di Gad Lerner
Estratto da "La Repubblica" del 21 maggio 2000
da
Compagnia dell Opere, Official Website
http://www.cdo.it/pages/cdodoc_c.htm
Un nuovo potere ha sbancato la sinistra
E don Giussani può celebrare la sua vittoria
Gli uomini della Compagnia delle Opere rivendicano il terremoto che ha spazzato via i progressisti, scaturito da un "movimento per la libertà" che ha portato al centrodestra il 62,5% dei voti
"Questo modello", alza la voce il presidente riconfermato, "conquisterà l'Italia perchè la gente, mica soltanto i cattolici, non ne può più di centralismo, vuole muoversi senza più lacci"
di Gad Lerner
Estratto da "La Repubblica" del 21 maggio 2000
Hanno vinto loro, la generazione dell’antisessantotto. Li incontro nelle strade della mia giovinezza militante, tra largo Richini e piazza Santo Stefano, i dintorni dell’università Statale pavimentati di nuovo col pavè, tanto nessuna si sogna più di sradicare i sanpietrici per tirarli addosso alla polizia. Stessi luoghi ma mondi diversi. Stessa birra di mezzanotte alla Pizza Pazza, fiché il cameriere ci caccia via, a parlare di due Milano vissute al contrario con Giancarlo Cesana, il responsabile laico di Comuone e Liberazione, e con gli Alberto Savorana, i Renato Farina, miei coetanei ciellini brianzoli non ancora del tutto consapevoli di rappresentare l’antisessantotto pervenuto al potere, la vittoria dell’individuo contro il collettivo.
E’ la presenza che ha soverchiato l’utopia, direbbe il loro amato Giuss: il vecchio, acciaccato don Luigi Giussani che adesso può godersi la sua rivoluzione lombarda dalla comunità dei "Memores domini". Lì tra Assago e Buccinasco, con lui vive anche Giorgio Vittadini, presidente della Compagnia delle Opere, il professore dalle lenti spesse, la barba sempre mal rasata e il nodo della cravatta allentato.
Dopo il voto del 16 Aprile, Roberto Formigoni rieletto presidente della regione con il 62,5% dei voti, la CdO ha distribuito un volantino esultante: "E' una vittoria che viene da lontano, dalla fine degli anni Sessanta e forse anche da prima", scrivono.
E poi rivendicano il "terremoto" che ha spazzato via la sinistra, scaturito da un "movimento per la libertà" che "laddove ne ha avuto la possibilità, in Regione Lombardia per esempio, ha messo in moto una creatività legislativa e riformatrice che ora gode di un consenso non inaspettato, ma inaspettatamente ampio".
Per la verità al trentesimo piano del Pirellone, trovo un Roberto Formigoni che si schernisce di fronte all'immagine esagerata di una Cl al governo, ricordando che senza la potenza di Berlusconi, senza gli alleati di giunta, nulla di simile sarebbe accaduto. E' vero, il Piemonte, il Veneto e la Liguria sono lì a dimostrare che al Nord il Polo vince lo stesso, con o senza le Opere cielline. Ma è qui che esprime un modello - il modello lombardo - e un profilo ideologico con cui l'anno prossimo l'Italia intera sarà chiamata a fare i conti.
Il carisma berlusconiano, il guscio vuoto del liberismo di Forza Italia, si sono riempiti di quelle che i ciellini chiamano "comunità intermedie". E' "l'incontro fra matrice liberale e tradizione religiosa" la sintesi predicata Formigoni. "Questo modello - alza la voce - conquisterà l'Italia, perché la gente, mica solo i cattolici, non ne può più di centralismo, esprime un'ansia di libertà spaventosa". Di certo la Cei gli ha già dato la sua benedizione, se Formigoni può permettersi di attaccare in pubblico il Cardinale Martini, incurante perfino delle perplessità cielline, da Don Giussani a Cesana: tanto una tacita approvazione gli giunge da Oltretevere.
Ma prima di parlare con il governatore di una regione ricca e popolosa come l'Olanda, e' altrove, di fianco alla vecchia Statale, in via Sant'Antonio, che incontro il segreto dell'appartenenza su cui si fonda il modello lombardo.
A cinquanta metri dal chiostro rinascimentale del Filarete dove ci radunavamo noi studenti di sinistra, entro in un altro chiostro trasformato in sala coperta, di cui ignoravamo perfino l'esistenza. E' il "salone Pio XII" della diocesi ambrosiana, dove questa sera Renato Farina intervisterà Giancarlo Cesana sulla sua esperienza di medico e docente vissuta lontano dai riflettori della politica. Un pubblico di brizzolati dottori, quarantenni-cinquantenni, studenti della facoltà di medicina all'epoca in cui vi comparve il primo dazebao intitolato Comunione e Liberazione, divenuti nel frattempo primari, amministratori della sanità regionale, manager del no-profit e delle cliniche private.
A frasi secche, masticando chewing gum, lui comincia a parlare del dolore della malattia. Sono loro, il dolore e la malattia che in noi determinano la fine del senso, interrompendo il nesso di felicità che andavamo cercando con il mondo reale. D’un tratto quel nesso si vanifica. "Così capisci che la nostra vita non è nostra. Di chi è la vita, allora? Se il senso non me lo do io, chi lo dà?". Dunque, la malattia come obiezione alla mia esistenza: "Anche la persona più distratta verrà portata dalla malattia dentro questa domanda".
Nel silenzio del "salone Pio XII", Cesana svolge la concatenazione logica che lo porterà a negare l'idea stessa di medicina di Stato e il "principio statalista" della riforma Bindi. Ma se lui, così appartato, è da tempo il leader laico di Cl, lo si deve alla prima parte del discorso, al primato della dimensione religiosa.
Davanti alla birra della "Pizza Pazza" mi assicura di non aver avuto alcuna voce in capitolo nella riforma privatistica della sanità lombarda, anzi, l'avrebbe fatta un po' diversa. Ma al microfono si compiace del trasferimento in politica delle sue idee, primo fra tutti il concetto che anche i privati possano diventare servizio pubblico: l'istituzione si riserva di determinare gli standard, ma riconosce il diritto di fornire prestazioni sia ai pubblici che ai privati.
E li remunera alla pari. Non sono passati invano quasi vent'anni dacché Don Giussani lanciò lo slogan "più società, meno stato".
Hanno tutti chi tre, chi quattro figli i ciellini che si lamentano con me delle somme ingenti investite per educarli alla loro cultura, nelle scuole religiose. Si rallegrano del buono-scuola regionale che dall'autunno prossimo coprirà, tanto per cominciare, il 25 per cento delle loro spese: "Perché dovremmo continuare a pagare il doppio, una volta alla nostra scuola, l'altra alla scuola pubblica?". Per loro la libertà della persona e' innanzitutto la libertà dallo Stato, libertà di organizzarsi secondo un principio di "appartenenza", tramite l'edificazione di "opere" concrete. E lo Stato, se è democratico, per favore faccia un passo indietro. Liberismo più società privata, ecco il modello lombardo. Perciò la Bindi e Berlinguer, esclusi dal Governo, rappresentano la sua prima vittoria simbolica.
Nell'ora tarda riaffiorano i ricordi. Dopo che la prima generazione ciellina degli anni Sessanta al liceo Berchet si era infranta sugli scogli della politica rivoluzionaria, Don Giussani convoca nel '76 a Riccione i suoi discepoli della Cattolica per contrapporre di fronte a loro due parole: "presenza" e "utopia".
Basta con la politica, basta con l'utopia che ha portato il movimento ad annebbiarsi "fino alle tenebre del Sessantotto". D'ora in poi, dovrete saper scegliere la presenza operosa: "E' necessario che cominciamo a prendere sul serio la fede come reagente sulla vita concreta". Non poteva essere più chiaro e profetico, il Giuss. Per loro che hanno vissuto come tenebre la cultura del Sessantotto, e oggi la seppelliscono, giunse in soccorso il concetto chimico di fede come reagente, fattore di coagulo tra mille diverse attività concrete.
Basta visitare l'atrio di via Canova 19, sede della Compagnia delle Opere: tappezzato da un vasto catalogo di targhette per indicare imprese operanti nei più vari campi della vita umana, dalla musica all'ambiente, dal lavoro interinale all'assistenza domiciliare, dall'istruzione alla produzione. E Fiorenzo Tagliabue, forse il primo impresario ciellino dai tempi di Radio SuperMilano (messa su con Alberto Contri, oggi C.d.A. RAI) al "Sabato", fino al Centro televisivo vaticano e oggi alle relazioni istituzionali, può teorizzare così sul modello lombardo: "E' un mix tra Tocqueville e Leone XIII, fra i principi del liberalismo e la dottrina sociale della Chiesa".
Forse l'esempio più rivelatore di come il liberismo in salsa ciellina sia entrato in sintonia con la metamorfosi del mondo del lavoro lombardo, si trova al terzo piano di via Canova: ci trovi la Gefi di Antonio Intiglietta, inventore della mostra mercato "Artigiani in Fiera"; in pratica la riedizione popolare della vecchia Fiera Campionaria, visitata ogni anno da un milione di persone durante il ponte di Sant'Ambrogio. L'ultimo a inaugurarla è stato D'Alema, subito seguito tra gli stand da Berlusconi.
Le seimila imprese associate alla CdO lombarda saranno pure una goccia nel mare dell'economia regionale, ma hanno idee, servizi e soprattutto una voce attraente con cui farsi sentire. Giuseppe Zola, ciellino della generazione del Berchet e tuttora responsabile cittadino del movimento, sta per essere nominato presidente dell'Ente Fiera, di cui è già commissario.
Formigoni minimizza il ruolo di Cl, lui fa il politico di Forza Italia, mica l'organizzatore sociale. Anzi, è disposto a rilasciare dichiarazioni solo a patto che prima io citi per nome e cognome gli alleati, coloro che hanno concepito insieme a lui il modello lombardo: Alberto Zorzoli, il vice presidente (FI) ; Carlo Borsani assessore alla sanità (AN); Paolo Romani, coordinatore regionale di FI. Ma poi si alza in piedi, solca l'ufficio a falcate, leva in alto le braccia e mi investe: "Abbiamo abbondantemente saccheggiato territori che la sinistra considerava suoi, periferie, anziani, volontariato, perché abbiamo dato una speranza al blocco sociale dei non garantiti, di chi tira la carretta e sa inventarsi un lavoro. Così la Lombardia mette in rotta il vecchio mondo conservatore della sinistra: aristocrazia operaia sindacalizzata, fasce alte del ceto impiegatizio, grandi famiglie del capitalismo assistito all'italiana". Non parlategli di Compagnia delle Opere, comunità intermedie, Don Giussani, perché Formigoni si arrabbia: "La loro presenza non conta niente, né io sono qui a governare per conto dei cattolici". Un moto di superbia: "Certo, Cl ha avuto il merito storico di generare me, ma il Formigoni ha sempre avuto un consenso venti volte superiore a quello dei ciellini. Quanti vuole che siano, ventimila in tutta la Lombardia? Beh, io ho preso tre milioni e seicentomila voti". E' scatenato. Forza Italia per lui diventerà un partito di massa come e più della DC. Smentisce furibondo l'intervista a "Sette" in cui si autodefiniva l'erede naturale di Berlusconi ("Con D'Alema sono d'accordo solo su un fatto: lasciare i giornali in edicola è segno di grande civiltà"), ma poi confida di disporre dell'arma segreta, perfetta anche per Palazzo Chigi: Nicola Sanese, l'ex deputato ciellino di Rimini, già sottosegretario alla Presidenza del consiglio con Fanfani, oggi insostituibile uomo ombra in veste di direttore generale della Regione Lombardia: "Senza di lui non avrei nemmeno cominciato questa avventura".
Intanto là fuori i ciellini continueranno a essere in pochi - se ventimila attivisti in Lombardia vi sembrano pochi - ma tessono alacremente una rete di relazioni inaspettate. Dentro "Obiettivo Lavoro", divenuta in Italia la terza agenzia privata per il collocamento temporaneo, troviamo associati con loro la Cisl e - con grande scorno di Cofferati - la Lega delle cooperative. Solo in Lombardia hanno trenta filiali, gestiscono migliaia di assunzioni. Un'intera generazione di sinistra pare invece come liquidata, rinchiusa dietro le mura di mattoni rossi della Camera del lavoro, soprattutto dopo che la Cgil si è rifiutata di firmare il patto milanese sul lavoro flessibile. "Pare scandalizzarli l'idea di mettersi a trovare lavoro alla gente. Vogliono difendere solo chi lo ha già, e così il mondo del lavoro se ne va altrove", sostiene una vecchia conoscenza come Massimo Ferlini, assessore comunista negli anni Ottanta, ingiustamente coinvolto in Tangentopoli, e infine assolto con formula piena. Da qualche mese lui, ateo dichiarato, siede alla presidenza della CdO cittadina.
Ha firmato un appello elettorale per Formigoni e mi chiede: "Sei proprio sicuro che l'antica sinistra riformista milanese delle Stelline e dell'Umanitaria fosse poi così diversa dal solidarismo privato dei ciellini? E vuoi dirmi oggi dove lo trovo io il riformismo in Lombardia, a sinistra forse? No, guarda, non è un caso se il modello lombardo assorbe il riformismo e cancella la sinistra".