 

Per quanto riguarda l'illuminazione la situazione è riassunta di seguito.

 

Apparecchio

Diffusione per classe di efficienza energetica (%)

 

Fluorescenti

Incandescenza

Lampade

85

15

 

Tabella 6 - Stima della distribuzione delle lampade nello scenario obiettivo

 

Sulla base di tali assunzioni sono state stimate le modifiche dei consumi finali elettrici del settore residenziale tra una decina di anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Applicazioni

Consumi complessivi

 

MWh/a

%

Frigorifero

538.000

 

Congelatore

117.000

 

Refrigerazione

656.000

16,4

Lavabiancheria

265.000

 

Lavastoviglie

121.000

 

Lavaggio

386.000

9,7

Illuminazione

359.000

6,5

Televisore

509.000

 

Videoregistratore

132.000

 

Impianto HI – FI

118.000

 

Computer

141.000

 

Apparecchi elettronici

900.000

22,5

Scaldacqua elettrico

291.000

7,3

Ferro da stiro

232.000

5,8

Cucina gas/elettrica

108.000

 

Forno microonde

136.000

 

Cucina

245.000

6,1

Stufa elettrica

39.000

1,0

Condizionatore

910.000

22,8

Altre applicazioni

77.000

1,9

Totale

3.995.000

100,0

 

Tabella 7 - Stima dei consumi energetici obiettivo distinti per usi finali

 

Rispetto alla situazione attuale, quindi, si avrebbe una leggera riduzione dei consumi (circa il 3%).

Questo valore deriva da diversi andamenti associati ai singoli usi finali. In particolare, si potrà assistere a un calo dei consumi nel settore della refrigerazione, del lavaggio, dell'illuminazione e degli scaldacqua elettrici.

Diversa è la situazione del condizionamento, i cui consumi sono previsti comunque incrementarsi, come pure i consumi associati alle apparecchiature elettroniche.

 


 

 

2.1.2       Azioni e strumenti

 

Gli usi finali termici

 

Le ipotesi di evoluzione dei consumi considerate permettono di ipotizzare un andamento tendenziale e un andamento contenuto, che è stato definito virtuoso.

Si tratta evidentemente di una delle innumerevoli ipotesi di trasformazione possibili, sicuramente dipendente anche dalle congiunture dell’economia nazionale e locale e non solo dalle dinamiche demografiche qui registrate e ipotizzate.

L’ipotesi di scenario virtuoso prevede che l’andamento dei consumi raggiunga, nei prossimi dieci anni, un valore non superiore ai livelli di consumo del 2004, nonostante si tenga conto di un aumento di capacità insediativa che ricalchi l’andamento registrato negli ultimi anni.

Le azioni per un contenimento dei consumi possono essere rivolte sia alla nuova costruzione, sia al parco edilizio esistente e utilizzato. Le azioni legate alla nuova costruzione sono più semplici e più efficaci, poiché la progettazione e la pianificazione possono indirizzarsi da subito verso le soluzioni ottimali, anche dal punto di vista costi/benefici. Gli interventi di ottimizzazione dell’esistente possono risultare talvolta vincolati da situazioni di dettaglio non modificabili e, di conseguenza, non raggiungere il medesimo risultato ottenibile invece dalla nuova costruzione. Tuttavia la realizzazione di misure di contenimento energetico sul parco edilizio esistente sono di grande importanza, poiché mediamente l’efficienza del parco edilizio esistente è scarsa (quindi alto è il potenziale di miglioramento), ma soprattutto perché costituisce la quasi totalità degli edifici ed è quindi responsabile della maggior parte del consumo. Pochi interventi selezionati (come per esempio la coibentazione del tetto) applicati in maniera diffusa possono determinare risultati importanti nel bilancio energetico generale.

Per ottenere risultati consistenti (per esempio il risparmio definito dallo scenario virtuoso ammonta a circa il 25 % rispetto allo scenario tendenziale), sono necessarie azioni incisive di regolamentazione dell’attività edificatoria accompagnate dalla definizione di standard di qualità che inducano alla realizzazione di edifici meno energivori rispetto agli standard previsti dalla normativa nazionale.

A tal fine è utile definire classi energetiche che descrivano le prestazioni dell’edificio in modo da avere a riferimento dei valori limite precisi. Le classi energetiche sono un riferimento di facile comprensione anche per chi non è competente in materia energetica, e rendono immediatamente comprensibile a ogni cittadino il significato di tale classificazione, così come la differenza tra le classi.

I valori limite che definiscono le classi devono naturalmente essere correlati alle condizioni climatiche locali, in particolare ai gradi giorno, che forniscono l’indicazione sulla rigidità degli inverni.

Per esempio, prendendo come riferimento le tipologie di edifici a uno, a due a tre e a quattro e più piani con i relativi rapporti S/V considerati nei calcoli degli scenari, le classi energetiche potrebbero assumere i seguenti valori riportati in tabella.

I valori sono stati calcolati per le diverse zone climatiche presenti in Puglia (C, D ed E) per il numero di gradi giorno medi ponderati sugli edifici.

 

kWh/m2a

zona E

zona D

zona C

 

(2300 GG)

(1650 GG)

(1150 GG)

 S/V < 0,2

43,4

30

20

S/V > 0,9

118

94

70

Tabella 8 - Valori massimi di consumo previsti dal D. Lgs. 192/05 per le tre diverse zone climatiche, per il numero di GG indicati in tabella (in kWh/m2a, considerando la superficie netta).

 

 

Grafico 2a - Limiti di consumo da 192/05 per la zona climatica E

 

Grafico 2b - Limiti di consumo da 192/05 per la zona climatica D

 

Grafico 2c - Limiti di consumo da 192/05 per la zona climatica C

Per ogni raggruppamento di edifici alla base dei calcoli degli scenari è stato indicato il rapporto S/V che corrisponde alle caratteristiche medie degli edifici più diffusi sul territorio. Si tratta di valori mediamente alti, poiché gli edifici sono principalmente di ridotte dimensioni (uno e due piani) ma anche le palazzine sono per la maggior parte piccole e articolate. La riflessione sul fattore di forma S/V è importante, poiché è questo, oltre alla zona climatica, a determinare il valore massimo ammissibile di consumo secondo le disposizione della 192/05. Questo meccanismo non sollecita uno sforzo progettuale verso forme più compatte o meno articolate sul territorio, poiché alza le possibilità di consumo degli edifici con S/V alto.

Se si vanno a definire delle classi energetiche qualitative, queste dovrebbero invece definire livelli di consumo massimi ammissibili assoluti e lasciare che ogni fattore possa contribuire al perseguimento di questo obiettivo, al salto in una classe superiore. In questo modo concorreranno sia la caldaia a condensazione, sia la maggiore coibentazione di un edificio, sia il suo fattore di forma.

 

Qui di seguito si riportano i valori di S/V considerati nel calcolo, e le tabelle con i valori delle classi energetiche per gli edifici delle diverse zone climatiche.

 

 

Piani edificio

 

1

2

3

4+

S/V

0,9

0,85

0,79

0,58

Tabella 9 - Valori di S/V considerati

 

kWh/m2a

Zona E (2300 GG)

 

1

2

3

4+

classe C

115

105

85

70

classe B

50

50

50

50

classe A

25

25

25

25

Tabella 10a - Valori massimi di consumo per classe energetica e tipologia edificio – zona climatica E

 

 kWh/m2a

Zona D (1650 GG)

 

1

2

3

4+

classe C

90

85

78

55

classe B

30

30

30

30

classe A

15

15

15

15

Tabella 10b - Valori massimi di consumo per classe energetica e tipologia edificio – zona climatica D

 

 kWh/m2a

Zona C (1150 GG)

 

1

2

3

4+

classe C

70

58

50

43

classe B

20

20

20

20

classe A

10

10

10

10

Tabella 10c - Valori massimi di consumo per classe energetica e tipologia edificio – zona climatica C

 

Si suppone quindi che la classe C sia la minima ammissibile, cioè quella che viene attribuita a tutti gli edifici di nuova costruzione, cioè costruiti secondo le disposizioni del D. Lgs. 192/05. Di conseguenza questa avrà valori diversi a seconda del fattore di forma degli edifici.

Le classi energetiche A e B, che vengono attribuite a edifici dalle performance migliori, non sono dipendenti da questa variazione. Lo sforzo per raggiungere livelli qualitativi migliori può essere però favorito dall’introduzione di un meccanismo di premialità: una possibilità è la premialità legata a una maggiore volumetria edificabile.

La quantificazione di questo premio non dipende solo dai parametri energetici ma anche da quelli economici, perché deve da una parte risultare appetibile per il mercato e dall’altra non travisare le pianificazioni territoriali in vigore.

Ipotizzando una concessione di maggiore volumetria pari al 5% per gli edifici in classe B e del 10% per gli edifici in classe A, si determina una situazione per cui se la totalità degli edifici di nuova costruzione dovesse rispettare i requisiti per entrare in classe A, l’incremento totale rispetto alle pianificazioni esistenti raggiungerebbe teoricamente un massimo del 10%.

 

Dati questi presupposti, per raggiungere un livello di contenimento dei consumi comparabile a quello ipotizzato nello scenario virtuoso, si potrebbe prefigurare una composizione siffatta:

la maggior parte degli edifici di nuova costruzione vengono costruiti in classe C, cioè seguendo la normativa vigente, e senza nessun premio volumetrico. Per ipotesi il 70% degli edifici vengono considerati (in ognuna delle zone climatiche) privi di particolari accorgimenti per il contenimento energetico, fatte salve le prescrizioni altre, come per esempio l’integrazione di dispositivi per il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria con il solare termico.

 

Il 30% degli edifici di nuova costruzione, invece, saranno costruiti con particolare attenzione tale che, a seconda del livello raggiunto, li farà appartenere alla classe B o alla classe A. Lo sforzo per rientrare in queste categorie sarà maggiore per gli edifici con fattore di forma S/V alto (quindi edifici piccoli e molto articolati) che non per gli edifici di forma compatta, e di maggiori dimensioni.

Ipotizzando che questo 30% sia costituito da un 20% in classe B e da un 10% in classe A, si determinerebbe una riduzione dei consumi pari a circa il 20% rispetto all’ipotesi di trasformazione tendenziale (che è, appunto, il valore scelto nello scenario virtuoso), a fronte di un incremento delle volumetrie dell’ordine del 2%.

Questo meccanismo di premialità potrebbe essere applicato anche alle ristrutturazioni (come definite dal D. Lgs. 192/05), ove tecnicamente possibile, incrementando ulteriormente le potenzialità di risparmio.

 

 

Distribuzione edifici nuova costruzione

Premialità volumetria

Risparmio rispetto a classe C

Classe C

70 %

0

0

Classe B

20 %

+ 5 %

- 10,5 %

Classe A

10 %

+ 10 %

- 9,5 %

Totale

 

+2% sul totale

- 20%

 

Tabella 11 – Ipotesi di classificazione degli edifici di nuova costruzione

 

Questo meccanismo, che propone una premialità forse più appetibile per insediamenti di una certa dimensione, dove la volumetria in premio risulta essere uguale ad almeno un’unità abitativa, ha la potenzialità di rendere attuale e visibile un diverso livello qualitativo del costruire ma soprattutto della gestione degli immobili.

Il coinvolgimento di progetti multifamiliari (condomini o palazzine) permette di realizzare anche soluzioni impiantistiche avanzate, come la centrale termica centralizzata con gestione termoautonoma da parte delle singole unità abitative.

 

A fianco di questo schema di classi energetiche, il raggiungimento dell’obiettivo di non incremento dei consumi deve essere supportato anche dalla diffusione capillare delle fonti energetiche rinnovabili.

Il solare termico è una tecnologia matura e dalle applicazioni più vicine alle necessità del residenziale. La preparazione dell’acqua calda sanitaria, soprattutto a queste latitudini, deve essere demandata al solare termico, almeno in tutto il periodo in cui non è necessaria l’accensione di una caldaia per il riscaldamento degli ambienti.

Per la nuova costruzione quindi si deve prevedere un impianto solare termico che copra almeno il 50-70 % del fabbisogno di acqua calda sanitaria.

Un tale provvedimento permette di ridurre il fabbisogno di energia per scopi termici (quindi comprendendo anche il fabbisogno per il riscaldamento) di circa 7 punti percentuali.

Sicuramente la cogenza di un tale provvedimento è una via economica e razionale per la riduzione del consumo di fonti fossili.

Il rapporto costi-benefici risulta migliore con l’aumento delle dimensioni dell’impianto.

La presenza di impianti centralizzati condominiali rende quindi più facile la realizzazione economica di questo provvedimento.

 

Anche il parco edilizio esistente deve essere guidato nel miglioramento delle condizioni energetiche in cui versa.

Nello scenario virtuoso si prevede che solo una porzione limitata del parco edilizio sia soggetta ad interventi migliorativi: dal 15 al 30% (a seconda degli interventi) di alcune categorie di età degli edifici.

Una piccola quota di queste può essere attribuita a un andamento tendenziale: per stimolare anche il resto ad agire si possono ipotizzare diverse azioni.

 

Il primo passo consiste in un controllo più serrato della manutenzione delle caldaie, e della loro adeguatezza, sia in termini di efficienza che di potenza.

Il controllo dei livelli di efficienza e di potenza adeguati e previsti dalla legge può contribuire a uno svecchiamento del parco caldaie e a un conseguente aumento dell’efficienza stagionale globale. Anche l’inserimento degli impianti di solare termico ben dimensionati possono contribuire al miglioramento dell’efficienza della caldaia, permettendo di spegnerla completamente durante il periodo in cui non è necessario il riscaldamento degli ambienti

 

Gli interventi che prevedono invece una modifica dell’involucro dell’edificio (doppi vetri, serramenti a tenuta, coibentazione) devono essere stimolati attraverso adeguati incentivi. Sicuramente l’incentivo più convincente consiste in una premialità monetaria, poiché quella volumetrica è poco interessante e usufruibile per un parco edilizio già esistente.

Una riduzione dell’Imposta comunale sugli immobili a fronte dell’adeguamento del valore di trasmittanza di un elemento edilizio a valori definiti (che possono essere gli stessi del D.Lgs 192/05 o eventualmente leggermente superiori), potrebbe essere una proposta attraente per i cittadini privati, che investirebbero in opere di risparmio energetico andando a migliorare le condizioni del parco edilizio esistente.

 

 

La simulazione riportata ha indicato quali possono essere le ipotesi di intervento alla base del raggiungimento dell’obiettivo configurato.

Per mettere in atto le suddette ipotesi, è opportuno che gli strumenti urbanistici prevedano l’adozione di criteri costruttivi tali da raggiungere discreti standard di efficienza.

Tali criteri devono fare riferimento sia alla progettazione di intere aree in trasformazione e/o riqualificazione, sia alla progettazione dei singoli edifici.

Tra gli strumenti di maggiore efficacia per il risparmio energetico si pone l’introduzione nell’apparato normativo, e in particolare in tutta la parte più attuativa (regolamenti edilizi, norme tecniche di attuazione, norme speciali per i piani a bassa scala), di norme specifiche che riguardino il contenimento del fabbisogno energetico negli edifici. Si tratta, infatti, di norme che protraggono il loro effetto sul lungo periodo, che perdura per tutto il ciclo di vita del manufatto edilizio, sia che si tratti di nuova costruzione, sia di ristrutturazione edilizia. Naturalmente agire sugli edifici nuovi risulta più facile, ma il maggior vantaggio in termini ambientali è ottenibile agendo su edifici esistenti. Per questo motivo i requisiti possono essere richiesti anche ad edifici sottoposti ad interventi di ristrutturazione, eventualmente nel caso in cui essi investano una quota rilevante dell’edificio.

 

La Regione indirizza i Comuni e le Province, ognuno per le proprie competenze, a dotarsi di strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità evidenziati, sia inserendo gli obiettivi in strumenti esistenti, sia dotandosi di strumenti innovativi.

L’insieme degli strumenti che si verrebbero a creare, se consentiranno in un primo tempo di annullare ulteriori incrementi di consumo di fonti fossili nell’orizzonte temporale di questo piano, nel periodo successivo potranno favorire l’inversione di tendenza e determinare una diminuzione dei consumi stessi.

In particolare, gli strumenti che questo piano vuole attivare si riferiscono a:

 

Piani territoriali

Redazione dei diversi Piani di livello territoriale,  in particolare i Piani Urbanistici Generali (PUG) e i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP) con inquadramento della realtà energetica locale, in particolare esprimendo al loro interno l’obiettivo di incremento zero dei consumi a fronte di aumenti di insediamenti e relativa volumetria.

Questo significa che la capacità edificatoria è definita non solo da variabili urbanistiche, ma anche energetiche: si “libera” energia e quindi anche nuove possibili utenze (e quindi alloggi riscaldabili) solo in relazione all’incremento di efficienza del resto del parco edilizio. Quindi, il medesimo parco edilizio riesce a raggiungere lo stesso livello di comfort con un impiego inferiore di energia.

A tal fine, parte del quadro conoscitivo dei PUG deve essere dedicata a inquadrare la realtà energetica comunale, mediante opportuni approfondimenti relativi alle zone climatiche e alle caratteristiche energetiche dei sistemi insediativi locali. Da tali approfondimenti ed in coerenza con gli obiettivi generali e specifici dei singoli PUG e degli strumenti di governo del territorio di livello provinciale e regionale, i piani stessi dovranno formulare, nella parte normativa e regolamentare, criteri, indirizzi e azioni finalizzati al risparmio energetico.

 

A seconda delle tipologie delle aree di intervento definite sia in relazione alle densità insediative sia in relazione alle funzioni degli edifici esistenti e, soprattutto, previsti, (residenziali, commerciali, turistico/ricettivi, direzionali, produttivi, attrezzature e servizi pubblici), è possibile introdurre diversi requisiti migliorativi, a fronte dei quali possono essere garantite premialità di volumetria, sempre mantenendo l’obiettivo di non aumentare i consumi rispetto alla data di costruzione del piano.

In particolare, i comuni possono applicare, agli interventi di edilizia sostenibile, oltre che una riduzione degli oneri di urbanizzazione  del contributo sul costo di costruzione, incentivi di carattere edilizio urbanistico mediante la previsione, negli strumenti urbanistici, di un incremento fino al 10 per cento del volume ammesso, al netto delle murature, per gli interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti, di ristrutturazione urbanistica, di sostituzione e di ristrutturazione edilizia, compatibilmente con i caratteri storici ed architettonici degli edifici e dei luoghi. Da tale computo si raccomanda l’esclusione degli spazi utilizzati per realizzare e accogliere sistemi passivi di riscaldamento e/o di raffrescamento e, in genere, gli impianti tecnologici, includendo tra questi le serre solari.

Naturalmente, per accedere ai meccanismi premianti, occorrerà impegnarsi a certificare, ad ultimazione lavori, di essersi attenuti alle regole della bio-edilizia.

 

Regolamenti edilizi

Modifica dei regolamenti edilizi per attuare le disposizioni definite nei PUG per il contenimento energetico degli edifici di nuova costruzione. Il regolamento edilizio può, in questo caso, giocare un ruolo fondamentale inserendo indicazioni e vincoli che regolamentino diversi livelli sia per insediamenti di nuova costruzione, sia per interventi di ristrutturazione, anche andando oltre le imposizioni del D.Lgs. 192/05.

Saranno introdotti dei valori di riferimento per quanto riguarda i consumi specifici degli edifici che potranno riferirsi ad un sistema di fasce o “profili di qualità edilizia”. Tali valori individueranno un livello minimo a carattere obbligatorio e dei livelli più restrittivi a carattere volontario, possibilmente incentivati mediante opportuni vantaggi economici e/o fiscali.  

I profili di qualità edilizia dovranno essere soddisfatti sia dagli edifici di nuova costruzione che da quelli soggetti ad interventi di ristrutturazione importante.

Ogni comune, nell’applicare le suddette regole, farà riferimento ai gradi giorno della località. Anche eventuali requisiti migliorativi devono trovare qui collocazione. Il regolamento edilizio può infatti diventare lo schema di base su cui applicare il sistema di certificazione energetica.

 

Certificazione energetica

Applicazione operativa del sistema di certificazione energetica che verrà individuato e proposto a livello regionale. Il sistema di certificazione si applicherà obbligatoriamente al nuovo costruito, agli edifici sottoposti a ristrutturazione importante e a quelli soggetti a compra-vendita.

Lo sviluppo e l’applicazione di un sistema unitario di certificazione permetterà sia agli acquirenti, che ai proprietari di avere un parametro di riferimento su cui valutare l’incremento di valore e operare le proprie scelte, con conseguenti ripercussioni positive sul mercato.

La costruzione di un catasto energetico degli edifici permetterà un monitoraggio più dettagliato dell’efficacia degli interventi realizzati, nonché la validazione delle politiche energetiche promosse.

La Regione, con il supporto degli Enti locali, si doterà di una metodologia di registrazione degli interventi edilizi realizzati in base a tali criteri in modo da intraprendere un’azione di monitoraggio e verifica riguardante i consumi energetici del settore.

Potrà essere opportuno che i Comuni, soprattutto se di modesta dimensione, intraprendano le suddette iniziative in forma associata adottando criteri e metodologie comuni.

 

Retrofitting del parco edilizio esistente

Definizione di programmi di incentivazione (per esempio con riduzioni dell’imposta comunale sugli immobili) per chi attua opere di miglioramento energetico, andando a raggiungere valori specifici definiti all’interno del sistema di certificazione energetica o anche del regolamento edilizio comunale. I programmi devono essere costruiti sulla base degli obiettivi, per permettere un monitoraggio in ogni passo di attuazione.

 

Grandi insediamenti

Per i nuovi insediamenti di grande carico urbanistico (residenziale, commerciale, servizi, ecc.), al momento dell’autorizzazione preventiva o di parere preliminare è necessario che fin dalla pianificazione urbanistica vengano richiesti requisiti di massima, corrispondenti al livello di pianificazioni in cui vengono integrati, anche sul parametro energia, così come viene fatto, per esempio, nell’ambito della mobilità.

Per tali insediamenti i requisiti minimi e cogenti sono definiti per un’integrazione nelle politiche energetiche comunali, anche attraverso la definizione di Bacini Energetici Urbani.

E’ necessario prevedere indicazioni che differenzino la regolamentazione del singolo manufatto edilizio da interventi insediativi di maggiore importanza, prevedendo per questi ultimi un ambito di intervento più ampio (per esempio anche sugli orientamenti degli edifici)

E’ necessario agire secondo l’idea che più ampia è l’occasione di intervento che si presenta maggiore è la responsabilità di intervento sul territorio, maggiore anche la possibilità di efficientizzazione energetica del parco edilizio, sia esso esistente o di nuova costruzione; non cogliere e non ottimizzare questa occasione è segno di disinteresse verso qualsiasi politica strategica in campo energetico.

Per le strutture di futura costruzione la Regione, negli ambiti di propria competenza, si attiverà affinché gli aspetti collegati ai consumi energetici siano considerati nelle procedure autorizzative, stimolando così la realizzazione di strutture che soddisfino le proprie esigenze energetiche utilizzando le migliori tecniche e tecnologie disponibili.

Tale approccio sarà sviluppato anche in relazione a particolari settori economici, come i settori turistico e commerciale, per i quali la regione individua ambiti importanti di realizzazione di obiettivi di risparmio energetico e di impiego di tecnologie innovative e fonti rinnovabili.

In tali ambiti la Regione intende farsi promotrice di accordi che coinvolgano le associazioni di categoria, le Province e i Comuni interessati per avviare una collaborazione finalizzata ai suddetti obiettivi.

 

Impianti termici e controllo manutenzione caldaie

Il livello di efficienza delle caldaie mediamente installate è inferiore rispetto a ciò che la tecnologia potrebbe consentire. Il salto di qualità che si è verificato nel campo degli elettrodomestici con il passaggio a livelli di efficienza superiori, nel caso delle caldaie non si è ancora verificato. In questo caso si sta effettivamente assistendo ad una notevole inerzia al cambiamento, inerzia su cui l'utente finale ha poca responsabilità.

Affinché l’installazione di caldaie efficienti diventi uno standard, risulta fondamentale il coinvolgimento di installatori e manutentori nel portare argomenti convincenti a sostegno dei prodotti energeticamente più efficienti.

Il coinvolgimento di progettisti, costruttori, installatori e manutentori, attraverso le proprie associazioni di categoria, si deve basare sulla attivazione/promozione di particolari procedure/tecniche/prodotti.

La definizione e la promozione di contratti di servizio energia potrà essere un utile strumento per la promozione di impianti ad alta efficienza.

La Regione interverrà per correggere le anomalie nell’ambito delle attività di controllo ex dpr 412/93 e successivi aggiornamenti. Queste dovranno includere un piano di riqualificazione degli impianti termici d’accordo con le associazioni di categoria interessate. Tale piano dovrà condurre all’introduzione, come elemento standard, di moderni sistemi di riscaldamento ad altissima efficienza. Tali sistemi andranno a sostituire, prima di tutto, gli apparecchi giunti alla fine della loro vita utile. A tal fine, particolari controlli saranno dedicati alle caldaie aventi più di 15 anni di attività.

Gli stessi sistemi saranno promossi nelle nuove installazioni, sia in relazione al processo di metanizzazione, sia in relazione alle nuove abitazioni.

Inoltre il piano sarà volto anche alla sostituzione degli impianti individuali a favore degli impianti centralizzati con contabilizzazione individuale dei consumi.

In relazione agli impianti di riscaldamento, particolare attenzione sarà prestata alla possibilità di integrazione di impianti solari termici.

La presenza di un censimento delle caldaie, delle loro caratteristiche, potenze e combustibili permette inoltre di impostare campagne mirate di sostituzione o di efficientizzazione dei sistemi di riscaldamento.

 

Solare termico

Regolamentazione cogente per l’applicazione del solare termico nel settore residenziale e di alcune tipologie di servizi (per es. centri sportivi) per la nuova costruzione, per garantire una copertura del 50-70 % sul fabbisogno annuo, cioè approssimativamente per tutto il tempo in cui non è necessaria una caldaia per il riscaldamento ambienti.

Definizione di facilitazioni, almeno procedurali, per quanto riguarda l’applicazione del solare termico sul parco edilizio esistente.

 

Implementazione della rete di metanizzazione

Promozione di accordi volontari con i distributori di gas metano per la diffusione di interventi di efficientizzazione dei consumi finali, con particolare riferimento all’integrazione del solare termico.

 

      Retrofitting del patrimonio ERP

Programmi di recupero in chiave energetica e di retrofitting del patrimonio pubblico di edilizia sociale con riduzione del fabbisogno e efficientizzazione degli impianti.

Anche in questo settore la possibilità di accedere a incentivi può potenziare le attività di retrofitting.

 

Esco e Decreti sull’efficienza energetica (20/07/04)

Incentivazione alla formazione di Esco in quanto operatori di riferimento per l’applicazione dei meccanismi legati ai decreti sull’efficienza energetica.

La possibilità operativa di accedere a schemi di finanziamento tramite terzi può costituire in molti casi la discriminante alla realizzazione di un intervento.

Ai fini del raggiungimento degli obiettivi identificati, la Regione definirà degli accordi volontari settoriali con le società di servizi energetici a cui viene riconosciuto un ruolo di particolare importanza nella realizzazione degli interventi di efficientizzazione energetica anche in virtù del fatto che tali interventi possono essere sostenuti dall’emissione di Titoli di Efficienza energetica.

 

Formazione/informazione
La semplice adozione di criteri di maggiore efficienza energetica può non risultare sufficiente affinché questi vengano applicati con efficacia.

Si rendono necessarie delle azioni di accompagnamento tra cui programmi di formazione e di informazione sui temi dell’energia, delle fonti rinnovabili, delle tecnologie innovative ad alta efficienza, del funzionamento delle ESCO, dei meccanismi attivati (certificati bianchi, ecc.).

 

Attività derivanti dal dlgs 192/2005

La Regione si attiverà affinché siano garantiti gli accertamenti e le ispezioni necessarie all'osservanza delle norme relative al contenimento dei consumi di energia nell'esercizio e manutenzione degli impianti di climatizzazione.

La Regione promuoverà la realizzazione di programmi informatici per la costituzione dei catasti degli impianti di climatizzazione presso le autorità competenti.

La Regione promuoverà, inoltre:

a) la raccolta e l’aggiornamento dei dati e delle informazioni relativi agli usi finali dell'energia in edilizia e la loro elaborazione su scala regionale per una conoscenza del patrimonio immobiliare esistente nei suoi livelli prestazionali di riferimento;

b) il monitoraggio dell'attuazione della legislazione regionale e nazionale vigente, del raggiungimento degli obiettivi e delle problematiche inerenti;

c) la valutazione dell'impatto sugli utenti finali dell'attuazione della legislazione di settore in termini di adempimenti burocratici, oneri posti a loro carico e servizi resi;

d) la valutazione dell'impatto del decreto 192/2005 e della legislazione di settore sul mercato immobiliare regionale, sulle imprese di costruzione, di materiali e componenti per l'edilizia e su quelle di produzione e di installazione e manutenzione di impianti di climatizzazione;

e) lo studio per lo sviluppo e l'evoluzione del quadro legislativo e regolamentare che superi gli ostacoli normativi e di altra natura che impediscono il conseguimento degli obiettivi del decreto 192/2005;

f) lo studio di scenari evolutivi in relazione alla domanda e all'offerta di energia del settore civile;

g) l’analisi e la valutazione degli aspetti energetici e ambientali dell'intero processo edilizio, con particolare attenzione alle nuove tecnologie e ai processi di produzione, trasporto, smaltimento e demolizione;

h) la proposta di provvedimenti e misure necessarie a uno sviluppo organico della normativa energetica nazionale per l'uso efficiente dell'energia nel settore civile.

 

Materiali e componenti edilizi

La Regione potrà dotarsi di un Prezziario Edile finalizzato a privilegiare materiali e tecniche costruttive che consentano di ottenere vantaggi in termini di qualità, risparmio energetico e costi ridotti di manutenzione e gestione degli edifici. Può trattarsi di uno strumento immediatamente operativo, nel quale ogni materiale ed ogni tecnologia prevista siano affiancati da una alternativa “più ecologica”, più attenta ai caratteri del contesto, all’ambiente ed alla salute dei cittadini. Il tecnico avrà il compito di operare di volta in volta le scelte più opportune e convenienti in funzione del luogo, delle richieste progettuali, delle maestranze, del budget; in questo modo può attuarsi anche l’introduzione graduale nella pratica corrente di cantiere di una serie di piccole azioni capaci di trasformare la realtà e diffondere ad ampio raggio, attraverso la “metabolizzazione” del cambiamento, una nuova qualità ecologica.

 

Costi e finanziamenti

Gli interventi di architettura sostenibile sono caratterizzati da maggiori oneri di investimento iniziale, anche se i costi di gestione risultano inferiori e, considerata la vita media di un edificio, il costo complessivo dell’investimento e della manutenzione risulta uguale o inferiore rispetto all’edilizia corrente.

Emerge comunque l’esigenza di abbattere i costi e di individuare fonti di finanziamento.

A tale scopo in tutti i bandi per l’erogazione di finanziamenti pubblici nel campo dell’ERP promossi dall’Assessorato all’Assetto del Territorio, si stanno introducendo criteri di premialità per gli interventi con caratteristiche di biocompatibilità e risparmio energetico. Tale criterio dovrebbe essere esteso ad altri campi di intervento regionale.

I finanziamenti della Comunità Europea dovrebbero essere maggiormente utilizzati e/o indirizzati verso il risparmio energetico.

Gli interventi realizzati con finanziamenti pubblici devono essere oggetto di monitoraggio al fine di assicurare la effettiva realizzazione degli impegni assunti e il raggiungimento degli obiettivi e delle prestazioni previsti; allo stesso tempo il monitoraggio permette di riorientare gli interventi stessi, al fine di assicurare la loro maggiore efficacia ed efficienza.

 

 

Ai fini della predisposizione, attuazione, gestione e controllo delle attività e degli strumenti individuati si potrà rendere necessaria la creazione di una struttura a ciò preposta e che sia di supporto verso gli enti locali.

 


 

 

Gli usi finali elettrici

 

L’orientamento generale che si intende seguire si basa sul concetto delle migliori tecniche e tecnologie disponibili. In base a tale concetto, ogni qual volta sia necessario procedere verso installazioni ex novo oppure verso retrofit o sostituzioni, ci si deve orientare ad utilizzare ciò che di meglio, da un punto di vista di sostenibilità energetica, il mercato può offrire.

Tale concetto vuole stabilire delle condizioni affinché il ricambio naturale di per sé sia sufficiente a fornire un contributo significativo verso una maggiore efficientizzazione energetica.

Questo principio è strettamente legato al tempo di vita utile degli apparecchi generalmente impiegati: tanto più il tempo di vita utile è breve, tanto più facilmente potrà trovare applicazione.

L’idea di base è che ogni qual volta un apparecchio viene sostituito da un altro apparecchio che non presenta degli standard massimi di efficienza (rispetto a ciò che il mercato può offrire), il potenziale di miglioramento viene bloccato in attesa di una nuova sostituzione.

Ciò è evidente, ad esempio, nel caso degli elettrodomestici e dei condizionatori dove, pur potendo disporre di apparecchi ad alta efficienza, il mercato propone soluzioni spesso energeticamente superate.    

L’approccio basato sulle migliori tecnologie trova, negli usi finali elettrici, la sua miglior forma di applicazione. I tempi relativamente brevi di vita utile consentono, infatti, di utilizzare i ricambi naturali per introdurre dispositivi sempre più efficienti.

Il caso delle lampade è caratteristico, visto che la tecnologia che si va a sostituire è quella delle lampade ad incandescenza che ha un tempo di ricambio generalmente di circa un anno. In tal caso la sostituzione con lampade fluorescenti compatte ad alimentazione elettronica è quella più rapida ed efficace.

Anche nel caso delle apparecchiature elettroniche il tempo di sostituzione è ragionevolmente rapido, per cui l’attivazione di opportune politiche rivolte al risparmio può avere interessanti ricadute. In questo caso la questione si sposta, in parte, sulle modalità d’uso di queste apparecchiature.

Per quanto riguarda gli elettrodomestici, questi già presentano delle caratteristiche energetiche ben definite. Negli ultimi anni vi è stata una buona affermazione degli apparecchi di classe energetica elevata (A e B) che, in alcuni casi, sono diventati uno standard di vendita nonostante che l’attenzione data dai consumatori su tale argomento sia ancora piuttosto scarsa. Ulteriori azioni sono comunque necessarie per implementare l'acquisto dei prodotti ad alta efficienza già presenti sul mercato e per incentivare l'introduzione delle nuove classi energetiche A+ e A++.

Il principio dell'applicazione delle migliori tecnologie disponibili, quindi, si applica cercando di favorire l'immissione sul mercato di dispositivi qualitativamente superiori da un punto di vista energetico.

 

Il raggiungimento degli obiettivi identificati potrà essere realizzato attraverso diverse azioni, tra cui:

- la definizione di accordi volontari settoriali con le società di servizi energetici o con i distributori di energia in virtù della possibilità che gli interventi siano sostenuti dall’emissione dei titoli di efficienza energetica;

 

- l’allestimento di un programma imperniato sulle realtà commerciali presenti sul territorio, al quale partecipino le ESCO e/o i distributori di energia, anche attraverso l’attivazione di incentivi agli utenti (ad esempio sotto forma di sconti) successivamente recuperabili con il meccanismo di aggiustamento tariffario previsto dall’Autorità per l’energia. E’ importante che le azioni di incentivazione siano accompagnate da un opportuno programma di monitoraggio periodico presso i punti commerciali che hanno partecipato all’iniziativa, in modo da capire quale sia stata la portata dell’iniziativa stessa ed, eventualmente, trovare un riscontro a livello dei consumi elettrici;

 

- l’introduzione, negli strumenti di regolamentazione edilizia, di obblighi riguardanti l’efficienza negli usi elettrici per i servizi comuni degli edifici (uso di dispositivi che permettano di controllare i consumi di energia dovuti all’illuminazione, quali interruttori locali, interruttori a tempo, controlli azionati da sensori di presenza, controlli azionati da sensori di illuminazione naturale);

 

- l’introduzione, negli strumenti di regolamentazione edilizia, di condizioni costruttive che valorizzino l’illuminazione naturale (opportuno orientamento delle superfici trasparenti dei locali principali; sistemi di trasporto e diffusione della luce naturale attraverso specifici accorgimenti architettonici e tecnologici, ecc.).

 

 

La diminuzione dei consumi di energia elettrica può derivare anche da un uso più limitato di determinati apparecchi, primi fra tutti gli impianti di condizionamento estivo. Le azioni di efficientizzazione edilizia potranno apportare vantaggi anche in tal senso.

 


 

2.2      Il settore terziario

 

2.2.1       Obiettivi

 

Molte delle considerazioni fatte per il settore residenziale hanno un valore anche per quanto riguarda il terziario.

In particolare, si ritiene che le ipotesi svolte per la parte edilizia del residenziale siano applicabili anche per le strutture terziarie. E’ quindi obiettivo del Piano mantenere invariati i consumi per usi termici rispetto ai valori attuali (circa 190 ktep).

Riguardo ai consumi energetici per usi elettrici, il settore terziario si è dimostrato molto più dinamico, rispetto all’incremento a cui si è assistito nel settore residenziale negli ultimi quindici anni (nel terziario l’incremento dei consumi di energia elettrica è stato pari a circa tre volte l’incremento nel settore residenziale).

Anche le ipotesi fatte per lo scenario tendenziale indicano una maggiore crescita per il settore terziario rispetto al residenziale.

Si ritiene, quindi, che da un punto di vista quantitativo non si riesca, realisticamente, a evitare un incremento dei consumi di energia elettrica nel terziario come fatto per il residenziale. Ci si pone tuttavia l’obiettivo di ottenere una riduzione percentuale dei consumi, rispetto allo scenario tendenziale, simile a quella ottenuta per il settore residenziale. Ciò implica attestarsi su un consumo di circa 320 ktep (a fronte di circa 285 ktep attuali). 

Un contributo importante per la riduzione dei consumi potrà essere fornito attraverso gli interventi sull’illuminazione pubblica in applicazione della legge regionale 15/05. Questi possono consentire risparmi energetici dell’ordine del 40% che, per la Puglia, portano a un valore di circa 15 ktep.

 


 

 

2.2.2       Azioni e strumenti

 

Gran parte delle azioni e degli strumenti individuati per il settore residenziale valgono anche per il settore terziario. In particolare si ritiene di grande importanza l’azione che può essere svolta dalle ESCO.

Vi sonoinoltre, azioni specifiche da attivare su particolari strutture del terziario, sia nel settore privato che nel settore pubblico.

 

Settore privato

Tra i vari settori, quello turistico riveste un ruolo interessante come presenza economica. Le strutture turistiche presentano, in genere, condizioni favorevoli all'uso di impianti solari per effetto della coincidenza temporale tra la massima richiesta di acqua calda sanitaria e la massima disponibilità di radiazione.

Il settore turistico è un ambito importante per la realizzazione di obiettivi di risparmio energetico e di impiego di fonti rinnovabili. Per tale motivo potrà essere utile la promozione di un accordo che coinvolga le associazioni di categoria, le Province e i Comuni interessati per avviare una collaborazione finalizzata ai suddetti obiettivi.

 

Oltre a quello turistico, un ambito di forte interesse ai fini della razionalità energetica è costituito dal settore commerciale. L'evoluzione degli esercizi commerciali verso strutture sempre più grandi e complesse sta provocando un forte incremento degli usi energetici a parità di superficie di vendita. Ciò si deve sia alle nuove esigenze di sistemi di illuminazione finalizzati alla "valorizzazione" della merce, esigenze che difficilmente cederanno nei confronti del risparmio energetico, ma soprattutto alle esigenze di condizionamento degli ambienti di strutture che, benché in molti casi di recente costruzione, presentano delle caratteristiche impiantistiche e costruttive spesso carenti.

I criteri costruttivi già individuati dovrebbero essere applicati anche al caso degli edifici adibiti ad attività commerciale. Tali edifici, a causa dei carichi interni, necessitano generalmente di notevoli quantità di energia finalizzata al raffrescamento. A tale riguardo è generalmente raccomandabile l'uso di sistemi che utilizzino, come sorgente energetica, il calore prodotto da una centrale cogenerativa. L'uso di gruppi refrigeranti ad assorbimento alimentati ad acqua calda permette infatti di incrementare la convenienza energetica ed economica dell'intero sistema di produzione, distribuzione e uso dell'energia.

Per le strutture di futura costruzione la Regione, negli ambiti di propria competenza, potrà attivarsi affinché gli aspetti collegati ai consumi energetici siano considerati nelle procedure autorizzative, stimolando così la realizzazione di strutture che soddisfino le proprie esigenze energetiche utilizzando le migliori tecniche e tecnologie disponibili.

 

Settore pubblico

Anche se generalmente disatteso, il DPR 412/93 (e successivi aggiornamenti) in attuazione della Legge 10/91 impone, per gli edifici di proprietà pubblica o di uso pubblico, di soddisfare il fabbisogno energetico favorendo il ricorso alle fonti rinnovabili, salvo impedimenti di natura tecnica o economica. Tali impedimenti devono comunque essere evidenziati nel progetto o nella relazione tecnica dell’impianto termico, riportando le specifiche valutazioni che hanno determinato la non applicabilità delle fonti rinnovabili o assimilate. Per quanto riguarda gli impianti termici, l’obbligo si determina in caso di nuova installazione o di ristrutturazione.

Un certo movimento si è verificato, negli ultimi anni, con l’installazione di diversi impianti solari termici e fotovoltaici a seguito dei diversi bandi di finanziamento. D’altra parte, questi interventi sono stati svolti senza un approccio integrato rivolto, dapprima, ad una riduzione dei fabbisogni energetici.

Il problema è ovviamente riconducibile, da un lato, ad una gestione amministrativa non sempre attrezzata e, dall’altro lato, ad una “sensibilità energetica” relativamente nuova.

D'altra parte, per la definizione di parametri quantitativi necessari ai fini della predisposizione delle prestazioni da richiedere, ad esempio, in un capitolato d’appalto di servizio calore, è importante che l’Amministrazione disponga delle informazioni necessarie a definire le caratteristiche energetiche degli edifici e degli impianti oggetto dell’appalto stesso.

Tali informazioni possono essere ottenute mediante opportune diagnosi energetiche in modo da ricostruire un censimento degli edifici di proprietà dell’Amministrazione finalizzato al monitoraggio dei consumi energetici, all’individuazione di indici della qualità energetico-prestazionale degli edifici ed alla elaborazione di linee di intervento.

Inoltre è indispensabile che gli interventi effettuati ed i risultati ad essi conseguenti vengano registrati e contabilizzati in modo da controllarne l'efficacia. Tale forma di monitoraggio è sicuramente uno dei passi fondamentali che vanno organizzati al fine di intraprendere e gestire azioni di efficienza energetica sul patrimonio pubblico.

L’approccio del settore pubblico alle tematiche relative all’efficienza energetica dovrà ispirarsi alla direttiva 2006/32/CE del 5 aprile 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici. In particolare, l’articolo 5 “Efficienza degli usi finali dell'energia nel settore pubblico” esplicita il ruolo esemplare che deve avere tale settore in merito al miglioramento dell'efficienza energetica.

Il ruolo dell’ente pubblico verrà incentivato attraverso una rivalutazione del ruolo e delle attività attribuibili alla figura dell’energy manager, ove previsto.

 

Uno strumento che potrà contribuire al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei consumi è costituito dalla Legge Regionale 23/06 riguardante la promozione degli acquisti pubblici ecologici e per l’introduzione degli aspetti ambientali nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche.

 

 

Illuminazione pubblica

Alla luce delle esperienze analoghe maturate nel corso degli ultimi 5 anni, da parte di Amministrazioni Comunali e Regionali, attraverso l’adozione – rispettivamente – di appositi Regolamenti e Leggi, si può affermare che è possibile conseguire un notevole risparmio energetico ed un ridotto impatto ambientale nel settore dell’illuminazione esterna, pubblica e privata.

Essenzialmente, dal punto di vista tecnico, questi risultati sugli impianti esistenti si conseguono attraverso le seguenti 3 azioni:

- sostituzione delle lampade a bassa efficienza luminosa (tipicamente, le lampade a vapori di mercurio) con lampade caratterizzate da un’efficienza più elevata (specialmente lampade a vapori di sodio, ad alta e bassa pressione);

- interventi sui corpi illuminanti allo scopo di minimizzare o eliminare ogni forma di dispersione del flusso luminoso in direzioni diverse da quelle in cui questo è necessario (specificatamente, verso l’alto e lateralmente) Questi interventi si concretizzano attraverso la schermatura o la corretta inclinazione dei corpi illuminanti stessi;

- adozione di dispositivi atti a razionalizzare i consumi energetici degli impianti (come regolatori di flusso, interruttori crepuscolari, sistemi di telecontrollo).

 

Tali adeguamenti degli impianti sono resi, inoltre, necessari dal fatto che l’Unione Europea ha deliberato la messa al bando delle lampade a vapori di mercurio su tutto il territorio Comunitario (Direttiva 2002/95/CE del 27/01/2003 – GUCE del 13/02/2003).

Dal punto di vista economico, ciò si traduce in un risparmio considerevole a livello locale. I costi relativi all’adeguamento degli impianti si ammortizzano, in questi casi, nell’arco di circa 36 mesi.

E’ necessario individuare gli strumenti e gli attori che siano in grado di attuare azioni volte al finanziamento degli interventi di adeguamento di cui sopra sul territorio regionale.

 

Dal punto di vista del sovvenzionamento pubblico, il problema della mancanza di fondi a livello locale può essere almeno parzialmente aggirato stipulando apposite intese fra Amministrazioni locali, in modo da poter accedere più facilmente all’erogazione di finanziamenti attraverso l’adozione di strategie atte a coordinare le azioni sul territorio.

 

La Regione si attiverà affinché si crei un accordo volontario settoriale con le Società di servizi energetici per una loro partecipazione agli interventi di razionalizzazione energetica ed ammodernamento degli impianti di illuminazione pubblica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

2.3      Il settore dell’agricoltura e della pesca

 

2.3.1       Obiettivi

 

Il settore è coinvolto sui temi energetici sia sul lato della domanda, sia sul lato dell’offerta. Nel primo caso sono individuabili potenziali risparmi energetici soprattutto nell’ambito delle aziende agricole. Nel secondo caso il settore è coinvolto soprattutto per quanto riguarda il suo potenziale di produttore di biomasse destinate agli usi energetici.

 

Il risparmio energetico e la razionalizzazione dei consumi nell’azienda agricola devono essere messi in relazione alla riduzione dei costi di produzione, benché i costi relativi all’approvvigionamento dei vettori energetici siano molto diversi da azienda a azienda, essenzialmente in relazione all’attività oltre che alla dimensione.

La zootecnia da latte, ad esempio, è un settore generalmente energivoro, come pure il settore enologico e delle colture protette.

Una attività particolarmente energivora e trasversale a diverse colture riguarda l’irrigazione, come pure l’essicazione 

 

Per quanto riguarda la possibilità del settore agricolo di lavorare sul lato dell’offerta di energia, si rimanda alla sezione riguardante le fonti energetiche da biomassa.

In questa sede ci si limita a ricordare che i primi utenti delle produzioni energetiche da biomassa devono essere le stesse aziende agricole. Ci si riferisce, in particolare, all’impiego delle biomasse per usi termici e all’impiego di biocarburanti per trazione.

In quest’ultimo caso, e in considerazione dell’elevatissimo livello di consumo energetico (essenzialmente di gasolio) per tale attività, vi è l’obiettivo di incrementare dell’1% annuo la quota di impiego dei biocombustibili rispetto ai combustibili tradizionali.

 

 

 


 

2.3.2       Azioni e strumenti

 

Per le azioni riguardanti l’offerta di energia si rimanda al capitolo sulle fonti da biomassa.

Sul fronte della gestione energetica è chiara la necessità di mettere in atto azioni di monitoraggio e auditing analogamente a quanto descritto nella sezione successiva riguardo alle attività produttive.

E’ necessario il coinvolgimento delle organizzazioni agricole per attività di formazione e informazione e per una assistenza tecnica anche attraverso l’effettuazione di studi di fattibilità per la valutazione di interventi di risparmio energetico e la messa a punto di specifici progetti pilota.

Anche in questo campo è sicuramente importante il ruolo delle società di servizi energetici e con queste può risultare opportuno attivare accordi specifici.

 

L’impegno dell’azienda agricola sul fronte del risparmio energetico rientra nel concetto di sviluppo dell’azienda agri - energetica che deve imperniarsi sia sulla produzione di fonti energetiche locali e rinnovabili (prima di tutto biomasse, ma anche eolico e solare), come pure su una loro corretta gestione per le proprie attività (climatizzazione di serre, sollevamento e distribuzione dell’acqua, ecc.).

Le aziende agri – turistiche, in particolare, possono acquistare ulteriore visibilità agendo nella suddetta direzione.

 

 

 


 

2.4      Il settore produttivo

 

2.4.1       Obiettivi

 

Il peso del settore industriale in Puglia si aggira sul 50% del totale dei consumi energetici.

Come evidenziato nella relazione sul contesto energetico, la tendenza del settore porterà lo stesso ad un incremento dei consumi energetici,tra una decina di anni, pari a circa il 15% rispetto al 2004.

 

Nonostante la presenza di alcune grosse realtà industriali che hanno un peso enorme sul bilancio energetico di settore la realtà imprenditoriale della regione è caratterizzata da un tessuto molto diffuso di piccole e medie imprese.

L’incremento complessivo è influenzato in modo non secondario dall’aumento della produzione previsto per il settore siderurgico di Taranto.

Le stime dello scenario tendenziale per i settori diversi dal siderurgico indicano un incremento dei consumi del 12%, passando dai 1.407 ktep del 2004 ai 1.577 ktep del 2006.

 

Da un’analisi generale dell’intensità energetica dell’industria italiana si nota che, a fronte di un sensibile miglioramento avvenuto durante gli anni ’70 e ’80, durante gli anni ’90 non si assiste ad alcuna variazione sostanziale.

Viceversa, paesi che manifestavano una intensità energetica superiore a quella nazionale, durante questo periodo hanno ottenuto dei miglioramenti continui che li hanno portati a posizionarsi a livelli migliori.    

Vi sono quindi ampi spazi per apportare razionalizzazioni energetiche attraverso interventi di innovazione di processo e di prodotto collegati ad azioni di miglioramento delle prestazioni energetiche del ciclo produttivo.

 

Le specificità e complessità di ogni singola realtà produttiva implicano la necessità di individuare l’ammontare di un eventuale risparmio energetico direttamente a seguito di opportune attività di audit energetico nelle singole realtà. Nonostante ciò, alcune considerazioni di massima sui settori di maggior consumo possono sicuramente contribuire ad orientare possibili azioni rivolte al risparmio.

 

Per quanto riguarda l’impiego di combustibili per usi termici, gli interventi possono riguardare  l’incremento dell’efficienza del ciclo energetico e l’implementazione di sistemi di cogenerazione.

Molti dei settori produttivi presenti in regione sono caratterizzati da una generale idoneità allo sviluppo delle suddette azioni[1].

La possibilità di implementare lo sviluppo della cogenerazione è da prendere in seria considerazione, sia per le esigenze industriali, ma anche considerando la possibilità di estendere l’impiego termico ad aree residenziali o terziarie poste nelle vicinanze. La valutazione dello sviluppo di sistemi di generazione energetica funzionanti in cogenerazione risulta ancor più interessante nel caso di aree di nuova espansione industriale, con le condizioni di estensione dell’impiego termico agli usi civili.

Analizzando il sistema industriale pugliese si osserva una forte vocazione all’adozione di sistemi cogenerativi dei settori alimentare, tessile e cartario. Tali settori, potrebbero essere adatti a tali applicazioni, poiché il livello entalpico del calore utilizzato rientra nei parametri adatti alla generazione combinata.

 

Per quanto riguarda gli usi finali elettrici, questi  presentano delle peculiarità abbastanza diffuse ed omogenee anche tra i diversi settori industriali e si possono individuare e quantificare delle azioni di risparmio generalmente realizzabili in numerosi contesti industriali.

In particolare ci si può soffermare prima di tutto sui motori elettrici e, quindi, sui sistemi di illuminazione e di condizionamento (includendo i sistemi ausiliari al condizionamento).

A tale riguardo si consideri che a livello nazionale si prevede una riduzione di consumi a seguito dell’efficienza dei motori fino a circa il 5% dei consumi elettrici complessivi nell’intero settore industriale.

Si consideri anche che, nell’ambito dei decreti di efficienza energetica, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha emesso tre schede per la valutazione del risparmio energetico relazionate ai motori elettrici:

- Scheda tecnica n. 9 - Installazione di sistemi elettronici di regolazione di frequenza (inverter) in motori elettrici operanti su sistemi di pompaggio con potenza inferiore a 22 kW

- Scheda tecnica n. 11 - Installazione di motori a più alta efficienza

- Scheda tecnica n. 16 - Installazione di sistemi elettronici di regolazione di frequenza (inverter) in motori elettrici operanti su sistemi di pompaggio con potenza superiore o uguale a 22 kW

 

L’efficienza energetica in sistemi azionati da motori elettrici può essere innanzitutto migliorata ragionando sul complesso delle operazioni eseguite dal sistema (perdite di trasmissione, sovradimensionamento del motore, lavoro non richiesto, ecc.). Le variazioni di efficienza dipenderanno ovviamente dalla situazione esistente.

Per quanto riguarda l'efficienza energetica del singolo motore, questa può essere migliorata attraverso

§       l'utilizzo di motori ad alta efficienza;

§       l'utilizzo di unità motrici a velocità variabile, essenzialmente per usi ove sono richiesti flussi variabili di fluidi (compressori, ventilazione, pompe).

La maggiore efficienza dei motori a induzione varia fra circa il 10% per potenze basse del motore (entro pochi kW) e pochi punti percentuali (1-2%) per potenze elevate (oltre i 100 kW). I risparmi energetici divengono allora consistenti per usi intensivi del motore (almeno 5.000 ore annue).

Gli ambiti in cui tuttavia il potenziale di risparmio è molto alto è quello dove è possibile adoperare motori a velocità variabile, ovvero in tutte le applicazioni ove è necessario fornire un'operazione meccanica di intensità variabile nel tempo (tipicamente quando si tratta di regolare moti di sostanze fluide -sistemi di pompaggio nei processi produttivi e sistemi per il condizionamento degli ambienti- o quando si ha un utilizzo del motore con cicli frequenti di attivazioni/disattivazioni –ascensori, montacarichi, presse, ecc.-). La possibilità di regolare l'operazione tramite riduzione o aumento del numero di giri del motore, invece che tramite altre operazioni meccaniche aggiuntive (come ad es., nel caso di regolazione di flussi di gas o liquidi, l'uso di valvole, che in realtà comportano solo la dissipazione di lavoro meccanico), porta a risparmi significativi attestantisi (a seconda delle applicazioni) su valori medi del 40-50%.

 

Analisi svolte dall’ENEA sulla realtà pugliese (nell’ambito del Progetto PON-ATAS) indicano la possibilità di un risparmio di circa il 13% rispetto alla situazione attuale agendo sui sistemi di pompaggio, di ventilazione, ad aria compressa e sugli azionamenti elettrici.

 

Alla luce delle analisi riportate, l’obiettivo che il presente Piano si prefigge, per i settori diversi dal siderurgico, consiste nel mantenere invariati i consumi finali di energia rispetto ai valori del 2004, sia per quanto riguarda l’energia elettrica che per quanto riguarda i combustibili per usi termici. Inoltre si prevede una riduzione dell’impiego di combustibili liquidi a favore del gas naturale.

Il raggiungimento dell’obiettivo implica la riduzione di circa 570 GWh di energia elettrica e la riduzione di circa 120 ktep di combustibili per usi termici.

A raggiungimento dell’obiettivo, i consumi finali nell’intero settore industriale si assesterebbero su un valore pari a 4914 ktep.

 

Il raggiungimento del suddetto obiettivo è in linea con la Direttiva 32/06 del 5 aprile 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici, che prevede che si giunga a conseguire un obiettivo indicativo di risparmio energetico annuo pari all’1%. Il valore di risparmio previsto nella direttiva, se applicato a livello regionale e settoriale, si allinea con l’obiettivo posto.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

2.4.2       Azioni e strumenti

 

Il settore industriale si è dimostrato capace di affrontare in modo molto efficace la questione dell’efficienza energetica quando, a seguito dei primi shock petroliferi, il problema del costo dell’energia si è imposto con forza.

Per l’effetto dei prezzi, i recuperi di efficienza energetica negli anni ’80 sono stati significativi. Negli anni ’90, invece, la riduzione dei prezzi dell’energia, legata in particolare al calo dei prezzi del petrolio all’inizio del decennio, ha fatto registrare un sostanziale rallentamento dei recuperi di efficienza energetica.

Oggi si può affermare che la necessità di riprendere la strada del risparmio energetico è dettata sia dall’emergenza economica, che dall’emergenza ambientale e dall’emergenza riguardante la sicurezza degli approvvigionamenti.

 

Per ottenere gli obiettivi desiderati, è indispensabile orientare le aziende ad una attenta gestione del proprio fabbisogno energetico, creando un contesto di diffusione delle informazioni che permetta di valutare i propri indici di consumo e, contestualmente, di verificare la possibilità di adottare opportuni miglioramenti tecnologici e gestionali.

 

La Regione ritiene prioritario mettere in atto azioni programmate che creino le condizioni  favorevoli ad uno sviluppo generalizzato dell’efficienza energetica nel settore industriale. Tali azioni devono portare, sul medio – lungo periodo, all’introduzione di standard di efficienza a cui tutte le imprese dovranno attenersi.   

 

Contabilità e diagnosi energetica

Si ritiene indispensabile creare le condizioni affinché si sviluppi una contabilità energetica all’interno delle imprese, mediante l'introduzione di disposizioni per la stima (in fase di progettazione) e il controllo (in fase di esercizio) dei consumi di energia all'interno dei siti produttivi.

A tale proposito si può ipotizzare la definizione di un documento tecnico normativo di supporto alla determinazione dei bilanci energetici che costituisca la base necessaria per la definizione degli interventi volti al miglioramento del rendimento complessivo nell'utilizzo dell'energia termica ed elettrica all'interno del sito produttivo. 

Il bilancio, redatto secondo criteri uniformi e quindi in forma unificata e confrontabile, dovrebbe costituire un requisito per tutti i nuovi insediamenti industriali e, con modalità da definire, anche per gli insediamenti esistenti.

Dovranno essere definiti sistemi di diagnosi energetica efficaci che dovranno essere applicati a tutte le imprese favorendo, in particolare, quelle piccole e medie.

 

Energy manager

Le azioni identificate nel punto precedente possono essere realizzate con il contributo di figure professionali appositamente formate, quali gli energy manager.

Già la legge 308/1982 imponeva l’obbligo, da parte delle grandi imprese, di nominare un responsabile per l’uso razionale dell’energia. Con la legge 10/1991 l’obbligo veniva esteso anche ai grandi consumatori del settore civile e dei trasporti.

Per il settore industriale, la soglia di consumo annuale è stata definita pari a 10.000 tep.

L’esperienza dell’energy manager è molto innovativa a livello europeo e lo è ancor più se si pensa alla data della sua istituzione. D’altra parte, non vi è una conoscenza approfondita ne’ della percentuale delle aziende che hanno effettuato tale nomina in conseguenza degli obblighi (soprattutto in relazione alla non possibilità di accesso ai dati di consumo delle imprese), ne’ delle funzioni concrete degli energy manager nominati, soprattutto in relazione alle loro effettive possibilità di manovra.  

Spesso, comunque, al di là della nomina formale dell’energy manager, si riscontrano delle difficoltà alla realizzazione degli interventi in campo energetico. Tali barriere possono essere di diversa origine, tra cui una scarsa importanza attribuita alle questioni legate all’energia piuttosto che la mancanza di risorse economiche. 

Il ruolo dell’energy manager è attualmente molto importante se si considera l’apparato normativo che si è venuto a creare negli ultimi anni, tra cui:

§       la liberalizzazione dei mercati dell’energia;

§       i decreti sull’efficienza energetica;

§       la direttiva sull’emission trading;

§       la direttiva sull’efficienza energetica ed i servizi energetici;

§       la direttiva sulla cogenerazione.

 

Per una rivalutazione della figura dell’energy manager è necessario che vi sia un coinvolgimento diretto e prioritario delle associazioni industriali sia per quanto riguarda le industrie che devono attenersi ad un obbligo normativo, ma anche per le imprese di minori dimensioni. In questo caso potrebbe risultare opportuno valutare l’ipotesi di creare dei servizi di energy management rivolti a gruppi di imprese aventi le medesime caratteristiche produttive.

E’ necessario, inoltre, che vengano rafforzate le iniziative di formazione e di scambio di informazioni.

 

ESCO e servizi energetici

Le attività di monitoraggio e di energy management possono trovare una applicazione attraverso l’intervento di società di servizi energetici.

Già è presente la tendenza di diversi operatori del settore allo spostamento del core business dalla semplice vendita di impianti verso la vendita di servizi energetici. In questo ambito si collocano ovviamente le aziende distributrici di energia e le ESCO per la realizzazione di iniziative nell’ambito dei certificati bianchi.

Il 2005 è stato il primo anno di attuazione del meccanismo dei titoli di efficienza energetica. Solo il 30% delle richieste di assegnazione dei titoli sono state inoltrate dai distributori di energia elettrica e di gas che sottostanno agli obblighi di risparmio energetico. Il 70% delle richieste sono state inoltrate da distributori non soggetti a tali obblighi, da società controllate dai distributori e società di

servizi energetici.

Tra gli interventi per i quali si sono conseguiti i risparmi (circa 150.000 tep) solo il 4% è da attribuire al settore industriale, mentre la maggior parte fa riferimento al settore civile.

Con l’incremento degli obiettivi di risparmio energetico è probabile che il settore industriale troverà un sempre maggiore interesse.

E’ quindi necessario promuovere la nascita di ESCO che si facciano carico di monitorare e investire sul risparmio energetico delle industrie attraverso finanziamenti tramite terzi e contratti di prestazione.

Tale promozione potrà essere effettuata con il contributo delle stesse organizzazioni delle imprese e tramite accordi con la regione stessa.

Lo sviluppo dell’efficienza energetica in ambito industriale per la maturazione dei titoli è una opportunità molto importante che dovrà essere favorita da un accordo settoriale con i distributori di energia e le ESCO operanti nel settore.

La Regione, in collaborazione con le associazioni delle imprese, potrà valutare la creazione di sistemi di accreditamento per i fornitori di servizi e diagnosi energetiche al fine di creare un livello appropriato di competenza tecnica.

Dovrà essere favorita, inoltre, la creazione di contratti modello tra le imprese e le società di servizi energetici.

 

Emission Trading

La direttiva sull’emission trading istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità Europea, al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficienza economica. Il deficit nel rispetto delle quote sarà penalizzato, mentre il surplus potrà essere venduto o tenuto per ulteriore uso.

E’ interesse del piano definire un accordo con le imprese direttamente interessate alla direttiva e con le loro associazioni affinché vi sia uno scambio di informazioni sulle attività previste da queste per soddisfare gli impegni della direttiva stessa.

Attraverso il suddetto accordo volontario settoriale sarà possibile orientare le imprese affinché diano la priorità degli interventi di riduzione delle emissioni all’interno dei propri impianti.

La Regione potrà promuovere estensioni del campo di applicazione della direttiva (mediante accordi su base volontaria) ad altri settori o ad altre imprese di minori dimensioni.

 

Informazioni

Uno dei limiti all’introduzione dell’efficienza energetica nei sistemi industriali è spesso la carenza di informazioni sulle possibilità tecniche, economiche e finanziarie. 

E’ quindi importante creare un sistema in cui tali informazioni possano essere accessibili all’utenza finale in forma trasparente.

Gli operatori del settore costituiscono uno dei punti di riferimento fondamentali in questo sistema informativo.

 

Autorizzazioni

Un alto livello di efficienza energetica dovrà essere raggiunto, nel medio – lungo periodo, da tutte le realtà industriali. Nel breve periodo è necessario definire le condizioni affinché tale livello venga seguito dai nuovi insediamenti. 

Nel caso di insediamenti di nuove realtà produttive, potranno essere introdotte procedure autorizzative basate anche su criteri di efficienza energetica, incentivando l'utilizzo delle migliori tecniche/tecnologie disponibili.

Nella progettazione di impianti produttivi è necessario prendere in considerazione la tipologia delle tecnologie utilizzate, con riferimento alla valutazione delle migliori tecnologie disponibili, in modo da minimizzare l’uso e l’impatto di tutte le fonti energetiche impiegate, sia negli usi finali termici che in quelli elettrici.

E’ altresì necessario ottimizzare il reperimento delle fonti energetiche utilizzate, ad esempio mediante l’impiego di sistemi funzionanti in cogenerazione o l’utilizzo di calore di processo.

Si dovrebbero prendere in considerazione i seguenti elementi:

tipologia delle fonti energetiche utilizzate nei processi produttivi;

§       criteri di scelta in merito alle tecnologie utilizzate, con riferimento alla valutazione delle migliori  tecnologie disponibili;

§       criteri di scelta in merito alla gestione dell’intera filiera produttiva, raffrontando e motivando la soluzione prescelta con quella delle possibili alternative;

§       criteri e modalità per la minimizzazione dei consumi energetici e delle emissioni di gas climalteranti;

§       quantificazione dei consumi energetici previsti suddivisi per tipo di fonte utilizzata;

§       quantificazione dei consumi energetici previsti per unità di prodotto.

 

I criteri autorizzativi si dovrebbero basare essenzialmente su:

§       fonti energetiche utilizzate in relazione all’ottimizzazione delle modalità di reperimento delle stesse (impiego di sistemi funzionanti in cogenerazione elettricità-calore, utilizzo di calore di processo, ecc.);

§       valutazione dell’impiego delle migliori tecnologie e tecniche disponibili che minimizzino l’uso e l’impatto delle fonti energetiche.

 

Distretti produttivi

Le scelte di carattere energetico si devono intrecciare con gli obiettivi della nuova politica industriale regionale nell’ambito dei distretti produttivi, reti di imprese legate per tipo di specializzazione e appartenenti ad uno o più ambiti territoriali anche non confinanti tra loro. 

Questi sistemi sono ideali per sviluppare una progettualità strategica comune, ad esempio programmando e mettendo a punto interventi di razionalizzazione energetica soprattutto rivolta alle piccole imprese che, singolarmente, potrebbero non disporre dei mezzi adeguati.

Il collegamento delle imprese nei distretti industriali è una condizione che favorisce la condivisione di problematiche comuni e l’individuazione delle soluzioni d’insieme più idonee. Inoltre può essere un ulteriore fattore che può migliorare l’implementazione volontaria di decisioni collettivamente vincolanti e la realizzazione e gestione di infrastrutture e servizi energetici comuni.

 

E’ necessario considerare la possibilità di intraprendere azioni di efficienza energetica non applicate a singole realtà produttive, ma ad intere aree o distretti industriali, attivando iniziative di sistema coordinate a tale livello. Lavorare a livello dei distretti produttivi significa lavorare su iniziative di sistema, con maggiori possibilità di successo.

 

In particolare, i distretti tecnologici dovranno attivarsi nella direzione di fornire una offerta alla domanda di razionalizzazione energetica proveniente dagli altri settori.

 

Sistema regionale dell’innovazione

E’ necessario migliorare la capacità di applicare e di sfruttare industrialmente i risultati della ricerca scientifica anche attraverso la costruzione di rapporti virtuosi tra mondo della ricerca e sistema industriale.

Il sistema regionale pugliese dell’innovazione deve diventare un tramite fondamentale per spostare verso il mondo produttivo le conoscenze necessarie alla razionalizzazione energetica, trasferendo a questo l’adozione di buone pratiche esistenti a livello nazionale e internazionale. Tale sistema dovrà concretizzarsi sulla realtà locale, mettendo in stretta relazione domanda e offerta.

 

ISO - EMAS

Le azioni di intervento sull’efficienza energetica possono essere inserite all’interno del contesto già collaudato delle certificazioni ambientali (EMAS ed ISO) che dovrebbero, a loro volta, essere incentivate.

 

Programmi di incentivazione economica

Per facilitare appropriati finanziamenti agli investimenti in campo energetico per le piccole e medie imprese e per le società di servizi energetici è necessaria la collaborazione dei settori del credito che potranno attivare iniziative specifiche.

Altre vie di finanziamento dovranno essere attivate per tecnologie di risparmio non ancora standardizzate e diffuse a livello di mercato.

 

L’adesione, da parte delle imprese, a particolari programmi volti al risparmio energetico dovrebbe risultare un elemento di merito per quanto riguarda eventuali stanziamenti di fondi pubblici.


 

2.5      Il settore dei trasporti

 

2.5.1       Obiettivi

 

Nonostante la forte incidenza del settore produttivo sul bilancio energetico regionale, il settore dei trasporti è responsabile di circa il 27% dei consumi totali. Il consumo di fonti energetiche associate a questo settore è aumentato di circa il 30% tra il 1990 e il 2004. Tale incremento è risultato molto costante. Lo scenario tendenziale prevede una crescita complessiva di quasi il 9% rispetto al 2004, arrivando ad un valore di consumo pari a poco più di 2600 ktep.

Le principali evidenze che hanno caratterizzato l’evoluzione del settore negli ultimi quindici anni  indicano un notevole consumo a livello urbano, dove meno influenti sono i miglioramenti tecnologici dei veicoli e dove, quindi, vanno indirizzati i principali sforzi di riduzione dei consumi anche per gli effetti ambientali disastrosi che questi comportano.

In generale si può affermare che gli elevati tassi di incremento della mobilità prevalgono evidentemente sull’evoluzione tecnologica che dovrebbe portare verso motori più efficienti.

Il consumo medio è in calo da dieci anni, ma questo miglioramento è stato controbilanciato dall’aumento del numero delle automobili e del loro utilizzo, e la tendenza attuale fa registrare un aumento del peso e delle prestazioni delle automobili, il che potrebbe comportare un nuovo deterioramento della situazione in questo settore.

Per limitare tale consumo, l’Unione europea ha concluso finora accordi volontari con l’industria automobilistica per l’introduzione dell’etichettatura relativa all’efficienza energetica dei veicoli. Tali accordi prevedono la riduzione delle emissioni di CO2 a 140 g/km entro il 2008-2009, e a 120 g/km nel 2012.

Il sistema europeo di etichettatura delle automobili impone agli Stati membri di fornire ai consumatori informazioni sul consumo di carburante e sulle emissioni di CO2 delle autovetture nuove con l’obbligo di affiggere sui veicoli nuovi messi in vendita un’etichetta contenente le suddette informazioni.

 

Per quanto riguarda il trasporto di merci, non si è registrato un miglioramento nell’efficienza, in parte a causa dei bassi coefficienti di carico. Aumentare i fattori di carico dei veicoli consente di diminuire la crescita dei veicoli-km nel trasporto merci; poiché i viaggi a vuoto costituiscono una parte significativa dei veicoli-km totali, esistono ampi margini di miglioramento verso una situazione in cui i veicoli vengono caricati in modo efficiente.

 

L’efficienza energetica del trasporto ferroviario è rimasta stabile negli ultimi decenni, ma la ferrovia risulta ancora essere la modalità più efficiente.

 

In considerazione delle notevoli problematiche relative al settore dei trasporti, si ritiene necessario orientare gli sforzi affinché non vi siano ulteriori incrementi dei consumi derivanti dal trasporto delle persone e una sensibile riduzione (50%) degli incrementi dei consumi relativi al trasporto delle merci. Tale obiettivo corrisponde ad un livello dei consumi, al 2016, pari a 2.450 ktep.

Vi è inoltre l’obiettivo di incrementare dell’1% annuo la quota di impiego dei biocombustibili rispetto ai combustibili tradizionali.

 

2.5.2       Azioni e strumenti

 

La definizione degli interventi relativi al settore dei trasporti presenta alcune importanti peculiarità, associate all’articolazione dei margini di manovra propri di una politica regionale e locale. Infatti, gli interventi ipotizzabili in questo settore possono dividersi in due categorie ben distinte fra loro:

a)Interventi relativi alle caratteristiche dei convertitori energetici finali (parco veicolare circolante);

b)Interventi relativi ai modi d’uso di tali convertitori (ripartizione modale, coefficienti di occupazione, cicli di marcia, ecc.).

 

Data l’attuale configurazione delle politiche tecnologiche di settore, definite a livello nazionale e comunitario, la categoria a) resta in larga parte esclusa dalle possibilità di intervento a livello regionale e locale.

 

Un notevole sforzo dovrà essere attuato per mettere in atto azioni che consentano di intervenire soprattutto sulla mobilità urbana.

 

Programmazione

Gli interventi relativi all'organizzazione della mobilità risultano di diretta competenza regionale e locale e, in quanto tali, presentano solitamente maggiori potenzialità.

Tuttavia, in questo caso la redazione del piano energetico si intreccia fortemente con il quadro delle politiche di settore.

Per quanto riguarda la Redazione del Piano Regionale dei Trasporti, per garantire la necessaria coerenza degli strumenti e delle scelte di programmazione, viene definita nel Nuovo Piano Generale dei Trasporti e Logistica una metodologia generale di pianificazione dei trasporti cui le Regioni sono invitate ad aderire, per consentire omogeneità dei contenuti e confrontabilità delle esigenze e delle proposte.

Si propone anche per i PRT un “processo di pianificazione” e cioè una costruzione continua nel tempo del disegno di riassetto dei sistemi di trasporto regionali (tutti i modi, collettivi ed individuali, pubblici e privati) attraverso azioni che tendano a superare la tradizionale separazione fra una programmazione tipicamente settoriale, quale è quella trasportistica, e le politiche territoriali.

“E’ fondamentale che i PRT non vengano più intesi come mera sommatoria di interventi infrastrutturali, ma si configurino come “progetti di sistema” con il fine di assicurare una rete di trasporto che privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo quelle a minor impatto sotto il profilo ambientale.

Gli obiettivi diretti sono:

-     garantire accessibilità per le persone e le merci all’intero territorio di riferimento, anche se con livelli di servizio differenziati in relazione alla rilevanza sociale delle diverse zone;

-     rendere minimo il costo generalizzato della mobilità individuale e collettiva;

-     contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto.”

 

Come si nota, tra gli obiettivi diretti si cita il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, ricalcando la concomitanza di obiettivi tra i due strumenti di pianificazione.

 

Si rende necessario che i piani locali in materia di mobilità e traffico includano anche l’analisi delle variazioni dei consumi energetici conseguenti alla loro attuazione, anche ai fini della concessione dei finanziamenti regionali.

 

Nel campo della pianificazione urbanistica è necessario che la stessa non prescinda da considerazioni sulla domanda di mobilità indotta dalle scelte settoriali, favorendo uno sviluppo urbanistico che si possa conciliare con un utilizzo razionale dei servizi di trasporto pubblico.

 

Trasporto persone

Per promuovere la mobilità urbana sostenibile attraverso lo spostamento di quote significative di traffico motorizzato privato verso forme di trasporto alternative e sostenibili è necessario prevedere la predisposizione di programmi, a livello locale, tali da favorire l’interscambio tra mezzo privato e mezzo pubblico. I siti di interscambio dovranno essere individuati prevalentemente all’ingresso delle città e presso stazioni e fermate delle linee di trasporto collettivo. Dovranno inoltre essere previste misure di integrazione del trasporto collettivo a vari livelli, a partire dall’interscambio tra i diversi sistemi (ferrovie, autobus urbani ed extraurbani), prevedendo anche una integrazione delle tariffe.

Si dovrà valutare l’introduzione di forme di tariffazione per l’accesso alle aree urbane per gli autoveicoli, destinando i proventi a misure per la mobilità sostenibile, per i mezzi pubblici, per tariffe sociali. Tali forme di tariffazione potranno basarsi sulle caratteristiche energetico/ambientali dei veicoli.

Si dovranno estendere le aree ciclo-pedonali, le zone a traffico limitato e le corsie riservate e protette per i mezzi pubblici e per le piste ciclabili.

Dovrà essere promossa l’introduzione di sistemi di carsharing, carpooling, e taxi collettivi.

Inoltre si dovrà rilanciare, a livello cittadino e degli uffici/aziende con più di 300 dipendenti, la figura del mobility manager con poteri reali sull’adozione di misure volte a ridurre l’impatto della mobilità sistematica.

 

Trasporto pubblico

Molto importanti sono le azioni nei confronti dei mezzi pubblici, con interventi sulla loro efficienza.

E’ quindi necessario favorire l’innovazione e il miglioramento delle caratteristiche energetico-ambientali delle flotte del trasporto pubblico, attraverso l’incentivazione all’acquisto di mezzi ad alimentazione non convenzionale ed a basso impatto ambientale, come pure lo svecchiamento del parco autobus circolante.

Ad esempio, le motorizzazioni ibride (motore diesel + trazione elettrica) presentano una interessante prospettiva di evoluzione in conseguenza dei loro vantaggi, fra i quali in particolare:

§       l’incremento di efficienza media legato alla regolarità dei regimi di funzionamento del propulsore;

§       il recupero di energia in frenata;

§       la possibilità di circolare con trazione totalmente elettrica in aree urbane sensibili.

Le sperimentazioni in corso, avviate ormai da alcuni anni, evidenziano risparmi energetici, in ciclo urbano, dell’ordine del 30%.

Nell’ambito dell’avvio di filiere agro – industriali volte all’incentivazione della produzione locale di biocarburanti, il parco autoveicolare pubblico o destinato al trasporto pubblico dovrà garantire una quota di utilizzo di tali carburanti (biodiesel e biogas).

 

Un altro aspetto importante da tenere in considerazione, per quanto riguarda il parco veicolare di servizio pubblico, è quello dell’analisi dei percorsi. Nella scelta dei percorsi può essere utile introdurre un fattore di consumo specifico che consenta di monitorare i consumi energetici in funzione dei passeggeri trasportati e dei chilometri percorsi. Queste indicazioni consentono di definire una classe di efficienza energetica del tragitto e, di conseguenza, permettono di pianificare i percorsi basandosi su una analisi collettiva del parco veicoli pubblico.

In conseguenza di ciò, si possono prevedere azioni affinché i gestori del trasporto pubblico locale effettuino delle analisi preventive riguardanti il bilancio energetico delle diverse alternative di trasporto in relazione ai consumi evitati su mezzo privato. Tali analisi concorreranno alla scelta degli itinerari e dei mezzi di trasporto da utilizzare.

L’incentivazione all’uso del mezzo pubblico può essere raggiunta anche mediante interventi mirati a migliorare la qualità del servizio pubblico percepita dai potenziali clienti rendendolo più competitivo rispetto all'uso del mezzo privato.

 

Sistema ferroviario

Un impulso al trasporto su mezzo pubblico potrà essere fornito dal potenziamento del sistema ferroviario interregionale ed intraregionale attraverso l’ammodernamento e l’interconnessione delle reti delle ferrovie regionali e nazionali.

Per  migliorare l’offerta e l’efficienza del trasporto ferroviario risulta necessario migliorare gli standard operativi, recuperare la capacità della rete ferroviaria locale ed incrementare la qualità del servizio.

 

Trasporto merci

A livello urbano si rende necessario razionalizzare le attività di distribuzione delle merci ottimizzandone gli aspetti ambientali. Ciò può essere fatto incentivando forme di distribuzione effettuate da imprese dotate di un parco veicoli a bassi consumi ed emissioni.

 

A livello extraurbano è necessario incentivare il trasferimento di quote di traffico delle merci da strada a ferrovia, mediante il potenziamento della rete ferroviaria, il completamento della rete interportuale e la promozione della logistica integrata.

In particolare sarà opportuno promuovere un processo di razionalizzazione della domanda e dell’offerta dell’autotrasporto, limitando le percorrenze complessive ed aumentando il fattore di riempimento medio dell’autotrasporto, attualmente inferiore al 50%, a causa dei ritorni a vuoto e dei viaggi a carico parziale.

 

 

 

 

 


 

3         Il governo dell’offerta di energia

 

 

3.1      La generazione di energia elettrica da fonti fossili

 

Il territorio della Regione Puglia è caratterizzato dalla presenza di numerosi impianti di produzione di energia elettrica, funzionanti sia con fonti fossili che con fonti rinnovabili.

La produzione lorda di energia elettrica al 2004 è stata di 31.230 GWh (nel 2005 la produzione è stata leggermente superiore: 31.750 GWh), a fronte di una produzione di circa 13.410 GWh nel 1990.

Attualmente la produzione di energia elettrica equivale a quasi due volte il consumo regionale, mentre nel 1990 il rapporto era di uno a uno.

A confronto con il sistema termoelettrico nazionale, quello pugliese presenta un’efficienza inferiore. Infatti, se il consumo specifico nazionale è stato di circa 2075 kcal/kWh come media degli ultimi 15 anni, quello pugliese è stato di circa 2295 kcal/kWh.

 

Una caratteristica della Puglia nel contesto nazionale è messa in evidenza dal confronto dei rapporti produzione/consumo a livello delle singole regioni. Come si può notare dal grafico, la Puglia risulta essere, assieme alla Liguria, la regione con il maggior rapporto tra produzione termoelettrica e consumo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 3 - Rapporto tra produzione e consumo nelle regioni italiane

 

 

La legge 239/2004 riguardante il riordino del settore energetico indica che lo stato e le regioni garantiscono l'adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

In effetti, il criterio del riequilibrio dei deficit regionali presenta elementi sia di scelta politica, almeno fino a quando si parla di centrali termoelettriche la cui collocazione è piuttosto indipendente da particolari caratteristiche territoriali, sia di scelta tecnica, fra cui il vantaggio di permettere una diminuzione delle perdite di linea. Si deve però registrare il fatto che ciò non si sta determinando, neppure a seguito dell’ondata di richieste di nuova potenza termoelettrica degli ultimi anni.

Alcune elaborazioni effettuate dall’ENEA indicano come le differenze tra potenza installata e potenza richiesta alla punta nelle diverse regioni tra il 2003 e quanto previsto al 2012, non si stiano riducendo particolarmente. In Puglia l’esubero di potenza passerebbe da 2.000 MW a circa 4.500 MW figurando, assieme alla Calabria, la regione con il principale scarto positivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 4 - Differenza tra potenza richiesta e installata nelle singole regioni italiane

 

In considerazione della situazione delineata, per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, la politica energetica regionale si pone i seguenti obiettivi generali:

-                     mantenimento e rafforzamento di una capacità produttiva idonea a soddisfare il fabbisogno della Regione e di altre aree del Paese nello spirito di solidarietà;

-                     riduzione dell’impatto sull’ambiente, sia a livello globale che a livello locale. In particolare, nel medio periodo, stabilizzazione delle emissioni di CO2 del settore rispetto ai valori del 2004;

-                     diversificazione delle risorse primarie utilizzate nello spirito di sicurezza degli approvvigionamenti e nella compatibilità di cui all’obiettivo precedente;

-                     sviluppo di un apparato produttivo ad alta efficienza energetica.

 

A fine 2004 la capacità produttiva regionale, per quanto riguarda i grossi impianti di produzione, ammontava a circa 4800 MW.

 

 

 

La composizione percentuale delle fonti energetiche che concorrono alla produzione dell’energia elettrica è rappresentata nel seguente grafico, dove è stata inclusa anche la quota derivante dalle fonti rinnovabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 5 - Ripartizione del contributo delle fonti energetiche alla produzione di energia elettrica nel 2004

 

A fine 2006, con l’entrata in esercizio della centrale Edison di Candela e della centrale Enipower di Brindisi la capacità produttiva ammonterà a oltre 6000 MW.

 

Per valutare la possibile evoluzione dell’apparato di produzione termoelettrica, si consideri che al momento risultano con processi autorizzativi in corso centrali per un ammontare complessivo di potenza pari a 2.630 MW.

La messa in esercizio di tutte le suddette centrali porterebbe ad una produzione complessiva pari a circa 60.000 GWh, contro i poco più di 31.000 GWh attuali.

Per quanto riguarda le emissioni di CO2, queste arriverebbero a oltre 30 milioni di tonnellate, contro i 21,5 milioni di tonnellate attuali (+45%)[2].

Lo scenario delineato, benché veda crescere il ruolo delle fonti primarie meno impattanti da un punto di vista ambientale, configura una situazione di accumulo, più che di alternativa, in termini di produzione energetica e di emissioni di gas climalteranti, oltre a non intervenire direttamente su alcune criticità presenti essenzialmente nei poli energetici di Brindisi e di Taranto.

 

Le linee di pianificazione energetica regionale che portano alla definizione di uno scenario obiettivo prendono in considerazione la suddetta situazione e si basano sulle seguenti priorità:

-            mantenimento e rafforzamento di una capacità produttiva idonea a soddisfare il fabbisogno della Regione e di altre aree del Paese nello spirito di solidarietà;

-            consapevolezza della necessità di diversificare le fonti primarie di approvvigionamento: diversi documenti comunitari evidenziano la necessità di considerare le diverse opzioni per quanto riguarda le fonti energetiche primarie; 

-            riduzione dell’impatto sull’ambiente, sia a livello globale che a livello locale; i documenti comunitari di cui al punto precedente assumono l’ipotesi che l’impiego delle diverse fonti primarie sia subordinato all’utilizzo delle migliori tecnologie (soprattutto per quanto riguarda il carbone).

-            necessità, anche a livello regionale, di intervenire sulle politiche di riduzione delle emissioni climalteranti;

-            sviluppo di un apparato produttivo diffuso e ad alta efficienza energetica;

-            rafforzamento dell’impiego delle fonti con potenziale energetico derivanti da processi industriali aventi altre finalità (in particolare gestione rifiuti - CDR e gas di processo industriale)

 

I punti da considerare sono i seguenti:

-            Polo di Brindisi: riduzione, in un orizzonte temporale di 10 anni, delle emissioni di CO2 del 25% nelle centrali di Cerano e Brindisi Nord, rispetto ai valori del 2004, mediante la riduzione dell’uso del carbone e ulteriore riduzione mediante l’utilizzo di almeno il 5% di CDR in combustione mista.

-            Polo di Taranto: esclusione di ogni cumulo fra le varie ipotesi di centrale, nell’ottica di riduzione dei fattori inquinanti e delle emissioni di CO2 e sfruttamento massimo dei gas derivanti dal processo industriale. 

-            Centrale ENEL di Bari: chiusura (al termine di opportuni interventi sulla rete che consentano a questa centrale di essere esclusa dall’elenco delle unità essenziali) o ammodernamento con completa conversione a gas naturale e incremento dell’efficienza energetica.

 

Dall’insieme delle suddette considerazioni il Piano considera il ricorso alla installazione di altre centrali termoelettriche di grossa taglia, come possibilità praticabile solo nel caso in cui ciò non sia accompagnato da un ulteriore incremento delle emissioni di CO2.

 

Tanto meno si ritiene opportuno sviluppare ulteriormente la produzione di energia elettrica in modo avulso dalla realtà regionale e nazionale al solo scopo di creare occasioni sul mercato estero.

 

Con tali assunzioni, lo scenario obiettivo vede una distribuzione di fonti di produzione di energia elettrica come evidenziato nel grafico[3].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 6 - Ripartizione del contributo delle fonti energetiche alla produzione di energia elettrica nello scenario obiettivo

 

Questo scenario porta a una produzione stimata di energia elettrica pari a circa 43.000 GWh, con un incremento di circa il 40% rispetto al dato del 2004, a fronte però di una diminuzione delle emissioni di CO2 del 9%.

In termini specifici, le emissioni passerebbero dai circa 690 g/kWh attuali a circa 455 g/kWh.

 

I grafici successivi riassumono l’evoluzione della produzione di energia elettrica, sia in termini di fonti primarie impiegate che di emissioni di CO2.


 

Figura 7 - Contributo delle fonti energetiche alla produzione di energia elettrica

 


 

Figura 8 -  Emissioni di CO2 per la produzione di energia elettrica

 

L’incremento della produzione di energia elettrica rispetto alla situazione attuale lascia un elevato margine alla possibilità di soddisfare il fabbisogno interno, come pure quello di altre zone. La stessa valutazione vale per quanto riguarda la potenza termoelettrica installata, considerando che si potrà contare su una potenza installata di oltre 6.000 MW a fronte di una richiesta di punta stimata in 4000 MW al 2012. Tale ipotesi non tiene conto delle fonti rinnovabili che in Puglia sono essenzialmente non programmabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

3.2      La fonte eolica

 

3.2.1       Obiettivi

 

Eolico on – shore

In Puglia la fonte eolica costituisce una realtà ormai consolidata da diversi anni. I primi impianti eolici risalgono al 1994.

La potenza che a tutto il 2005 è stata installata annualmente è riportata nel grafico seguente, dove si indica anche la potenza autorizzata a fine 2005. A questi numeri si aggiungono ulteriori 1.300 MW relativi a  proposte attualmente in iter autorizzativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 9 - Potenza eolica installata e approvata

 

La distribuzione sul territorio degli impianti vede una iniziale concentrazione nel subappennino Dauno e una successiva dislocazione verso le zone più pianeggianti.

La potenza delle macchine già installate e di quelle relative alle iniziative già proposte si è evoluta nel tempo secondo quanto riportato nel grafico seguente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 10 - Potenza degli aerogeneratori installati e proposti

 

Vi è sicuramente una concomitanza tra la distribuzione territoriale e l’evoluzione tecnologica e dimensionale degli aerogeneratori.

 

Guardando le mappe della risorsa eolica dell’Atlante eolico nazionale, si ha un’idea di come il passaggio da un’altezza di 25m sul livello del terreno a un’altezza di 70m sposti le aree di interesse a coprire potenzialmente buona parte del territorio regionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 11 – Distribuzione della velocità del vento a 70m s.l.t.

 

Ciò vuol dire che se con macchine di minor taglia era necessario installare gli impianti in area subappenninica, dove l’altezza sul livello del mare compensava la relativamente bassa dimensione degli aerogeneratori, con l’avvento delle macchine delle ultime generazioni, aventi un’altezza al mozzo di oltre 80 metri, è possibile trovare condizioni anemologiche sfruttabili anche a quote basse. 

E’ evidente che ciò moltiplica le potenziali applicazioni, passando da disposizioni in linea come quelle tipiche di aree di crinale, a disposizioni di superficie ammissibili in aree pianeggianti o collinari.

 

Lo sviluppo degli impianti eolici in aree pianeggianti presenta generalmente dei vantaggi da un punto di vista di facilità di accesso e di installazione. D’altra parte, proprio queste caratteristiche possono moltiplicare le situazioni di accumulo difficilmente controllabile, come già verificatosi in alcune aree.

 

Dai numeri riportati, è evidente che la risorsa eolica in Puglia non costituisce un elemento quantitativamente marginale. Nel contesto generale della produzione elettrica regionale si ritiene  che questa risorsa possa fornire  una produzione di energia elettrica attorno agli 8000 GWh ( circa 4000 MW), che corrisponde ad oltre il 15% della produzione complessiva regionale identificata nello scenario obiettivo. Rispetto ai fabbisogni di energia elettrica regionali previsti nello scenario obiettivo, il contributo eolico potrebbe superare il 40%.

 

E’ quindi obiettivo generale del Piano quello di incentivare lo sviluppo della risorsa eolica, nella consapevolezza che ciò:

-           può e deve contribuire in forma quantitativamente sostanziale alla produzione di energia elettrica regionale;

-           contribuisce a diminuire l’impatto complessivo sull’ambiente della produzione di energia elettrica;

-                     determina una differenziazione nell’uso di fonti primarie;

-                     deve portare ad una concomitante riduzione dell’impiego delle fonti più inquinanti quali il carbone.

 

 

Eolico off – shore

La tecnologia dell’eolico off shore è relativamente nuova, e deriva dall’unione della tecnologia eolica classica con la tipica tecnologia off shore applicata, ad esempio, per la costruzione di piattaforme petrolifere. 

Vi sono già diverse esperienze in Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna, Svezia e Germania, per un totale installato di circa 700 MW. Nonostante i numerosi ostacoli, essenzialmente di tipo tecnico e economico, ancora da superare, vi sono prospettive molto ottimistiche per queste applicazioni.

La European Wind Energy Association prevede un obiettivo, al 2010, di 75.000 MW di eolico installato in Europa, di cui 10.000 off shore, mentre l’obiettivo al 2020 è di 180.000 MW, di cui 70.000 off shore.

In particolare, la Gran Bretagna ha in previsione progetti per oltre 7000 MW nel breve periodo e la Germania dovrebbe installare oltre 1000 MW al 2010 e fino a 15.000 MW al 2020.

Si nota quindi come il contributo dell’eolico off shore sia previsto in forte incremento.

 

In Italia non si è ancora affermato un forte interesse riguardo all’eolico off shore, benché si stia iniziando a valutarne il potenziale.

Da un punto di vista tecnico è comunque interessante sottolineare che, benché l’industria eolica nazionale sia piuttosto limitata, viceversa quella relativa alle applicazioni off shore più tradizionali è molto competitiva e potrebbe fornire un elevato contributo, oltre a trarre a sua volta vantaggi da queste nuove applicazioni.

All’interno del bacino del Mediterraneo, la Puglia è una delle aree con buone possibilità teoriche di sfruttamento della fonte eolica off shore, essenzialmente sul versante adriatico.

Da alcune prime indicazioni è possibile stimare un potenziale di alcune centinaia di megawatt teoricamente installabili in aree poste ad una distanza dalla costa superiore ai tre chilometri con fondali inferiori ai 30 metri di profondità.  

Sono comunque necessari studi approfonditi per confermare le effettive possibilità applicative e di convenienza economica per eventuali iniziative in merito.

E’ evidente che lo sviluppo di tecnologie nuove, quali quelle relative alle fondazioni “flottanti”, aumenterebbe esponenzialmente le possibilità di sfruttamento della risorsa eolica marina.

 

Date le suddette premesse, la Regione valuta con attenzione le possibilità di applicazione della tecnologia off shore e l’interesse che alcune imprese hanno iniziato a manifestare in proposito.

 

 

Mini eolico

Secondo la LR 11 agosto 2005, n. 9, gli impianti eolici di piccola taglia (minieolico) sono definiti come impianti di produzione energetica da fonte eolica, con potenza massima complessiva di 60 kW, potenza massima unitaria di 30 kW, diametro del rotore non superiore a 10 metri, altezza del palo di sostegno non superiore a 20 metri.

La tecnologia eolica di piccola taglia rappresenta un’opzione matura in termini economici, commerciali, tecnici e finanziari e può, nel territorio della Puglia, integrare l’attuale modello di sviluppo energetico di tipo centralizzato in un modello di tipo distribuito, con reti locali di bassa e media tensione, sollevate da perdite di trasmissione, e quindi in grado di supportare una più efficiente distribuzione dell’energia.

Inoltre presenta ridotte necessità logistiche in termini di nuova viabilità e nuove reti elettriche poiché gli impianti di minieolico vengono progettati e realizzati nelle immediate adiacenze delle reti elettriche e della viabilità rurale esistente.

Alcuni impianti di piccola taglia possono già usufruire degli incentivi derivanti dalla vendita dei certificati verdi.

Inoltre, il 13 febbraio 2006, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha approvato un provvedimento (Delibera 28/06) per la promozione dell’autoproduzione di energia elettrica da piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza fino a 20 kW. ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387. In esso si prevede la possibilità di cedere alla rete elettrica locale la produzione da fonte rinnovabile di impianti di potenza non superiore a 20 kW e di prelevare dalla stessa rete i quantitativi di elettricità nei periodi in cui gli impianti rinnovabili non sono in grado di produrre.

Tale provvedimento estende alle altre fonti rinnovabili ciò che era già in vigore dal 2000 per gli impianti fotovoltaici.

Con questo servizio di “scambio sul posto” la remunerazione dell’investimento relativo all’impianto avviene attraverso l’acquisto evitato di energia elettrica, per la quota connessa alla produzione dell’impianto, nell’ambito del normale contratto di fornitura.

 

Sul territorio pugliese la tecnologia del mini eolico trova una interessante applicazione a livello rurale, a servizio di aziende agricole. Una opportuna applicazione di questa tecnologia e di quelle relative al solare e alla biomassa porterebbe alla realizzazione di filiere energetiche integrate da fonte rinnovabile.  

Inoltre, il mini eolico può trovare un facile insediamento nelle aree adiacenti le zone di produzione industriale, artigianale e trasformazione agro-alimentare.

E’ da valutare con attenzione e interesse la possibilità di inserire il mini eolico nelle aree a parco in modo da ridurre o azzerare, opportunamente integrato con altre applicazioni che sfruttano fonti energetiche rinnovabili, le immissioni in atmosfera delle produzioni energetiche equivalenti ai consumi nel medesimo territorio, adottando adeguate politiche di diffusione nelle aree compatibili (secondo i piani di zonizzazione approvati dall’ente competente).

Non da ultimo si ritiene interessante l’applicazione della tecnologia eolica a livello residenziale.

 

In considerazione della peculiarità degli impianti eolici di piccola taglia di poter costituire una fonte energetica molto diffusa sul territorio a livello di singole utenze, oltre che di poter usufruire di particolari vantaggi introdotti dalla recente normativa nazionale, sono obiettivi del piano:

-                     la realizzazione di opportunità di forte sviluppo delle applicazioni di scala medio – piccola nei diversi settori economici della realtà regionale;

-                     il favorire l’applicazione degli impianti eolici assieme ad altre tecnologie di impiego di fonti energetiche rinnovabili (come solare e biomasse) al fine di creare le condizioni di sviluppo di filiere energetiche integrate;

-                     lo sviluppo degli impianti eolici di piccola taglia nelle aree a parco con il fine di ridurre le emissioni in esse prodotte dall’impiego delle fonti energetiche tradizionali;

-                     la realizzazione di opportunità di forte sviluppo delle applicazioni di piccola scala applicate al settore residenziale.

 


 

3.2.2       Azioni e strumenti

 

L’obiettivo di sostanziale sviluppo della fonte eolica può trovare delle ragionevoli possibilità realizzative se coniugato con opportuni strumenti di attuazione che non possono riguardare esclusivamente i parametri tecnici. In mancanza di tali strumenti si ritiene che, di fatto, le dinamiche locali possano comportare un significativo rallentamento della effettiva realizzazione degli impianti.

Infatti, dati i rischi di uno sviluppo incontrollato, come già in corso in alcune aree del territorio regionale, è prioritario identificare dei criteri di indirizzo tali da evitare grosse ripercussioni anche sull’accettabilità sociale degli impianti.

Il criterio di base prende in considerazione la possibilità di uno sviluppo diffuso su tutto il territorio regionale, compatibilmente con la disponibilità della risorsa eolica e i vincoli di tipo ambientale, in modo da “alleggerire” il carico su zone limitate.

Si ritiene, in linea generale, che sia opportuno definire dei criteri che permettano il governo dello sviluppo di tale fonte rinnovabile.

I criteri si devono ispirare ai seguenti principi:

-                     coinvolgimento ed armonizzazione delle scelte delle Amministrazioni Locali;

-                     definizione di una procedura di verifica;

-                     introduzione di un elemento di controllo quantitativo della potenza installata.

 

I criteri definiti sono stati interpretati dal “Regolamento per la realizzazione di impianti eolici nella Regione Puglia” del 4 ottobre 2006[4].     

Il regolamento si applica agli impianti eolici di potenza superiore a 60 kW, se costituiti da più di un aerogeneratore. Il regolamento, inoltre, non si applica per impianti costituiti da un unico aerogeneratore di taglia inferiore o uguale a 1 MW.

 

Coinvolgimento ed armonizzazione delle scelte delle Amministrazioni Locali

La prima modalità di governo si basa sul coinvolgimento diretto delle Amministrazioni comunali che devono redigere dei piani regolatori relativi all’installazione di impianti eolici (PRIE). Tali piani sono finalizzati all’identificazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti stessi.

Strumenti di pianificazione comunale per la gestione degli impianti eolici sono già stati introdotti in paesi dove questa tecnologia ha avuto un forte sviluppo, come la Danimarca e la Germania.

La definizione delle aree vuole essere un primo passo per gestire la realizzazione degli impianti eolici, per evitare la loro proliferazione al di fuori di una qualsiasi logica ambientale, urbanistica e infrastrutturale.

I Comuni devono attenersi, per la realizzazione dei PRIE, a criteri, definiti dalla Regione, che escludono alcune aree (aree protette, aree urbane, aree di rilevanza paesaggistica, ecc.) o hanno un carattere indicativo in relazione alla densità e alla distribuzione sul territorio degli impianti, alla presenza di particolari criticità ambientali e all’esistenza delle infrastrutture necessarie, sia a livello di strade che di reti elettriche di allacciamento.

 

 

La definizione di aree non idonee costituisce un filtro preliminare rispetto a quello determinato dalla valutazione dei singoli impianti. In tal modo si ritiene che si crei, a priori, una maggior consapevolezza riguardo alle trasformazioni del territorio derivanti dalla installazione degli impianti eolici, senza aspettare che tale consapevolezza si crei a posteriori, mano a mano che gli impianti vengono realizzati.

Con i PRIE la Regione può definire l’insieme delle aree non idonee all’installazione degli impianti eolici, così come previsto dall’art. 12 del D. lgs n. 387/2003.  

Per armonizzare la scelta delle aree non idonee, è incentivata la costituzione delle Associazioni dei Comuni nella stesura di PRIE intercomunali sulla base del principio di razionalizzazione delle scelte. Infatti, data la natura e le dimensioni degli impianti eolici attualmente proposti nella realtà pugliese, la definizione di aree non idonee, considerando i singoli Comuni, può risultare limitante e non del tutto rispondente alle necessità di razionalizzare gli interventi. I comuni associati dovranno opportunamente concertare le possibilità di integrazione delle opere connesse (interconnessioni elettriche e rete viaria). In particolare saranno sostenute le proposte di Unioni di Piccoli Comuni in grado di esprimere funzioni di incentivo e sostegno di criteri locali di regolazione delle scelte insediative.

E’ auspicabile che la formazione di associazioni di comuni alla definizione delle scelte strategiche dell’eolico nei propri territori si possa trasformare in un’occasione di partecipazione diretta allo sviluppo ed alla successiva gestione di impianti eolici attraverso società miste pubblico – private.

I comuni che già hanno impianti presenti sul proprio territorio devono tenerne conto nella definizione delle aree non idonee. Nel caso di impianti presenti in aree non idonee è possibile, in accordo con il proprietario, definire una delocalizzazione su altra area, oppure una riduzione del numero di aerogeneratori.

 

Definizione di una procedura di verifica

L’elevato numero di proposte presentabili non consente una idonea valutazione ambientale se la stessa viene effettuata esclusivamente su progetti singoli e, pertanto, non in grado di intercettare criticità legate ad effetti cumulativi derivanti dalla presenza di più impianti in siti limitrofi.

Per ovviare a tale limite, si definisce un percorso procedurale basato sulla presentazione delle proposte all’interno di finestre temporali e di una loro valutazione preliminare ed integrata che consenta di individuare, per quelle iniziative presentate all’interno delle stesse aree o in aree contigue, elementi di incongruità o di sovrapposizione non rilevabili in condizioni di valutazione per singolo progetto.

La valutazione integrata consente, pertanto, di individuare elementi di razionalizzazione delle diverse iniziative progettuali da recepire, da parte dei proponenti, nella presentazione dei progetti definitivi che  seguiranno poi il procedimento unico ex Delib. di G.R. n. 716/2005.

 

Parametro di controllo

Il parametro di controllo rappresenta l’altro strumento di governo (che si aggiunge ai PRIE ed alla Valutazione Integrata) degli impianti eolici in Puglia. Il parametro risponde all’esigenza di regolare il numero di interventi in determinate aree territoriali (comunali e intercomunali), scandendo le fasi di installazione degli impianti eolici. La scelta del parametro di controllo risponde all’esigenza di evitare il proliferare di un numero elevato di proposte in limitate aree territoriali.

Il parametro si basa sulla percentuale di territorio che può essere occupata dalle installazioni eoliche. In presenza di aggregazioni di comuni nella formulazione dei PRIE, il parametro di controllo consente una maggiore percentuale di occupazione del territorio.

                                                            

Agli impianti eolici di piccola taglia (fino a 60 kW), se costituiti da più di un aerogeneratore, e agli impianti eolici costituiti da un solo aerogeneratore di potenza inferiore o uguale a 1 MW non si applicano le regole precedentemente definite.

Inoltre si prevede che gli impianti  con un solo aerogeneratore di potenza nominale non superiore ai 20 kW, per i quali vige lo scambio sul posto ai sensi dell’art. 6 del d. lgs. n. 287/2003, ovvero a servizio di utenze isolate, non siano assoggettati a procedure di valutazione ambientale ex L.R. n. 11/2001, purché la distanza dell’impianto dall’utenza elettrica servita non sia superiore ai 200 metri.

 

Gli impianti di piccola taglia sono assoggettati a un regime autorizzativo semplificato consistente nella Denuncia di inizio attività. Una ulteriore semplificazione potrà essere introdotta per gli impianti di micro eolico, prevedendo un regime di attività libera, compatibilmente con il contesto urbanistico di inserimento.

 

Eventuali incentivi economici che la Regione potrà attivare per promuovere lo sviluppo degli impianti di piccola taglia (in particolare di potenza non superiore ai 20kW ovvero a servizio di utenze isolate) avranno come condizione preferenziale di erogazione la concomitante realizzazione di interventi di riduzione dei consumi elettrici presso le utenze da questi direttamente servite.

 

 


 

 

3.3      Le fonti da biomassa

 

3.3.1       Obiettivi

 

Tra le diverse fonti rinnovabili, le biomasse di origine agro-forestale rappresentano, per la regione Puglia, una delle opzioni più concrete in termini di potenziale energetico e di sviluppo tecnologico. In aggiunta, potrebbero contribuire fattivamente al rilancio delle attività agricole, forestali e zootecniche che nella regione rappresentano un importante tassello dell’economia locale ed elemento prioritario di conservazione del territorio. Questa importante fonte rinnovabile si presta anche per favorire la diversificazione produttiva di una pluralità di soggetti imprenditoriali e per conseguire finalità di stretto carattere ambientale.

 

In termini generali, le biomasse agro-forestali di maggior interesse per la regione possono essere classificate in dipendenza del tipo di origine e di utilizzo dei prodotti energetici finali:

-     biomasse residuali o dedicate di origine agro–forestale da destinare alla produzione di combustibili solidi (materiale sfuso, legna da ardere in ciocchi, cippato, pellet ecc.);

-     biomasse dedicate idonee per la produzione di biocombustibili liquidi, come a esempio quelli sostitutivi del gasolio e della benzina (biodiesel e bioetanolo);

-     biomasse residuali solide non eccessivamente umide (<50-60% di contenuto d’acqua) derivanti da processi dell’industria agro-alimentarei (in particolare vinacce e sansa) per la produzione, attraverso processi termochimici, di calore e/o elettricità;

-     biomasse residuali solide umide (>60-70% di contenuto d’acqua) derivanti in particolare dai cascami della lavorazione delle produzioni orticole e fruttifere e dalle deiezioni animali,  da avviare a processi di fermentazione anaerobica per la produzione di biogas da destinare alla generazione di elettricità con eventuale recupero del calore.

 

 

Biomasse residuali di origine forestale

I paesaggi della Puglia si caratterizzano per la prevalenza degli elementi agrari. È infatti la regione con il più basso indice di boscosità (MAF-ISAFA 1988). I territori boscati ammontano a poco più di 116.000 ha (ISTAT 2002); l’Inventario forestale Nazionale realizzato nel 1986 fornisce indicazioni di una superficie forestale poco inferiore ai 150.000 ha. 

Il nuovo Inventario Forestale Nazionale realizzato nel corso 2005 fornisce il seguente quadro:

- bosco e altre terre boscate: 190.012 ha;

- praterie e pascoli: 104.107 ha;

- aree con vegetazione rada o assente: 2.300 ha.

 

Tra le diverse province quella con la più elevata consistenza in boschi è Foggia (52% del totale regionale), seguita da  Bari (24%),  Taranto (19%), di Lecce (3%) e Brindisi (2%).

La proprietà dei boschi è prevalentemente privata ( (57,2%) e si caratterizza per l’elevato frazionamento. La quota pubblica ammonta al 42,8%.

Si tratta di boschi governati a fustaia per il 41%; il 39% sono boschi cedui mentre la parte restante è formato da formazioni ascrivibili alla macchia mediterranea.

Il patrimonio forestale pugliese può essere descritto sinteticamente facendo riferimento alle fitocenosi più tipiche la cui distribuzione appare sostanzialmente determinata dalle temperature medie dei mesi più freddi.

Nel territorio del Promontorio del Gargano e il Subappennino-Dauno prevalgono il cerro (Quercus cerris L.), Carpino bianco (Carpinus betulus L.) e il Carpino orientale (Carpinus orientalis Mill.). Solo nella parte orientale a queste specie si sostituisce al cerro il faggio  (Fagus sylvatica L.) in relazione al particolare microclima dell’area.

Nelle Murge  i boschi più rappresentati sono quelli a prevalenza di Roverella (Quercus pubescens Willd. - Vita et al. 2002). Nelle Murge orientali tuttavia si osserva la presenza del fragno (Quercus trojana L.), associato a Roverella con presenza di specie tipiche del gruppo delle sclerofille mediterranee

L’estrema parte sud della regione come pure la pianura di Bari si caratteriizano per la presenza di Q. coccifera L., associata nelle aree costiere al leccio, in purezza all’interno. Le pianure di Brindisi e Lecce al contrario presentano un netta prevalenza del leccio

Sulla fascia costiera infine sono frequenti le pinete di Pino d’Aleppo e in minor misura gli impianti artificiali di Pino domestico.

 

Merita di essere evidenziata la scarsa diffusione di impianti di arboricoltura che in altre regioni hanno incontro un notevole successo. Anche i questo caso si osserva una notevole incertezza circa le superfici interessate. Secondo i dati ISTAT (Censimento Nazionale dell’Agricoltura) si riscontrano superfici di 298 ha di arboricoltura da legno di cui 64 di pioppeti. Tali superfici non vengono tuttavia rilevate dall’Inventario Forestale Nazionale. Pur trattandosi di superfici esigue esse possono assumere un certo interesse al fine di valutare la risposta di alcune specie legnose in ambienti mediterranei.

 

I boschi della Puglia sono soggetti ad incendi. Nel 2002 gli incendi registrati dal Corpo forestale dello Stato hanno interessato 1.819 ha; nel 2003 la superficie oggetto di incendi è risultata di 1.559 ha. La natura nettamente più frequente degli incendi è di tipo doloso. Gli incendi boschivi che si verificano in Puglia hanno in media dimensioni rilevanti (26 ha la superficie media per incendio nel 2002).

 

La proprietà forestale in Puglia presenta, come già ricordato, un’elevata frammentazione (polverizzazione) tale da rendere problematici interventi organici di gestione selvicolturali. La Regione Puglia ha incentivato negli ultimi decenni interventi a favore del settore forestale mirati essenzialmente al miglioramento dei boschi esistenti. Nell’ambito dei Piani operativi  tali interventi sono stati indirizzati a:

-           tagli fitosanitari e selettivi, tramarratura e/o succisione di ceppaie di piante deperite;

-           rinfoltimenti di radure e/o chiarie con specie autoctone, generalmente quercine;

-           l’avviamento alla conversione a fustaia dei cedui e dei cedui matricinati mediante tagli fitosanitari e diradamenti.

 

Per quanto riguarda le fustaie si è operato favorendo un miglioramento delle caratteristiche ecologiche con tagli fitosanitari, rinfoltimenti e diradamenti in funzione della regolazione della densità.

Recentemente, inoltre, il Piano di Sviluppo Rurale ha favorito specifici interventi (misura 4) per l’ampliamento delle superfici destinate a bosco, in particolare nelle aree agricole. I risultati di tali azioni, di cui tuttavia non è nota la risposta delle aziende pugliesi, potranno  risultare di interesse solo sul lungo periodo.

 

Come già rilevato la consistenza del patrimonio forestale della Puglia è limitata e le tipologie forestali più caratteristiche appaiono di notevole significato ecologico-ambientale, ma di modesta rilevanza produttiva.

L’estensione delle tagliate e i quantitativi di massa legnosa prelevata evidenziano in modo molto chiaro la scarsa rilevanza della risorsa in termini energetici. Il prelievo medio ad ettaro è di poco superiore a 34 mc/ha*anno. La superficie complessiva delle tagliate e il livello dei prelievi costituiti in massima parte da legna da ardere (circa l’80%), evidenzia quindi una tendenza attuale al “risparmio” della risorsa. I prelievi di massa legnosa sono tuttavia piuttosto localizzati nelle aree di maggior significato forestale.

 

Da questo primo quadro sintetico emerge con evidenza che le funzioni prevalenti dei boschi pugliesi sono legate al loro valore ecologico, paesaggistico e di tutela della biodiversità. Gli interventi a sostegno delle attività forestali sono stati quindi prevalentemente orientati, negli anni più recenti, a risultati di protezione delle superfici esistenti (attività antincendio) e di miglioramento strutturale e funzionale, risultati ottenibili tuttavia solo sul lungo periodo.

Appare comunque piuttosto evidente che attualmente tali risorse hanno rilevanza modesta, salvo aree circoscritte, nelle quali tuttavia sono ipotizzabili specifici interventi a sostegno di una maggiore efficienza e una più ampia diffusione.

Va tenuto presente inoltre che i boschi pugliesi, pur con alcune limitate eccezioni, si caratterizzano anche per valori di provvigione assai contenuti e quindi per la necessità di interventi mirati e localizzati primariamente nei Comuni con aree boscate di un certo rilievo, finalizzati ad incrementarne l’efficienza di utilizzo.

 

Di particolare interesse appare la diffusione dell’arboricoltura da legno; a tal proposito è possibile individuare in alcune specie a rapido accrescimento delle interessanti opportunità di produzione di biomassa che potrebbe essere indirizzata ad un utilizzo energetico. Tali impianti, che potrebbero avere anche funzione frangivento, hanno evidenziato sia un limitato impegno in termini di manutenzione che elevati livelli produttivi.

 

La produzione di legna da ardere da formazioni forestali lineari

Rientrano tra le formazioni forestali lineari, formazioni minori quali siepi, filari, boschetti che possono essere definite quali fasce di vegetazione lineari di origine prevalentemente artificiale che corrono parallele alla rete idrografica più fine (fossi, capezzagne, piccoli corsi d'acqua) o che delimitano unità agricole di estensione variabile. La loro presenza è legata a diversi aspetti che hanno segnato la storia dell'agricoltura (baco da seta, produzione di vimini, legna da ardere, limiti di proprietà, protezione dal vento, mantenimento della stabilità delle fasce di ripa, mantenimento dei microhabitat per diverse specie, ecc.).

Negli ultimi decenni della storia agricola del nostro paese, si è assistito, invece, ad un progressivo sviluppo delle tecnologie (aumento della meccanizzazione e proliferazione dei prodotti di sintesi), ad una progressiva semplificazione degli ambienti e alla scomparsa delle aree marginali ad alto valore ecologico, come le piccole aree boscate e le siepi.

 

Le funzioni di tali formazioni forestali sono numerose e molto importanti. Oltre ad una serie di potenziali benefici per le aziende agricole (produzione di legname, barriere frangivento per le coltivazioni, piuttosto che come difesa biologica per le stesse, produzione di prodotti secondari quali il miele, possibilità di sfruttamento turistico di un territorio migliorato dal punto di vista paesaggistico, ecc.) possono rivestire un ruolo importante in una strategia complessiva di preservazione delle aree naturali e di salvaguardia della biodiversità fungendo da “sistemi di connessione” tra le aree a maggior valore naturalistico presenti sul territorio, favorendo l’interscambio ed il trasferimento di piante e di animali (reti ecologiche). Esse possono svolgere, inoltre, una importante funzione di regimazione delle acque e di depurazione delle stesse dal carico di azoto derivante dall'agricoltura e dalla zootecnia, soprattutto quando applicate alla rete idrica minore.

Attualmente sta incontrando un crescente interesse la riscoperta  di queste formazioni vegetali anche come possibile fonte di biomassa legnosa, utilizzabile a fini energetici. Esse sono in grado di fornire, infatti, quantitativi di materiale per nulla irrilevanti.

Gli impianti lineari sono più produttivi di quelli a pieno campo; gli alberi godono infatti individualmente di più luce e possono avvalersi delle concimazioni e delle irrigazioni fornite ai campi limitrofi. Essi non impegnano stabilmente degli appezzamenti, permettendo all’azienda agricola di modificare l’ordinamento colturale in risposta al mutare del mercato; inoltre non impongono vincoli di tipo forestale alle superfici occupate.

Nelle aree di pianura, dove più evidente è l’esigenza di ricostruire una trama di formazioni arboree e arbustive, l’interesse verso le formazioni forestali minori in ambito aziendale,  contraddistinte da una molteplicità di funzioni, ha portato a definire con maggiore precisione una serie di indicazioni utili alla loro realizzazione e al raggiungimento di obiettivi, prevalentemente di natura ecologica, ma anche produttiva.

Recentemente sono stati infatti sviluppati approcci e tecniche realizzative più esplicitamente destinate alla produzione di combustibili e sono stati coniati termini che più specificamente indicano le finalità dell’intervento. E’ questo il caso delle cosiddette “siepi eco-energetiche”, formazione vegetale di carattere arboreo e/o arbustivo in cui la funzione ecologica si integra, in modo esplicito, con obiettivi di produzione energetica mediante l’individuazione di tecniche di impianto, cure colturali e modalità di utilizzazione in grado di massimizzare gli aspetti ambientali e produttivi.

Si tratta, in sostanza, di impianti di natura agro-forestale a carattere prevalentemente lineare, realizzati da specie arbustive ed eventualmente arboree autoctone, che svolgano funzioni plurime, di produzione energetica ed ecologiche al tempo stesso.

Per le aree collinari vengono proposte le cosiddette siepi “spezza-versante”, realizzate  perpendicolarmente alla linea di massima pendenza di un versante a seminativo, con modalità tali da consentire  l’intercettazione delle acque meteoriche di ruscellamento e limitare effetti indesiderati sul suolo (perdita di sostanze nutritive, sviluppo di fenomeni erosivi, ecc.)

Da un punto di vista realizzativo questo tipo di formazioni si sviluppano, per garantirne un significativo effetto e produzioni di biomassa,  per alcune centinaia di metri e con una larghezza minima di 3 – 4 m.

 

Un secondo tipo di realizzazione della stessa natura, adatte anche ai territori di pianura ma con struttura diversa, è costituito dalle “fasce tampone boscate (FTB)”. Si tratta di strisce di vegetazione arborea e arbustiva (mono o plurifilari) che, realizzate lungo corsi d’acqua e dei fossi, o a margine degli appezzamenti coltivati, sono in grado di intercettare parte dell’azoto in eccesso evitando che esso raggiunga la falda acquifera ottenendo, parallelamente, uno stimolo alla loro stessa crescita. L’efficacia di queste strutture vegetali, per quanto attiene l’assorbimento dell’azoto e di altri composti con potenziale inquinante per le acque, è massima con larghezze non inferiori a 5 m per ogni sponda del corso d’acqua. Analogamente la loro lunghezza deve svilupparsi per almeno alcune centinaia di metri.

Di norma viene prescritto che tali impianti vengano realizzati con specie autoctone. Se ciò appare giustificato per le FTB che costituiscono frequentemente, per lo stessa natura, habitat di elevato interesse naturalistico, tale prescrizione potrebbe trovare ragionevoli eccezioni per formazioni più spiccatamente dedicate alla produzione energetica da realizzarsi nelle aree di pianura.

 

La discussione sulla potenzialità di diffusione delle formazioni forestali lineari si pensa possa essere inserita nella questione più ampia della riqualificazione ecologico/paesaggistica del territorio e in iniziative per la costruzione ed implementazione di reti ecologiche e fasce tampone per prevenire l’inquinamento diffuso di corpi idrici, soprattutto nel Tavoliere e nelle aree alluvionali del litorale Jonico.

 

Frequentemente i corridoi ecologici trovano resistenza alla loro realizzazione da parte delle aziende agricole, che  vedrebbero sottratte seppur modeste superfici di terreno coltivabile. L’abbinamento della funzione ecologica con la produzione di materiale legnoso potrebbe rappresentare un’ipotesi di approfondimento interessante. In questo caso la progettazione della fascia o corridoio ecologico dovrebbe prevedere una porzione, esterna, di facile utilizzo da destinare alla produzione di materiale legnoso e una, più interna, più articolata e varia per  le finalità ecologiche.

Prevedendo un turno di 5 anni circa e l’esecuzione dei lavori di prelievo della biomassa legnosa nei mesi autunnali, si può ritenere che il disturbo per l’avifauna possa essere estremamente contenuto. Parallelamente, la realizzazione di queste formazioni consentirebbe di  contribuire a quella auspicata maggiore articolazione paesaggistica del territorio agrario.

In questo caso il raggiungimento di un obiettivo più generale di riqualificazione paesaggistica ed ecologica del territorio rurale, potrebbe permettere l’avvio di un percorso virtuoso finalizzato all’efficienza energetica e alla sostenibilità ambientale delle attività agricole, nonché allo sviluppo di attività integrative interessanti che possano svolgersi prevalentemente in periodi nei quali l’attività in campo è ridotta (stagioni fredde) e che quindi ben si prestano per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse aziendali.

Tutto ciò va esattamente nella direzione voluta dalla recente riforma della PAC con la condizionalità: migliorare il reddito degli agricoltori riducendo l’impatto negativo dell’agricoltura sull’ambiente.

In conclusione, interventi che prevedano il miglioramento delle formazioni forestali lineari esistenti e l'introduzione di nuovi elementi, soprattutto, all'interno di un progetto di creazione di una rete ecologica, possono produrre effetti positivi dal punto di vista ecologico e, nello stesso tempo, economico e sociale.

In sede europea, nell'ultimo decennio il dibattito sulla continuità ambientale ha prodotto lo sviluppo del tema delle reti ecologiche, in accordo con le indicazioni espresse dalla Convenzione di Rio sulla Diversità biologica (1992), dal Piano d'Azione dell'IUCN di Caracas sui parchi e le aree protette (1992) e anche dal Progetto EECONET (1991) che ha proposto la creazione di una rete ecologica europea e che ha favorito la creazione della Strategia Pan-Europea sulla Diversità Biologica e Paesistica (1996), che individua proprio nella rete ecologica pan-europea lo strumento chiave per la conservazione della biodiversità.

In tale prospettiva si collocano le Direttive Comunitarie 79/409/CEE (denominata "Uccelli" - relativa alla individuazione di ZPS, Zone di Protezione Speciale, destinate alla conservazione di alcune specie di uccelli) e 92/43/CEE (denominata "Habitat" - finalizzata alla creazione di SIC, Siti di Importanza Comunitaria) che mirano alla creazione di una rete di aree di grande valore biologico e naturalistico denominata "Natura 2000". Quest'ultima Direttiva si pone l'obiettivo di contribuire a salvaguardare la biodiversità attraverso la conservazione degli habitat naturali e della flora e fauna selvatiche all'interno di un processo di sviluppo sostenibile che tenga conto contemporaneamente anche delle esigenze economiche e sociali. Per mitigare il problema della frammentazione, infatti, ci si è resi conto che ai fini della conservazione della natura non era più sufficiente una politica di conservazione degli habitat e delle specie in aree protette (Parchi e Riserve) perché esse rischiavano di rimanere aree isolate all'interno di un territorio intensamente urbanizzato.

 

Biomasse residuali di origine agricola

E’ ormai noto che l’evoluzione delle tecniche colturali agricole e dell’assetto socio-economico del settore primario hanno rotto il ciclo chiuso della produzione agricola tradizionale a favore di forme di conduzione più aperte e simili ai processi di produzione secondari. Ovviamente, questo ha reso tendenzialmente obsoleto l’uso di gran parte dei residui colturali più poveri che, a parte le paglie di cereali, vengono sempre più considerati dei veri e propri rifiuti da utilizzare al massimo come ammendanti organici. Ad oggi gli agricoltori considerano la gestione dei residui come un problema di smaltimento, piuttosto che un’operazione potenzialmente produttiva.

I residui colturali rappresentano, invece, una cospicua fonte di biomassa, che può contribuire in modo sensibile al miglioramento del bilancio energetico delle aree a vocazione agricola.

 

Diverse sono le colture che, per caratteristiche proprie, risultano interessanti circa la possibilità di fornire materiali che possono eventualmente essere destinati a scopi energetici. Per quanto riguarda la regione, di particolare interesse risultano i sottoprodotti colturali cosiddetti “secchi”, cioè con umidità compresa fra il 10% ed il 60%, e che provengono dalle coltivazioni cerealicole e dalle coltivazioni arboree quali olivo, vite e, in misura minore, fruttiferi.

 

 

I materiali residuali potrebbero essere convenientemente utilizzati per rendere disponibili:

-     materiali imballati (ad esempio paglie e stocchi) di interesse delle centrali elettriche;

-     legno cippato idoneo per un’ampia casistica di impianti (sostanzialmente caldaie di potenza termica superiore ai 50-100 kW senza limite superiore);

-     pellet utilizzabili anche in dispositivi termici di piccola potenza.

La quantificazione preliminare della biomassa potenzialmente recuperabile dai residui derivanti da tali coltivazioni è stata ottenuta adottando un metodo basato su correlazioni sperimentali presenti in letteratura e che legano il residuo all’area di uso del suolo tramite un coefficiente di produttività medio. Chiaramente, per una più precisa valutazione dell’effettiva biomassa disponibile vanno considerate le effettive  rese in residuo delle diverse colture che dipendono strettamente dalle attuali estensioni colturali e dalle attuali metodologie di conduzione tipiche per le  diverse aree agricole della regione.

Per quanto riguarda le colture cerealicole, il mais è senza dubbio quella che mette a disposizione una quantità di residui utili per ettaro e, quindi, un output energetico potenziale per ettaro nettamente superiore agli altri seminativi considerati. In media per i cereali si può assumere una disponibilità di residui utili per ettaro non inferiore alle 4 tonnellate/anno con un contenuto di umidità piuttosto basso di circa il 15% ed un contenuto energetico di 3.950 kcal/kg di sostanza secca.

 

Per quanto riguarda le legnose agrarie risulta che, in media, si possono ottenere all’anno tra i 10 e i 20 q/ha di residui di potatura dai fruttiferi e circa 20q/ha dall’olivo. Il tasso di umidità di tali residui è dell’ordine del 50% ed il contenuto energetico di 4.300 kcal/kg di sostanza secca.

 

La disponibilità teorica complessiva di tali residui è particolarmente elevata e stimabile, sulla base dei dati del censimento ISTAT 2000, in circa 1.066 kt, corrispondenti ad un potenziale energetico di 430 ktep/anno (pari a circa 5.000.000 MWh/anno).

Complessivamente i residui cerealicoli sarebbero in grado di garantire un potenziale energetico pari a 297 ktep/anno (3.444 GWh/anno); i residui legnosi delle potature di olivo, vite e fruttiferi, invece, di 134 ktep/anno (1.554 GWh/anno).

 

Foggia risulta la provincia con la potenzialità energetica maggiore, pari al 48,3% del totale, seguita da Bari con circa il 25,2%.

Tale potenziale deriva per la gran parte dalle paglie di cereali; forte è infatti la vocazione cerealicola di tali province, in particolare nelle zone della Capitanata e del Tavoliere, dell’Appennino Dauno e dell’Altopiano delle Murge.

Il contributo della paglia di cereali non scende mai al di sotto del 55%, ad eccezione delle province di Brindisi e Lecce dove prevale in maniera rilevante, invece, il contributo dei residui di potatura dell’olivo.

 

 

 

 

 

 

Disponibilità teorica di residui

 

cereali

olivo

vite

fruttiferi

 

kt

ktep

kt

ktep

kt

ktep

kt

ktep

Foggia

474,4

187,4

27,2

11,4

14,3

6,1

5,3

2,3

Bari

156,2

61,7

61,5

25,8

13,8

6,0

35,7

15,3

Taranto

51,9

20,5

18,4

7,7

11,0

4,7

9,5

4,1

Brindisi

22,4

8,8

41,7

17,5

6,3

2,7

6,5

2,8

Lecce

45,0

17,8

58,4

24,5

4,7

2,0

1,6

0,7

Regione

749,9

296,2

207,1

87,0

50,1

21,5

58,5

25,1

Tabella 12 - Disponibilità teorica di residui agricoli

 

Per avere un’idea delle quantità in gioco, nella tabella a seguire vengono riportate alcune indicazioni sulla potenzialità teorica di sfruttamento di tale biomassa per produzione di energia elettrica e/o termica.

 

 

energia termica producibile[5] (GWht)

energia elettrica producibile[6] (GWhe)

 

cereali

legnose

cereali

legnose

Foggia

1.743

185

654

69

Bari

574

438

215

164

Taranto

191

154

72

58

Brindisi

82

214

31

80

Lecce

165

253

62

95

Regione

2.755

1.243

1.033

466

Tabella 13 – Potenzialità teoriche di sfruttamento energetico delle biomasse residuali agricole

 

I quantitativi di residui agricoli sono da considerarsi un potenziale teoricamente disponibile prescindendo da una serie di fattori, di diversa natura, che possono interferire in modo rilevante riducendo le possibilità operative e ponendo vincoli, anche estremamente fondati, in grado di limitare l’effettiva disponibilità di biomassa residuale da avviare ad un uso energetico.

I residui agricoli possono, ad esempio, avere già degli usi alternativi che si pongono sostanzialmente in competizione con quello energetico. Inoltre spesso gli agricoltori si dimostrano contrari ad un prelievo dal terreno di una parte consistente di essi in quanto potrebbe comportarne un eccessivo impoverimento di sostanza organica. In aggiunta vanno anche considerati gli aspetti legati alle dispersione dei residui sul territorio e, quindi, anche alle problematiche di raccolta, trasporto e stoccaggio (intermedio e finale). Questi aspetti risultano poi strettamente legati ai costi del combustibile vegetale e quindi alla reale fattibilità della sua conversione energetica.

Come visto, gran parte dei residui agricoli potenzialmente disponibili deriva dalle coltivazioni cerealicole ed è costituito per la quasi totalità da paglia di frumento. Va rilevato che tali possono trovare in parte sbocco negli allevamenti zootecnici; la paglia che non trova sbocchi di mercato viene generalmente bruciata in campo.

Per quanto riguarda gran parte delle legnose agrarie, a volte tutto il materiale derivante dalle operazioni di potatura con diametro superiore ai 4 cm viene già utilizzato come legna da ardere e quindi eliminato senza problemi. Il materiale più sottile, però, non ha ancora sbocchi commerciali e viene smaltito generalmente in due modi: triturazione ed interramento in campo (soprattutto per quanto riguarda i sarmenti di vite), o bruciatura fuori campo.

Queste modalità di smaltimento presentano alcuni evidenti inconvenienti di carattere fitosanitario e ambientale e si scontrano con le limitazioni sempre più restrittive imposte dalle normative e direttive della nuova PAC riguardanti le misure agroambientali (condizionalità obbligatoria).

La possibilità di utilizzare questi residui per fini energetici consentirebbe di compensare, almeno in parte, i costi di smaltimento.

 

Colture dedicate

Le colture dedicate per la produzione di energia possono essere inquadrate in tre grandi classi:

-     coltivazioni erbacee poliennali o annuali per la produzione di combustibile solido per la successiva alimentazione di impianti per la produzione di energia elettrica e/o calore;

-     coltivazioni poliennali legnose a ciclo breve per la produzione di una vasta gamma di biocombustibili solidi di interesse di diverse utenze (esempio: pioppo o robinia a ciclo breve);

-     colture saccarifere e oleaginose per la produzione di biocombustibili liquidi, come quelli sostitutivi del gasolio e della benzina (biodiesel e bioetanolo). Alcune specie sono già coltivate in regione per diversi usi, in particolare quelli alimentari, come il girasole, la colza e la barbabietola.

 

Le coltivazioni dedicate risultano di grande interesse per la molteplicità di aspetti energetici, ambientali e di diversificazione delle produzioni agricole che comportano.

In generale è da evidenziare che le colture no food devono poter soddisfare contemporaneamente le esigenze di carattere agronomico del produttore, tecnologico del trasformatore ed economico di entrambi.

La riforma della PAC, con l’introduzione del meccanismo del disaccoppiamento, che consente agli agricoltori di svincolarsi dalle scelte produttive, e della condizionalità obbligatoria, fornisce un quadro programmatico sicuramente favorevole all’implementazione e diffusione delle colture dedicate da energia.

Con la riforma della PAC (art. 55, 56 e 88 Reg. 1782/2003, art. 33 Reg. 2237/2003), per le colture energetiche da biomassa si prospettano tre principali opportunità:

-           coltivazioni su terreni normali, privilegiando quelle colture che presentano una eccedenza della produzione;

-           coltivazioni su aree rese disponibili dal “set aside” e cioè aree oggetto di riconversione produttiva;

-           coltivazioni su aree marginali e cioè superfici che per motivi di ordine economico, ambientale e sociale sono state oggetto di abbandono produttivo delle colture originarie.

 

A livello di comparto agricolo, risultano inevitabilmente preminenti le valutazioni relative alle più opportune modalità di riconversione e soprattutto al bilancio economico della riconversione della propria produzione verso tali colture e alla sua redditività rispetto alle colture tradizionali, che presuppone necessariamente la considerazione di diversi aspetti:

-           le prospettive produttive locali in base alla specie scelta;

-           le reali prospettive di mercato;

-           i costi di produzione, dall’impianto alla raccolta;

-           il prezzo di vendita/acquisto del materiale prodotto;

-           la possibilità di definire contratti di ritiro del materiale a prezzi prefissati e di medio-lungo –termine;

-           l’entità del sostegno concesso alle colture energetiche;

-           l’andamento nel tempo dei contributi.

 

I contratti di ritiro del materiale rappresentano chiaramente uno degli elementi cruciali non solo per il prezzo che viene riconosciuto al materiale ma anche per la durata del servizio, elemento che a sua volta condiziona l’entità degli investimenti che l’azienda agricola sarà orientata a realizzare.

 

Colture dedicate per la produzione di biocombustibili solidi

La tipologia di coltura più idonea per l’avvio di una filiera bioenergetica in una determinata area è legata necessariamente alle sue caratteristiche agropedoclimatiche; da esse dipendono, infatti, le caratteristiche botaniche e vegetazionali, le tecniche di impianto, conduzione e raccolta e la tipologia di prodotto ottenibile (in termini di resa unitaria in sostanza secca e di contenuto energetico) e quindi il costo medio di produzione della biomassa.

In tal senso va sottolineato che, in generale, tali colture sono ancora in fase di sperimentazione, con risultati ecologici ed economici ancora tutti da verificare senza i quali risulta difficile individuare le specie più idonee per le diverse aree.

Le attuali incertezze relative alla effettiva redditività di tali colture rispetto alle colture tradizionali e, più in generale, al mercato delle biomasse, impediscono di poter individuare con chiarezza le reali potenzialità del territorio e le strategie più opportune in grado di assicurare che l’implementazione di tali colture possa, almeno nel breve periodo, arrivare a rappresentare anche una concreta opportunità di riconversione produttiva per il comparto agricolo regionale.

 

Nell’ambito di uno scenario a breve termine di diffusione di filiere bioenergetiche si ritiene pertanto che, in generale, le colture dedicate da energia possano rientrare esclusivamente come forme di integrazione al reddito aziendale in iniziative su piccola scala che interessino:

-           aree rese disponibili dal “set aside”;

-           aree marginali e cioè superfici che per motivi di ordine economico, ambientale e sociale sono state oggetto di abbandono produttivo delle colture originarie.

 

Come noto il principio della condizionlità pone come requisito fondamentale per i pagamenti l’obbligo di mantenere la terra in buone condizioni non più solo agronomiche ma anche e soprattutto ambientali. Nel decreto ministeriale 5406/2004 di recepimento  del meccanismo della “condizionalità è definita una specifica norma (la n. 4.2) relativa proprio alla “gestione delle superfici ritirate dalla produzione”, costituite sia da quelle soggette all’obbligo di ritiro per percepire i pagamenti, sia da tutte le altre superfici ritirate dalla produzione, anche se ammissibili dell’aiuto diretto. Poiché l’Italia ha optato per il disaccoppiamento totale degli aiuti dalla produzione, tale norma potrà quindi interessare oltre alle superfici di set-aside obbligatorio, anche le superfici che potrebbero non essere più coltivate, pur percependo l’aiuto e per le quali, con il disaccoppiamento, si paventa il rischio di degrado o di abbandono. La messa a punto di pratiche adeguate per il mantenimento in buone condizioni agronomiche ed ambientali di queste superfici, assumerà quindi nei prossimi anni una importanza sempre più rilevante. L’introduzione di coltivazioni dedicate potrà rappresentare un utile mezzo per contribuire alla loro difesa e salvaguardia, garantendo allo stesso tempo all’agricoltore un reddito aggiuntivo derivante dalla vendita o dal consumo diretto di buiomasse per scopi energetici. Esse infatti risultano di interesse per diverse finalità di carattere fortemente ambientale:

-      inserite nelle rotazioni come coltura da rinnovo sono in grado di garantire la conservazione della fertilità del suolo che risulta oggi compromessa da coltivazioni intensive quali quella del frumento;

-      oltre alla loro capacità di migliorare le caratteristiche del suolo risultano interessanti a livello paesaggistico per la conservazione della piccola fauna;

-      una decisa riduzione nell’impiego di fitofarmaci normalmente usati per la difesa delle colture agrarie;

-      un sostanziale controllo del fenomeno erosivo;

-      il netto incremento dei livelli di carbonio catturati in conseguenza dell’aumento della sostanza organica presente nel terreno;

-      la consistente riduzione dei rischi di alterazione negativa della qualità delle acque superficiali.

 

Date le caratteristiche climatiche e podologiche pugliesi, di interesse, in tale ambito, risulta l’implementazione di specie legnose che possono essere ceduate ad intervalli assai brevi (1-4 anni) o “short rotation forestry” (SRF). Esse sono in generale migliori delle colture erbacee per la qualità della biomassa e per la capacità di ricrescita dopo la ceduazione.

Tali colture sono tutte coltivate con tecniche agronomiche paragonabili a quelle proprie delle colture erbacee di pieno campo. Le piantagioni vengono infatti normalmente realizzate ad elevatissima densità, dell’ordine di 8.000-12.000 piante/ha, con itinerari tecnici che ormai prevedono la completa meccanizzazione di tutte le operazioni colturali.

Le coltivazioni legnose dedicate potrebbero inserirsi anche nelle iniziative di ampliamento delle superfici arboree della regione, iniziative che rientrerebbero a pieno titolo tra le misure principali adottate a livello nazionale per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra entro il periodo 2008-2012.

 

Alcune formazioni forestali a ciclo breve, come pioppo o salice, così come alcune erbacee come la mazza di tamburo (Typha latifoglia) o la cannuccia di palude (Phragmites australis) potrebbero proficuamente essere inserite in filiere di produzione di biomassa a servizio di piccoli impianti di fitodepurazione per lo smaltimento ed il trattamento dei reflui di diverse tipologie di utenze: allevamenti zootecnici, industrie agro-alimentari, strutture turistiche, piccoli centri urbani e/o rurali di taglia compresa fra i 500 ed i 5.000 abitanti equivalenti.

Questo tipo di offerta non alimentare per l'agricoltura appare particolarmente interessante e con buone possibilità di diffusione. Il vantaggio per l'azienda agricola si pone in termini di un possibile reddito di tipo aggiuntivo rispetto a quello legato alla produzione di un combustibile rinnovabile e derivante dallo smaltimento delle acque reflue, che consentirebbe di compensare più facilmente gli elevati costi legati alle colture energetiche.

Si ritiene opportuno prevedere l’introduzione di tali colture nei terreni agricoli tendenzialmente pianeggianti, data l’elevata meccanizzazione richiesta.

In generale le aree di pianura del Foggiano  ed in parte anche del Barese (Capitanata e Tavoliere, Appennino Dauno, Valle dell’Ofanto e Altopiano delle Murge) risultano quelle che più si prestano ad una diffusione di tale tipologia di colture dedicate e quindi quelle in cui risulterà prioritario l’avvio di iniziative specifiche. Ciò per le peculiarità e criticità territoriali e produttive che le caratterizzano: una maggior disponibilità di superfici a riposo soggette al regime di aiuto, un territorio fortemente semplificato e penalizzato dal punto di vista ecologico e paesaggistico da pratiche agricole di tipo estensivo; una, in media, maggiore disponibilità di infrastrutture e macchinari utilizzabili anche per colture da biomassa; la forte crisi di alcuni comparti produttivi come la barbabietola ed il frumento duro.

 

Colture dedicate per la produzione di biocombustibili liquidi

Diverse risultano le tipologie colturali dedicate, saccarifere, amidacee ed oleaginose, che ben si adattano alle caratteristiche del territorio regionale e che potrebbero essere finalizzate alla produzione di biocombustibili liquidi. Alcune di esse sono attualmente già coltivate prevalentemente per fini alimentari, come il girasole, la colza, la soia e la barbabietola da zucchero.

La coltivazione di barbabietola non è particolarmente diffusa e la sua estensione si è andata riducendo in maniera non trascurabile nel corso degli ultimi anni. Secondo i dati del censimento ISTAT 2000 la superficie risulta di poco superiore agli 11.500 ha (0,9% della SAU regionale). Quasi il 95% di tale superficie è concentrato nella sola provincia di Foggia.

Pur rientrando nella tradizione colturale regionale, le colture oleaginose rappresentano attualmente poco più dell’1% della SAU regionale totale. L’avvio di filiere bioenergetiche potrebbe quindi favorire una loro ripresa. Secondo i dati del censimento ISTAT 2.000 la superficie a girasole risulta di poco superiore agli 11.000 ha (0,9% della SAU regionale) e quella a colza di circa 6.000 ha (0,5% della SAU). Decisamente meno rilevante la coltivazione di soia con solo 204 ha.

Le province con la maggiore vocazione risultano Foggia e Lecce.

 

 

Girasole       (ha)

Colza             (ha)

Soia            (ha)

Foggia

6174,7

260,2

68,4

Bari

142,4

1479,3

31,9

Taranto

134,0

276,8

0,0

Brindisi

1744,3

352,4

74,1

Lecce

2933,3

3563,9

29,7

Regione

11128,7

5932,5

204,1

Tabella 14 – Superfici dedicate a colture oleaginose

 

Le colture saccarifere e quelle amilacee possono essere utilizzate per la produzione di bioetanolo; le colture oleaginose per la produzione di olio vegetale e/o biodiesel. 

In campo energetico il bioetanolo, oltre per la preparazione dell'ETBE (EtilTerButilEtere), un derivato alto-ottanico alternativo all'MTBE (MetilTerButilEtere), può essere aggiunto nelle benzine per una percentuale che può arrivare fino al 23,5% senza dover modificare in nessun modo il motore e al 100% solo adottando alcuni specifici accorgimenti tecnici. In Europa è attualmente utilizzato in miscela al 5%.

Assumendo una resa media compresa fra 4-5,5 ton/ha si otterrebbero, impiegando le superfici attualmente dedicate alla coltivazione della barbabietola, circa 55.000 tonnellate di bioetanolo, pari ad un contenuto energetico di 35 ktep. Considerando che il consumo regionale di benzina è di circa 867 ktep/anno, le quantità di bioetanolo potenzialmente in gioco sarebbero già sufficienti a coprire il 4% di tale consumo. Appaiono quindi evidenti le potenzialità di una riconversione no-food di tali colture.

 

Per quanto riguarda il biodiesel l’utilizzazione energetica può essere rivolta verso due direzioni: l'autotrazione e il riscaldamento; quella dell’olio vegetale esclusivamente verso il riscaldamento. Va rilevato che, in media, le caratteristiche energetiche di tali combustibili sono più elevate di quelli degli alcoli ed i cicli produttivi estremamente più semplici e meno costosi.

Con lo sviluppo dei gasoli desolforati il biodiesel si pone di interesse come additivo che aumenta la lubricità del combustibile. Di fatto, l’art. 2 del Decreto 25 luglio 2003 n. 256 stabilisce che le miscele con tenore di biodiesel inferiore al 5% possono essere immesse sul mercato con la sola condizione che il prodotto rispetti le specifiche imposte per il gasolio puro.

Assumendo in via del tutto preliminare una resa media in semi di 2,5 ton/ha per il girasole e di 2,6 ton/ha per la colza, si potrebbero ottenere dall’attuale produzione circa 18.000 tonnellate di olio vegetale e 16.500 di biodiesel (pari ad un contenuto energetico di 15,6 ktep per ognuno dei suddetti prodotti).

 

 

Olio vegetale (ton)

Biodiesel (ton)

Foggia

               7.052

        6.409

Bari

               1.636

        1.474

Taranto

                 424

           383

Brindisi

               2.271

        2.061

Lecce

               6.791

        6.141

Regione

             18.174

       16.468

Tabella 15 – Quantitativi di combustibili ottenibili dalle attuali produzioni agricole

 

Considerando che l’attuale consumo regionale di gasolio per autotrazione è di circa 1.286 ktep/anno, le quantità di biodiesel potenzialmente in gioco, assumendo tale percentuale di miscelazione, corrisponderebbero a circa 70 kton. Le attuali potenzialità produttive regionali sarebbero in grado di coprire oltre il 20% di tale quantitativo.

Specifici e strategici ambiti di utilizzo per autotrazione del biodiesel possono risultare inoltre:

-     in miscela con il gasolio al 25% per il trasporto pubblico e, più in generale, per tutti gli utenti che dispongono di serbatoi di stoccaggio propri;

-     in miscela con il gasolio al 25% per l’alimentazione dei mezzi agricoli.

Si comprende facilmente come la produzione di biodiesel possa rappresentare una importante opportunità per il comparto agricolo regionale; andrà quindi considerata con attenzione la possibilità di implementazione di colture oleaginose, privilegiando innanzitutto i terreni set aside in rotazione puntando al coinvolgimento del settore della raffinazione regionale per la diffusione sul territorio a livello generalizzato di biodiesel in miscela nel gasolio con percentuali inferiori o uguali al 5%.

 

Un settore di mercato suscettibile invece di interessanti programmi a medio termine miranti alla diffusione delle colture oleaginose no-food è quello del riscaldamento.

Il principale  vantaggio di questo tipo di filiera  risiede nell’assenza di imposte fiscali (accisa sui carburanti per autotrazione) che al contrario gravano, come dettagliato precedentemente, sui biocarburanti.

In tale ambito si potrebbe utilizzare biodiesel in miscele (superiori anche al 25%) o allo stato puro, ma soprattutto olio vegetale, che non può essere utilizzato in autotrazione e che ha costi di produzione inferiori, in impianti termici di piccole medie dimensioni a servizio di utenze prossime ai centri di produzione.

Tali iniziative andranno promosse primariamente nelle aree dove già queste colture hanno una certa diffusione e quindi i terreni risultano più idonei.

Le attuali potenzialità produttive regionali di olio vegetale sarebbero in grado di coprire poco più del 16% dei consumi regionali di gasolio nel settore civile, corrispondente ad un consumo evitato di tale vettore di 15.300 tonnellate circa.

Per quanto riguarda l’olio vegetale, l'utilizzazione in caldaia richiede l'organizzazione di una filiera agro-energetica molto semplice e che può chiudersi direttamente nelle stesse aziende agricole, dove produttori di combustibile e utilizzatori possono essere molto vicini tra loro (o addirittura coincidere). L’olio è infatti producibile in azienda utilizzando dei semplici estrattori meccanici; contemporaneamente il coprodotto ottenibile (panello grasso) è impiegabile direttamente nell'allevamento zootecnico. Ciò si dovrebbe riflettere in sensibili economie di produzione e in bilanci energetici favorevoli.

 

Biomasse residuali dell’industria olearia e vitivinicola

A fianco del settore agro-forestale va anche considerato quello ad esso strettamente collegato dell’industria agro-alimentare. Esso produce una vasta gamma di residui, molti dei quali di origine vegetale, caratterizzati da livelli di contaminazione bassi o nulli e da livelli di umidità tali da permetterne l’utilizzo nei processi di combustione. Gli aspetti che differenziano maggiormente l’industria dal settore agro - forestale sono i seguenti:

-     la raccolta dei residui al fine di un loro utilizzo come combustibile alternativo avverrebbe direttamente presso l’industria stessa , quindi con una notevole concentrazione spaziale;

-     la relativa produzione è in alcuni casi distribuita nel corso dell’anno invece che essere stagionale.

 

Inoltre, la valorizzazione a fini energetici dei residui non altrimenti utilizzati potrebbe permettere, in alcuni casi, di superare il non irrilevante problema del loro smaltimento, operazione piuttosto onerosa dal punto di vista economico.

Nel caso dell’industria agro–alimentare, i residui vegetali possono rappresentare anche il 20% del prodotto in ingresso (10% in media). Esempi di residui interessanti per la regione Puglia, data la forte presenza di industrie olearie e vitivinicole, sono:

-     sanse esauste;

-     vinacce esauste ottenute dalla lavorazione delle vinacce vergini.

 

Va sottolineato il fatto che una percentuale non irrilevante della sansa esausta prodotta (alcune fonti di bibliografia stimano circa il 50%) è già utilizzata come combustibile presso gli stessi sansifici al fine di soddisfare il fabbisogno energetico richiesto per l’essiccazione della sansa vergine e per l’estrazione dell’olio.

Per quanto riguarda le vinacce, solo una parte del residuo può essere recuperata per fini energetici: per problemi legati al ciclo di produzione, infatti, si stima che circa il 20% della vinaccia prodotta viene mandato in discarica ed un ulteriore 20% venga perso per consentire il recupero di componenti più nobili; la disponibilità complessiva di residuo valorizzabile per scopi energetici sarebbe quindi pari al 60%.

Una valutazione preliminare della disponibilità a fini energetici dei residui della lavorazione industriale è stata valutata sulla base delle produzioni a livello provinciale, ipotizzando quindi che tutta la produzione venga trattata a livello industriale sul territorio regionale. A tal fine si sono utilizzati i dati congiunturali sulle coltivazioni per l’anno 2004 forniti da ISTAT.

Come si evince dalle tabelle a seguire, la maggiore disponibilità di sansa esausta, pari a circa 63.000 t si registra in provincia di Lecce; seguono la provincia di Bari con più di 57.000 t e quella di Foggia. Il potenziale energetico complessivamente ricavabile ammonta a poco meno di 57 ktep pari ad una energia termica producibile di 526 GWh circa.

 

Sanse esauste

Disponibilità (kt)

Potenziale energetico (ktep)

Energia termica producibile (GWht)

Foggia

           23,4

          7,7

         72,0

Bari

           57,1

         18,9

       176,2

Taranto

             7,3

          2,4

         22,5

Brindisi

           20,1

          6,7

         62.0

Lecce

           62,8

         20,8

       193,7

Regione

         170,7

         56,6

       526,4

Tabella 16 – Disponibilità e potenziali energetici delle sanse esauste

 

Per quanto riguarda la vinaccia, la disponibilità media annua risulta decisamente più limitata. La provincia di Foggia, che mostra la disponibilità più elevata, dispone infatti di 28.364 ton, seguita a distanza dalla provincia di Bari. Il potenziale energetico complessivamente ricavabile ammonta a circa 18,5 ktep pari ad una energia termica producibile di 172 GWh.

 

 

 

Vinacce

Disponibilità (kt)

Potenziale energetico (ktep)

Energia termica producibile (GWht)

Foggia

           28,4

          8,4

         78,5

Bari

           13,5

          4,0

         37,3

Taranto

             5,1

          1,5

         14,0

Brindisi

             9,8

          2,9

         27,0

Lecce

             5,7

          1,7

         15,6

Regione

           62,3

         18,6

       172,5

Tabella 17 – Disponibilità e potenziali energetici delle vinacce

 

Si ritiene opportuno valutare, innanzitutto, la possibilità di installazione, nelle stesse industrie, di impianti di combustione che utilizzino i residui auto-prodotti. Di potenziale interesse risulta in tale ambito, anche la piccola cogenerazione.

 

La filiera del biogas da reflui zootecnici.

La valorizzazione dei reflui zootecnici per la produzione di biogas mediante processi biologici presenta diverse valenze, oltre agli aspetti energetici, in termini di diversificazione produttiva per le aziende agricole, di creazione di nuove professionalità e di protezione dell’ambiente.

In generale, per il calcolo della potenzialità energetica proveniente da reflui di origine zootecnica, è necessario avere a disposizione una serie di dati suddivisi per tipologia di fonte energetica che, rapportati alle situazioni locali, consentano un calcolo attendibile della quantità di energia teoricamente disponibile sul territorio in esame.

Prima di considerare il territorio, è necessario però procede ad una analisi puntuale della correlazione tra biomassa, combustibile equivalente ed energia equivalente disponibile.

Per la definizione del potenziale teorico di produzione di biogas da reflui zootecnici in Regione,  sono state considerate le categorie bovini, ovini e suini ed esclusa invece quella degli avicoli perché scarsamente redditizia dal punto di vista energetico.

Sulla base della consistenza degli allevamenti presenti secondo i dati del censimento ISTAT 2000, si è stimato un potenziale energetico teorico pari a 34,7 ktep.

Circa il 75% deriva dal contributo degli allevamenti bovini, il 23% da quelli di ovini e solo il 2% da suini.

 

 

Numero capi

Biogas prodotto (m3/anno)

Potenziale energetico (ktep/anno)

Bovini

        158.327

    47.280.176

           26,0

Suini

          27.145

      1.070.061

              0,6

Ovini

        270.096

    14.663.585

              8,1

Totale

        455.568

    63.013.822

            34.7

Tabella 18 – Disponibilità e potenziali energetici da reflui zootecnici

Bari è la provincia con la potenzialità energetica più elevata: 12,6 ktep, pari al 36,3% del totale, seguita da Foggia con circa 10 ktep (29% circa) e Taranto con 8,2 ktep. Molto meno rilevanti risultano, invece, i contributi della provincia di Lecce e Brindisi.

Il contributo della produzione bovina prevale decisamente in tutte le province non scendendo mai al di sotto del 55% del potenziale energetico complessivo.

Circa il 40% del potenziale da bovini è localizzato nella provincia di Bari e il 45% del potenziale da ovini nella provincia di Foggia.

 

 

Potenziale energetico (ktep)

 

Bovini

Suini

Ovini

Totale

Foggia

6,1

0,2

3,6

9,9

Bari

10,5

0,1

1,9

12,6

Taranto

7,1

0,1

1,0

8,1

Brindisi

1,0

0,0

0,6

1,6

Lecce

1,3

0,1

0,9

2,4

Regione

26,0

0,5

8,1

34,7

Tabella 19 – Potenziali energetici da reflui zootecnici

 

Una volta stimato il potenziale teoricamente disponibile, si tratta di valutare dove sia possibile e conveniente lo sfruttamento del biogas sulla base delle tecnologie disponibili  e soprattutto, della struttura e delle peculiarità del comparto zootecnico regionale.

In particolare si devono tenere presenti i seguenti fattori:

 

Livello di produzione e tipologia

Di primario interesse sono le aree che praticano zootecnia intensiva, soprattutto se bovina e suina, che quindi possono contare su un elevato numero di capi di allevamento.

In Regione sono presenti 7.946 aziende zootecniche: di queste il 56% circa hanno allevamenti di bovini, il 49% di ovini e il 16% circa di suini. La produzione zootecnica a livello regionale risulta nel complesso significativa (456.000 capi circa) e concentrata principalmente nelle province di Foggia (in particolare nelle zone del Gargano, Capitanata e Tavoliere) e Bari (in particolare nelle zone dell’Altopiano delle Murge, Bassa Murgia) in cui il numero totale di capi (tra bovini, suini e ovini) risulta di poco inferiore alle 170.000 e 140.000 unità rispettivamente.

 

Tipologia degli allevamenti.

L’allevamento in stalle riveste sicuramente un maggiore interesse rispetto all’allevamento a pascolo. Quest'ultimo infatti, indipendentemente dalle dimensioni degli allevamenti, non permetterebbe, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, la raccolta sistematica e continua dei liquami. Ciò porta a ridurre significativamente la disponibilità effettiva di refluo e la possibilità di una sua valorizzazione per produzione di biogas.

A questo proposito è da considerare che, l’attuale sistema di allevamento regionale, prevede ancora spesso, soprattutto nel comparto ovino-caprino e solo in parte in quello bovino, la stabulazione in stalla solo per la mungitura e nelle ore serali, per cui gran parte del refluo viene dispersa spontaneamente nei pascoli.

 

Numero e dimensioni (capi/allevamento) degli allevamenti

I costi di produzione energetica di un impianto a digestione anaerobica a reflui zootecnici sono difficili da determinare perché influenzati da vari fattori di natura diversa. La possibilità, in particolare, di mantenere un livello di produzione costante può diventare un fattore fortemente limitante per lo sviluppo di tali impianti, soprattutto da un punto di vista economico. Va considerato infatti che la sostituzione di capi adulti, venduti, con animali più piccoli, soprattutto in inverno, provoca la riduzione dell’afflusso totale di liquami ed una conseguente diminuzione della quantità di gas producibile. Inoltre, se l'impianto è di piccola taglia, la convenienza si riduce ulteriormente, poiché si renderebbero necessarie operazioni di sovrastoccaggio di substrato o di biogas, che oltre ad essere costose, sono dannose per quanto riguarda la qualità del substrato a causa delle perdite di materia organica.

In generale si ritiene, quindi che vi possa essere reale convenienza solo nella realizzazione di impianti medio-grandi e che possano quindi risultare idonei allevamenti la cui consistenza minima è di 100 capi bovini o 500 capi suini e quindi allevamenti di dimensioni considerevoli (cosiddetta produzione concentrata o intensiva).

Dall’analisi delle attività zootecniche regionali, emerge una prevalenza della tipologia di allevamento di medie-grandi dimensioni per quanto riguarda il comparto bovino. In tutte le province (ad eccezione di Lecce con il 41%) più del 50% dei capi è allevato, infatti, in aziende con dimensioni superiori alle 100 unità (in provincia di Foggia  e di Taranto tale percentuale si assesta sul 61% e 63% rispettivamente).

Per quanto riguarda il comparto suinicolo, si è assistito negli ultimi anni ad una ristrutturazione complessiva ed in particolare ad una “concentrazione” relativa degli allevamenti, soprattutto nelle province di Foggia e Lecce dove attualmente ben il 69% ed il 74% dei capi risiede in strutture con dimensioni superiori alle 1.000 unità.

Per quanto riguarda invece il settore degli ovini, prevalgono nettamente allevamenti di piccole medie dimensioni.

 

Densità territoriale degli allevamenti

Un’elevata densità territoriale, soprattutto quando la consistenza del patrimonio zootecnico non è rilevante,  permettendo lo sviluppo di efficienti reti di raccolta, può facilitare il collegamento fra più allevamenti e l’integrazione di produzioni anche non rilevanti che potrebbero confluire in un unico impianto centralizzato con ritorni economici non trascurabili.

 

Filiere integrate per la produzione di biogas

L’apporto di co-substrati di altra origine sta trovando recentemente larga applicazione in quanto consente, oltre che di sopperire in parte ai cali di produzione stagionali, in generale di  ottenere maggiori rendimenti di biogas ed un introito aggiuntivo per il gestore dell’impianto.

Da considerare con interesse, in tale contesto, risulterà:

l’integrazione con reflui e scarti umidi delle industrie agro-alimentari, soprattutto se in forte interazione con l’industria zootecnica locale (ad es. industrie casearie);

l’integrazione con colture dedicate (come il mais ceroso). Risulteranno a questo proposito particolarmente idonee le aziende zootecniche che dispongono di SAU e in generale le aree in cui si possa prospettare una riconversione delle attuali produzioni agricole.

 

Alla luce delle considerazioni precedenti, si ritiene che in regione esistano concrete potenzialità per l’avvio di filiere locali per la produzione di biogas che coinvolgano principalmente allevamenti bovini e suini. 

Per quanto riguarda i primi tutte le province presentano un significativo numero di allevamenti di dimensioni rilevanti (in particolare la provincia di Foggia e di  Taranto) per  cui le maggiori prospettive, almeno nel breve periodo, risiedono nella realizzazione di impianti di cogenerazione di media taglia (con rendimenti dell’ordine del 25% per la produzione di energia elettrica e del 60% per l’energia termica) dimensionati in modo tale da sopperire in toto ai consumi aziendali ed eventualmente anche di cedere parte dell’energia elettrica prodotta alla rete per l’ottenimento di certificati verdi.

Analoghe prospettive si presentano per il comparto suinicolo nelle province di Foggia e Lecce dove il 64% ed il 74% rispettivamente del patrimonio zootecnico, nel complesso non particolarmente rilevante, risulta concentrato in allevamenti con più di 1.000 capi.

 

La possibilità di avviare forme consortili tra più allevamenti e l’integrazione delle produzioni di reflui per la realizzazione di impianti centralizzati non è da escludere a priori ma andrà valutata con molta attenzione data la, in media, non elevata concentrazione territoriale delle aziende, privilegiando le aree con una consistente presenza di industrie agroalimentari.

Non si ritiene, invece, che nel comparto degli ovini possano risiedere interessanti  potenzialità per un recupero energetico dei reflui data la netta prevalenza di allevamenti di piccole dimensioni molto dispersi sul territorio e la probabilmente ancora molto diffusa pratica dell’allevamento a pascolo.

 

 

Come sintesi delle analisi presentate, si ritiene possibile definire un obiettivo per la produzione termica da biomasse solide dell’ordine dei 150 ktep, comprendenti la quota di circa 35 ktep attualmente utilizzata.

Per quanto riguarda i combustibili liquidi, si valuta con interesse la possibilità che l’agricoltura regionale possa fornire, in forma consistente, le risorse necessarie per accompagnare l’incremento annuale dell’1% rispetto ai combustibili tradizionali (con tale incremento, all’orizzonte temporale di dieci anni si valuta un fabbisogno di biocarburanti pari a circa 280 ktep).

 

 

 


 

3.3.2       Azioni e strumenti

 

Combustibili solidi

Le risorse derivanti dalla biomassa agro forestale, oltre ad avere origini diverse, possono avere anche utilizzi diversi. Per quanto riguarda le biomasse solide, queste allo stato attuale possono avere essenzialmente utilizzi per la produzione di energia ad usi termici e per la produzione di energia elettrica[7].

Lungo l’intera filiera biomassa - energia i punti di maggior criticità sono individuabili a monte e riguardano essenzialmente l’organizzazione e la gestione dell’approvvigionamento della materia prima che garantiscano una continuità di approvvigionamento in un’ottica di impatto ambientale positivo. Viceversa, le tecnologie di impiego della biomassa oggi disponibili sono ormai ben consolidate, garantendo elevati standard di efficienza e una relativa semplificazione gestionale.

 

La scelta di privilegiare una forma, piuttosto che un’altra, di impiego delle biomasse rientra in una logica di politica energetica che non può prescindere, per sua natura, da una visione generale dell’assetto energetico regionale presente e prospettato.

In sintesi, tra gli elementi da considerare vi sono:

-           la Puglia è caratterizzata da una sovrapproduzione di energia elettrica;

-           l’energia eolica costituisce la principale fonte di produzione elettrica rinnovabile a breve medio periodo;

-           nel medio - lungo periodo la fonte fotovoltaica costituirà una fonte complementare alla fonte eolica nella produzione di energia elettrica;

-           in un’ottica di differenziazione delle risorse e dei loro impieghi, è necessario trovare alternative all’impiego dei combustibili fossili per usi termici (e, come si dirà più avanti, per usi nel settore dei trasporti);

-           le fonti da biomassa, congiuntamente alla fonte solare, possono costituire tale alternativa;

-           per evitare distorsioni, è necessario che i sistemi della domanda e dell’offerta si sviluppino in forma coordinata.

 

A quanto sopra riportato si aggiunge che i provvedimenti di livello nazionale riguardanti la possibilità di ottenere titoli di efficienza energetica per gli impianti di cogenerazione e di teleriscaldamento alimentati a biomasse rendono economicamente più appetibili tali iniziative, mettendole in concorrenza con i tradizionali certificati verdi.

 

Alla luce delle analisi e delle considerazioni esposte deriva la scelta di privilegiare una generazione diffusa di impianti di dimensione medio-piccola con produzione termica e, eventualmente, cogenerazione (e trigenerazione).

La realizzazione di impianti di generazione (elettrica, termica o combinata) di grossa taglia va considerata in determinati ambiti e condizioni, dove siano garantite le modalità di disponibilità della materia prima. Ad esempio nel caso di accordi diretti con centri di produzione di biomassa residua concentrati e già organizzati, quali le industrie di trasformazione olearia e/o vitivinicola.

In uno scenario di breve periodo si ritiene che si debba favorire l’avvio e la diffusione, nelle aree a vocazione agricola della regione, di filiere bioenergetiche “corte” finalizzate alla valorizzazione della risorsa in impianti di piccola-media taglia di tipo diffuso, con eventuale funzionamento in cogenerazione.

Tali impianti, inseriti in un sistema di approvvigionamento locale organizzato, che veda il coinvolgimento di singole aziende agricole o gruppi di aziende, appaiono attualmente i più idonei per rispondere a queste esigenze e per favorire uno sviluppo armonico e sostenibile tra offerta e domanda locali di biomasse.

In questi sistemi locali organizzati le singole aziende agricole o gruppi di aziende producono, raccolgono e trasformano biomassa per l’alimentazione di impianti di tipo diffuso per:

-           il riscaldamento delle proprie strutture aziendali e abitative;

-           il riscaldamento di singoli edifici o gruppi di edifici ad uso civile situati nei centri urbani vicini alle aree di produzione di biomassa. In tale caso andranno privilegiati innanzitutto gli edifici pubblici o ad uso pubblico (come scuole, centri sportivi, municipi, centri commerciali) e potrà essere anche valutata la possibilità di minireti di teleriscaldamento o di produzione combinata di piccola scala;

-           il soddisfacimento dei fabbisogni termici di serre (strutture particolarmente energivore) e piccole/medie strutture industriali (in particolare del settore agro-alimentare) che necessitano di calore per i propri processi produttivi.

 

Utilizzando in proprio il combustibile prodotto, viene mantenuto in azienda il valore aggiunto accumulato durante le varie trasformazioni, garantendo dei tempi di ritorno degli investimenti brevi e ottenendo così un risultato economico molto vantaggioso per l’agricoltore.

L’implementazione di sistemi aziendali di autoproduzione e autoconsumo risulta “propedeutica”  ad una migliore programmazione e calibrazione delle azioni su scala più ampia finalizzate cioè all’attivazione di un mercato locale delle biomasse per il rifornimento di combustibile rinnovabile ad impianti extra-aziendali.

In un’ipotesi di collaborazione di soggetti diversi è possibile vedere l’agricoltore partecipare ad iniziative di più ampio respiro che vedano consorziarsi più aziende che contrattano con soggetti industriali o enti pubblici la fornitura di calore per installazioni in edifici con più elevate esigenze di natura energetica. 

La dimensione di tale ambito di sviluppo del settore delle bioenergie vede un ruolo decisivo da parte della Regione che potrà esplicitarsi lungo due direttrici principali:

-           ente pianificatore, programmatore, regolatore del territorio e delle attività che insistono su di esso;

-           ente promotore, coordinatore o partner di iniziative di supporto ed incentivazione.

 

I livelli di azione della Regione possono essere indicati in:

 

 

 

Programmazione

Gli strumenti di pianificazione e programmazione possono integrare specifici indirizzi in grado di garantire sinergia con la necessità di avere a disposizione fonti di biomassa per la produzione energetica a scala locale.

L’integrazione di obiettivi di diffusione della domanda e dell’offerta di biomasse per scopi energetici all’interno degli strumenti di programmazione, pianificazione o regolamentazione territoriale, urbanistica e di settore fa sì che questi diventino elemento di considerazione negli interventi che vengono messi in campo in altri ambiti.

 

Promozione

La promozione potrà riguardare la realizzazione di filiere bioenergetiche locali finalizzate principalmente alla piccola e media produzione termica e, eventualmente, in cogenerazione, .

Particolarmente interessanti potranno essere i progetti dimostrativi finalizzati a sperimentare ed illustrare filiere bioenergetiche e a fornire indicazioni dettagliate per la valutazione della loro sostenibilità e convenienza e per il dimensionamento dei sistemi agro-forestali per la produzione di combustibile rinnovabile.

Tra i criteri di maggior interesse delle iniziative si possono citare:

-           l’analisi e la realizzazione di tutte le fasi di una filiera (dalla produzione del combustibile fino alla distribuzione e eventuale uso dell’energia);

-                     l’installazione di impianti che integrano più fonti rinnovabili (ad esempio biomasse-solare);

-                     l’adozione di soluzioni impiantistiche che presentino le migliori caratteristiche in termini di prestazioni energetiche e ambientali, con specifico riferimento alle emissioni di polveri.

-           l’integrazione di considerazioni ecologiche nello studio di filiera, privilegiando ad esempio specie e forme di conduzione agro-forestale che rispettano le caratteristiche ecologiche del territorio (un esempio può essere fornito dalle formazioni forestali lineari);

-           il coinvolgimento di più soggetti locali, sia pubblici che privati;

-           la partecipazione di imprese che si vogliano specializzare nel settore delle biomasse, al fine di sviluppare un mercato dei combustibili e dei relativi servizi.

 

Servizi sul territorio

L’avvio di un mercato di biocombustibili richiede la disponibilità di imprese locali specializzate nella produzione, raccolta, trasformazione, trasporto e commercializzazione dei vari prodotti, nonché nella gestione degli impianti di conversione energetica. Tali funzioni potrebbero essere svolte, per altro, da imprese forestali e agricole che intendano diversificare le loro attività. Questo aspetto appare strategico e merita quindi la massima attenzione per lo sviluppo di un mercato energetico alternativo come quello delle biomasse.

In particolare sarà utile la costituzione di centri aziendali o interaziendali finalizzati alla creazione di servizi sul territorio mirati alla produzione di materiale legnoso cippato o pellettato. In particolare, il pellet può essere prodotto a partire da diverse essenze legnose e sottoprodotti agricoli, in particolare le paglie di cereali, opportunamente miscelati tra loro, eliminando così l'estrema differenziazione del materiale di partenza che sarebbe improponibile come combustile "tal quale" se non in centrali termiche di grosse dimensioni. Tale tipo di iniziativa potrebbe trovare concreta possibilità di diffusione in regione data la disponibilità di diverse tipologie di residui agricoli (sia legnosi che erbacei). Inoltre, richiedono poca energia per la loro produzione e possono essere trasportati, stoccati e maneggiati più facilmente e con minori spazi e costi.

Parallelamente sarà utile la creazione di servizi sul territorio mirati alla gestione dell’energia prodotta con biomasse. Si potranno sviluppare accordi con i soggetti interessati tra i quali figurano le ESCO che possono operare per l’acquisizione dei titoli di efficienza energetica.

 

Criteri autorizzativi

La concentrazione in ambiti territoriali ristretti dell’offerta di biomasse agro-forestali e della relativa domanda potrà essere favorita dal processo autorizzativo degli impianti.

Questo potrà, ad esempio, richiedere che vengano specificate le tipologie di combustibili utilizzati, le modalità di approvvigionamento, l’esistenza di accordi di filiera con agricoltori o associazioni di agricoltori operanti nell’area di competenza dell’impianto.

 

 

Combustibili liquidi

I combustibili liquidi possono avere un impiego come carburanti per autotrazione, come pure come combustibili per produzione termica e/o elettrica.

Come anticipato nella sezione relativa ai combustibili solidi, a livello regionale, in un’ottica di differenziazione delle risorse e dei loro impieghi, è necessario trovare alternative all’impiego dei combustibili fossili negli usi termici e nel settore dei trasporti.

Se, in linea generale, le biomasse solide possono contribuire ad una parziale sostituzione dei combustibili fossili per gli usi termici, si ritiene che analoga funzione possa essere svolta dai biocombustibili liquidi nei confronti dei tradizionali carburanti impiegati nel settore dei trasporti.

Per tale motivo risulta prioritario lo sviluppo della filiera dei biocombustibili liquidi per i suddetti fini.

Un impiego alternativo interessante, in dipendenza delle diverse convenienze economiche, risulta essere quello relativo agli impieghi termici, a partire dai fabbisogni delle stesse aziende agricole.

 

Resta da valutare, nel breve periodo e in attesa di una più chiara definizione delle condizioni di supporto ed incentivo nazionale in riferimento ai biocarburanti per autotrazione, se lo stimolo all’impiego per la produzione elettrica possa contribuire a definire alcune condizioni relative allo sviluppo della filiera di interesse più generale. 

 

Alla luce delle negative prospettive per il settore bieticolo-saccarifero nazionale derivanti dalla  riforma dell’O.C.M zucchero, nel breve periodo un’interessante opportunità potrebbe essere sicuramente rappresentata dalla destinazione no-food delle superfici agricole attualmente impiegate per  coltivazione di barbabietola.

 

E’ necessario che si sviluppino opportuni accordi quadro e accordi di programma fra i diversi soggetti pubblici e/o privati operanti sul territorio e che a vario titolo e a diversi livelli possono essere coinvolti/interessati nell’attivazione di filiere bioenergetiche locali.

Per uno sviluppo della filiera nel breve periodo, particolarmente interessante potrà essere l’uso di combustibile per il riscaldamento di edifici pubblici e nelle flotte di trasporto pubblico

 

Particolare attenzione dovrà essere posta alle attività di monitoraggio al fine di valutare l’impatto dell’impiego dei biocombustibili liquidi sull’intero ciclo di produzione e utilizzo. Particolare attenzione dovrà essere prestata all’impiego di tecniche agricole a basso input con riduzione dei consumi energetici legati all’utilizzo di fertilizzanti e al carburante impiegato nelle operazioni meccaniche. Infatti, i consumi energetici nella fase di produzione agricola risultano i più rilevanti e l’ottimizzazione del consumo di energia per unità di prodotto deve necessariamente corrispondere ad una riduzione dei consumi energetici in questa fase.

 

 

Combustibili gassosi

In considerazione del potenziale esistente in regione e dei benefici energetici e, più in generale, ambientali, collegati alla produzione e impiego di biogas da reflui zootecnici, è importante l’avvio di progetti finalizzati a sperimentare tali attività.

Gli impianti di maggior interesse sono quelli con funzionamento in cogenerazione dimensionati in modo tale da sopperire ai consumi aziendali e, eventualmente, anche capaci di cedere alla rete parte dell’energia elettrica prodotta.

Si dovrà inoltre valutare la possibilità di avviare forme consortili tra più allevamenti e l’integrazione delle produzioni di reflui per la realizzazione di impianti centralizzati.

 

Per l’integrazione dei reflui zootecnici con sostanze di origine vegetale, si valuterà la possibilità di utilizzare gli scarti di provenienza urbana.

 

Inoltre dovranno essere coordinate le attività di monitoraggio degli effetti ambientali della gestione dei liquami zootecnici in assenza o in presenza di digestione anaerobica.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

3.4      La fonte solare termica

 

3.4.1       Obiettivi

 

Gli impianti solari termici si stanno diffondendo rapidamente in tutta Europa (14 milioni di m2 installati in Europa) e anche in Italia ci si aspetta un’ampia crescita, trainata, fra l’altro, dalla nuova direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici (EU 2002/91), già recepita dallo stato italiano con il Decreto legislativo 192/05. Tale decreto, al fine di favorire lo sviluppo degli impianti solari termici, indica che una porzione di tetto pari almeno al 25 % della superficie in pianta dell’edificio deve avere come requisiti, tra l’altro, un’esposizione compresa tra Sud Est e Sud Ovest. Indica, inoltre, diverse raccomandazioni tecniche finalizzate a facilitare l’integrazione degli impianti solari termici.  

A ciò si aggiunge che il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato, in via preliminare, uno schema di decreto legislativo che prevede, in particolare, l’obbligo di riscaldatamento con energia solare dell’acqua calda sanitaria nei nuovi edifici.

Il potenziale del solare termico alle condizioni climatiche di tutta la Puglia è decisamente alto. Questa fonte energetica, presente in maniera ampiamente sfruttabile per la maggior parte dell’anno, potrebbe sostituire una quota consistente di combustibile fossile o di energia elettrica finale garantendo il medesimo servizio.

Le ipotesi riguardanti gli obiettivi nel settore residenziale legati all’impiego della fonte solare termica indicano possibilità di riduzione di fonti primarie fossili pari a oltre 55 ktep nel prossimo decennio.

A tale obiettivo dovrebbero contribuire anche alcune specifiche azioni collegate al processo di metanizzazione che si è sviluppato negli ultimi anni e ancora in corso. Questo ha determinato un incremento del 100% dei consumi di gas a livello residenziale senza che a ciò corrispondesse, in ugual misura, una riduzione di altri combustibili utilizzati per il riscaldamento, indicando quindi un incremento in assoluto del comfort nelle abitazioni. E’ plausibile, viceversa, che l’introduzione del gas abbia sostituito una parte di boiler elettrici adibiti alla preparazione dell’acqua calda sanitaria. Approfittando di questa situazione di cambio tecnologico si creerebbe una condizione ideale per l’integrazione della fonte solare al sistema caldaia/gas, qualora non vi fosse l’esclusivo interesse alla vendita del nuovo combustibile.     

 

E’ obiettivo del piano energetico definire, per i nuovi edifici e per quelli sottoposti a ristrutturazione integrale, la condizione di obbligo di installazione di impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria pari almeno al 50 per cento del fabbisogno annuale, fatto salvo documentati impedimenti tecnici.

 

Oltre che a livello residenziale, vi sono interessanti applicazioni del solare termico anche a livello terziario e industriale.

A tale proposito è di interesse il bando, effettuato dalla regione Puglia nell’ambito del P.O.R. 2000-2006, per finanziare (al 50 %) impianti solari termici su richiesta di persone giuridiche.

I 308 progetti approvati potranno comportare installazioni per complessivi 22.000 m2 di collettori solari termici.

La superficie media degli impianti relativi alle richiesta approvate è medio-grande, attestandosi oltre i 70 m2.

La destinazione degli impianti è prevalentemente di tipo ricettivo (alberghi, case di riposo, agriturismo, campeggi, centri sportivi) e agricolo. Diverse richieste riguardano inoltre il settore edilizio (cooperative edilizie). Un numero minore di domande, infine, riguarda il settore industriale (prevalentemente caseifici).

Il successivo grafico mostra il numero di progetti approvati per classe dimensionale (superficie di collettori, in m2).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 12 - Superficie dei collettori dei progetti partecipanti al bando regionale

 

Gli impianti di superficie maggiore di 100 m2, da considerarsi a tutti gli effetti come impianti di grandi dimensioni, sembrano essere destinati a grandi strutture ricettive e utenze industriali o agricole.

Gli impianti più piccoli sono da attribuire in prevalenza a piccole strutture ricettive.

 

Le possibilità di diffondere il solare termico in settori quali quello industriale, presenta un forte interesse nella realtà pugliese.

Lo stesso dicasi del settore agricolo, che pure incide in misura ridotta sul consumo energetico complessivo.

Tra le diverse tipologie di processi produttivi presenti in Puglia, quelle che più si adattano all’utilizzo di energia solare termica a bassa temperatura fanno riferimento ai settori agroalimentare, tessile e cartario.

Stimando una copertura solare del fabbisogno energetico del 10 %, si ottengono i risparmi elencati nella tabella successiva:

 

Settore

Energia risparmiata [tep]

Agroalimentare

13.200

Tessile

700

Cartario

2.400

Tabella 20 – Potenziale di risparmio energetico in alcuni settori produttivi

 

Nel comparto agricolo si può stimare una energia risparmiata pari a 7.000 tep

 

Questi calcoli tengono in considerazione gli impedienti tecnici che, in molti processi teoricamente adatti all’utilizzo dell’energia solare, non ne consentono la realizzazione.

 

Costituisce un ulteriore interesse della pianificazione regionale lo sviluppo della tecnologia e delle applicazioni relative al “raffrescamento solare”, soprattutto a livello delle strutture terziarie.

 


 

3.4.2       Azioni e strumenti

 

E’ prevista una regolamentazione cogente per l’applicazione del solare termico nel settore residenziale e di alcune tipologie di servizi (per es. settore ricettivo e centri sportivi) per la nuova costruzione, per garantire una copertura del 50-70 % sul fabbisogno annuo.

 

Per incentivare l’installazione di impianti solari termici sugli edifici esistenti si promuoveranno intese con i distributori di energia elettrica e di gas, come pure con società di servizi energetici, anche nell’ambito dell’attuazione di quanto definito all’articolo 4 dei decreti sull’efficienza energetica del 20 luglio 2004 (“Imprese di distribuzione soggette agli obblighi e rapporti con la programmazione regionale”[8]). Tali intese saranno finalizzate ad una opportuna gestione dei titoli di efficienza energetica maturati attraverso le installazioni.  

Particolare enfasi verrà posta sulle seguenti utenze:

-                     utenze che si allacciano alla rete gas;

-                     utenze con impianti dotati di generatori di calore di età superiore a quindici anni.

Per le suddette utenze si può prevedere l’installazione di nuovi generatori di calore associati a impianti solari termici.  

Per la realizzazione degli obiettivi definiti, un ruolo di particolare rilievo potrà essere svolto dalle utility energetiche pubbliche che dovranno avvicinarsi al mercato dei servizi energetici che sarà incentivato anche in forza della Direttiva 32/06 del 5 aprile 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici.

 

Il forte impulso allo sviluppo dell’applicazione solare termica dovrà essere accompagnato da azioni di supporto formativo e informativo, sia presso l’utenza finale che presso i soggetti coinvolti nella filiera tecnologica (progettisti, installatori, manutentori, ecc.). Tali azioni di supporto dovranno essere favorite mediante accordi con le categorie imprenditoriali e professionali interessate e saranno intraprese anche nell’ottica di creare nuove e qualificate opportunità di impiego.

Contestualmente si ritiene che la crescita della domanda dovrà essere supportata da un parallelo sviluppo dell’offerta che potrà essere soddisfatto dalla capacità imprenditoriale locale.

Particolare importanza dovrà assumere il controllo di qualità delle installazioni effettuate.

 

Per quanto riguarda gli aspetti autorizzativi, si può prevedere che, in generale, non sia necessario alcun titolo abilitativo per gli impianti solari termici opportunamente integrati nella struttura edilizia e compatibilmente col contesto urbanistico.

A livello locale sarà incentivata la definizione di opportuni regolamenti per l’applicazione del solare termico.

Nel settore produttivo il Piano energetico si pone l’obiettivo di sostenere lo sviluppo del solare termico tramite azioni diversificate tra cui:

-                     sostegno alla ricerca per creare know-how locale riguardo l’utilizzo del solare termico in campo industriale. Sono ad oggi necessari sforzi di ricerca per sviluppare componenti solari innovativi, schemi impiantistici più adeguati ai vari processi, logiche di regolazione adattate;

-                     organizzazione di bandi di finanziamento rivolti ai proprietari delle aziende aventi come condizioni la previa verifica riguardante la possibilità di ridurre i fabbisogni energetici nel processo produttivo e la possibilità di svolgere un’azione di monitoraggio dei risultati dell’intervento;

-                     predisposizione dei nuovi impianti industriali con l’obbligo di adottare soluzioni che facilitino la successiva installazione di impianti solari termici. L’obbligo può riguardare i componenti dell’impianto (es. scambiatori adeguatamente dimensionati), la progettazione dell’impianto (es. temperature di funzionamento possibilmente basse) e le opere sulla struttura (es. predisposizione di tubi di collegamento dalla copertura alla centrale termica);

-                     sostegno alle società di servizi energetici che possono rappresentare un potente catalizzatore per la realizzazione di interventi di solarizzazione delle industrie;

-                     definizione di campagne di informazione/formazione come misura che stimoli la domanda e l’offerta senza imporre obblighi.

 

Si ritiene che le attività di ricerca e applicazione nel campo dell’energia solare possano portare beneficio a livello dell’imprenditoria locale.

 

Costituisce un ulteriore interesse della pianificazione regionale lo sviluppo della tecnologia e delle applicazioni relative al “raffrescamento solare”, soprattutto a livello delle strutture terziarie. Anche in questo caso le attività di sostegno si muoveranno attorno ai punti precedentemente definiti.

 


 

3.5      La fonte solare fotovoltaica

 

3.5.1       Obiettivi

 

Il settore del fotovoltaico in Puglia, come nel resto del Paese, ha avuto un impulso a partire dal 2001, con l’avvio del programma “tetti fotovoltaici”, finalizzato alla realizzazione di impianti fotovoltaici collegati alla rete elettrica di distribuzione in bassa tensione e integrati/installati nelle strutture edilizie e relative pertinenze.

Il programma era organizzato in due sottoprogrammi: uno rivolto ai soggetti pubblici (Comuni capoluoghi  di  Provincia  o  situati  in  aree  protette,  Province,  Enti  Locali,  Università  ed  Enti  di ricerca), l’altro indirizzato, attraverso le Regioni, ai soggetti pubblici e privati.

Attraverso tale programma, nella regione Puglia sono stati installati impianti per una potenza complessiva di oltre 700kW.

In particolare, sono stati installati circa 260 kW da parte di privati e circa 450 kW da parte di enti pubblici.

Il grafico seguente indica come si sono distribuiti, in funzione della potenza, gli impianti installati da soggetti privati e da soggetti pubblici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 13 - Potenza degli impianti approvati nel programma “tetti fotovoltaici”

 

Per i soggetti privati si evidenzia come i tre quarti degli impianti appartengano ad una classe medio piccola (da 1 a 4 kW), tipica di installazioni su singole abitazioni.

Per i soggetti pubblici si evidenzia una taglia medio grande, rispetto ai limiti imposti dal bando, tipica di applicazioni su edifici pubblici quali le scuole.

 

Il cosiddetto “conto energia” è stato introdotto con il decreto del Ministero delle Attività Produttive del 28 luglio 2005 e riguarda l'incentivazione di impianti fotovoltaici della potenza da 1 kW sino a 1000 kW entrati in esercizio dopo il 30/09/2005 a seguito di nuova costruzione o rifacimento totale o potenziamento di un impianto preesistente.

Gli impianti fotovoltaici sono stati suddivisi in tre differenti classi di potenza (da 1 a 20 kW, da 20 a 50 kW e da 50 a 1000 kW) alle quali verranno riconosciute, per venti anni, tariffe incentivanti.

Il DM 6.2.2006, che integra e modifica il DM 28.7.2005, incrementa a 1000MW al 2012 il limite di potenza nominale cumulativa incentivabile, di cui 360 MW per gli impianti di potenza non superiore a 50 kW e 140 MW per gli impianti di potenza superiore a 50 kW.

 

Gli impianti approvati in Puglia al 31 marzo 2006 ammontano ad una potenza complessiva pari a 52.588 kW. Di questi, 4.794 kW corrispondono a impianti ricadenti nella categoria con potenza compresa tra 1 e 20 kW, 30.428 kW corrispondono a impianti ricadenti nella categoria compresa tra 20 e 50 kW e 17.366 kW corrispondono a impianti ricadenti nella categoria compresa tra 50 e 1000 kW.

La Puglia è risultata la regione con la maggior quantità di potenza ammessa a finanziamento, pari al 13,6% del totale nazionale.

 

Per quanto riguarda le categoria tra 1 e 20 kW e tra 20 e 50 kW si nota, rispetto a quanto successo con il programma “tetti fotovoltaici”, la notevole diminuzione degli impianti medio piccoli (da 1 a 4 kW) ed un incremento degli impianti di maggior dimensione. Il fenomeno è amplificato nella categoria tra 20 e 50 kW, dove quasi tutti gli impianti hanno una potenza prossima al valore massimo ammissibile.  

Per quanto riguarda gli impianti di grande dimensione, in Puglia ne sono stati approvati 23, di cui la maggior parte con potenza prossima ai 1000 kW.

Con la realizzazione dei suddetti impianti, il fotovoltaico installato in Puglia ammonterebbe a circa 53 MW, con una produzione di circa 65 GWh.

D’altra parte, gran parte della suddetta quota risulterebbe riconducibile ad impianti di dimensione medio grande. Questo è un fenomeno a valenza nazionale, ma che in Puglia sembra essere accentuato. Se si analizzano i numeri di impianti e le potenze ripartite nelle tre categorie definite dal programma “conto energia”, sia a livello regionale che nazionale, si evidenzia come in Puglia sia il numero che la potenza relativi agli impianti più piccoli sia stato inferiore rispetto alla media nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 14 - Distribuzione del numero e della potenza degli impianti approvati nel programma  “conto energia”

 

In altri termini, i piccoli utenti, sia privati che pubblici, sembrano essere stati penalizzati nei confronti delle grosse installazioni.

 

L’elemento positivo del forte movimento creatosi attorno al conto energia è stato compensato, almeno a livello nazionale, dal fatto che vi è una altrettanta forte incertezza sull’effettiva realizzazione degli impianti ammessi al beneficio. Si stanno per questo valutando delle modifiche alle modalità incentivanti tali da dare maggiore garanzia alla realizzazione degli impianti. 

 

Fatte salve le suddette garanzie e ipotizzando una continuazione del conto energia anche oltre il 2012, è plausibile porsi come obiettivo regionale l’installazione di almeno 150 MW nei prossimi dieci anni.

 

Il raggiungimento dell’obiettivo sarà facilitato nel caso si attivasse lo schema di decreto legislativo recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, che prevede, in particolare, l’obbligo di installazione, nei nuovi edifici, di un impianto fotovoltaico la cui potenza sarà definita in un apposito decreto ministeriale. Tale norma completerebbe quanto specificato nel Dlgs 19 agosto 2005, n.192 riguardo al fatto che, al fine di assicurare l’integrazione degli impianti fotovoltaici sulle coperture degli edifici di nuova realizzazione, deve essere disponibile una superficie orizzontale o esposta verso il quadrante Sud-Est Sud Ovest per le pareti inclinate di dimensioni pari al 25% della superficie in pianta dell’edificio e con buone condizioni di soleggiamento.

 

 

 

 

 


 

3.5.2       Azioni e strumenti

 

In considerazione della peculiarità degli impianti fotovoltaici di poter costituire una fonte energetica molto diffusa sul territorio a livello di singole utenze, si rende indispensabile:

-                     la realizzazione di opportunità di forte sviluppo delle applicazioni di scala medio – piccola che possano essere complementari alle realizzazioni di scala maggiore attualmente avvantaggiate dal programma nazionale “conto energia”;

-                     il favorire l’integrazione dei moduli fotovoltaici nelle strutture edilizie anche a supporto della riconosciuta maggiore incentivazione, per tale modalità di installazione, riconosciuta dal DM 6.2.2006.

 

Il sostegno all’integrazione dei moduli fotovoltaici nelle strutture edilizie è indispensabile al fine di abbattere i costi ed industrializzare la produzione del settore.

Le suddette opportunità dovranno essere ricercate sia nelle modalità autorizzative, sia nelle modalità di indirizzo a livello locale ad esempio attraverso opportuni regolamenti edilizi, sia in modalità di incentivo finanziario diretto.

 

Il forte impulso allo sviluppo dell’applicazione solare fotovoltaica dovrà essere accompagnato da azioni di supporto formativo e informativo, sia presso l’utenza finale che presso i soggetti coinvolti nella filiera tecnologica (progettisti, installatori, manutentori, ecc.). Tali azioni di supporto dovranno essere favorite mediante accordi con le categorie imprenditoriali e professionali interessate e saranno intraprese anche nell’ottica di creare nuove e qualificate opportunità di impiego.

Contestualmente si ritiene che la crescita della domanda dovrà essere supportata da un parallelo sviluppo dell’offerta che potrà essere soddisfatto dalla capacità imprenditoriale locale.

Oltre che ad una auspicata introduzione di una industria del fotovoltaico, è necessario sviluppare una integrazione tra tale industria, quella edilizia ed il mondo dei progettisti, per ottimizzare l’integrazione del modulo fotovoltaico nella progettazione e nella fase realizzativa. Qualora, infatti, non si creassero queste sinergie in un programma di sostegno ed incentivazione, i benefici ottenibili con l’integrazione architettonica del fotovoltaico non porterebbero essere massimizzati.

Particolare importanza dovrà assumere il controllo di qualità delle installazioni effettuate.

 

Per quanto riguarda gli aspetti di semplificazione autorizzativa, si può prevedere che, in generale, non sia necessario alcun titolo abilitativo per gli impianti solari fotovoltaici opportunamente integrati nella struttura edilizia e compatibilmente col contesto urbanistico.

A livello locale sarà incentivata la definizione di opportuni regolamenti per l’applicazione del solare fotovoltaico.

In particolare, per quanto riguarda gli impianti di maggiore dimensione, si dovranno privilegiare quelli progettati utilizzando spazi non altrimenti utilizzabili quali coperture di aziende, capannoni industriali e agricoli, impianti sportivi, discariche chiuse, ecc.

Eventuali incentivi economici che la Regione potrà attivare per promuovere lo sviluppo degli impianti fotovoltaici avranno come condizione preferenziale di erogazione la concomitante realizzazione di interventi di riduzione dei consumi elettrici presso le utenze da questi direttamente servite.

 


 

3.6      La gestione idrica

 

3.6.1       Obiettivi

 

In Puglia, una possibilità di sfruttamento della fonte idroelettrica può derivare dall’utilizzo, per fini energetici, dei volumi d’acqua accumulati in invasi e generalmente utilizzati per scopi irrigui e industriali – acquedottistici.

In questa direzione è stata realizzata un’analisi nell’ambito dello “Studio per l’elaborazione del Piano Energetico Regionale”. Tale analisi è stata sviluppata, in particolare, sugli invasi costruiti per l’accumulo delle acque nel periodo autunno-inverno e la successiva utilizzazione nel periodo primavera-estate per usi essenzialmente irrigui e ha considerato una trentina di casi. Di questi, circa la metà potrebbe avere una qualche convenienza economica. Gli impianti idroelettrici installabili potrebbero avere una potenza variabile tra 0,3 e 3 MW, per una potenza complessiva di circa 10 – 15 MW.

 

Ulteriori interessanti applicazioni possono riguardare il recupero energetico negli impianti acquedottistici di approvvigionamento di acqua potabile. E’ possibile infatti inserire una turbina che recuperi l’energia che altrimenti andrebbe dissipata.  

 

Per le suddette applicazioni, trattandosi di usi basati su risorse idriche già oggetto di concessione, gli interventi volti ad incrementare l’efficienza d’uso della risorsa presentano in genere bilanci  positivi sotto il punto di vista della compatibilità ambientale.

Il vantaggio per l’ambiente (e per il sistema economico locale) si concretizza nella possibilità di disporre di una nuova fonte di generazione elettrica a parità di tasso di sfruttamento della risorsa, sebbene gli interventi debbano essere valutati caso per caso nella loro dimensione di fattibilità tecnica ed economica.

 

Nelle suddette applicazioni, i potenziali di produzione di energia elettrica non sono in assoluto elevati. Si ritiene comunque che gli interventi in campo idroelettrico, inserendosi su un tema di estrema attualità e criticità come quello della gestione dell’acqua, possa essere trattato in forma sinergica con altre problematiche legate a tale risorsa.

Tra queste risultano di fondamentale importanza, anche perché collegate a notevoli consumi energetici:

-           la riduzione delle perdite idriche nelle reti acquedottistiche, con inutili sprechi in termini di trattamento e pompaggio;

-           l’introduzione di motori più efficienti per i sistemi di pompaggio nei sistemi acquedottistici.

 

 

Il trattamento dei reflui municipali costituisce un’altra possibilità di recupero energetico. Il recupero energetico dei fanghi di depurazione avviene attraverso l’utilizzo del biogas, prodotto negli impianti di depurazione, perla produzione di energia elettrica e/o calore. 

Esiste una soglia di dimensione minima dell’impianto di depurazione che definisce l’economicità dello sfruttamento del biogas. In termini generali tale soglia rende economicamente fattiblili gli impianti associati a depuratori a servizio di almeno 25.000 abitanti equivalenti.

Un’analisi riportata nello “Studio per l’elaborazione del Piano Energetico Regionale” indica la presenza di oltre 30 depuratori con le suddette caratteristiche dimensionali. Il potenziale energetico che ne deriverebbe ammonterebbe a quasi 10.000 tep.

Tale energia potrebbe essere usata per l’essiccamento termico dei fanghi.

 
 

3.6.2         Azioni e strumenti

 

Le possibilità di sfruttamento delle risorse idriche a fini energetici potranno essere incentivate in un’ottica di sostenibilità di tali risorse, sostenibilità che prenda in considerazione non solo l’aspetto di recupero energetico, ma anche l’aspetto di risparmio energetico legato ad una più generale migliore efficienza di gestione.    

 

 

 


 

3.7      Reti per l’energia

 

3.7.1       Energia elettrica

 

Parallelamente alla politica rivolta all’incremento di efficienza nella produzione termoelettrica, allo svecchiamento del parco macchine e alla riduzione degli impatti sull’ambiente del sistema regionale di produzione di energia elettrica, è necessario fare delle attente valutazioni inerenti la capacità del sistema di trasporto dell’energia elettrica stessa. In particolare, come già evidenziato nell’aggiornamento dello Studio per l’elaborazione del Piano Energetico della Regione Puglia, “è da ritenere che, nel medio periodo, l’esigenza di un adeguato aumento della capacità di trasporto sarà avanzata da più parti e interesserà una buona porzione del territorio regionale”.

Già ora il sistema di trasporto nazionale è caratterizzato dalla presenza di colli di bottiglia che ha effetti anche sui costi dell’energia stessa.

Al momento tale situazione non crea problemi all’industria meridionale poiché il prezzo di acquisto dell’energia elettrica è unico su tutto il territorio nazionale (PUN). Nel caso in cui la regolamentazione nazionale dovesse modificarsi (ed esistono proposte in tal senso a livello nazionale e realtà operative a livello internazionale) secondo il criterio per cui il prezzo di acquisto possa variare da zona a zona sulla base del prezzo di vendita zonale, l’inefficienza produttiva e di trasporto del sistema elettrico del Sud Italia si tradurrebbe in un maggior costo per le aziende meridionali e conseguentemente grave pregiudizio per lo sviluppo di quest’area.

Questo aspetto tende a diminuire il possibile vantaggio derivante dall’economicità dell’impiego del carbone nell’industria termoelettrica, economicità che sarebbe comunque ridotta se si procedesse a internalizzare le esternalità ambientali (sebbene parzialmente, questo aspetto è già visibile a seguito del meccanismo dell’emissions trading ex direttiva europea 2003/87).

 

La società Terna – Rete Elettrica Nazionale ha già in programma diversi interventi rivolti alla sicurezza locale, alla riduzione delle congestioni di rete e alla qualità del sevizio.

In particolare, si prevede:

-           il riassetto della rete elettrica 380/220/150 kv di Brindisi Pignicelle per aumentare la sicurezza del sistema elettrico e la flessibilità di esercizio della rete AAT nell’area di Brindisi;

-           la realizzazione di una nuova stazione di trasformazione 380/150 kV nell’area a nord di Bari, da inserire sulla linea a 380 kV “Brindisi – Andria”. Ciò consentirà di alimentare in sicurezza i carichi della città di Bari, superando le attuali criticità di esercizio. Permetterà inoltre un esercizio più sicuro della rete a 150 kV tra Brindisi e Bari, interessata da pericolosi fenomeni di trasporto verso nord delle potenze prodotte dal polo di Brindisi;

-           la ricostruzione e il potenziamento dell’elettrodotto a 150 kV “Corato – Bari Termica”, in modo che sia garantita una capacita d trasporto adeguata.

 

In aggiunta è prevista la realizzazione, a cura di Enel Distribuzione, della direttrice a 150 kV “Taranto N. – Martina Franca – Noci – Putignano”, che consentirà di rinforzare la rete in alta tensione interessata dal trasporto delle produzioni del polo di Brindisi e contribuirà a fornire una riserva di alimentazione per il carico della zona a sud di Bari.

 

Le operazioni suddette e interessanti l’area di Bari consentirebbero di escludere la centrale ENEL di Bari dall’elenco delle unità essenziali, riducendo l’utilizzo di questa centrale.

 

Nell’ottica del rafforzamento della rete di trasmissione, si inserisce il dibattito riguardante la possibilità di interconnessioni con l’estero e, in particolare, con l’area balcanica (mercato del Sud-Est Europa) attraverso l’Adriatico. Tale ipotesi si inserisce opportunamente nella politica europea di creare un sistema energetico interconnesso.

Risulta d’altra parte prioritario risolvere dapprima le questioni legate al rafforzamento della rete nazionale per evitare che queste si possano ripercuotere anche sui collegamenti internazionali.

 

Le ipotesi di marcato sviluppo delle fonti rinnovabili in Puglia, in particolare l’eolico, devono essere accompagnate da un parallelo superamento dei vincoli di rete e di esercizio che rischiano di condizionare gli operatori che hanno il diritto di priorità in dispacciamento.

Una buona programmazione dei nuovi impianti eolici è indispensabile anche per consentire una più efficace formulazione delle ipotesi di sviluppo della rete. A tal fine potranno risultare utili le attività realizzate all’interno dell’apposito tavolo di lavoro istituito presso Terna.

 

Gli interventi di sviluppo della rete tra Foggia, Benevento e Salerno (in particolare le nuove stazioni a 380/150 kV di Troia e Candela funzionali a raccogliere la produzione eolica esistente e prevista nell’area, la realizzazione dell’elettrodotto a 150 kV “Foggia – Accadia” ed i potenziamenti delle direttrici a 150 kV “Benevento – Lacedonia – Contursi” e “Montecorvino – Tanagro”) complessivamente consentiranno di ridurre i rischi di sovraccarico favorendo l’immissione in rete in condizioni di sicurezza di una quota di produzione eolica di almeno 650 MW.

 

Lo sviluppo di nuove reti a servizio dei futuri campi eolici dovrebbe consentire un generale beneficio, in termini di qualità del servizio, anche per le altre utenze.

 

Per quanto riguarda l’inserimento territoriale e ambientale delle opere afferenti alle reti di trasporto  dell’energia elettrica, si rende necessario un accordo tra la Regione e Terna per arrivare ad una pianificazione integrata mediante la Valutazione Ambientale Strategica dei relativi piani di sviluppo.

 

 

 


 

3.7.2       Gas naturale

 

Sia a livello europeo che nazionale, negli ultimi anni vi è stata una tendenza che ha portato ad un sempre maggior utilizzo di gas naturale in sostituzione dei prodotti petroliferi, sia negli usi diretti nel settore civile e industriale (e in minima parte in quello dei trasporti), sia nella produzione di energia elettrica.

Lo stesso vale nella realtà pugliese. E’ quindi reale la necessità di incrementare le capacità di approvvigionamento in termini quantitativi e, contemporaneamente, in termini di differenziazione dei luoghi di provenienza.

Le implicazioni ambientali, sociali e economiche di tali scelte fanno nel contempo emergere l’altrettanto reale necessità di considerare l’elevato valore da attribuire alle fonti energetiche, riproponendo il tema di una valutazione energetica complessiva che si ponga l’obiettivo primario di ridurre i fabbisogni e razionalizzare gli impieghi.    

 

Diverse sono le possibilità presentate, a livello regionale, per favorire i nuovi approvvigionamenti, sia sul fronte della realizzazione di strutture per la rigassificazione del metano proveniente via mare, sia sul fronte della realizzazione di linee di collegamento via gasdotto. 

 

L’indirizzo della Regione Puglia si sostanzia con la scelta di favorire la realizzazione di un rigassificatore con una potenzialità annua di una decina di miliardi metri cubi in situazione di valutazione e controllo della compatibilità ambientale e delle esigenze territoriali di sviluppo, nonché in un quadro di accordo con gli enti locali interessati.

In considerazione della mozione approvata - all’unanimità - dal Consiglio Regionale  del 4/8//2005, non risulta praticabile la proposta del sito avanzata dalla British LNG per Brindisi in quanto non rientrante nella predetta cornice.

 

Per quanto riguarda la scelta per le ipotesi di gasdotto che realizzino collegamenti tra le sponde del bacino dell’adriatico, non esistono, ad oggi, condizioni che risultino ostative dello sviluppo delle attuali iniziative, atteso che le stesse si inseriscono sia nel quadro del riequilibrio delle fonti fossili, sia nell’indiscutibile ruolo della Puglia di nodo della distribuzione nell’area del Mediterraneo

 

Risulta altresì essere una priorità, anche ai fini della compatibilità ambientale, nonché della suddetta razionalità energetica, la concreta e necessaria valutazione di ipotesi di impiego delle disponibilità energetiche derivanti dal funzionamento delle suddette strutture, in particolare i sistemi di  rigassificazione, nel tentativo di recuperare parte delle ingenti risorse energetiche comunque utilizzate per far pervenire il gas all’utenza finale.  

 

 

 

 


 

 

4         Strumenti a valenza generale

 

4.1      Misure strutturali

 

Le fasi propositive descritte nei capitoli precedenti potranno realmente concretizzarsi mediante la messa a punto di strumenti adeguati che consentano il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati interessati alle azioni previste dal Piano all’interno del contesto energetico nazionale ed internazionale.

Tali strumenti vanno ricercati tra quelli tradizionali di settore, come pure tra quelli recentemente introdotti a livello nazionale e europeo.

Tra i primi si possono citare i regolamenti edilizi, i diversi strumenti di pianificazione urbanistica, i piani di sviluppo rurale, i piani dei trasporti, ecc.. L’interazione con questi piani mette in evidenza il carattere trasversale della tematica energetica.

Per quanto riguarda i secondi, una notevole importanza è assunta da atti normativi quali i decreti sull’efficienza energetica, il recepimento della direttiva europea sull’efficienza energetica in edilizia, l’istituzione del sistema di emission trading, ecc..

 

Nelle descrizioni degli obiettivi a livello settoriale sono già stati introdotti diversi strumenti di attuazione. In questa sede si vogliono riassumere alcuni degli strumenti già citati nelle sezioni tematiche in quanto ricorrenti e, allo stesso tempo, trasversali ai diversi settori.

 

Gli accordi volontari

Quello dell’accordo volontario è uno degli strumenti di programmazione concertata che attualmente viene considerato tra i mezzi più efficaci per le iniziative nel settore energetico. Il principale elemento che lo caratterizza è lo scambio volontario di impegni a fronte dell’attuazione di determinati interventi e del raggiungimento degli obiettivi pattuiti. Gli obiettivi prioritari nella scelta di questo tipo di interazione si possono identificare:

-    per le imprese, nella possibilità di partecipazione diretta alle politiche pubbliche e nella conseguente possibilità di proporre interventi basati sulle proprie priorità e capacità di azione;

-    per i soggetti pubblici, nella creazione di un sistema di azione basato sul consenso e la cooperazione con i settori produttivi, attivando meccanismi di scambio informativo e dispositivi capaci di sfruttare meglio le potenzialità esistenti a livello di imprese.

La Regione porrà particolare attenzione, nell’apertura del “tavolo di concertazione”, nel coinvolgimento di tutti i soggetti a qualsiasi titolo interessati agli interventi proposti.

Nel caso in cui gli interventi delineati negli indirizzi di piano siano molto diffusi (come, ad esempio, nel caso delle azioni di risparmio energetico nel residenziale), coinvolgendo quindi una pluralità di soggetti con i quali non è prevedibile instaurare un rapporto diretto, la Regione si attiverà nella ricerca di soggetti con capacità di aggregazione degli interessi diffusi con i quali promuovere possibili accordi volontari.

 

 

 

Adeguamento legislativo e normativo dei piani territoriali e settoriali interessati

Il piano energetico è uno strumento attraverso il quale l’amministrazione regionale può predisporre un progetto complessivo di sviluppo dell’intero sistema energetico, coerente con lo sviluppo socioeconomico e produttivo del suo territorio. Ciò comporta una sempre maggiore correlazione ed interazione tra la pianificazione energetica ed i piani territoriali e settoriali. D’altra parte, in questi ultimi la variabile energia è generalmente assente o inclusa all’interno della variabile ambientale. Risulta quindi indispensabile il loro adeguamento per tenere opportunamente in considerazione tale variabile.

Negli indirizzi di piano si sono già sottolineate le interazioni con altri strumenti pianificatori. Basti pensare alla pianificazione urbanistica ed a quella dei trasporti.

 

La semplificazione amministrativa

E’ noto che spesso lo sviluppo di interventi nel settore energetico è stato bloccato o rallentato da numerose barriere non di tipo tecnico ne’ economico. La complessità delle procedure amministrative molte volte costituisce una di queste barriere. E’ quindi indispensabile che ci si attivi verso una maggior semplificazione nei modi e nelle competenze proprie di ogni amministrazione.

 

Il sostegno finanziario

Gli interventi che si intende promuovere possono richiedere in alcuni casi tempi di ritorno degli investimenti piuttosto lunghi. Si rende perciò necessario, da parte dell’amministrazione regionale, prendere in considerazione l’opportunità di incentivazioni di carattere finanziario che stimolino l’adesione dei soggetti interessati a norme di pianificazione non obbligatoria. In generale, le fonti di finanziamento in tema di energia sono riconducibili ai fondi comunitari, ai fondi nazionali ed ai fondi regionali.

Allo stesso modo si potrà favorire lo sviluppo di meccanismi di ingegneria finanziaria quali il project financing, il finanziamento tramite terzi ed il fondo di garanzia.

E’ prioritario che le misure di sostegno finanziario non si limitino ad appoggiare singole iniziative, ma che attivino filiere produttive integrate con l’economia locale, l’ambiente e il territorio,   consentendo una sostenibilità delle suddette filiere che vada oltre la fase di sostegno finanziario. 

 

Diffusione dell’informazione e della formazione

Il raggiungimento degli obiettivi di programmazione energetica dipende, in misura non trascurabile, dal consenso dei soggetti coinvolti. La diffusione dell’informazione è sicuramente un mezzo efficace a tal fine. Oltre che per la divulgazione delle informazioni generali sugli obiettivi previsti, è necessario realizzare idonee campagne di informazione che coinvolgano i soggetti interessati attraverso l’illustrazione dei benefici ottenibili dalle azioni previste, sia in termini specifici, come la riduzione dei consumi energetici e delle relative bollette, sia in termini più generali come la riduzione dell’inquinamento e lo sviluppo dell’occupazione.

E’ inoltre opportuno la promozione di corsi di formazione rivolti a tecnici dei settori riguardanti attività energetiche come installatori, verificatori, energy manager.

 

 

 

Potenziamento delle strutture regionali in materia di energia

Le funzioni di attuazione, gestione, controllo e verifica della pianificazione energetica regionale richiedono un’adeguata capacità di intervento a livello locale e, quindi, il potenziamento delle strutture regionali competenti in materia energetica. Ciò potrebbe essere realizzato attraverso  specifici organismi di assistenza e consulenza in materia energetica quali una Agenzia Regionale per l'Energia. Tale struttura deve essere in grado di gestire e controllare l’attuazione dello stesso piano e di proporre gli aggiornamenti e le modifiche che eventualmente si rendessero necessarie.

In alcuni casi si ritiene utile la costituzione di appositi gruppi di lavoro per la gestione delle attività di valutazione e verifica in specifici settori.

Il settore dell’eolico, ad esempio, per la sua importanza e peculiarità potrà trovare un utile supporto dalla costituzione di un tale gruppo di lavoro che offra supporto tecnico nell’ambito delle procedure di valutazione di impianti e piani, oltre a contribuire ad azioni di supporto tecnico informativo per le pubbliche amministrazioni e le imprese interessate e controllare lo sviluppo del settore per mettere in evidenza eventuali azioni correttive.

 

Verifica del conseguimento degli obiettivi

Le azioni previste dal piano potranno avere delle ricadute non solo sul sistema energetico ma anche, più in generale, sull’intero sistema socioeconomico. Sarà pertanto necessaria una verifica periodica del conseguimento degli obiettivi del piano ed un aggiornamento dello stesso da effettuare attraverso:

-    il rilievo dei consumi finali nei vari settori economici ed il loro confronto con quelli previsti dal bilancio obiettivo;

-    la verifica della realizzazione degli interventi programmati.

 

Il rilievo dei consumi finali comporta una azione di monitoraggio permanente sul sistema energetico regionale, di cui si deve far carico la struttura di gestione del piano.

 

 


 

4.2      Le attività di ricerca

 

Gli obiettivi definiti sul lato della domanda e dell’offerta di energia derivano essenzialmente dall’applicazione di tecnologie attualmente standardizzate, in considerazione del fatto che il raggiungimento di determinati risultati in termini di efficienza e efficacia delle azioni di sostenibilità energetica scaturisce soprattutto dall’attivazione di meccanismi di altro tipo (organizzativi, normativi, partecipativi, procedurali, ecc.). 

Ciò nonostante, è di notevole importanza il ruolo da attribuire alle attività di ricerca tecnologica su fronti più avanzati. Tali fronti possono riguardare attività più immediatamente applicative, come  quelle relative a particolari impieghi dell’energia solare, come pure quelle più avanzate relative all’idrogeno.

La Puglia presenta una situazione particolarmente favorevole  per l’impostazione di  una politica di ricerca ed innovazione nel settore energetico indirizzata all’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili ed alternative ai combustibili fossili.

Un programma di ricerca fortemente  connotato in tale direzione, che esplori nuove soluzioni per  coniugare gli obbiettivi di sviluppo economico e di competitività del sistema regionale con le esigenze di tutela ambientale, potrebbe rappresentare un’iniziativa pilota a livello nazionale, su cui far convergere risorse provenienti sia dagli strumenti nazionali a sostegno della ricerca industriale e dello sviluppo precompetitivo che dal Quadro Regionale di Sostegno 2007-2013.

Un programma di ricerca e dimostrazione nel settore energetico deve avere l’obbiettivo di mettere a punto soluzioni tecnologiche che possano rappresentare, nel giro di alcuni anni, opzioni concrete disponibili per l’avanzamento della pianificazione del sistema energetico regionale e per la diffusione ad altre realtà territoriali a livello nazionale ed  internazionale.

Nell’impostazione di tale programma va tenuto conto, in aggiunta agli obiettivi generali di pianificazione energetica, di una serie di fattori caratteristici della situazione regionale e collegati al contesto nazionale ed europeo:

-    per quanto riguarda le fonti rinnovabili, la vocazione territoriale e la tipologia di risorse esistenti  nell’ambito regionale;

-    le competenze disponibili da parte del sistema della ricerca pubblica e privata;

-    la presenza sul territorio regionale di operatori interessati allo sviluppo di iniziative industriali legate allo sfruttamento delle soluzioni tecnologiche derivanti da tali ricerche;

-    l’opportunità di ispirarsi alle priorità tematiche indicate dall’Unione Europea per il 7° Programma Quadro,  anche tramite la  partecipazione alle relative piattaforme tecnologiche;

-    la possibilità di diffondere le tecnologie sviluppate agli altri paesi dell’area mediterranea.

 

A fronte di queste esigenze ed opportunità, la situazione regionale è attualmente caratterizzata da una certa frammentazione delle iniziative, sia per quanto riguarda gli operatori economici che i  soggetti di ricerca.

Non va poi dimenticata la necessità di collegamenti e sinergie con interessi,  risorse e competenze presenti nelle altre regioni del Mezzogiorno, anche al fine di influenzare maggiormente le priorità  di ricerca a livello nazionale e di creare massa critica su queste tematiche per migliorare l’accesso  e la fruibilità dei programmi di supporto dell’Unione Europea.

 

Uno strumento idoneo per il raggiungimento degli obiettivi indicati potrebbe essere ricercato nella creazione di un centro che agisca come riferimento unico e permanente per l’individuazione, la valutazione, lo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologie che rappresenti anche una cabina di regia per la governance delle iniziative e dei progetti, ed in una rete di competenze e risorse strutturali sulle energie alternative diffuse nel territorio, che possano assicurare un riferimento tecnico scientifico competente sulle singole filiere di intervento.

Il riferimento potrebbe essere costituito come un “network”, con una realtà centrale di pianificazione e di coordinamento ed un insieme di strutture tecnico-scientifiche identificabili in aziende ed entità di ricerca pugliesi, anche collegate a soggetti industriali ed enti di ricerca di respiro nazionale con grande esperienza nel settore energetico.

Una modalità di integrazione della ricerca con l’applicazione riguarda l’adattamento di tecnologie già realizzate in scala di laboratorio, dando luogo a proposte per dimostratori permanenti che si integrino nel tessuto produttivo del territorio su impianti sperimentali pre-industriali.

 

L’impostazione e la gestione efficace di un programma di ricerca di ampio respiro deve non solo raggiungere obiettivi di rilievo dal punto di vista tecnico/scientifico ma anche renderli pienamente  fruibili al sistema  sociale e produttivo regionale. Per questo motivo è importante l’incentivazione di una politica di ricerca imperniata su un numero circoscritto di tematiche che abbia una forte interrelazione socio-economica con il territorio e con il tessuto produttivo regionale.

Di seguito si riportano alcune delle possibili tematiche di ricerca[9].

 

Energia solare per produzione termica

La tecnologia del solare termico continua ad avere un enorme potenziale nelle applicazioni a bassa temperatura come il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua sanitaria, il condizionamento estivo degli edifici e numerosi processi industriali. Nel contesto civile e industriale pugliese, queste tecnologie troverebbero un evidente possibilità di inserimento attraverso l’attività del centro come ponte tra ricerca e applicazione, con evidenti ricadute sul sistema energetico regionale.  

Per quanto riguarda il riscaldamento, l’applicazione al momento più redditizia è rappresentata da impianti solari con diverse centinaia di metri quadrati di superficie di collettori, che coprono il 20 – 30% del fabbisogno totale di calore per case plurifamiliari, all’interno di piccole reti di teleriscaldamento. Grazie alle dimensioni, il costo specifico dell’impianto diminuisce senza penalizzarne l’efficienza.

La copertura del fabbisogno termico da parte degli impianti solari può anche arrivare al 50 - 80% con impianti solari centralizzati ad accumulo stagionale, nei quali l’energia solare termica captata durante i mesi estivi viene stoccata e utilizzata per il riscaldamento durante la stagione fredda.

La produzione di calore di processo rappresenta un’ulteriore soluzione a livello preindustriale per lo sfruttamento su larga scala del solare termico a bassa temperatura. Sono infatti numerosi i processi che utilizzano fluidi a temperature facilmente raggiungibili con pannelli piani oppure tubi sottovuoto.

Interessanti sono pure le attività di ricerca e sviluppo sulle tecnologie di captazione ed  utilizzo dell’energia solare per la produzione di calore a media ed alta temperatura, da utilizzare nella generazione combinata di vapore per utilizzi industriali e di energia elettrica ed in processi termochimici  per  la produzione  di idrogeno.

In particolare, la produzione di energia elettrica mediante impianti solari termodinamici a concentrazione rappresenta una opzione di crescente interesse a livello internazionale per la possibilità di integrarsi ed eventualmente sostituire le centrali termiche convenzionali  di  potenza.

 

Per quanto riguarda la dissalazione è da notare che la regione Puglia non è autosufficiente per quanto riguarda il fabbisogno idrico ed è quindi costretta ad importare grandi quantità di acqua dolce dalle regioni limitrofe. L’acquedotto Pugliese utilizza una notevole quantità di energia elettrica per il pompaggio dell’acqua dalle regioni di provenienza agli utilizzatori finali. Una soluzione alternativa consiste nello sviluppo e dimostrazione di un sistema integrato alimentato da fonte solare per la dissalazione dell’acqua e per la produzione dell’energia elettrica per l’utilizzo nel settore agricolo.

Una delle soluzioni tecnologiche più interessanti si basa sull’utilizzo dell’energia solare a concentrazione accoppiata a generatori elettrici a fluido organico e a sistemi di dissalazione.

Gran parte del calore potrà essere utilizzato per alimentare un sistema di dissalazione finalizzato alla produzione, a partire da acqua salata prelevata direttamente dal mare o da falde acquifere salmastre più interne, di acqua dolce per irrigazione o altri utilizzi connessi con le attività agricole e di allevamento. L’energia residua potrà essere utilizzata per soddisfare i fabbisogni di calore a bassa temperatura connessi con le attività dell’impresa agricola.

La stessa tecnologia potrebbe essere facilmente trasferita ai paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, che presentano situazioni di irraggiamento ancora più vantaggiose accoppiate ad una più pressante necessità di approvvigionamento idrico ed elettrico decentralizzato. Gran parte della tecnologia può essere facilmente implementata dalle industrie locali e la possibilità di maturare un’esperienza altamente specialistica nell’ambito dei sistemi di dissalazione solare, costituirebbe un importante elemento di qualificazione e di valorizzazione dell’imprenditoria locale, in un settore con grandi prospettive di sviluppo.

 

Energia solare per produzione elettrica

Altro settore prioritario riguarda lo sviluppo e la dimostrazione dei sistemi fotovoltaici a concentrazione, che presentano notevoli potenzialità di riduzione dei costi ed incremento di efficienza  rispetto ai sistemi convenzionali, e le attività di ricerca sulle nuove celle fotovoltaiche  ad  elevato  rendimento  energetico e/o a minor costo.

In alternativa ai moduli a silicio cristallino o policristallino, tra le varie soluzioni proposte per lo sviluppo di celle per la produzione di elettricità, una delle più interessanti è la soluzione tecnologica che si basa sulla tecnologia termoelettrica. Con materiali e tecnologie termoelettriche convenzionali si possano costruire celle solari termoelettriche di efficienza confrontabile con quella del silicio policristallino. Lo sviluppo di nuovi materiali termoelettrici migliorerebbe notevolmente l'efficienza complessiva.

 

 

Generazione  distribuita

E’ indispensabile analizzare soluzioni che consentano l’ottimizzazione delle reti elettriche di connessione alla rete di distribuzione, considerando che questa, nell’ottica della generazione distribuita, non può più essere concepita solo come sistema di conferimento di energia presso l’utenza finale, ma anche come sistema di raccolta dell’energia prodotta da un numero sempre maggiore di sistemi di generazione.

 

Ossicombustione  di  residui  agricoli  ed  industriali

La frontiera tecnologica negli ultimi anni ha prodotto sviluppi innovativi in grado di effettuare un recupero energetico importante da prodotti di scarto agricolo ed industriale a basso potere calorifico  e con problematiche complesse dal punto di vista del loro smaltimento.

In particolare la combustione ad ossigeno (o ad aria arricchita) rappresenta una tecnica di valorizzazione energetica dei residui molto evoluta sia dal punto di vista dell’efficienza energetica  che  dell’impatto  ambientale.

Questa tecnologia consente, infatti, oltre ad una forte riduzione delle dimensioni d’impianto e conseguente riduzione dei costi di investimento, di ottenere condizioni ottimali di impatto ambientale. Il raggiungimento di temperature di fiamma decisamente più alte porta alla    produzione di scorie fuse ed amorfe completamente inerti ed esenti da contenuti organici incombusti e ad una ridottissima emissione di inquinanti gassosi. La riduzione dell’effluente gassoso riduce le perdite di calore a camino e l’onere del trattamento degli effluenti, compensando in buona misura i costi connessi alla produzione di ossigeno.

Lo sviluppo della tecnologia di combustione ad ossigeno consentirà l’acquisizione di competenze e di capacità produttive estensibili in differenti settori applicativi della Puglia, sia legati al settore energetico che ambientale che nel trattamento dei residui industriali in senso ancora più ampio ed interessante.

Un esempio riguarda l’utilizzo di CDR. In questo caso un processo di recupero energetico utilizzante la tecnica della combustione ad ossigeno, oltre ad assicurare una elevata efficienza energetica, offre ben più ampie garanzie ambientali nell’utilizzo del  CDR.

Un altro esempio di ultimo riutilizzo dei prodotti residuali a contenuto energetico è costituito dall’applicazione dell’ossicombustione al trattamento dei materiali di demolizione delle automobili non più recuperabili in maniera differente. 

 

Biocombustibili

Per raggiungere gli obiettivi prefissati sulla produzione di biocarburante, si pone il problema dell’identificazione della superficie agricola dedicata e soprattutto dell’eventuale aumento della produttività specifica. E’ possibile sviluppare processi integrati per la produzione di biocarburanti da  biomasse oleaginose o lignocellulosiche di interesse per il territorio Pugliese.

E’ necessario valutare la fase di estrazione dell’olio e le caratteristiche qualitative degli olii prodotti e l’utilizzo delle parti lignocellulosiche della pianta per produrre etanolo.

Si può prevedere il coinvolgimento di aziende motoristiche pugliesi per la messa a punto di tecnologie su piccola scala distribuita di interesse per il mondo agricolo e di possibile esportazione nei paesi mediterranei.

Dal lato industriale si potrebbero attrezzare i frantoi all’estrazione anche dell’olio da semi oleaginosi,  evitando  la classica stagionalità del settore oleario, con prolungamento delle attività lavorative nell’anno con ovvi vantaggi reddituali. Tutte queste opzioni salvaguarderebbero l’occupazione e a maturità produttiva addirittura dovrebbero incrementarla.

 

Idrogeno

Attualmente l’idrogeno è principalmente utilizzato come gas di processo e solo il 3% del totale è impiegato a fini energetici. L’interesse in questo campo è molto alto, sia in Italia, che in molti altri paesi. La possibile diffusione del suo utilizzo nei settori della generazione elettrica e dei trasporti, determinerà pertanto una sicura e marcata crescita della richiesta di idrogeno. E’ d’altra parte chiaro che l’idrogeno deve essere prodotto e che l‘efficacia tecnica e ambientale del suo impiego è dipendente dalle sue modalità di produzione. La produzione attuale è basata per quasi il 90% sul reforming di gas naturale o gasolio.

Nella realtà pugliese può essere particolarmente importante lavorare sulle diverse tecnologie di produzione dell’idrogeno, considerando soprattutto la produzione da fonti rinnovabili di cui la regione è particolarmente ricca.

In particolare, la grande potenzialità della biomassa residuale agricola pugliese potrebbe far candidare la Puglia come una regione chiave per la produzione dell’idrogeno a partire da questa risorsa. Si possono sviluppare processi integrati per la produzione di vettori energetici gassosi e/o di idrogeno mediante gassificazione di biomasse e/o scarti di lavorazione delle industrie agro-alimentari di tipo lignocellulosico.

La realizzazione e l’esercizio sperimentale di un impianto dimostrativo di taglia medio-piccola per la produzione di idrogeno da biomassa potrebbe consentire di validare le potenzialità della tecnologia, di individuare e risolvere eventuali aspetti critici e fornire dati atti a supportare analisi di fattibilità per un’applicazione della tecnologia proposta a livello industriale.

La messa a punto di impianti pilota che dimostrino la fattibilità tecnica della produzione di idrogeno da biomassa e il trasferimento della tecnologia ad aziende del territorio è il presupposto per la nascita di un’industria nel settore.

Questa avrebbe sicuramente una valenza strategica, considerati i contenuti di innovazione tecnologica, l’importanza per il Paese dell’utilizzo delle risorse energetiche disponibili localmente e l’ubicazione in un territorio relativamente poco presidiato dal punto di vista dello sviluppo industriale. Inoltre si potrebbero avere ricadute positive per le aziende, presenti nella regione, operanti nei settori della distribuzione e stoccaggio del gas e dell’utilizzazione dello stesso.

In parallelo allo studio delle diverse tecnologie di produzione dell’idrogeno,  soprattutto da fonti rinnovabili,  andrebbe approfondita  la verifica degli impieghi di questo vettore energetico  nelle diverse applicazioni, stazionarie e mobili, considerandone anche gli  aspetti  relativi alla distribuzione.

 

Settore civile

La massimizzazione dell’efficienza energetica degli insediamenti civili può essere sviluppata attraverso un approccio sistemico integrando le fonti rinnovabili, la generazione distribuita, l’informatizzazione avanzata e le nuove tecnologie degli edifici a basso consumo. In questo modo si possono costruire distretti energetici pilota che fungano da riferimento sia per l’utente privato che per la pubblica Amministrazione e sia per aziende che vogliono crescere sulla produzione di componenti e/o di progettazione/gestione di tali distretti.

L’ampiezza del settore civile darebbe una particolare enfasi ad un progetto che dimostrasse, oltre alla fattibilità tecnica, anche la capacità di creare un “sistema” economicamente competitivo. In questo caso la replicabilità di una piattaforma tecnologico-energetica per distretti civili sarebbe molto elevata sul territorio Pugliese. Grazie all’elevato mercato potenziale interno, aziende che sviluppassero le loro capacità nel settore dei distretti energetici del civile, sia in termini di componenti che di tecnologie di sistema, potrebbero aspirare ad una importante espansione sul territorio nazionale.

Infine l’interesse economico per i distretti energetici integrati nel civile è tanto più forte quanto meno è sviluppata la rete di trasmissione e distribuzione della energia elettrica in quanto permetterebbe un grande risparmio di risorse economiche nel caso di situazioni isolate ovvero un sottodimensionamento delle capacità delle linee di trasmissione. E’ proprio questo il caso dei paesi del bacino del Mediterraneo i quali, alle soglie di un prossimo sviluppo intenso della rete elettrica, potrebbe avere grande vantaggio dalla energia distribuita e rinnovabile. Pertanto, aziende che si sviluppassero intorno ad un progetto dimostrativo in Puglia e che crescessero sul mercato pugliese, avrebbero buone chance di poter diffondere i loro prodotti nei paesi del bacino del Mediterraneo.

L’obiettivo viene raggiunto ricorrendo all’applicazione di varie tecnologie inerenti sia l’involucro che gli impianti dei servizi energetici, ma soprattutto grazie all’applicazione di tecniche di progettazione integrata con inserimento di sorgenti rinnovabili.

Molte delle soluzioni attualmente testate e disponibili come esempi applicativi sono state sviluppate prevalentemente per le esigenze climatiche del nord Europa e, comunque, per i climi freddi: manca un concetto di edilizia innovativa e ad altissima efficienza adatto al clima mediterraneo.

Lo sviluppo di specifiche tecniche di progettazione integrata e la realizzazione dell’intervento dimostrativo avrebbero un notevole potenziale di diffusione sia a livello nazionale che internazionale.

La progettazione, lo sviluppo, l’ingegnerizzazione e l’industrializzazione di specifici componenti o processi edilizi, sia a livello di involucro che a livello di impianto o di sistema gestionale consentirebbero, alle aziende coinvolte, di vedere crescere notevolmente le proprie competenze nel campo, diventando punti di riferimento nazionale ed internazionale, soprattutto alla luce del fatto che, attualmente, i componenti impiegabili in questi edifici vengono prevalentemente prodotti all’estero: emerge quindi la necessità di dare risposta con prodotti nazionali alle richieste di efficienza energetica che emergono dal sistema paese.

 

Veicoli

Nel campo del trasporto pubblico è interessante la realizzazione di un veicolo ferroviario ibrido che includa una combinazione di dispositivi (celle a combustibile e/o pannelli solari e/o sistemi di recupero dell’energia frenante e/o generatori elettrici) quali sorgenti di energia da destinarsi al movimento del veicolo ed al funzionamento dei servizi ausiliari di bordo del veicolo stesso. La gestione ottimale della potenza di trazione del veicolo ibrido richiede un attento coordinamento di tali sorgenti e, nel contempo, della riserva di energia immagazzinata all'interno delle batterie.

L'insieme dei blocchi funzionali dedicati alla trazione dei veicolo conduce alla realizzazione di un modello che risulta idoneo, per il suo grado di dettaglio, alla sintesi ed all'analisi di metodologie innovative per la gestione dei flussi di potenza orientate a minimizzare l'impatto ambientale del veicolo. Per la sua struttura, inoltre, il modello sviluppato potrà essere adottato per la realizzazione di un rotabile leggero destinato all’uso urbano.

 

 

  

 

 


 

5         SINTESI

 

5.1      I consumi di energia

 

La tabella riporta i consumi energetici dei diversi settori al 1990, primo anno considerato nelle analisi, al 2004, ultimo anno per il quale è stato possibile analizzare i consumi reali e al 2016, anno corrispondente all’orizzonte temporale dello scenario obiettivo.

Si riportano pure le variazioni relative dei consumi corrispondenti ai diversi periodi.

 

 

Consumi finali (ktep)

Variazioni (%)

Settore

1990

2004

2016

2004/1990

2016/2004

2016/1990

Residenziale

890,0

1148,7

1217,6

29,1

6,0

36,8

Terziario

288,0

478,1

512,4

66,0

7,2

77,9

Agricoltura e pesca

358,1

493,0

694,8

37,7

40,9

94,0

Industria

4093,0

4425,5

4913,7

8,1

11,0

20,1

Trasporti

1862,0

2391,9

2401,9

28,5

4,0

33,6

Totale

7491,1

8937,1

9740,3

19,3

9,9

31,2

             

Tabella 21 – Sintesi dei consumi energetici per settore e delle loro variazioni nello scenario obiettivo

 

A livello complessivo, il trend di crescita dei consumi registrato nel periodo 1990/2004 viene ridotto a circa la metà nel periodo 2004/2016.

 

Gli andamenti dei consumi energetici passati e previsti nello scenario obiettivo sono rappresentati, in forma grafica, nella figura seguente, suddivisi per settore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 15 – Evoluzione dei consumi energetici per settore

Scomponendo i consumi energetici per vettori, si ottiene il quadro riassuntivo riportato nella tabella successiva.

 

 

Consumi finali (ktep)

Variazioni (%)

Settore

1990

2004

2016

2004/1990

2016/2004

2016/1990

Energia elettrica

1019

1445

1563

41,7

8,2

53,3

Gas naturale

1227

1640

1898

33,6

15,7

54,6

Gasolio

1603

1829

1826

14,1

-0,2

13,9

Benzina

662

867

781

31,0

-10,0

17,9

GPL

171

214

181

25,3

-15,4

6,0

Legna

18

33

150

83,3

354,5

733,3

Olio combustibile

422

574

287

35,9

-50,0

-32,0

Carbone

2312

2285

2798

-1,2

22,4

21,0

Biodiesel

0

0

201

-

-

-

Etanolo

0

0

87

-

-

-

Altri combustibili

57

50

55

-11,5

10,0

-2,6

Totale

7491

8937

9826

19,3

9,9

31,2

Tabella 22 – Sintesi dei consumi energetici per vettore e delle loro variazioni nello scenario obiettivo

 

La rappresentazione grafica degli andamenti è riportata nella figura seguente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 16 – Evoluzione dei consumi energetici per vettore

 

 


 

5.2      Le emissioni di anidride carbonica

Per la determinazione delle emissioni di anidride carbonica dovute all’utilizzo delle fonti energetiche, è necessario moltiplicare i dati di consumo analizzati nei capitoli precedenti per opportuni coefficienti di emissione specifica corrispondenti ai singoli vettori energetici utilizzati.

In particolare, per quanto riguarda l’energia elettrica consumata si assume che questa provenga dal mix di produzione regionale. Si assume inoltre, come ipotesi di scenario obiettivo, che al parco di produzione presente al 2004 si aggiunga la centrale di Candela, ci sia il rinnovo del polo energetico di Enipower a Brindisi, si aggiunga  una quota di 4000 MW da fonti rinnovabili oltre alle modifiche nei poli energetici di Brindisi e Taranto come  analizzato nel corrispondente capitolo.

Con tali ipotesi, le emissioni per chilowattora evolvono passando da un valore di 679 g/kWh del 1990 e di 691 g/kWh del 2004 a un valore di 455 g/kWh del 2016.

 

La tabella successiva riporta le emissioni di anidride carbonica dei diversi settori, in analogia a quanto fatto per i consumi energetici.

 

 

Emissioni di CO2 (kton)

Variazioni (%)

Settore

1990

2004

2016

2004/1990

2016/2004

2016/1990

Residenziale

3.871

4.705

3.540

21,6

-24,7

-8,5

Terziario

1.698

2.760

2.159

62,6

-21,8

27,1

Agricoltura e pesca

1.303

1.724

2.047

32,4

18,7

57,1

Industria

16.174

18.574

18.433

14,8

-0,8

14,0

Trasporti

5.764

7.391

6.941

28,2

-6,1

20,4

Totale

28.809

35.155

33.120

22,0

-5,8

15,0

             

Tabella 23 – Sintesi delle emissioni di anidride carbonica per settore e delle loro variazioni nello scenario obiettivo

 

Aggiungendo, alle emissioni precedenti, anche le emissioni derivanti alla produzione complessiva di energia elettrica, al netto dei quantitativi consumati a livello regionale e già inclusi nella valutazione precedente, si ottiene il risultato complessivo riassunto nello schema seguente.

 

 

Emissioni di CO2 (kton)

Variazioni (%)

 

1990

2004

2016

2004/1990

2016/2004

2016/1990

Totale settori

28.809

35.155

33.120

 

 

 

Export energia el.

1.057

9.800

11.286

 

 

 

Totale

29.866

44.955

44.406

50,5

-1,2

48,7

             

Tabella 24 – Sintesi delle emissioni complessive di anidride carbonica e delle loro variazioni nello scenario obiettivo

 

La rappresentazione grafica degli andamenti è riportata nella figura seguente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Figura 17 – Evoluzione delle emissioni di anidride carbonica nello scenario obiettivo

 

Con l’attuazione dello scenario obiettivo si avrebbe una riduzione di oltre 5 milioni di tonnellate di CO2 rispetto allo scenario tendenziale per il totale dei settori di consumo energetico. A ciò si aggiunge una riduzione di circa 5,5 milioni di tonnellate associate all’energia elettrica esportata.

 

 


 

[1] Per i dettagli tecnici su alcune possibilità di intervento si rimanda agli “Studi per l’elaborazione del piano energetico regionale”.   

 

[2] Per il calcolo delle emissioni di CO2, non si considerano i gas derivanti dai processi industriali in quanto attribuibili più propriamente ai processi stessi.

[3] Si considera un apporto da fonti rinnovabili pari a 8000 GWh derivanti soprattutto dalla fonte eolica.

[4] Bollettino Ufficiale della Regione Puglia – n. 128 del 6-10-2006

[5] Si è ipotizzato un rendimento di conversione termica pari all’80%

[6] Si è ipotizzato un rendimento di conversione elettrica del 30%

[7] A livello di pianificazione per ora non si considerano ipotesi di utilizzo diffuso per produzione di gas, combustibili liquidi o idrogeno. Tali possibilità sono demandate ad un ambito di ulteriore sviluppo, comunque da incentivare.     

 

[8]Articolo , comma 5 “Tenuto     conto    degli    indirizzi    di    programmazione energetico-ambientale regionale e locale, le imprese di distribuzione soggette  agli obblighi di cui al presente decreto formulano il piano annuale  delle  iniziative volte a conseguire il raggiungimento degli obiettivi specifici ad essi assegnati e lo trasmettono alle regioni o province autonome interessate”.
Comma 7 ”Le regioni e province autonome possono stipulare con le imprese di distribuzione   accordi  per  il  conseguimento  degli  obiettivi  di risparmio  energetico  e  diffusione  delle fonti rinnovabili fissati dagli  atti  di  programmazione regionale, provvedendo nel caso anche con proprie risorse attraverso procedure di gara”.

 

[9]L’elenco deriva da una valutazione effettuata nell’ambito del “Tavolo di confronto sulle priorità di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione nel settore energetico per la Regione Puglia” promosso dall’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l'Innovazione.