BRUNO GRAVAGNUOLO

Tutto è globale, fuorché il pensiero. Torniamo a Hegel

Escono da Einaudi le lezioni della "Filosofia della Storia universale" risalenti al semestre 1822-23: alle radici del concetto di "interdipendenza mondiale"

Una filosofia globale. A evocarla si rischierebbero sarcasmo e derisione. Eppure globale è ormai l'economia, la politica, l'informazione, la tecnoscienza. Tutto tranne la filosofia, ridotta a genere letterario o al più a storia delle idee, dentro i giochi linguistici di contesto. Strano che in era globale sia rimosso un filosofo, che globale lo era sul serio, e più di tutti. Non solo perché il suo sistema logico abbracciava, come un sestante in azione, tutta l'enciclopedia scientifica dell'epoca. Ma perché, nel cuore pulsante di quel sistema, v'era una certa idea della storia. L'idea della "storia universale", simultanea e compresente. A quel filosofo - Giorgio Guglielmo Federico Hegel - un dì stracitato e oggi cane morto, conviene ritornare, a 170 anni dalla morte. Per misurare la distanza dalla sua prospettiva eurocentrica di allora, venata altresì di profezie. Ma anche per capire che l'idea di un destino planetario che ci avvolge - l'"interdipendenza" - risale a lui.

E l'occasione ci è offerta da una splendida edizione Einaudi della Filosofia della Storia universale (pp. 541, L. 65.000), il corpus dell'originaria filosofia della storia hegeliana del 1822-23 e matrice delle canoniche Lezioni, la Bibbia dell'hegelismo reso in prosa dagli uditori. Fascino filologico dell'edizione dunque, a cura di Sergio Dellavalle. E opportunità di osservare oscillazioni e genesi del "farsi mondo" dello Spirito in Hegel. Sì, poiché il segno distintivo della filosofia hegeliana è proprio questo, a cavallo di Illuminismo, rivoluzione industriale e Restaurazione: il rendez-vous in terra fra Eternità filosofica dell'Essere e Modernità, intrisa di conflitti e spettri nichilisti. Il tutto rischiarato, nell'utopia speculativa del filosofo, dal chiarore dello Spirito assoluto, sorta di Autocoscienza universale e trasparente. Dove logica e storia si incontrano, sul filo di una Necessità che fa di stati e mondi storici altrettante tappe del cammino della Ragione. Quanto all'apice finale, per Hegel è null'altro che il "mondo cristiano germanico". Culla del Protestantesimo, che è religione cristiana per antonomasia, col trionfo della libertà della "persona" inserita nello Stato costituzionale monarchico. Eurocentrismo quindi, e primato assegnato a una fetta d'Europa, anglicana, calvinista e tedesca. Ma anche scoperta dei proprium dell'occidente: l'individuo. Fulcro della "società civile" e dell'economia moderna. Qui però, nella sua prefazione, il prefatore sottilizza alquanto. Col chiedersi il perché di certe incertezze hegeliane, tra una versione e l'altra del suo ordito in cantiere a Berlino. E cioè, si chiede Dellavalle: viene prima il simbolismo religioso o la sfera politico-sociale, nello spingere la ruota del Moderno? E ancora: è più importante per Hegel il 1789 francese, oppure la Riforma luterana? Domande un po' oziose. Perché per Hegel, di là di accentuazioni e sfumature, l'uno e l'altra sono picchi di un identico sisma: esplosioni del "soggetto" dentro la geopolitica europea della società civile. E contro l'autorità metafisica e politica.

Con Lutero il fenomeno è più interiore e invisibile, e prelude alla Gloriosa Rivoluzione inglese, nonché al riformismo prussiano illuminato. Con la Rivoluzione francese viceversa c'è lo scontro tra una soggettività emancipata, ma "estraneata", e lo Stato assoluto, refrattario ad accogliere la libertà. Altro limite della prefazione di Dellavalle è il resoconto troppo sommario dei passaggi tra la giovanile ideologia giacobina di Hegel, e la matura filosofia della storia. Al solito, punto cruciale è il Cristianesimo. Seme che mette in moto la crisi del mondo antico, spingendolo verso lavoro, scienza, cultura, finalismo, progetto del futuro. All'inizio, negli Scritti teologici giovanili, la nuova religione è solo "alienazione" che sfigura la "bella eticità" della polis antica. Ma in Hegel non c'è passaggio brusco dal paganesimo politico al nuovo punto di vista, come sembra pensare Dellavalle. Piuttosto Hegel capisce che proprio l'alienazione cristiana, coi suoi fallimenti, è fase di trapasso verso il superamento dell'alienazione: in un mondo dove ogni individuo è "divino" e dove lo stato moderno è Dio metaforico in terra. Piccolo grande paradosso. Malgrado il suo eurocentrismo, in Hegel tutto avviene perché una religione orientale ha fatto irruzione ad ovest dentro la storia globale. E qualcosa del genere sta avvenendo anche oggi. Con l'irruzione planetaria in Occidente delle culture "altre".

Da Sito Web Italiano per la Filosofia -http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/analisi.htm

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