La Stampa-1 AGOSTO 2001.

MAUUZIO MOLINARI

ANTIGLOBAL e così sia

LA PRESENZA DEL MONDO CATTOLICO NEL NUOVO MOVIMENTO HA SUSCITATO POLEMICHE. QUALI SONO LE RAGIONI CHE L'HANNO SPINTO A SCENDERE IN PIAZZA CON LE TUTE BIANCHE?

I cattolici sono tra i protagonisti del movimento antiglobalizzazione. Associazioni, gruppi di volontariato, missionari e pacifisti si sono trovati al fianco delle "tute bianche" e sono scesi in piazza a Genova contro il G8. Questo modo di intedere l'evangelico "essere con i poveri" ha suscitato un acceso dibattito. C'è chi ha accusato i cattolici di aver seguito le ragioni del cuore e di essersi fatti ingenuamente strumentalizzare da un calderone "anti-occidentale", che ben poco ha a che vedere con le posizioni del Papa e della Chiesa. Pubblichiamo l'intervista a David Crocker, docente di filosofia all'Università del Maryland che si sente sulla globalizzazione in sintonia con il Papa e una mappa delle posizioni del variegato mondo cattolico dopo i fatti di Genova

La cattedra di filosofia all'Università del Maryland è tenuta da David Crocker, un professore anomalo: critica la globalizzazione ma non gli piacciono neanche i suoi acerrimi avversari, ammette di pensarla "come il Papa". Negli ultimi 17 anni ha dedicato il proprio lavoro a definire un sentiero per l'etica nell'era della globalizzazione. Mentre numerosi suoi colleghi si interrogano su economia, politica e tecnologia Crocker ritiene che la chiave interpretativa di quanto stavvenendo sia altrove. Non a caso presiede dal suo studio nel Maryland l'Associazione Internazionale per l'etica dello sviluppo (Idea), un network di filosofi e scienziati di ogni angolo del Pianeta che si confrontano sui valori, non sui numeri, dell'era della globalizzazione.

Professor Crocker, i cinque punti dello statuto dell'Idea affermano che devono essere i valori a guidare lo sviluppo. A quali valori vi riferite?

"Il punto di partenza sono le battaglie combattute negli ultimi decenni dal movimento dei diritti umani perché hanno stabilito un assioma che oggi tutti condividono: ognuno ha diritto al rispetto dei propri diritti fondamentali. Ma il concetto di "diritti fondamentali" con il passare del tempo si è evoluto notevolmente, è divenuto più complesso rispetto alla pura e semplice libertà di parlare, muoversi, protestare ascoltare ovvero alle libertà del corpo. Oggi i diritti fondamentali comprendono anche il principio della libertà economica. Molte Costituzioni già esistenti vi fanno riferimento, l'idea di libertà deve applicarsi anche all'economia".

Quale è il percorso che suggerite per arrivare a questa "libertà economica"?

"Dobbiamo renderci conto che di fronte alla crescita economica bisogna porsi delle domande molto semplici. A chi giova questa crescita? Chi decide la direzione in cui si cresce e come si cresce? Chi stabilisce chi cresce e chi resta fermo? Sono domande che hanno a che vedere con i diritti della gente. Tentare di rispondere significa già mettersi sulla buona strada. Ciò che importa è applicare anche all'economia il criterio intransigente del rispetto dei diritti umani universalmente riconosciuti".

Quando si può affermare che un fenomeno globale è eticamente giusto o sbagliato?

"La crescita deve essere un mezzo non un fine. L'errore è quando il salto in avanti dell'economia finisce per premiare un gruppo ristretto di persone. Una buona crescita è invece quella opposta, di cui beneficia il numero maggiore di abitanti grazie a più educazione, più assistenza sanitaria, più sicurezza sociale, più entrate mensili...".

Scusi, ma sta descrivendo il Welfare State. Dov'è la novità?

"La differenza è in chi decide. Il Welfare State è un modello economico realizzato da alcuni governi che vengono eletti e rieletti ogni quattro o cinque anni. Il difetto del Welfare Stato è nell'essere diventato una ricetta in mano a pochi che, usandola, vogliono apparire democratici, vincere le elezioni, governare. I contenuti del Welfare State sono in gran parte giusti ma la realizzazione non può essere affidata alle mani di pochi. Bisogna coinvolgere nel processo decisionale i gruppi di base, le associazioni, le organizzazioni non governative e, perché no, le famiglie".

 

Non le sembra di disegnare un mondo utopico?

"Non credo, il punto di fondo è molto concreto: bisogna allargare il numero delle persone che assumono le decisioni sui grandi fenomeni della globalizzazione".

Pensa forse di riproporre nel XXI secolo il modello di consultazione delle assembleee cittadine?

"È uno dei modelli che ci viene dalla Storia ma non è detto che possa essere l'unico, nè il migliore. Le federazioni di associazioni, i forum di organizzazioni non governative sono altre strade per riunire la gente, ragionare assieme. La famiglia stessa è un livello di consultazione allargata, dove si possono prendere delle decisioni. Il desiderio di partecipare viene dal basso, non deve essere respinto: nè in politica nè in economia".

Ritiene che il movimento antiglobalizzazione rappresenti queste istanze di democrazia economia?

"Solo in parte. Questo movimento ha ragione quando contesta i governi, il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale per il fatto che a decidere sono sempre in pochi o che la priorità è sempre data alla crescita e non all'appagamento dei bisogni dei più. Il fronte antiglobalizzazione commette però un grave errore quando trae la conclusione che la via più breve è quella di liberarsi semplicemente di tutte le istituzioni esistenti per sostituirle con imprecisate istituzioni alternative. Distruggere non è affatto una soluzione, riformare sì".

In quale direzione bisognerebbe condurre questa riforma delle istituzioni economiche della globalizzazione?

"In quella della maggiore rappresentanza. Il movimento anti-globalizzazione non offre alcuna alternativa, vuole solo distruggere, azzerare, cancellare. La strada non è questa. Le istituzioni devono continuare ad esistere ma devono essere meno elitarie, più aperte, molto più democratiche. Bisogna evitare la dicotomia fra chi dice che la globalizzazione è perfetta e chi afferma invece l'esatto contrario. Papa Giovanni Paolo II ha osservato giustamente che la globalizzazione in sè non è nè buona nè cattiva ma può essere buona o cattiva, dipende dai contenuti che le si danno. Bisogna vedere dove la povertà è aumentata è dove è diminuita, dove le diseguaglianze sono aumentate e dove sono diminuite. Bisogna tener presente l'individuo".

I cattolici sono tra i protagonisti del movimento antiglobalizzazione. Associazioni, gruppi di volontariato, missionari e pacifisti si sono trovati al fianco delle "tute bianche" e sono scesi in piazza a Genova contro il G8. Questo modo di intedere l'evangelico "essere con i poveri" ha suscitato un acceso dibattito. C'è chi ha accusato i cattolici di aver seguito le ragioni del cuore e di essersi fatti ingenuamente strumentalizzare da un calderone "anti-occidentale", che ben poco ha a che vedere con le posizioni del Papa e della Chiesa. Pubblichiamo l'intervista a David Crocker, docente di filosofia all'Università del Maryland che si sente sulla globalizzazione in sintonia con il Papa e una mappa delle posizioni del variegato mondo cattolico dopo i fatti di Genova.

Da http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna

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