In onore e stima degli...

Artisti e maestri

 

che influenzarono l'opera dello scultore David Maria Marani.

 

 


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LE FONTI CLASSICHE DI DAVID MARIA MARANI 

Sostenere che esiste un rapporto fra David Maria Marani e la Regina Margherita (intesa come monumento e non come personaggio storico) sembra ex abrupto materia per un gioco di società da praticare in un cenacolo salottiero. Eppure il ventimigliese Marani, così scultore fin nel midollo in questa parte di Liguria che ha finora saziato soprattutto il cuore e la mente dei pittori, è per noi il termine di para- gone contemporaneo di quella cultura che aveva espresso e nutrito, fra gli altri, il pisano Italo Griselli: proprio colui che per Bordighera scolpì nel marmo (ma, confessiamolo, senza raggiungere la qualità dei giorni migliori) le auliche sembianze della sovrana cui la città era stata così cara. Che nel respiro terso della medesima luce marittima si siano incrociati i destini di due artisti in apparenza così distanti, e non solo per mere questioni anagrafiche, è una coincidenza avallata dal fatto che in Riviera si contano ormai solo la Regina Margherita e poc'altro -e quasi tutto nei cimiteri- a testimoniare della grande e nobile arte plastica del primo dopoguerra. Ma è una coincidenza che trova salde motivazioni nel percorso biografico dello stesso Marani, formatosi a Firenze in una scuola che, ancora negli anni '70, era imbevuta di quei fermenti che qualche decennio addietro avevano cresciuto Griselli e Giovannini, Romanelli e Innocenti. Una generazione di scultori di cui Marani sembra in un certo senso raccogliere l'eredità lontana: non, tuttavia, per perpetuarne i modi e i valori nel segno di una sterile quanto velleitaria continuità, ma per rielaborarne, in senso propositivo e originale, quegli spunti vitali che valicano i gusti effimeri di ciascun frangente culturale. Il primato del lavoro artigianale, nella sua accezione più alta; il culto contemplativo di una bellezza corporea corteggiata grazie ad una meditazione instancabile sulla figura umana; un approccio alla forma diretto e sensibile, che non vi antepone l'idea, ma la costruisce con i mezzi propri del demiurgo. E' grazie a quanto è sopravvissuto del clima umanistico fra le due guerre che Marani ha potuto impadronirsi di questi principi, e di non poche parole reperite nel vocabolario dei suoi maestri; ma per costruire, oggi (nulla si crea dal nulla), una lingua figurativa che fosse soltanto sua. Un clima che l'esperienza dolorosa e tumultuosa del conflitto, e un'insistita radicalizzazione delle ideologie anche sul versante storico-artistico nei '50 e nei '60, hanno condannato al lungo e soffocato oblio del silenzio. Finché, nel corso dell'ultimo quindicennio, un paziente lavorio critico lo ha riportato alla luce con piena consapevolezza storica: operazione legata sì ad un generale recupero dei valori dell'accademia, del pompierismo, della figurazione, di tutto ciò, insomma, che non si identifica propriamente nei movimenti d'avanguardia; ma anche giocata sul filo di una coraggiosa spregiudicatezza intellettuale, e rnotivata, quindi, da una reale volontà di capire e tramandare quei valori superando clichés manualistici a volte assai triti. Certo, la netta prevalenza della linea «avanguardista» -nella riflessione storiografica come nell'opinione comune- ci ha forse indotto a dimenticare che in quelle città, come Firenze, che più intensamente di altre avevano vissuto un'atmosfera figurativa dominata dalla contemplazione lenta di una quieta e semplice freschezza figurativa dominata dalla contemplazione lenta di una quieta e semplice freschezza naturalistica (dai nudi femminili ai brani di natura morta), il magistero degli artisti maturati negli anni '20 e '30 aveva continuato ad esercitarsi con regolare continuità: magari lontano dalle ribalte ufficiali, e quindi nella pace meditativa dell'atelier o nella dimensione «di bottega» dei laboratori scolastici; forse chiudendosi al mondo e alle mode, ma non chiudendo la mente. Marani fece ancora in tempo a respirare quegli umori, giacché il suo vero primo maestro di scultura, all'Istituto d'Arte fiorentino, fu proprio Bruno Innocenti (senza per questo dimenticare il cugino Enzo Innocenti, anch'egli insegnante all'Istituto); ed è nelle aule ariose fuori le mura, tra Boboli e Porta Romana, che venne definendosi, poco alla volta, la personalità di un artista giovane che prese a credere fermamente nella necessità di un bagaglio tecnico e formale rivolto alla contemporaneità, ma saldamente radicato nella tradizione. Del resto, Marani è troppo giovane e troppo accorto per non guardare a Innocenti ed al suo mondo attraverso il filtro del proprio tempo, reinterpretando l'universo formale dischiusosi davanti ai suoi occhi sui banchi di scuola secondo la fervida immaginazione che distingue chi tempera la contemplazione della bellezza con la curiosità sperimentale alimentata dall'esigenza di una vita attiva. Così, Marani non ha immediatamente proseguito sulla strada che la sua prima formazione avrebbe dato ad intendere, ma si è di volta in volta lasciato tentare dal concettualismo e dall'arte povera, dalle performances e dagli happenings, e da quelle avventure musicali in campo elettronico -un po' alla Sakamoto- che verso la fine degli anni '80 hanno coinciso con un momentaneo abbandono del «mestiere di scultoree (e, ancora, dalla computer graphic, cui si dedica adesso in parallelo all'attività plastica). Ha fatto esperienza, insomma, innestando gli stimoli degli anni fiorentini sul tessuto vivo di una problematico corrente: tirandosi sempre indietro, però, prima che quel che stava costruendo rischiasse di trasformarsi in cifra stereotipata. Così, sul 1990, quando la scultura, finalmente riesumata nelle sue specifiche connotazioni manuali, torna ad essere protagonista incontrastata sull'orizzonte creativo di Marani, le radici classiche di questo momento della «vita delle forme» vengono sviscerate nella piena coscienza dell'impossibilità di dar loro corpo senza materializzare in qualche modo il segno dello Zeitgeist. Perché se Marani si pone al tramonto di una parabola che scandisce la proiezione culturale di Innocenti (o di Antonio Berti, o di Quinto Martini; o, poco più indietro, di Italo Griselli, di Romano Romanelli; o di Libero Andreotti, che di Bruno fu maestro), non ci si deve nascondere che quella parabola, per quanto pregna di spessore e qualità, è ormai storicamente esaurita, e che può essere evocata sol servendosene come presupposto di una nuova esplorazione della forma. Marani si è misurato con la dimensione monumentale, ma lo spirito con cui si è accinto all'impresa non è stato certo più lo stesso della Regina di Griselli. E come l'essere stato allievo di Innocenti non lo trasforma ai nostri occhi in un epigono di Innocenti, ma ne spiega e ne fortifica la straordinaria qualità delle opzioni culturali, così l'aura crepuscolare appartiene alla traiettoria storica, ma non determina ipso facto un giudizio di valore su Marani. Ecco, dunque, che un tema di assoluto «classicismo» come quello del busto-ritratto viene affrontato dall'artista ligure mantenendo l'impostazione canonica del genere, ma accentuando il carattere totemico delle maschere facciali e, in parallelo, erodendo l'epidermide con una trama spesso assai insistita di solchi rugosi, dove pure gli antichi valori tattili del marmo o del metallo sono vinti dalla sublime scabrezza di superfici ora catafratte come cortecce secolari, ora farinose come concrezioni d'argilla. Per quanto non disdegni gettare nel bronzo i modelli di creta, Marani predilige del resto la terra refrattaria fiorentina, materiale che offre non poche risorse a chi intenda stravolgere le forme organiche trasfigurando le membra fresche in tronconi brulli e riarsi, e frantumando in polvere ogni umana bellezza di questo mondo. L'immagine di una felicità consumata e vinta nel tempo, forse annientata prima da se stessa che dagli uomini o dal fato, sembra indicare come anche nei lavori in apparenza più sereni -fa testo la serie recentissima delle figurette danzanti, di matissiana leggerezza- Marani si preoccupi in realtà di interrogare il volto meduseo delle forme viventi, rappresentandone un'idea che non è e non può essere quella platonicamente perfetta, ma è, invece, un'essenza nascosta profondamente segnata dal flusso della storia, dall'irreversibile senescenza del- l'universo. Un'indagine che tuttavia non rinnega mai il dialogo con la figuratività, come se per l'artista la scelta di non interrompere il rapporto con la realtà fenomenica fosse non arbitraria ma necessaria: solo che ogni relitto di umanità e di corporeità -la cui pregnanza di puro segmento di forma è accentuata spesso da rotture e mutilazioni, quasi da reperto archeologico- viene risucchiato in un vortice materico che pare alludere alla concezione panteistica di una natura che cerca di organizzarsi in volumi chiusi e definiti, ma non riesce a nascondere la sua composizione magmatica e organica di terra, di fuoco, di pietra. E' soltanto da questa linfa che le essenze antropomorfiche traggono il soffio vitale, ed è sempre la materia a incidere sui volti e sui torsi le sconfitte degli anni. Marani sembra intendere la scultura come racconto della memoria: non per costruire o rievocare una vicenda secondo un ritmo referenziale, ma alludendo a quella storia per fotogrammi o spezzoni, tramite ricordi sospesi di un'esistenza vissuta o folgoranti istantanee di un irrefrenabile stream of consciousness. Sul piano stilistico, viene guadagnata l'altra dimensione della vita contemplativa: non l'antitesi della classicità, ma l'anelito ad una nuova e tormentata bellezza classica. Ogni scultura è flagellata dalle scorie della materia, è intaccata da agglutinazioni di plasma: come la sabbia che avvolge un frammento di scavo, come ruggini su un ferro battuto dalla pioggia. Nell'esasperazione, ancora, dei morbidi colpi di spatola che costruivano i volti belli ma già un poco sfibrati del suo maestro Bruno. Un impressione si rafforza gettando un'occhiata ai disegni, che abbozzano appena memorie veloci di parvenze umane destinate a smarrirsi sul fondo della carta: descritte con pochi segni essenziali votati a ribaltare in piano, con metro più rapsodico e passo più breve, la medesima ricerca giocata nella terza dimensione, esse mantengono però una concisione quasi da calligrafia orientale, dove nessun tratto di penna viene speso senza necessità. I vuoti vi corrispondono ai pieni della scultura e viceversa, legittimando la solidarietà del lavoro dello scultore a quello del grafico-pittore, benché nel curriculum di Marani, quanto a intensità di produzione, il secondo resti largamente minoritario. Le variazioni tematiche delle opere su carta riconducono d'altronde a un catalogo archetipico comune anche al repertorio scultoreo, dove l'originaria dimensione ritrattistica è stravolta dalla tensione lineare verso un'astrazione idolatrica e idealizzata, verso la solennità ieratica di un simulacro magico. Perché Marani non soltanto mira a dilaniare la forma, ma ne rimette anzi in discussione gli accenti più propria- mente classico-illustrativi, conferendo alle sue creature le formidabili e stralunate fattezze di maschere rituali o di protomi primitivistiche; o addirittura di apparizioni fantasmatiche, come di spettri affiorati all'improvviso da un viluppo di rnagina ancor bruto. Al tempo stesso, è la vischiosità della materia avvolgente, eppure così ruvida e grinzosa, ad illudere l'osservatore sull'immanenza della forma in quel- la materia. Gioco difficile ma accattivante, quello a cui ci sfida Marani: perché forse non sapremo mai (ma ciascuno in cuor suo può azzardare la risposta) se i residui di materia informe abbarbicati ai brandelli umani, ai torsi spaccati, alle teste sventrate, servano davvero ad intaccare una forma data; o se, invece, rappresentino la materia organica, viva e palpitante, cui ogni forma appartiene, e da cui lo scultore -questa è, in fondo, la sua vera e grande funzione sociale- si incarica, come creatore-mediatore, di scoprirne e distillarne l'anima segreta per rivelarla al mondo. 

Fulvio Cervini - Crìtico e storico dell'arte - S. Stefano al Mare - 1966

 


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Innocenti Bruno - Scultore

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(Firenze 1906- Firenze 19..) 

Studia, come allievo di Libero Andreotti, presso l'Istituto d'Arte fiorentino, inizia la sua attività artistica verso il 1925-1926; partecipa a mostre quali la Promotrice di Torino, la Quadriennale di Roma e ad un gran numero di Biennali di Venezia dove, nel 1938, è presente con una sala personale. Tiene la sua prima mostra a Milano nel 1930. Nel 1937, a Parigi, esegue un grande pannello per il giardino dove si svolge la mostra a cui partecipa. Nel 1938 è presente a New York alla Mostra della danza, nel 1939 alla Fiera Mondiale; nel 1951 alla Mostra di scultura al. Metropolitan Museum; nel 1971 alla Mostra del Bronzetto a Padova. Numerose le sue opere pubbliche, tra le quali ricordiamo i grandi altorilievi sui boccascena del Teatro Comunale di Firenze e del Teatro delle Arti di Roma, la Campana Assunta del Campanile di Giotto a Firenze, la colossale statua del Redentore (alta 21 m.) a Maratea, il Muflone bronzeo sulla cima del Campese all'Isola del Giglio.

Innocenti Bruno fù  insegnante, presso l'Istituto statale d'arte, dello scultore Marani nel primo anno della sua permanenza nella scuola fiorentina.

 

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La statua del Cristo Redentore

La statua del Cristo Redentore, seconda per dimensioni solo a quella di Rio de Janeiro, fu innalzata per iniziativa del Conte Stefano Rivetti di Valcervo, che ne fece dono alla cittadinanza di Maratea. I lavori, diretti dallo scultore fiorentino Bruno Innocenti, presero l'avvio nel novembre 1963 e terminarono nel 1965, per un costo complessivo di oltre cinquanta milioni. La struttura è formata da un traliccio di cemento armato rivestito da un manto, anch'esso di cemento, spesso oltre 20 centimetri, per un peso complessivo di circa quattrocento tonnellate.
La scultura è alta 22 metri, mentre l'apertura delle braccia ne misura diciannove. Il viso, largo tre metri, è rivolto verso l'entroterra, quasi a voler proteggere l'intera regione.

Innocenti Enzo - Scultore

Enzo Innocenti professore di scultura presso l'Istituto Statale d'Arte di Porta Romana in Firenze e notevolissimo scultore figurativo, cugino del più conosciuto Bruno Innocenti (Vedi sopra nella pagina), fu insegnate  in modellazione della creta dello scultore David Maria Marani dal 1975 al 1978.

Dopo un primo e precoce apprendistato presso il cugino Bruno, maggiore di lui sette anni, Enzo Innocenti si iscrisse al Regio Istituto d'Arte nel 1926, divenendo allievo di Libero Andreotti e diplomandosi nel 1934, un anno dopo la scomparsa del maestro. Nello stesso 1934 vinse il primo premio nella sezione di bassorilievo all'esposizione nazionale dei Littoriali, e nel 1935 il concorso nazionale  "Sogno di madre"; nel 1936 ottenne il Premio Stibbert, e fu ammesso su concorso alla Biennale di Venezia. Negli anni fra il 1936 e il '46, in maniera non continuativa, anche a causa delle vicende belliche, fu prima assistente e poi insegnante incaricato di Plastica all'Istituto di Porta Romana e, negli anni 1939-49, presso l'Istituto d'arte di Pesaro. Nel 1951-52 insegnò all'Istituto d'arte di Verona, e, in seguito, di nuovo all'Istituto di Firenze, fino al pensionamento nel 1982.

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Maddalena Salvatico - Pittrice

 

( Ventimiglia 1916 - Ventimiglia 1985 )

Allieva del pittore Giuseppe Ferdinando Piana, si diploma presso l'accademia statale di belle arti "Albertina" di Torino. Insegnante di disegno presso le scuole medie ventimigliesi, non svolge un'attiva partecipazione nella vita artistica locale. Anche se in disparte dalla vita mondana la Salvatico da respiro ad un cospicuo numero di opere, una produzione di elevata maestria artistica che oggi testimonia come la sua opera, pur restando in ambito ristretto per molto tempo, rimanga come una delle più interessanti del panorama pittorico della metà del novecento nel ponente ligure. Zia dello scultore Ventimigliese David Maria Marani gli insegna i primi, ma fondamentali, rudimenti dell'arte del disegno e del gusto di origine ottocentensca derivatogli dalle frequentazioni scolastiche "Albertine" e torinesi e lo avvia all'arte della scultura iscrivendolo ai corsi dello scultore toscano Mastro Elio Mellis in Vallecrosia nel 1971.

Mastro Elio Mellis - Ceramista e Scultore

Scultore e ceramista di origine toscana ha vissuto molti anni della sua vita e carriera in Liguria, dove tuttora vive, tra Vallecrosia, Camporosso e Dolceacqua. Scultore figurativo ha mantenuto forti i legami con la tradizione artistico-artigianale toscana antica e su queste basi ha sviluppato le sue opere in scultura e ceramica. Ha realizzato numerose sculture su facciate di chiese Liguri. Ha insegnato scultura e ceramica allo scultore Marani dal 1971 al 1973. Vive a Camporosso e opera a Dolceacqua (Im).

Giuseppe Guarguaglini - Scultore e Intagliatore

Nato a Volterra e residente a firenze Guarguaglini è scultore e abilissimo intagliatore. Ha partecipato a numerose mostre in Italia ed estero. Una sua opera denominata il "Grande torso" del 1966 campeggia nell'atrio del comune di Prato.  Ha insegnato intaglio del legno a Marani  e a centinaia di allievi presso l'Istituto D'Arte di Porta Romana a Firenze.

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Giovanni Hubbard - Scultore

( Firenze ........... )

Artista poliedrico sviluppa la sua attività dalle terracotte figurative e ritrattistiche fino alla pietra dove è maestro e abilissimo tecnico. Di chiara origine anglosassone Hubbard ha fuso le sue origini con la piena tradizione figurativa fiorentina. 

Ha insegnato allo scultore Marani e insegna tuttora Scultura in pietra e marmi e formatura in gesso presso l'Istituto Statale d'arte di Firenze nella sezione di Decorazione Plastica.

   

 

Lucio Martelli - Formatore

Formatore e artigiano di grande tecnica e sapienza insegno formatura in gesso e lavoro' presso la locale Gispoteca per decine di anni insegnado a centinaia di allievi i segreti e le tecniche raffinate dell'arte della copia in scultura. 

Balbo - Pittore e scultore

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( Bordighera 1902 - 1980 )

1902 - Angelo Maria Giuseppe Balbo nasce a Bordighera il 1° Agosto.
Bambino, durante una visita al Duomo di Bussana, vede il Gaidano al lavoro: è viene iniziato "al mondo magico della pittura". A 14 anni, mentre frequenta il liceo classico "Cassini", incontra a Sanremo i fratelli pasquali, scultori, che lo avviano al modellato; questo incontro rende cosciente Balbo della propria vocazione artistica.
Fù allievo di Giuseppe Ferdinando Piana
Negli anni giovanili della sua formazione, conosce l'opera di tutti i pittori attivi a Bordighera nel primo dopoguerra: G. F. Piana, P. Mariani, F, Von Kleudgen, gli acquarellisti Alavena, Beppe Porcheddu, W. Quidort, V. Cavalleri, C. Follini, Andrea Marchisio, Mario Cavalla, F. Barry e il danese A. Dick.

" È guardando agli innumerevoli aspetti della natura e della vita, come ai più diversi momenti della vicenda umana, che Balbo ha creato una inesauribile e ricchissima antologia, mosso da una mai quieta curiosità esplorativa e, più nel profondo, da una assoluta necessità di intendere le cose e la realtà intorno a se attraverso la pittura stessa. Per tutta la vita egli ha visto, ha osservato, ha raccontato o ha illustrato e, soprattutto, tutto ciò ha dipinto, respingendo suggestioni e modi che non lo riguardavano, lavorando con assiduità e convinzione. Balbo ha saputo dare l’esempio di un impegno dignitoso e severo ed ha fornito insieme una lezione della più alta fedeltà ".

Massimo Cavalli,   “Il Maestro Balbo”,  da “La Voce Intemelia” del 23 gennaio 1978.

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Per Giuseppe Balbo…

Avevo 13 anni e già da due seguivo un corso di ceramica e modellato in creta tenuto dallo scultore toscano Mastro Elio Mellis a Vallecrosia, mia Zia, la pittrice Maddalena Salvatico, seconda allieva del Pittore Ferdinando Piana, mi aveva iscritto undicenne, vedendomi, entusiasta per l’arte passare le giornate a disegnare steso sul pavimento.

Con Mastro Elio Melis furono due anni di sperimentazione e scoperte infantili, una meravigliosa avventura inconscia, priva di se o di ma, solo ricolma di sorprese quotidiane. Finito il terzo anno delle medie statali mi chiesero cosa volessi fare da grande e io lineare e deciso come mai prospettai l’arte come cammino futuro.

Come ogni bimbo non venni preso seriamente, mia zia, pur essendosi diplomata alla Accademia Albertina di Torino dovette, alla fuga del marito, rimboccarsi le maniche e diventare professoressa di disegno alle scuole pubbliche e dimenticare l’arte e la carriera, due figlie da mantenere non erano uno scherzo e quindi l’arte non veniva troppo considerata un’obiettivo valido per il futuro.

Ma io, come sempre è accaduto nella mia vita, non ascoltavo altro che l’arte e il suo richiamo sibillino o forse solo la mia efferata testardaggine.

Provarono in molti modi a convincermi, ma nulla da fare, questo bimbo era deciso e ostinato come non mai.

Stanchi di insistere i miei genitori, Nello Marani e Teresa Salvatico, decisero in comune accordo con mia zia, di mandarmi a fare qualche mese estivo sotto un vero artista, un maestro insomma, che potesse verificare se l’allievo era promettente e la scelta valida.

Il nome prescelto fù  il migliore che poteva esistere in provincia di Imperia: Giuseppe Balbo, il primo allievo di Piana, il beniamino, il prescelto.

Mi mandarono allora diverse sere alla settimana presso l’Accademia Balbo che lui fondò e che in quel momento aveva sede in un sottoscala del Palazzo del Parco a Bordighera  e ci fù l’incontro con questo piccolo ma inossidabile uomo, una montagna difficile da scalare per un piccoletto come me.

Quelle stanze, dove ci si riuniva, erano scarne, semplici,  ma lì tutto girava attorno ad un soggetto o modello messo al centro: vasi, gessi, fiori e alcuni avventori che posavano, tutto intorno indaffarati noi piccoli artisti in erba e i  grandi a disegnare, a provare, e a riprovare tra carboncini, matite e tempere diluite.

L’ambiente era piacevole, stimolante, per un bimbo come me e tutto procedeva nel modo migliore in attesa del passaggio dell’amato maestro.

Lui, ammirato e temuto, arrivava lento, a metà lezione, e dietro la tua sedia con il suo bastone e la baschetta in testa, attento, guardava. Poi, con voce stridula e decisa ti stroncava, ti consigliava, ti indirizzava e noi timorosi ringraziavamo, ogni parola, ogni consiglio, sul finire della sera, ancora una volta.

Il tempo passò, e con se l’estate, fatta di estemporanee pittoriche in Francia e in provincia e si arrivò alla data fissata, dove, il maestro doveva emettere la sentenza allungo attesa: ed essa arrivò positiva e io partii per Firenze, perchè il prescelto aveva detto si e nulla poteva più fermarmi.

Era così incredibile, il sogno continuava...

Seguirono gli studi fiorentini presso la Scuola Statale d’Arte di Porta Romana, il Magistero D’Arte, e parte dell’Accademia di belle arti: grandi laboratori, grandi insegnanti di quel ‘900 fiorentino che a fatto i libri di storia dell’arte: tutti artisti che discendevano da Libero Andreotti (scultore e insegnante), da Antonio Berti, dal Porcinai, attraverso gli insegnamenti dei cugini Enzo e Bruno Innocenti, di Marcello Guasti e di molti altri…sapienze tecniche e umanistiche finite, poi, a fatica nelle nostre povere mani aperte di allievi.

E io assorbii, come una carta assorbente fa, tutto ciò che da loro arrivava, ciò che dalle mure fiorentine fuoriusciva, ciò che dai libri e dalla creta si leggeva, fù un fiume in piena che si riversava in me, che mi puliva l’anima, che la raffinava lasciandola linda e piena di speranze mai totalmente fugate. Furono anni duri, solitarii, a volte tristi, ma meravigliosi per tutto ciò che un’allievo possa sperare di vedere o fare, e io feci, feci fino allo sfinimento.

Ma, ogni cosa termina, e così fù per me, arrivò il tempo di tornare a casa, al mare, alla famiglia ormai stanca, al mia città e tornai.

Al ritorno tutto era cambiato in quel eremo ponentino ogni cosa aveva avuto un senso diverso dalla mia partenza. In quegli anni vissuti lontani da amici e famiglia avevo sentito la mancaza di un’infanzia “normale” e al mio ritorno mi sentivo di dover mostrare a tutti ciò che avevo fatto e imparato, l’artista che forse ero.

Quindi organizzai freneticamente la mia prima personale al Palazzo del Parco a Bordighera.

Fù un successo inaspettato e veloce, esposi sessantaquattro sculture di media grandezza, molti ritratti e alcune sperimentazioni, e sopresa mia fù quando vidi che venne il mondo a vederla, sconosciuti, amici, turisti, anche se molti solo per curiosità.

Ero diventato, a mio insaputa, un’animale strano da valutare, troppo giovane per essere un’artista e troppo abile per non esserlo, comunque troppo fuori dalle linee per essere compreso in quel territorio ancora troppo poco aperto al mondo.

Io non riuscivo a credere a ciò che accadeva, ma ne ero felice: vendetti 48 sculture tra prima della mostra e l’inaugurazione (questo non capitò mai più nella mia carriera), ma quella sera, al vernissage, il regalo più grande, doveva ancora arrivare.

Sciemata la gente dalla sala espositiva incominciai a mettere a posto, in modo nervoso e preoccupato: bicchieri, carte, depliants, sapevo e speravo che la giornata non fosse finita qui.

Attendevo il maestro e la sua dura e massima critica, il vero esame era quello.

E lui arrivò, ancora più vecchio e rinsecchito di prima, sempre in compagnia del fedele bastone. Entrò e immediatamente mi zittì, non volle sapere nulla da me...disse: “ fammi guardare” .

Mirò, e rimirò attentamente, silenziosamente, facendo il giro della grande sala al primo piano del Palazzo del Parco e poi venne da me sorridente e inaspettatamente disse “...ora puoi darmi del tu”.

Nulla fù più gradito, niente poteva farmi sentire meglio del fatto che lui mi trattasse, come un par suo, nulla poteva compensare così tanto gli anni di lavoro e di solitudine di un ragazzino innamorato della scultura,...io ringraziai, sorrisi e continuai a vivere quella strana e difficile avventura che sarebbe diventata la mia vita.

Lo rividi,  altre volte, nel sua abitazione-studio in via Latania a Bordighera, dove dipingeva mimose e modellava sapientemente corpi su mattonelle fini, mi parlava di quei toni di bordoux che non lo soddisfacevano, come se io, ancora infante, potessi capire ogni sua difficolta nel colore e nella vita.

Ma per me, non era ancora giunto, il tempo di capire...

Poi,  lui mori.

E’ stato il mio maestro,  il prescelto.

David Maria Marani,

Bordighera ………………………………………………………………......................................................…anno 2009

 

Sisto Zanetti - Scultore

Marcello Guasti - Scultore

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Nasce a Firenze 1924 ove risiede.

 Si diploma presso il Corso di Magistero, sezione Arti grafiche, dell'Istituto d'Arte di Firenze. Esegue, vincitore tra quattro artisti toscani, l'opera plastica per il monumento ai due Carabinieri uccisi dai te- deschi nel 1944, collocato al Parco di Belvedere di Fiesole. Partecipa a numerose rassegne nazionali ed internazionali. Tra le personali ricordiamo: a Firenze nel 1950, 1955, 1959; a Pisa nel Gabinetto Disegni e Stampe dell'Università nel 1963; recentemente si è svolta una esposizione delle sue opere a Ravenna, Milano e a Firenze (40 Sculture 1960-1980). Tra le sue opere pubbliche esegue nel 1970 a Firenze il Monumento in memoria di trentotto partigiani caduti nella battaglia di Pian d'Albero collocato nella Piazza Cardinale Elia Dalla Costa, e nel 1976 a Pesaro Scultura nella città; nel 1973 nel Parco di Soest in Vestfalia Scultura in pietra arenaria. Ha insegnato presso l'Istituto D'Arte di Firenze e presso l'Accademia di Piazza San Marco in Firenze. 

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Oscar Gallo - Scultore

Nativo di Venezia (20 Luglio 1909) ma pratese d'adozione, dove ha vissuto buona parte della sua giovinezza, si trasferì nella nostra città un anno prima della fondazione della scuole "Leonardo" che frequentò giovanissimo con Quinto Martini e Leonetto Tintori. La sua attività di scultore e disegnatore è supportata dalla partecipazione alle biennali di Venezia del 1930, '34, '36, '40 e alla mostra di Berlino del 1937 e alle Quadriennali Romane.
La collaborazione con Mino Maccari lo ha spinto a pubblicare, con una produzione di xilografie e di disegni, sulla rivista il "Selvaggio".
Oltre che artista, il Gallo ha insegnato al Liceo Artistico di Bologna e all'Accademia di Belle Arti di Firenze dove contribui' alla crescita artistica e tecnica dello scultore Marani, Marani racconta che da subito Gallo riconobbe in lui un apprezzabile artista e che quindi fu subito seguito e assecondato da Gallo nella sua ricerca artistica, una simpatia e stima reciproca sigillo' questo incontro d'arte. Gallo in seguito divenne direttore dell'accademia fiorentina.

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Andrea Fedeli - Restauratore e pittore

Nasce a Firenze nel 1943 ove risiede. 

Rappresenta la terza generazione di una famiglia di restauratori, conseguendo il diploma di Maestro d’Arte; il diploma di Maturità artistica presso l’Istituto Statale d’Arte di Firenze ed il Diploma di Magistero. E’ tra i fondatori della Scuola di Restauro della Regione Toscana. Ha insegnato all’Istituto Statate d’Arte di Firenze e all’Università Internazionale dell’Arte di Firenze, è citato in varie pubblicazioni riguardanti le opere di restauro da lui eseguite. Vanta numerose presenze televisive oltre a svariati scritti riguardanti l’ideologia del restauro. Cresciuto in un ambiente artistico-culturale come quello fiorentino si è confrontato con numerose tecniche operative, che gli hanno permesso di risolvere alcuni problemi di restauro, fra quello “ideologico” e quello “conservativo”. Conosciuto in più parti d’Italia, lavora attualmente per la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici e Ambientali di Firenze, Pistoia e Prato, Perugia per il Comune di Genova, Savona, Ferrara, Modena, Bologna, Matera, Potenza, e per numerose collezioni private. Opera a Firenze da più di venticinque anni, nel laboratorio di Viale R. Sanzio n .38, da cui sono passate molte opere che vanno da: il Bacchino di Valerio da Settignano (Giardino di Boboli), il Ciborio Vasariano di Santa Croce, “il ritratto di Gentiluomo” di Pisanello, (Palazzo Bianco-Genova) il Pulpito di Donatello di Prato, la croce del Duomo di Modena, il polittico di Simone da Firenze a Senise, la Residenza del Mati a Pistoia ed altro. In questi anni, nonostante i molteplici impegni professionali, ha frequentando artisti di fama nazionale, ha proseguito nell’esercizio del disegno, della pittura e della scultura producendo un numero ragguardevole di opere. I suoi ritratti fanno parte di importanti collezioni private. Quindi questo risulta essere una sorta di  debutto lungamente meditato, per un artista  i cui riferimenti pittorici vantano nomi altisonanti come Guttuso, Bacon, fino a ricordare l’ultimo periodo di Casorati, richiami importanti che bene s’intrecciano con l’opera che Fedeli esprime e che fino ad ora ha tenuta nascosta ai più.

Il rapporto tra Marani e Fedeli risale all'incontro tra professore e allievo presso l'Istituto  fiorentino nella sezione Intaglio del Legno. Fedeli all'ora supplente del Guarguaglini prese sotto l'ala artistica il giovane Marani da allora ne nacque una reciproca amicizia e stima artistica che si può leggere in queste parole che Fedeli scrisse per la presentazione di uno dei primi cataloghi di Marani scultore:

...L'incontro e la conoscenza di David risale al tempo della sua frequenza di quella Scuola d'Arte fiorentina, in cui entrambi, girando per quelle aule in modi diversi, ci imbattemmo, dando vita ad un sodalizio che, nonostante l'ineluttabile trascorrere del tempo e le naturali vicissitudini della vita si è mantenuto inalterato. Un sodalizio del quale sincerità, stima ed educazione sono state le premesse per la conservazione di questa amicizia, che sfidando gli anni, è rimasta fedele a se stessa. Ho guardato con attenzione le opere che mi sono state mostrate e come sempre, le ho giudicate di buona fattura e qualità, scorgendo in esse una forte volontà ed una attenta ricerca, tesa a svincolarsi da quel mondo accademico che ha sempre pervaso e che ancora pervade l'opera di David...

Andrea Fedeli 1979

Il rapporto continuò con la collaborazione su restauri scultorei e mostre d'arte e continua tutt'oggi con stima e amicizia.

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Andrea Fedeli - " Ritratto " - Olio su tela - 140 x 100 - 1998

Giuliano  Vangi - Scultore

Tra i piu' affermati e originali scultori italiani contemporanei, e' nato nel 1931 a Barberino di Mugello; E' stato allievo dello scultore Bruno Innocenti presso l'Istituto D'Arte di Porta Romana in  Firenze, da un ventennio risiede a Pesaro.

Ha tenuto decine di mostre personali, oltreche' in Italia, in Brasile, dove soggiorno' per alcuni anni, in Germania, Gran Bretagna, Belgio, Giappone, Stati Uniti, testimonianza di una salda fama internazionale. Memorabile, la grande antologica dedicatagli nel 1995 a Firenze, nel Forte del Belvedere. <e' stato presente ripetutamente alle piu' prestigiose rassegne d'arte, dalla Biennale di Venezia a Documenta di Kassel, dal Fiac di Parigi ad Art di Basilea, dalla Biennale di Sao Paulo del Brasile alla quadriennale di Roma, alla Biennale di scultura di Carrara.

Insignito nel 1983 del Premio del Presidente della Repubblica dell'Accademia di S. Luca, sodalizio di cui e' membro, ha realizzato monumenti collocati in prestigiosi contesti monumentali, come, a Firenze, la statua di S. Giovanni Battista sul fianco della Basilica di S. Croce.

La sua vasta opera e' incentrata sul primato della figura umana, interpretata in cadenze assai personali alla luce di una solidita' d'impianto e di una ricchezza di umori tutta moderna.

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Libero Andreotti

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(Pescia 1875-Firenze 1934) 

Dopo diverse e irregolari attività (pri- ( ma nell'officina di un fabbro a Pescia, poi i impiegato in una libreria a Palermo, quindi illustratore, decoratore, pittore a Firenze), si stabilì a Milano dove si dedicò ad una scultura << a piccole dimensioni >> rnodellando elegantissime opere che ebbero subito un grande successo. Nel 1905 espose alla Biennale di Venezia; dal 1907 al 1914 fu a Parigi dove organizzò nel 1911 la sua prima grande rnostra. Del periodo parigino ricordiamo una "Donna con i cembali" e una "Danzatrice" rnodellate nel 1912. Ritornato in Italia partecipò alla Prima Guerra Mondiale; si stabilì poi a Firenze dove alternò la sua attività artistica con quella di insegnante presso l'Istituto fiorentino di Belle Arti. Nel 1922 eseguì la sua prima commissione monumentale commemorando i Caduti di Roncade. Tra le mostre ricordiamo quella organizzata e presentata dall'amico Ugo Ojetti alla Galleria Pesaro di Milano nel 1921 e la retrospettiva dedicatagli dalla città di Pescia nel 1976, nella quale si è cercata una prima sistemazione critica di tutta la sua opera, e quella allestita a Firenze, nel Palazzo Strozzi, nel 1978.

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Antonio Berti

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Berti fu' un grande scultore, partecipo' a varie biennali di Venezia e Quadriennali romane, ritrasse papi e personaggi famosi come Francois Mitterand, antonio Pecci, i generali americani Hume e Clark, Barbara Hutton, susanna Agnelli, Maria Jose di Savoia, Antonio Segni, e molti altri,  realizzo' numerosi monumenti tra cui quello a Ugo Foscolo posto in Santa Croce a firenze e quello a Papa pio XII. 

In vita fu sempre apprezzato e richiesto come grande artista.

... Antonio Berti, con Innocenti, Gelli e Romiti, è stato uno degli allievi più cari di Libero Andreotti, uno scultore 'indipendente' della prima metà del nostro secolo e una personalità ancora circondata dal fascino della tradizione artistica liberale dell'Ottocento. Libero Andreotti, lucchese ma protagonista negli anni Venti della vita culturale fiorentina, è stato l'autore del monumento alla Pietà in Santa Croce a Firenze, dei monumenti ai Caduti in Sant'Arnbrogio a Milano, antagonista dei 'monumentalisti' dell'epoca fascista Eugenio, Baroni, Attilio Selva e altri che avevano raccolto dell'Ottocento non tanto la tradizione di Rodin quanto quella di un D'Annunzio rivisitato nei panni delle burocrazie militari e industriali del primo trentennio del secolo. La Scuola di Andreotti era nell'esirnio Istituto d'Arte fiorentino prima a Santa Croce, poi a Porta Romana, all'interno di una bella villa fiorentina, mentre l'accademia in San Marco era allora dominata dalla inquieta personalità di Felice Carena, artista troppo romantico per poter essere un grande Maestro di Accademia. All'Accadernia di Firenze la cattedra di scultura era tenuta dall'emiliano Giuseppe Graziosi che non nascondeva affatto le proprie discendenze dall'Ottocento di Adriano Cecioni; con Trentacoste, Rivalta, Griselli, Graziosi indicava una linea di percorso sereno e indubbiamente valido. Il gruppetto di allievi di Andreotti era parallelo, se non emarginato, rispetto alle più numerose presenze degli allievi dell'Accademia fiorentina, tra i quali spiccava la personalità di Ennio Pozzi; esso non seguiva affatto la linea tradizionalista degli anni Venti in Italia. Berti, com'è stato notato dai suoi biografi, ebbe dapprima una forte propensione per la pittura, allora influenzata a Firenze in senso progressista da Ardengo Soffici, che aveva goduto, tra Otto e Novecento, del favore eccezionale di un'esperienza francese che lo ha visto accanto, per breve momento, a personalità come Picasso e Apollinare. E' un errore tuttavia considerare la prima esperienza di Berti collegata in qualche mo do a quella assolutamente rilevante, ma assai isolata, di Soffici. Anche Andreotti veniva da Parigi dove aveva frequentato lo studio di Rodin. Sono due i toscani, Soffici e Andreotti, che hanno goduto più di tutti della esperienza interna alla cultura internazionale di Parigi. Poi sarà Modigliani a compiere questa esperienza cosmopolita senza ritorno...

Raffaele De Grada da "Incontro con Antonio Berti

 

 

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Orlando-Italo Griselli

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(Montescudaio 1880-Firenze 1958)

Nel 1903 iniziò a Firenze gli studi d'arte; nel 1905 vinse il concorso nazionale per la statua della Toscana nel Monumento a Vittorio Emanuele Il a Roma e nel 1908 quello per il Gruppo del Valor Militare al Ponte Vittorio Emanuele Il sempre a Roma. Lavorò poi in Russia per ordine dell'Imperatore Nicola Il e insegnò all'Accadernia di Pietroburgo, prima durante e dopo la Rivoluzione. Tornato in Italia nel 1923, vinse nel 1935 il concorso nazionale per il grande Gruppo in marmo dell'Allegoria dell'Arno alla stazione di Firenze; nel 1939 fu premiato con medaglia d'oro all'esposizione mondiale di Parigi con la statua Donna nuda (Gall. d'Arte Moderna, Firenze). Nel 1940 eseguì per l'Ente dell'Esposizione Universale di Roma una statua colossale in bronzo. Insegnò poi scultura all'Accacademia di Belle Arti a Firenze, dove morì nel 1958. Sue opere si trovano presso il Museo Tetriakoff di Mosca, la Galleria d'Arte Moderna a Roma (Apollo, Ritratto del pittore Felice Carena, La modella, Frammento); alla Galleria d'Arte moderna di Firenze (la Donna nuda) e a Milano, Novara, Torino, Pisa e Genova.

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