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V O C I

     
             
             
      Camminava lentamente sulla spiaggia. I lunghi capelli scuri, mossi dal vento, le schiaffeggiavano il viso inondato di lacrime.
Intorno a lei c'era il silenzio, interrotto solo dal quieto mormorio della risacca, e dal grido dei rari gabbiani che veleggiavano sul mare, in lontananza.
Era arrivata fin lì, dove le onde s'infrangono, sperando di trovare un po’ di pace. Le voci stavano diventando sempre più forti, dentro di lei.
A stento, ormai riusciva a dominarle, a farle tacere, seppure per poco. Ben presto, lo sapeva,  sarebbe giunto il momento in cui non sarebbe più stata in grado di sopportarle.
Si trovava in quella difficile età in cui non si è più bambina, né ancora si è donna. La sua snella figura, ancora acerba, prometteva una splendida maturità. Aveva un viso dolce, dai lineamenti delicati e grandi occhi neri e luminosi.
Il suo carattere, già piuttosto chiuso e riservato, si era incupito negli ultimi tempi. C'era qualcosa che la preoccupava e la intimoriva, ma non sapeva cosa fare, né osava parlarne con alcuno.
Non erano solamente i cambiamenti del suo corpo di adolescente che la turbavano, ciò che la spaventava di più era che qualcosa stava mutando nella sua mente, e cresceva acquistando forza.
Da sempre udiva le voci, sin da quando era una bimba molto piccola che sapeva appena sgambettare nell'immenso spazio aperto che era per lei il cortile di casa.
Era un gioco bellissimo, che aveva imparato a tenere segreto perché si era accorta che al babbo e alla mamma non interessava. Questo le era apparso subito chiaro, perché tutte le volte che andava dai suoi genitori per mostrare loro i suoi tesori, le rispondevano distrattamente e la rimandavano a giocare, perché avevano sempre molto da fare.
In seguito, un poco più grandicella, ai tempi delle elementari, aveva cercato d'insegnare il suo gioco ai compagni di scuola; ma, stranamente, a loro non riusciva mai e finiva sempre che si arrabbiavano con lei e poi la deridevano chiamandola: “matta-matta”
Così,  sentendosi rifiutata dagli altri, aveva capito che non doveva dividere il suo grande segreto con alcuno. Era un gioco meraviglioso che non l'annoiava mai. Le bastava semplicemente prendere in mano un oggetto qualsiasi, concentrarsi un poco chiudendo gli occhi, per sentire la sua voce e ascoltarne la storia.
Una notte, aveva circa sette anni, un pinocchietto di legno, che le era particolarmente caro, le raccontò la fantastica storia di quando era parte di un albero in una grande foresta. Le narrò del quieto stormire delle fronde ai dolci venti tiepidi del sud, dell'urlo delle violente tempeste, dello schianto lacerante dei fulmini, del brontolio possente dei tuoni.
Le parlò della penetrante fragranza del sottobosco, e delle voci delle mille piccole e grandi creature che popolavano la foresta.
Poi, con suo grande sgomento, la piccola si trovò proprio là, nell'antico bosco.
Per un fuggevole attimo i suoi piedini nudi poggiarono su di un tappeto di foglie secche e scricchiolanti. Si spaventò moltissimo, e fu proprio la sua paura a farla tornare nel suo caldo lettino, portandosi dietro un soffio di profumo silvestre e il vago ricordo di tronchi millenari immersi nella nebbia.
I genitori, accorsi alle sue grida, non riuscirono a comprendere le sue parole confuse, interrotte dai singhiozzi. Le dissero che aveva fatto un brutto sogno e la rimisero a dormire.
Ma Giulia sapeva di non aver sognato affatto, e, da quella volta, stette molto attenta a non lasciarsi trasportare dai racconti delle voci, perché temeva di essere nuovamente trascinata, sola e impaurita, in un luogo sconosciuto.
Così Giulia crebbe, ascoltando le voci  che le raccontavano bellissime storie. Ancora più belle delle favole, proprio perché erano vere. Storie di quando la terra era giovane, e gli uomini non erano gli unici suoi abitanti. Storie antiche di elfi e principesse, di cavalli alati e di nani e gnomi.
Aveva il cuore colmo di sogni e di avventure, Giulia, quando le voci incominciarono a cambiare.
Da alcuni mesi, infatti, le voci che udiva non erano solo le care compagne della sua infanzia, calde e rassicuranti. Sempre più spesso, queste venivano soffocate da altre voci imploranti, dolenti e angosciate.
Erano voci sconosciute, vibranti di dolore e di disperazione.
Alcune volte aumentavano d'intensità levandosi in un coro doloroso e ossessionante, altre volte si riducevano a un'eco mormorante, ma erano sempre confuse e incomprensibili.
Farle tacere stava diventando sempre più difficile ed estenuante per Giulia.
Ultimamente, s'insinuavano addirittura nei suoi sogni, turbandole il sonno.
Spesso le capitava di svegliarsi in piena notte, col cuore in tumulto per l'angoscia e la paura che le comunicavano.
Acquistavano vigore di giorno in giorno, ed ella temeva di esserne sopraffatta.
La sua mente vacillava sotto quelle ondate di dolore, aveva il terrore d'impazzire, Giulia, di perdersi in quelle grida.
Certe volte, le pareva di riconoscere la propria voce tra le mille urlanti. Allora, si copriva inutilmente le orecchie con le mani, e fuggiva, desiderando con tutto il cuore che quelle voci si acquietassero, restituendole così la ragione.
Era accaduto anche quel giorno, quando era arrivata  correndo sino alla spiaggia, esausta e in lacrime.
- "Chi siete?" - domandò disperata al vento salmastro che le scompigliava i capelli.
- "Cosa volete da me?" - urlò alle nuvole che correvano alte nel cielo.
Le voci gridarono all'unisono in un crescendo sempre più forte.
Giulia, schiacciata da quel suono, barcollò inebetita, perse l'equilibrio e cadde a terra scossa dalle convulsioni.
- "Non sono mai state così forti" - riuscì a pensare, prima che il parossismo di quei suoni le paralizzasse il corpo e la mente.
Infine, dopo un'eternità di agonia, il silenzio e l'oscurità l'avvolsero con una pietosa coltre d'insensibilità.
Silenzio.
Dopo tanti, troppi giorni, finalmente.
Riposo, quiete.
Giulia rinvenne. Si sentiva sfinita come dopo una lunga malattia.
Lentamente aprì gli occhi e vide il tramonto che infuocava l'orizzonte.
Ancora debole, si mise a sedere e si guardò attorno.
Silenzio.
Le voci erano sparite, svanite nel nulla.
Si alzò tremante e fece qualche passo incerto, ancora incredula.
Non più dolore, angoscia, disperazione. Solo calma e silenzio, infiniti.
La sua anima bevve avidamente questo silenzio, come pura acqua di fonte nel deserto. Se ne nutrì voracemente, come pane per l'affamato.
Le sue guance ripresero colore, i suoi occhi vita.
Poi, dolcemente, una voce l'accarezzò e le diede il benvenuto.
- "Brava! Finalmente ci sei riuscita! Hai innalzato la barriera di difesa. Ora la tua mente sa come proteggersi. Hai sofferto molto, lo so. Ma tu sei forte e giovane, e hai saputo superare questa dura prova.
Attendevo con ansia questo momento. Vieni! Ti sarà chiarita ogni cosa. Non temere, non corri nessun pericolo, ora non più. Ti aspetto."-
E Giulia andò fiduciosa, seguendo quella voce gentile che le faceva da guida.
Camminò a lungo, non seppe mai per quanto. S'inerpicò per aspri sentieri rocciosi sentendo rumoreggiare il mare sotto di lei, lontano
Possente e misterioso, il bosco le si parò innanzi all'improvviso.
Giulia, addentrandovisi, lo varcò  non solo nello spazio, ma anche nel tempo.
Lo vide com'era ai suoi primordi, quando c'erano solo poche, tenere piantine, giovani e fragili. Lo vide crescere e moltiplicarsi nel corso dei secoli. Lo vide come sarebbe stato nel lontano futuro, con gli ultimi, stentati alberi che si ostinavano a voler sopravvivere sotto i fiochi raggi di uno strano sole gonfio, rosso e morente.
Lo vide com'era nel presente, in tutta la sua gloriosa bellezza.
Giulia amò quel bosco nel pieno del suo fulgore. E il bosco la riamò, e l'accolse come un amante. Si aprì per lei, mostrandole i sentieri più facili  e sicuri, vegliandola e proteggendola durante il suo cammino.
Giulia seppe di essere arrivata, quando giunse ad un'ampia radura.
Le stelle scintillavano su quello spiazzo erboso, e l'aria era pervasa dai densi aromi silvani.
Solitaria e regale, una figura ammantellata di bianco sedeva su di un masso in attesa.
Giulia si fermò di colpo, trattenendo il respiro per la sorpresa.
La bianca presenza si alzò in piedi e si tolse il cappuccio.
In quel momento, la luna piena illuminò il suo volto.
- "Com'è bella!" - Giulia pensò, guardando quell'ovale perfetto, incorniciato da un'incredibile cascata di capelli biondi.
Le due donne, una assai giovane, l'altra più matura, ristettero a lungo immobili l'una di fronte all'altra, guardandosi negli occhi.
Poi, lentamente, la donna bionda alzò una mano e sfiorò  gentilmente con la punta delle dita la fronte di Giulia.
- "Guardami, Umana" -  le disse.  - "Avrai le risposte che cerchi."
Giulia obbedì, e, subito si perse, sprofondando, in quegli occhi verdi, chiari e immensi.
- "Il mio nome è Colei che Ascolta, e appartengo al nobile Popolo degli Elfi.
Sono l'ultima della mia gente, perché così è piaciuto al Dio di questo universo.
Egli volle che l'antica e orgogliosa razza degli Elfi finisse, e un'altra  prendesse il suo posto.
Questa nuova razza è quella degli Uomini, la tua, Umana.
È una razza giovane, per questo non sa, o non vuole ancora, ascoltare.
Per anni e anni, infatti, ho cercato e chiamato, inutilmente.
Infine, quando temevo ormai di fallire, ti ho trovata.
Ti ho vista crescere, Umana, e ho visto crescere in te la sensibilità e le doti che tanto avevo cercato.
Allora si è riaccesa in me la speranza: forse avevo trovato chi avrebbe, dopo di me, potuto continuare ad ascoltare le Voci.
Tu le hai già udite, Umana. Per poco la loro forza non ti ha distrutta.
Ma la tua mente ha saputo dominarle.
D'ora in poi le sentirai solo quando e quanto lo vorrai.
- "Che cosa sono?" -  ti starai chiedendo. Esse sono le Voci del Mondo.
Sì, Umana, tutto ciò che esiste è vivente e possiede una Voce.
Dal granellino di sabbia, alle possenti vette, dalla minuscola goccia d'acqua, agli oceani immensi. Ogni cosa ha vita, ogni cosa ha un'anima, ogni cosa ha un canto.
Un canto che può essere terribile, Umana, e tu lo sai bene, oppure può essere magnifico, glorioso, esaltante.
Il mio compito è ascoltare queste Voci, le Voci degli Esistenti.
Io le ascolto, Umana, e unisco il mio canto al loro, quando questo si affievolisce.
Io le raccolgo e le guido, quando si perdono. Gioisco con loro, quando esultano per la loro stessa esistenza.
Conosco ogni parola, una per una, e le trascrivo sul Grande Libro della Vita, affinché non vengano mai dimenticate o perse, affinché nessun frammento di esistenza svanisca nell'eterna morte che è il Nulla.
Sì, questo è il tremendo pericolo: se nessuno saprà più ascoltarle, guidarle e proteggerle, esse s'indeboliranno fino a morire, e quando le Voci moriranno, il Mondo stesso finirà, perché avrà perso la sua Anima.
Tutto, allora, svanirà nel nulla, come se non fosse mai esistito.
Questo è il mio compito, Umana.
Ad esso ho dedicato l'intera mia esistenza, per molti di quelli che voi Umani chiamate millenni.
Ma da tempo so   che la mia fine non è lontana.
Presto verrò chiamata a nuovi compiti altrove, in un'altra vita, in un altro Universo.
È per questo che ti ho chiamata, Umana. Perché tu sia la nuova Colei che Ascolta.
Vorrai, Umana?.....Figlia? Vorrai ascoltare tu, dopo di me?
Vorrai essere partecipe della Vita che sgorga e zampilla ovunque, e canta con voce possente l'armonia del Creato?
Vorrai dedicare a questo compito ogni tuo respiro, finché avrai vita?
Vorrai tutto questo, Giulia?"   -

 
E Giulia, col bel viso raggiante, disse  -"Sì" -  semplicemente.
Allora, ogni Esistente intonò per lei il suo canto.
Per Giulia, Colei che ascolta.
     
             
     

Lucilla

     
             
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