De
casibus virorum illustrium
Il
De casibus virorum illustrium (cioè, casi sfortunati di persone
famose) è un’opera scritta in latino tra il 1356 e il 1360 e riveduta poi nel
1373, quando fu dedicata all’amico e benefattore Mainardo Cavalcanti, alto
funzionario del regno di Napoli.
In
quest’opera Boccaccio immagina che le ombre di illustri vittime della fortuna
gli si presentino per raccontare le proprie sventure: si susseguono così, in
ordine cronologico (da Adamo fino ai
contemporanei), le tragiche vicende biografiche di uomini che la fortuna ha
sollevato ad un alto grado di potenza, di ricchezza e di felicità, per poi
abbandonarli ad un rovinoso destino. Quindi l’opera può essere considerata il
trionfo della sfortuna e, come viene annunciato all’inizio della biografia di Filippa
di Catania, comincia con un uomo nobilissimo (Adamo) per poi terminare con
la storia di una donna plebea, e ciò richiama la struttura del Decameron, anche se al contrario.
Domina
quindi il concetto della fortuna come una malefica divinità che si gioca
dell’uomo, illudendolo e poi abbattendolo. Questo concetto viene ribadito
all’inizio del III libro, nel quale l’Autore, essendo convinto che la
sfortuna venga generata dall’animo e non da un puro caso, ci presenta un apologo
(specie di favola in cui, per ammaestramento morale e
civile, si introducono a parlare e ad operare animali e cose inanimate)
raccontato da Andalò Del Negro: ne
sono protagonisti la Povertà e la Sfortuna, la quale sfida l’altra e la
vince.
Le
fonti di cui Boccaccio si serve sono perlopiù scritte (anche se non sempre
attendibili), ma si basa anche su racconti orali. Incisivo è il ritratto di Nerone
(VIII), del quale viene evidenziato l’istrionismo
(atteggiamento clamorosamente teatrale), ma anche
l’ascesa e la caduta del più recente Gualtiero
di Brienne (IX), duca d’Atene. In contrasto con la violenza dei tiranni,
viene presentata nel IV libro la figura di Attilio
Regolo, modello di amore patrio, e nell’VIII appare Francesco Petrarca, il quale lo scuote dal sonno e dall’ozio.
Il
pregio maggiore di queste vite illustri sta nella loro genialità di abbozzi e
suggerimenti che il Boccaccio sembra dare agli altri per la stesura di opere
future: in sintesi raccoglie una serie di spunti per gli altri poeti che lo
succederanno.
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