LA DIMENSIONE PSICOLOGICA

di Enzo Minissi

Più che descrivere quali erano le condizioni psicologiche più diffuse, (anche perché, come al solito, ce ne erano tante e tanto diverse tra loro), proverò a cercare di capire quali cambiamenti nella concezione e definizione degli aspetti psicologico- esistenziali abbiano trovato, in Italia, le loro radici nella cultura del 68,

Vanno ricordate, innanzitutto, almeno due cose.

L’Italia del 68 era ancora un Paese non pienamente industrializzato, e l’incremento dei fattori nevrotici tipici delle società moderne e postmoderne non si era ancora pienamente mostrato. Erano invece più visibili i problemi legati alla povertà, all’emigrazione, all’emarginazione dei ceti sociali più deboli.
La prevalenza nel Movimento di ideologie marxiste che visualizzavano la centralità dei problemi nelle contraddizioni tra classi sociali, non lasciava molto spazio al dibattito sulle problematiche dell’esistenza.

In altri Paesi, dagli USA alla Francia, le lotte degli studenti esprimevano piuttosto esplicitamente il disagio esistenziale caratteristico dei giovani intellettuali, con una contiguità, a volte alquanto farraginosa, a filosofi come Sartre, Russel, Fromm e Marcuse, che dissertavano con buona lucidità sulla relazione tra sviluppo capitalistico e disagio psicologico. In Italia questo non avvenne, oltrechè per le due circostanze storiche sopra citate, anche in considerazione che le avanguardie culturali e politiche presenti nel Movimento, erano o di matrice cattolica o di matrice comunista, entrambi filoni ideologici che avevano risolto, (o preteso di risolvere) in altre sedi, il problema della centralità delle problematiche umane nei sistemi sociali. Senza voler fare della facile ironia si viveva in un’epoca in cui i propri problemi individuali si risolvevano parlando o col prete o con il segretario della sezione.

D’altra parte il quadro generale della psicologia e della psichiatria, in Italia, era uno dei più deprimenti e arretrati: non esisteva una Facoltà di Psicologia e la cura del disagio mentale era affidata a psichiatri con formazione quasi esclusivamente neurologica. In pratica il trattamento consisteva in un miscuglio di grossolane terapie farmacologiche (o elettroshok) somministrate in istituzioni di tipo manicomiale che nei ceti abbienti avevano il conforto di psicoanalisti freudiani o yunghiani che, quando vedevano inevitabilmente falliti i loro sforzi, provvedevano al ricovero, non nei manicomi, ma in strutture più lussuose (e costose) ove erano comunque praticati gli stessi metodi coercitivi di cura, inefficaci e dannosi. La tesi esclusiva era quella che definiva la persona con problemi psicologici un deviante sociale: un pericoloso depravato o, al meglio, un eccentrico vizioso e irresponsabile che non apprezzava i vantaggi della società del benessere e che, quindi, doveva essere curato per garantire la tranquillità dei sistemi (famiglia, scuola, luogo di lavoro, società) a cui era stato assegnato dall’ordine predeterminato della sua origine socio culturale.

Non è che oggi le cose vadano in maniera immensamente diversa, ma, attenzione, moltissime sono le voci critiche, le terapie alternative, le nuove teorie sistemiche e i manicomi, sono stati aboliti (almeno sulla carta) da vent’anni.

Ed è proprio su questo aspetto che ci vogliamo soffermare: almeno sul piano giuridico l’Italia ha una delle leggi più avanzate a tutela dei diritti delle persone con disagio psichico e, a parte le critiche che gli si possono rivolgere sul piano della formazione scientifica dei suoi "operatori nella salute mentale", la cultura dell’ analisi psicologica si è largamente affermata, nel bene o nel male, in misura maggiore, rispetto a quella basata sull’uso dello psicofarmaco, che, ad esempio, ha portato e porta a gravissimi problemi negli USA.

Con buona pace delle case farmaceutiche che provano ad imporre i loro dannosi veleni anche ai bambini che vanno male a scuola, sostenute da una classe medica cieca e asservita, gli Italiani dalla fine degli anni 70 in poi, hanno preferito invece confidare nello strumento psicoterapeutico, dimostrando di aver scoperto la centralità dei problemi esistenziali nella loro dimensione di vita sociale.

Possiamo mettere in relazione gli eventi storico sociali scaturiti dal 68, con la scoperta della centralità della dimensione psicologica in un Paese che, certamente, non è tra i più avanzati culturalmente e scientificamente in questo campo ? Cercheremo di descrivere quale genere di approccio diverso si può avere al disagio psichico di un individuo.

Una delle nuove scuole di pensiero psicologico che ci pare particolarmente interessante, individua due strategie in contrasto tra loro : la strategia manipolativa e la strategia comprensiva. La prima parte dal presupposto che il terapista debba avere un’idea predefinita del problema del paziente e che quindi debba sviluppare tecniche di intervento che lo dirigano verso determinate scelte di pensiero. La seconda ritiene che i problemi di ciascun individuo dipendano dal sistema in cui esso è nato e cresciuto e all’interno del quale egli voglia rimettere in discussione la sua posizione, affrontando in continuazione il dilemma se debba continuare un’esistenza piena di sofferenze (o di grigiore e noia) oppure affrontare il rischio di ricollocarsi in una posizione diversa della quale non sa prevedere le conseguenze. Alcuni elementi che possono differenziare le due strategie della manipolazione e della comprensione possono essere i seguenti:

MANIPOLAZIONE

contrapposto a

COMPRENSIONE

     

Chi è più esperto conosce in anticipo
la soluzione di un problema

 

Ogni problema ha una sua soluzione che nessuno può conoscere in anticipo

     

Agendo sull’individuo e modificandone la visione del mondo se ne risolvono i problemi. Cambiando adeguatamente l’individuo il sistema può rimanere integro

 

I problemi nascono da come un individuo è collocato in un sistema. Ogni cambiamento individuale è condizionato e condiziona il sistema.

     

La persona che deve cambiare va tranquillizzata per convincerla che non c’è niente da temere. Questo accelera la sua volontà di cambiare

 

Il cambiamento è, comunque, una cosa che fa paura. Nascondere ciò non fa che rendere ancora più impreparato chi vuole cambiare

     

Il cambiamento serve a far vivere meglio l’individuo

 

Il cambiamento serve a far vivere diversamente l’individuo

     

E’ importante raggiungere un risultato rapido che dia immediati vantaggi

 

E’ importante vivere l’esperienza come un percorso, anche se, alle volte, questo è difficile e incerto

     

E’ abbastanza evidente che nella parte sinistra della colonna si possono collocare tutti coloro che hanno interpretato il 68 ( rifiutandolo, combattendolo, o cercando di cavalcarne gli effetti) come momento irresponsabile, inutile e caotico. "L’impossibilità di essere normali", "Fatevi guidare da chi ha fatto la Resistenza", "Quando sarete grandi vi passerà" "Ma non vedete che è successo in Russia" "In Italia non c’è alcun pericolo per la democrazia. Le stragi sono frutto di pochi estremisti che lo Stato democratico saprà isolare"

Nella parte destra, possiamo invece rilevare alcuni elementi che, seppure a livello embrionale, erano ben vivi e presenti negli slogan, nelle canzoni, e, soprattutto nelle scelte del movimento del 68. Il rifiuto della predestinazione dei ruoli sociali e delle carriere economicamente vantaggiose, "l’Immaginazione al Potere", la lotta a tutto il sistema sociale, non solo alle disfunzioni di scuola e università, il distacco netto e violento dai valori familiari, l’accettazione di un’incertezza rivoluzionaria vissuta con coraggio e ottimismo nonostante i fantasmi di una repressione brutale e gli inganni costanti di un sistema corrotto e menzognero, la ricerca del nuovo ‘costi quel che costi’, l’accettazione della diversità, infine, che è la prima condizione per una cultura della comprensione. E’ vero che, di lì a qualche anno sarebbero nati gruppi e gruppetti che scimmiottavano il socialismo reale o si ispiravano a pratiche di tipo fideistico e religioso e, che tutto questo avrebbe fatto nascere il fenomeno del ‘tutto e subito’ , sfociato nel terrorismo, da una parte e nel ‘riflusso’ dall’altra, con i protagonisti di allora sepolti o in carcere, da una parte, o inseriti nel ruolo di insopportabili reazionari dall’altra. Tutto vero. E’ stato impossibile sottrarsi ai pesanti condizionamenti interni ed internazionali per avere un Italia senza la mafia, senza la corruzione, con una scuola ed un’ Università degne di tale nome. E vorremmo aggiungere: senza l’inquinamento, l’eroina, e i morti del sabato sera.

Il 68 italiano è stato un processo storico che ci ha guidato in un periodo di cambiamento verso una società un po’ più aperta, un po’ più giusta, un po’ meno attenta ai problemi di Stalin e della Madonna e un po’ più consapevole dei problemi della nostra esistenza di esseri umani. Poteva andare meglio? Chissà?!

Lo sapremo la prossima volta che ci qualcuno ci riproverà.

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