COM’E’ NATO “IL SERGENTE NELLA NEVE”

Ricordi della Ritirata di Russia

La prima stesura del “Il SERGENTE NELLA NEVE” fu in realtà un abbozzo preliminare sotto forma di appunti, ebbe inizio il 16 gennaio 1944 sulla base di alcuni quadernetti neri che l’autore aveva con sé durante le sue campagne di guerra.
Prigioniero dei tedeschi nello Stammlager 1/B, nelle vicinanze di Olsztyn, in Masuria e successivamente a Präbichl, in Stiria, nei momenti di pausa, iniziò la registrazione dei suoi ricordi.
Lo stesso Rigoni scrisse:
“mi portarono via e nello zaino avevo un rotolo di fogli dove avevo scritto i ricordi perché il tempo avrebbe potuto cancellarli dalla memoria”.
«Un rotolo di fogli», si trattava di quattro blocchi di fogli bianchi numerati che contenevano notazioni molto rapide sugli episodi che poi confluirono nella seconda parte del Sergente nella neve, “La sacca”, mentre risultavano appena accennati quelli della prima parte, che occupavano complessivamente tre fogli.
Le registrazioni dei fatti erano scarne ma essenziali.
Grazie a un amico scultore, Giovanni Paganin, Mario Rigoni Stern prese cognizione di fatti e di autori che il fascismo e le vicende non gli avevano fatto conoscere. Giovanni Paganin negli anni Trenta era emigrato a Milano per sete di conoscenza e di lavoro, e là era entrato a far parte del gruppo di Corrente.
Nelle lunghe sere paesane raccontava a Paganin dei Lager tedeschi e della ritirata di Russia. Un giorno Paganin gli chiese: "Perché non scrive queste cose?" (Allora, pochi anni di differenza d'età richiedevano il rispettoso lei). Mario rispose che qualcosa aveva scritto e così, quando nell'inverno del 1947-48 Paganin fu costretto a letto, andava a tenergli compagnia leggendogli i ricordi della ritirata di Russia scarabocchiati su vecchi stampati. Alla fine Paganin lo convinse di scriverli a macchina: alla prima occasione li avrebbe portati a Milano, da Elio Vittorini.
Fu questa la versione che Paganin fece leggere ad Elio Vittorini.

Nel 1951 Vittorini scrisse a Paganin:
"...non sai se la Casa Einaudi abbia scritto direttamente al tuo amico per quel bel libro di ricordi sulla ritirata di Russia? Io non ho saputo più niente. Ma spero di ricordarmi di chiedere la prossima volta che vado a Torino. Ora nella memoria, quando ci ripenso, mi sembra la cosa più viva che abbia letto sulla guerra...".
"Inoltre (non lo nascondo) vi sono dei difetti; di ripetizioni che forse vorrebbero essere come di ritornello, come nelle canzoni alpine, ma spesso suonano in un modo un po’ retorico. Questi difetti, comunque, se Einaudi decidesse di pubblicare, potrebbero essere eliminati facilmente dall’autore, con appropriati tagli che snellirebbero, oltre tutto, il lavoro".

Dopo più di un anno Mario fu chiamato a Milano e con imbarazzo e timore, sulla scrivania di Vittorini incominciò a leggere con lui alcuni fogli. Ogni tanto Vittorini chiedeva un chiarimento su un termine militare, lo interrompeva per sapere il significato di una parola russa o dialettale o il perché di una punteggiatura. Quando incontrò la parola "semola" chiese cosa volesse intendere, Mario diede la sua spiegazione e Vittorini disse che sbagliava, che la semola era la parte migliore del seme, che quella che intendeva era "crusca". Mario Rigoni Stern rimase confuso per la sua ignoranza ma dopo molti anni, sfogliando il "Devoto-Oli" lesse che semola era anche il residuo della stacciatura delle farine dei cereali.
Vittorini consigliò a Mario Rigoni Stern di rivedere il testo per alleggerirlo:
"ripresi il manoscritto – scrive Rigoni –, comperai un vocabolario e una grammatica e riscrissi tutto dalla prima parola; ma con più fatica della prima volta".
In quegli anni del dopoguerra lesse molto, scoprì le grandi letterature francesi e russe e i poeti e gli autori italiani che il fascismo aveva fatto ignorare: si interessava anche di Storia naturale e di Storia.
Vi furono in totale 4 stesure prima che il libro fosse accettato per il lancio definitivo, Elio Vittorini era esigente ma a buon ragione, non voleva che fosse un flop perché nel periodo erano già usciti fin troppi libri cronachistici e memorialisti che riguardavano la Ritirata dalla Russia di ufficiali, di cappellani e altri.
In una lettera indirizzata a Italo Calvino e datata 7 gennaio 1953, Vittorini annunciava:
"spedisco a parte le ultime pagine del Rigoni. (Il titolo non so ancora, ma tornerò a scriverti in proposito)".
L’ultima stesura, come lo stesso Rigoni disse anni dopo a colloquio con Antonio Motta e più tardi con Giulio Milani, aveva una patina letteraria con influenze di poeti che stava leggendo in quel tempo : Pasternak, Blok, Esenin, Majakovskij e soprattutto Eliot, e tra gli italiani Dante, Leopardi.
(Qualcuno sostenne che fu influenzato anche da Ungaretti).
Calvino rispose a Vittorini: "Ma il titolo del Rigoni? Comunicaci anche questo, se no come facciamo?"
Assieme al titolo, Calvino chiedeva anche l’invio del risvolto di copertina per il libro che stava per uscire perché quello proposto da Mari Rigoni Stern sin dalla terza stesura risultava troppo generico “Ricordi di Russia”.
Il 9 febbraio 1953 Calvino scriveva a Rigoni: "Caro Rigoni,
Lei dovrebbe mandare a Vittorini qualche suo dato biografico perché lui possa scrivere un breve testo di presentazione per il «risvolto» del Suo volume. Immediatamente perché c’è urgenza"
.
Rigoni rispose a stretto giro di posta, proponendo alcuni titoli che furono scartati. Suggerisce titoli del tipo “Alpini nella steppa” o anche “Alpini senza Alpi”: avrebbe voluto che comparisse la parola “Alpini”.
Calvino propose a Vittorini alcuni titoli:
"Caro Elio,
per il Rigoni io proporrei: Arriveremo a baita? o Ritorneremo a baita? Mi pare il titolo più consono allo spirito del libro, e al suo linguaggio. Se no: La sacca. Perché anche nel Caposaldo c’è il presagio della Sacca: tutta la guerra era una sacca"
.
Alla fine sarà Vittorini a scegliere il titolo definitivo: "Il sergente nella neve". Il sottotitolo, leggermente modificato, Ricordi della ritirata di Russia. Gli altri titoli gli parevano sciatti, soprattutto quelli proposti da Mario Rigoni Stern.
La scelta del titolo risultò fortunata. Così come fortunato fu il risvolto di copertina approntato da Vittorini.
Il risvolto di copertina, come accadeva spesso, per esplicita volontà di Vittorini nei confronti di scrittori neofiti, era sospeso tra lodi e riserve:
“Mario Rigoni non è scrittore di vocazione […] forse non sarebbe mai capace di scrivere di cose che non gli fossero accadute. Ma può riferire con immediatezza e sincerità di quello che gli accade. Tra la fine del ’42 e il principio del ’43 gli accadde di partecipare alla ritirata di Russia. Come tanti altri che vi parteciparono è stato pronto a scriverne, e noi riteniamo di poter affermare, pubblicando qui la sua relazione di sergente maggiore, ch’essa è forse l’unica testimonianza del genere di cui si riceva un’impressione più di carattere estetico che sentimentale o polemico, o insomma pratico. Una piccola Anabasi dialettale, la definiremmo. Rigoni non testimonia per rendersi utile ad una causa o a un’altra, ma per il semplice gusto che prova, in comune coi poeti, a testimoniare”.
Il libro venne subito accolto con grande favore da lettori e critici; c'era chi lo giudicava unico libro di un autore occasionale, altri invece vedevano in Mario Rigoni Stern un possibile scrittore. In paese i "professori" dicevano che "mancava di spirito patriottico" e che non vi si leggeva di "strategia militare", "di colonne che manovravano"; il giornale degli alpini scrisse che "parla male dei Superiori ma che, comunque, si potrebbe consigliare ai graduati di truppa". Mario Rigoni nel luglio del 1953 scrisse a Vittorini a proposito di una critica:
“Ho letto molte recensioni e critiche, mi pare che ora stiano esagerando. Quasi mi dispiace, perché penso che le teste di legno fan sempre fracasso. Le allego qui la recensione apparsa, ieri su «l’Unità». Purtroppo hanno scritto delle cose che io non ho detto. (E nemmeno potrei dire perché da prigioniero in Russia non ci sono stato. È un controsenso anche con il libro che di queste cose non parla affatto). Le ho sottolineate”.
Rigoni allude nella sua lettera alla recensione di Maria Teresa Gallo che dalle pagine del giornale cercava di attribuire alla testimonianza di Rigoni un valore esplicitamente politico, che non ha mai avuto.
Il libro ebbe una fortuna eccezionale, dovuta alle caratteristiche proprie del testo, ma anche all’ "entusiasmo con cui la Casa editrice s’è mobilitata per il lancio".
Sono, queste ultime, parole di Calvino, che risponde ad un Rigoni spaesato nel mondo dell’editoria e della intellettualità italiana.
Che l’impegno di casa Einaudi fosse stato cospicuo è rilevabile dall’altissimo numero di recensioni che seguirono la pubblicazione de Il sergente nella neve:
“Ma come? – scriveva Calvino a Rigoni in luglio – Lei non sa d’essere lo scrittore del giorno? L’uomo più discusso, esaltato, celebrato su tutti i giornali italiani? E sia dai critici più autorevoli come De Robertis e Bocelli, sia di recensori brillanti dei settimanali ad alta tiratura? E che il suo libro ha successo in tutti gli strati di pubblico?
La prima edizione era di duemila copie, la seconda è di tremila; non so dirLe ora a che punto sia, ma credo che vada avanti benissimo”
.
A “Il sergente nella neve” venne assegnato il Premio Viareggio opera prima 1953.