"l'impegno", a. XIX, n. 2, agosto 1999
© Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
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Negli anni sessanta la trasformazione dei costumi e della mentalità giovanile nei confronti di quella degli adulti è rapidissima e precede l'esplosione delle lotte studentesche all'università e la ripresa della conflittualità operaia nelle fabbriche. È tra questi giovani che si diffonde la moda dei capelli lunghi, dei pantaloni di jeans stretti, degli stivaletti a punta e col tacco alto, delle prime minigonne; un modo di vestire "casual", come si dirà negli anni settanta, che rifiuta per polemica e per gesto di irriverenza e secessione dal perbenismo degli adulti, la giacca, la camicia bianca e la cravatta, i pantaloni ben stirati con la riga davanti, le scarpe tirate a lucido tutte le mattine, il paltò, sostituendoli con giacconi militari usati, le camicie colorate, i jeans scoloriti, le sciarpe di lana, gli scarponi. Le foto delle manifestazioni dei giovani di sinistra contro la guerra nel Vietnam nel 1965-66 e quelle che ritraggono gli occupanti delle università italiane a cavallo tra il 1967-68, ci restituiscono ancora l'immagine di giovani certo già contestatori e già politicizzati, ma ancora "per bene" nel modo di presentarsi: portano infatti capelli corti e ben pettinati, pantaloni ben stirati, giacche, cravatte, cappotti, mentre le ragazze indossano tailleur (non certo pantaloni), che ancora non salgono sopra il ginocchio, in mano tengono una composta e lucida borsetta, ai piedi hanno scarpe coi tacchi a spillo. Ben presto i fotogrammi dei cinegiornali del 1968 e del 1969 ci offriranno, dal punto di vista del costume e del modo di vestire, altre immagini e anche nel movimento studentesco la moda dei capelli lunghi o alla nazarena, come dicevano i cattolici del dissenso, dilagherà, accanto ai jeans, i giacconi, le barbe lunghe.