Mander, Jerry/Goldsmith, Edward, Glocalismo. L'alternativa strategica alla globalizzazione.

Casalecchio, Arianna Editrice, 1998, pp. 287, lire 32000.

Recensione di Guido Bosticco

"La deregulation ha creato un circolo vizioso che scatena la competizione tra cittadini, lavoratori e governi. Il fatto che la competitività stia diventando il metro essenziale della prosperità avrà un impatto sociale disastroso". Ecco il nucleo essenziale della critica, presente in uno dei saggi del libro Glocalismo. L'alternativa strategica alla globalizzazione, di Jerry Mander e Edward Goldsmith (Bologna, Arianna Editrice, 1998).

Un libro di economia per tutti, un trattato sociologico, sociale e insieme un manifesto culturale contro corrente, o almeno contro quella situazione pre-catastrofe che, secondo gli autori, si sta per realizzare a causa della globalizzazione dell'economia, che mette in ginocchio i Paesi più poveri, appiattisce le diversità culturali tra i popoli e opera nel totale disprezzo dell'ambiente e delle risorse della terra.

Ma andiamo con ordine. La prima parte del libro, la più consistente, costituita da tre capitoli, è dedicata ad un'analisi critica di tutti i sistemi economici cosiddetti vincenti, quelli che ruotano attorno ai grandi patti internazionali come il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), poi divenuto WTO (World Trade Organization), il NAFTA (North Atlantic Free Trade Agreement) e il MAI (Multilateral Agreement on Investment) o che poggiano le proprie fondamenta sulle grandi concentrazioni transnazionali, come il Fondo Monetario Internazionale o l'OECD (che da noi si chiama OSCE, Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica).

Le critiche risiedono in una rivendicazione dei valori di cultura, ambiente, mercato, risorse, salute e democrazia che questa situazione internazionale di controllo da parte di pochi mette seriamente in discussione. Il WTO, si legge a pagina 131, nel saggio di Ralph Nader e Lori Wallach, costituisce "un attentato permanente alla sovranità nazionale", in una procedura incontestabilmente antidemocratica.

Il ragionamento di fondo in tutte le critiche dei saggisti lo spiega lo stesso Goldsmith in uno dei suoi scritti: c'è stata un'imposizione del libero commercio da parte della Gran Bretagna nella seconda metà dell'Ottocento, grazie al suo potere finanziario e alla gestione delle materie prime; questo ha portato ad un'assenza nella legislazione in merito a tutela dei lavoratori. In seguito, dopo la depressione economica e all'aumento delle imposte doganali, la valvola di sfogo del mercato è rappresentata da Paesi nuovi, quelli del Terzo Mondo, dove si potevano trovare lavoro e merci a basso costo. Nel 1878 l'Europa aveva colonizzato il 67% delle terre, nel 1914 l'84,4%. Questo significa che chi prende le decisioni sono solo le classi dirigenti locali, le élite che sono inoculate nei diversi Paesi dai governi dominanti, come assicurazione di obbedienza. Il tutto, naturalmente, contro la volontà e l'interesse popolari. Il cerchio si chiude con gli aiuti americani al Terzo Mondo, aiuti economici che non fanno altro che legare a sé le sorti di tali Paesi, vincolandoli all'obbedienza e alla sottomissione economica. Con il prestito si instaura un nuovo colonialismo; nei Paesi poveri si aprono le cosiddette zone franche, per lo scambio snello e sregolato delle merci e del lavoro, in un clima di deregulation appunto, in cui non vi è controllo dell'igiene né dell'ambiente , in tutte le fasi produttive, in aggiunta allo sfruttamento della mano d'opera. Scrive Goldsmith: "In linea di massima, gli aiuti economici non possono tradursi in un vantaggio per i poveri del Terzo Mondo. La loro sopravvivenza, infatti, dipende necessariamente dall'economia locale, che non ha certo bisogno di opere faraoniche come le dighe e le autostrade, né degli elicotteri cui si accennava prima.

Tutto questo serve unicamente agli interessi dell'economia globale, la cui espansione comporta la devastazione dell'ambiente, lo strangolamento locale, l'appropriazione sistematica delle risorse naturali". E così, tra i tanti esempi, anche i paesi del Sud Est asiatico sposano la logica dell'economia globale e cadono in una grave crisi, che richiama investimenti stranieri in progetti inutili e costosi, con tutti il contorno di corruzione che ne consegue. Risultato: il Sud Est asiatico viene messo in ginocchio dal mercato.

Il terzo capitolo si occupa specificamente delle strutture della globalizzazione e dei suoi meccanismi di funzionamento. Qui il problema è più circoscritto: le legislazioni che permettono alle compagnie transnazionali di operare ovunque senza restrizioni o vincoli, relegano in ultima fila gli investitori locali. La conseguenza è chiara, dal momento che si rende impossibile lo sviluppo autoctono di dinamiche economiche forti e strutturate.

La globalizzazione è un fenomeno totalizzante e, come spiega Tony Clarke nel suo scritto I meccanismi della globalizzazione, in apertura del terzo capitolo, pervade ogni ambito della vita civile. La globalizzazione è finanziaria, e si attua nel contesto di deregulation; è nell'industria, ed ecco lo sfruttamento della mano d'opera; è nella grande distribuzione, nell'espansione sfrenata del mercato; è nel controllo delle risorse e dei servizi bancari, nelle assicurazioni e nella scuola; la globalizzazione è un vero e proprio colonialismo biologico, basti pensare ai brevetti assegnati ai geni e così via: l'effetto complessivo è quello dell'omologazione culturale. La formula ormai rodata parte dal profitto, passa per la pubblicità, porta al decadimento etico e alla deumanizzazione. Uno scenario tragico, in cui, come prima reazione, si deve combattere perché i popoli abbiano il diritto di governarsi da soli.

Si dischiude così l'orizzonte in cui si muoveranno le proposte dell'ultima parte del libro, l'idea di quel glocalismo che appare come l'unica possibilità di salvezza per il pianeta e per i suoi abitanti. In questo senso, la parola d'ordine è sostenere l'economia locale, con le leggi e con investimenti oculati.

L'ecologista Helena Norberg-Hodge parte proprio dagli investimenti, nella sua critica alle nefandezze dell'economia globale: non è concepibile continuare lo sperpero di denaro, oggi male indirizzato e in futuro da impiegare localmente per le strade, l'energia, l'agricoltura, le televisioni regionali, gli ospedali e le banche. Ciò che è fondamentale è riacquistare un senso del luogo, nella riscoperta del nostro territorio, delle origini delle risorse autoctone.

Ma c'è anche la strada dello swadeshi, il modello economico gandhiano, qui proposto da Satish Kumar, ecologista anche lui, che rievoca la massima del Mahatma secondo cui "tutto quello che viene prodotto nel villaggio deve essere utilizzato dai suoi abitanti".

E ancora, la proposta del bioregionalismo, avanzata da Kirkpatrick Sale, scrittore americano, fondatore della rivista Green Party di New York, il cui credo è tutto nella terra, nel valore dell'appartenenza. Dobbiamo diventare "abitanti della terra" e capirne le caratteristiche, apprendere la tradizione che esso veicola, stabilendo nuovi confini (ecoregioni, georegioni, morforegioni) e riacquistando la dimensione della comunità, in un'ottica di autosufficienza anche economica.

Ci sono inoltre posizioni più radicali, come quella di Colin Hines e Tim Lang, che annunciano un nuovo protezionismo, come scrivono nel loro saggio: "Noi crediamo invece che si debba promuovere un'economia locale basata sulla comunità e sull'autosufficienza, che produca per il consumo locale, protetta da meccanismi che controllino il commercio internazionale: E' quello che si può definire un nuovo protezionismo". Il progetto passa per il controllo delle importazioni e delle esportazioni, dei capitali locali e delle imprese nazionali, per una nuova politica competitiva che valorizzi le realtà più vicine. I nemici sono quelli di sempre, come il GATT, che potrebbe essere trasformato in un GAST (General Agreement for Sustainable Trade); le tasse dovrebbero essere applicate alle risorse energetiche, per favorirne una distribuzione più equa; i governi locali dovrebbero acquistare maggiore potere internamente e maggiore peso nei rapporti transnazionali.

Non mancano infine le idee per l'applicazione allargata dei cosiddetti LETS (Sistemi Commerciali di Scambio Locale) o della Banca del Tempo o ancora per l'introduzione di "monete locali", per la valorizzazione degli scambi interni. Tutti modelli già presenti in alcune dimensioni sociali, ma non abbastanza diffusi nella cultura del mercato, che pure favorirebbero uno sviluppo più armonico dell'economia e dell'ambiente. L'amara considerazione alla fine del libro è proprio di Edward Goldsmith, che osserva con una punta di disagio intellettuale: "Le persone oggi comprano il bene comune e la sicurezza invece che partecipare ad esse".

Certamente questa raccolta di saggi sul glocalismo si presenta come un buon strumento di analisi della situazione mondiale, delineata a grandi falcate, seppure in un'ottica dichiaratamente di parte. Forse la sezione finale, quella propositiva, che del resto dà il titolo al libro, è quella più deludente, non si capisce se per la reale fragilità di certe proposte, apparentemente idealiste e poco aderenti alle possibilità offerte dallo stato attuale delle cose, o se per una leggera superficialità nell'esposizione dei programmi, soprattutto rispetto alla scrupolosa documentazione delle prima parte del libro.

Indice

Prefazione di Serge Latouche - Introduzione - L'impatto devastante della globalizzazione - Promesse tradite - Le strutture della globalizzazione - Le tappe verso la rilocalizzazione.

Autori

Jerry Mander è insegnante al Nonprofit Public Media Center di San Francisco e dirige la Foundation for Deep Ecology. E' co-fondatore dell'International Forum on Globalization, organizzazione che raduna le migliori intelligenze critiche che si oppongono all'economia globale. E' autore di due best-seller negli Stati Uniti: Four Arguments for the Elimination of Television e In the Absence of the Sacred.

Edward Goldsmith è il fondatore della più importante rivista europea di ecologia, The Ecologist. Co-fondatore dell'International Forum on Globalization, ha scritto libri di fama internazionale; tra quelli pubblicati in Italia, ricordiamo: La morte ecologica (Laterza, 1972), 5000 giorni per salvare il pianeta (Zanichelli, 1990), La grande inversione (Muzio, 1997).

Università degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche

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