A Monza una conferenza ha aperto interessanti prospettive su un problema molto dibattuto -
Mondialismo, è colpa dell’Europa -
Secondo i relatori, sarebbero i tecnici dell’Ue a favorire
il processo di globalizzazione
di Andrea Rognoni
Qualche giorno fa, al Teatrino della Villa Reale di Monza, si è dibattuto diglobalizzazione e mondialismo, con l’intervento dell’ambientalista Brambilla, del direttore di "Orion" Murelli e dei noti giornalisti Massimo Fini e Renato Besana. Maurizio Murelli, che si interessa del fenomeno mondialistico fin dal 1985, ha cercato le radici del concetto nell’ambiente cattolico francese, che nei primi anni ottanta individuò una sorta di complotto mondiale, teso alla costruzione di un "governo-culto" che controlla e condiziona qualsiasi tipo di avvenimento politico, finanziario e culturale in ogni parte del pianeta. Secondo Murelli in quella interpretazione c’era una ipervalutazione del ruolo giocato da alcune forze come la Massoneria o altre specifiche di marca esoterica o tradizionale. Il problema principale è pertanto l’individuazione degli effettivi poteri che sono in grado di coordinare i meccanismi coercitivi nei confronti delle nazioni e degli individui. In realtà il mondialismo rappresenta qualcosa di estremamente complesso, dove alcune linee di forza agiscono tuttora in maniera spontanea e irreversibile, senza alcuna guida cosciente. Anche per Massimo Fini non esisterebbe alcuna sorta di "Grande Vecchio" in grado di controllare scientificamente il pianeta. Occorre invece risalire alla cosiddetta rivoluzione industriale, che ha progressivamente ridotto qualsiasi forma di coscienza individuale e nazionale. Secondo Fini è nel modello del colonialismo che il nuovo globalismo economico guarda con spietata volontà: sradica i vari cittadini di ogni nazione del mondo per farne degli schiavi della grande macchina del mercato mondiale. Alcuni paesi ad esempio, entrando in questo circolo vizioso, sono costretti, per esportare certi prodotti, a subire i processi di industrializzazione, meccanizzazione e telematizzazione ideati dai paesi più avanzati, soprattutto gli Stati Uniti d’America. Nel terzo e quarto mondo si finisce pertanto per produrre del cibo che non si riesce a mangiare ed usufruire in loco perché destinato solo alle mense dei popoli più ricchi. Fini ritrova nelle parole profetiche del migliore Pasolini sull’omologazione culturale i germi del riconoscimento degli attuali processi mondialistici. Per Renato Besana ci sono addirittura le premesse per un collasso dell’economia mondiale a causa proprio dell’esportazione della produzione in luoghi dove il costo del lavoro è più basso. Nel secolo XVIII, complice l’illuminismo, nacquero le premesse filosofiche dell’attuale nefasta tecnocrazia, vera regista del mondialismo. Sarebbero quindi i cosiddetti "tecnici" di ogni nazione europea, compresa l’Italia, a favore inesorabilmente la globalizzazione economica e culturale. La stessa unione europea è un organismo oligarchico e tecnocratico irrispettoso delle varie democrazie nazionali e funzionale alla volontà di banche ed operatori di mercato; il risultato è che siamo tutti più poveri e meno ricchi. Il dottor Brambilla, del Wwf, si è trovato d’accordo partendo da un diverso versante ideologico e politico: da parte sua è necessaria una critica serrata del ruolo femminile nel mondo, incapaci soprattutto di riconoscere il risultato di un progressivo e drammatico impoverimento delle energie e fornite dall’ambiente naturale. La consunzione del "capitale-natura" costringerà, forse solo in grave ritardo, le stesse società mondiali ad inserire la retromarcia, ammettendo l’abbaglio utopistico che sta alla base dello stesso mondialismo.
Da http://globalorder.8k.com/intro.htm