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Alex

     
             
             
     

La giornata era stata dura, Alex stanca, spense il computer.

     
      Fuori era quasi buio e come al solito a quell’ora cominciava a provare un senso di inquietudine.      
      Nel complesso di uffici dove lavorava come pubblicista e traduttrice, stavano per spegnere le luci.      
      Era tempo di tornare da Chiara: “ sarà meglio che mi sbrighi ” pensò “se non voglio essere in ritardo anche stasera!”      
      Alex chiamò l’addetto alla sorveglianza ma l’unica risposta che ebbe, furono gli echi dei propri       
      passi fra i corridoi vuoti.      
     

 “Oggi dovrebbe essere di turno “Ressaca”, speriamo che non si sia ubriacato anche stasera!”

     
      “ Quando c’è lui di servizio non si può mai essere sicuri!” L’ultima parola le uscì dalla  bocca       
     

quasi urlata ma ad ascoltarla bene, si sarebbe potuto pensare che fosse quasi uno scongiuro.

     
     

Le lampade al neon bianche e livide che illuminavano le piastrelle grigie del pavimento,

     
      creavano profonde isole di buio ad ogni svolta: pozze nere senza forma né sostanza.      
      TLACK! In un attimo si spensero le luci.      
     

Alessandra, smarrita, emise un gridolino.

     
      Nel buio totale avanzò a tentoni cercando di raggiungere la parete più vicina, la sua mano umida      
     

però, cozzò contro del metallo freddo e duro, curvo.

     
     

“ Un pomo, strano, non mi ricordavo che ci fosse una porta…”

     
     

Vediamo un po'…” la serratura era aperta. “ Che stanza è questa?”

     
     

La donna si infilò nel riquadro ancor più scuro dello spazio nero che l’avvolgeva.

     
     

“Ecco l’interruttore!” due tre volte premette il pulsante. “ Niente! Non si accende…” Si girò sui 

     
     

suoi passi per tornare nel corridoio familiare ma non riusciva a trovare l’apertura sconosciuta.

     
      L’inquietudine si stava trasformando in ansia, appoggiò i palmi sul muro premendo e spingendo,      
      finché non le si spezzò un’unghia ben dipinta contro quella superficie solida ed impenetrabile.      
      Si volse di scatto, il cuore le batteva forte.      
     

In un angolo, in fondo alla stanza misteriosa, balenò per un attimo un riflesso. Alex come una 

 

   
     

falena impazzita si precipitò verso quell’effimera immagine di luce.

     
     

Il barbaglio proveniva dal vetro di una finestra che si affacciava su un prato ben curato, al centro 

     
     

del quale stava una grande vasca illuminata da alcuni fari in lento movimento posti a pelo del- 

     
     

l’acqua.

     
     

“Una piscina! Non c’è mai stata una piscina qui!” Un rumore sordo. “ Chi è?” Alex si voltò di 

     
     

scatto gli occhi rivolti e spalancati verso il buio solido della stanza. “Sei Josè?…” chiese con voce 

     
     

incerta.

     
     

Niente, nessuna parola rassicurante giunse dal vuoto spazio avvolgente… ma dietro la nuca

     
     

cominciò ad avvertire una sensazione, la peluria invisibile e sottile si stava drizzando, come a 

     
     

indicare una situazione di pericolo.

     
      Si mosse di nuovo, veloce, in direzione della finestra. Stava per perdere il controllo e l’urgenza di      
      uscire da quella stanza sconosciuta e incomprensibile, moltiplicava all’infinito la sua angoscia.      
      “ Dio! Devo uscire! C’è qualcosa qui!”      
      Tutto il suo corpo era in allerta, si sentì sfiorare la guancia da qualcosa di freddo.      
      Un’ombra senza volto la osservava con occhi duri, Alex non poteva vederla ma la sentiva      
     

muoversi attorno a sé muta e indagatrice.

      
      Corse. Le sue gambe lunghe presero la decisione in modo completamente autonomo.      
      Il buio la inghiottì quasi fosse un liquido denso, il suo piccolo naso dalle narici dilatate e frementi,      
      fendeva quella materia irreale.      
      La riconobbe infine: era la sostanza di cui sono fatti gli incubi.      
      “Chiaro!” La luce le feriva gli occhi, ma il dolore aveva un solo significato: “ Sono fuori!”      
      I suoi passi frenetici le rimandavano un suono soffocato.        
      In un punto imprecisato, fra l’inizio della sua folle fuga dalla stanza buia, dalla creatura senza        
      nome, e lo spazio aperto in cui si trovava, aveva perso le scarpe.      
      La perdita la colpì. Quando si sentiva un po’ depressa, oppure aveva avuto una delusione, Alex      
      andava a spasso per il centro e finiva sempre per comperare un paio di scarpe.      
      “ Ahi Che male! Le scarpe… non le ho più”.       
      Questo pensiero, si accorse con sorpresa, le fece provare una forte malinconia, quasi avesse      
      perso ben più di un capo di vestiario.      
      Il cuore non martellava come prima nel suo petto, la luce e il dolore ai piedi l’avevano calmato      
      un poco.      
      Si avvicinò al bordo della piscina: “Cosa mi sta succedendo…la stanza, la presenza che ho      
      avvertito” diede uno sguardo ansioso nella direzione dalla quale era venuta, “ questo luogo       
      impossibile…”      
      Non si muoveva niente, nessuno si precipitava su di lei minaccioso.      
      Ansimando si mise a camminare sul bordo della vasca, era di mattoni in cotto rosso, appena       
      tiepidi.        
      Sfiorò con la punta delle dita la superficie liquida, era di un bel colore azzurro, il suo gesto      
      smovendola, creava riflessi e distorsioni.      
      Si mise a sedere sui mattoni e infilò entrambi i piedi nella piscina.      
      “Ah che bello, è fresca… mm…”      
      “ Chiara!” Il nome le usci di bocca prima ancora che il pensiero divenisse conscio.      
      La paura, la corsa concitata, le avevano fatto dimenticare la sua bambina ma adesso che      
      cominciava a riprendere il controllo di se, la sua mente corse subito alla piccolina.      
      “Cosa ci faccio qui! Devo andare a casa, si a casa…” Fece per alzarsi ma scivolò nell’acqua, la      
      sentiva fredda, fece uno sforzo tentando di uscirne ma il bordo diventava sempre più alto e liscio.      
      Sentiva freddo alle gambe, no, era più che freddo, una sensazione di gelo che toglieva ogni altra      
      sensibilità.      
      Alex graffiava le pareti rosse del colore del sangue con le sue unghie inferendo profondi tagli in      
      quella sostanza diventata simile alla carne.      
      Ormai immersa fino al petto guardava in alto, le mani protese verso il bordo irraggiungibile, da      
      questo si sporse un volto pallido senza occhi né bocca che la fissava muta, eppure Alex seppe che      
      quella maschera inespressiva stava sorridendo beffarda.      
      Non sentiva più niente immersa in quel liquido azzurro che sembrava acqua ma non lo era, solo      
      freddo fuori e dentro di lei.      
      Si ricordò che doveva fare una cosa prima di soccombere, era terribilmente importante, non      
      ricordava… ecco sì… chiuse gli occhi e pianse.      
      Caldo, luce, bagnato, duro, soffice.      
      Aria sulla pelle, fresco sulle mani, rumore nelle orecchie, profumo nelle nari.      
      Si mosse.      
      Il sole caldo le batteva sul capo dorato e sul corpo nudo, Alex ebbe un sussulto, si mosse, si girò      
      su un fianco.      
      Aprì gli occhi e vide un sole basso e splendente circondato da corolle di nubi rosa, rosse,      
      variegate da striature color dell’oro.      
      La brezza che la accarezzava tiepida odorava di sale.      
      Rivoli di acqua marina scendevano giù dalle spalle disegnando bizzarri arabeschi sulla pelle.      
      Si guardò una mano, era appoggiata sulla superficie scabra di uno scoglio, mentre le dita       
      avevano attorcigliate delle alghe verdi, umide e soffici che le davano una gradevole sensazione       
      di benessere.      
     

L’acqua marina, rifluendo dalle piccole pozze dal profumo pungente, sciaguattava con ritmo

     
     

calmo e rassicurante carezzandole le piante dei piedi.

     
      Alex emise un lungo tranquillo sospiro“ che bello! Questo luogo è meraviglioso!”      
      Si alzò in piedi, verso il sole poteva vedere una estensione infinita di onde che con lento      
      movimento distribuivano lampi argentei nell’aria tremolante.      
      Dietro si allargava a ventaglio una bassa scogliera, un insieme di cavità scavate dalla risacca, qua      
     

e là delle pozze d’acqua riflettevano il mutevole cangiare delle nubi.

     
      Alessandra si avviò in quella direzione.      
      C’era anche un suono adesso, una esile vocina tutta assorta e compiaciuta di sé; un fagottino si      
      mosse, battendo la manina paffuta sulla superficie di una di quelle pozze, facendo schizzare      
      diamanti liquidi tutto intorno.      
      “Chiara, la mia bimba!” Alex corse da lei, la prese in braccio di slancio e la coprì di baci, la      
      bimba le tirò il naso e risero a crepapelle, poi insieme, madre e figlia si incamminarono sul       
      sentiero che davanti ai loro piedi si snodava agevole, era certa che sarebbero tornate a casa.      
      Il sole alle loro spalle, con un ultimo guizzo si tuffò nell’oceano, forse fu solo un gioco di luci,      
     

un’illusione ma in quel preciso momento, la pozza che Chiara aveva agitato si calmò del tutto e

     
      nel fondo si sarebbe potuto scorgere una pallida maschera senz’occhi né bocca.      
      Nel punto esatto dove avrebbero dovuto esserci le labbra, un tacco spezzato lacerava quel       
      simulacro di volto.      
      Non avrebbe mai più potuto sorridere beffardamente, sarebbe rimasto muto per sempre.      
             
     

Paolo Saltamonti

     
             
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