GIANCARLO ZIZOLA
San Tommaso, prima di Marx
Nel decennio successivo al crollo del Muro, Giovanni Paolo II ha accentuato la funzione critica del magistero sociale della Chiesa romana sui processi di accumulazione e sui parametri organizzativi dell'economia globale. Dalla primavera di quest'anno, avvicinandosi la scadenza del G-8 di Genova, il Papa ha ridefinito le posizioni già acquisite con la "Centesimus annus" (1991) in alcuni pronunciamenti specifici sulla globalizzazione. Quello a carattere più organico, il 27 aprile, concludeva la sessione annuale della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, i cui membri - una trentina di economisti dei vari continenti - avevano discusso per una settimana il tema "Globalisation and Common Humanity: Ethical and Institutional Concerns".
Le chiavi di lettura adottate dal Papa sono quelle della sua enciclica, ma con una accentuazione significativa sulla necessità di coniugare la razionalità economica (efficienza, produttività, profitto) con la razionalità etica (giustizia e solidarietà in funzione dell'interesse del genere umano intero, nel tempo e nello spazio) al fine di scongiurare gli effetti perversi del sistema. Se nell'enciclica il Papa riconosceva la validità di un mercato e di un'impresa veramente liberi, di un giusto profitto e di una libera iniziativa economica, negli interventi sulla globalizzazione mette in valore ancora maggiormente il duplice principio fondamentale: quello della destinazione universale (cioè a tutti) dei beni della Terra, e quello dell'ipoteca sociale della proprietà privata.
Si tratta di principi radicati nella Rivelazione biblica e nella dottrina della Tradizione patristica dei primi secoli. E' farina del sacco della Chiesa, non mendicata da fonti aliene, più o meno veteromarxiste, come insinuato da alcuni osservatori, perplessi per una presunta omologazione delle posizioni della gerarchia cattolica al radicalismo del "Popolo di Seattle". I dirigenti della Chiesa romana hanno tenuto a differenziare fisicamente le manifestazioni dell'associazionismo cattolico sul G-8, ma la differenza reale era già sufficientemente assicurata dall'autonomia delle fonti di riferimento, in particolare la Bibbia, i Padri e, nel secondo millennio, San Tommaso d'
Aquino, fino al magistero sociale di Pio XlI e di Giovanni XXIII.Lo stesso Concilio Vaticano II, nel 1965, aveva attinto a quelle risorse le basi per un'etica della globalizzazione. Il presupposto era cercato nella convenienza tra la visione "globale" della missione della Chiesa cattolica, presso tutti i popoli e il progetto teologico sul cammino del genere umano verso l'unità. La costituzione Gaudium et Spes afferma che "Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e popoli, così che i beni creati devono secondo un equo criterio essere partecipati a tutta. Perciò l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri. Del resto a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alle proprie famiglie. Questo ritenevano giusto i Padri e i Dottori della Chiesa quando hanno insegnato che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri non soltanto con il loro superfluo".
L'altro pilastro dell'architettura dottrinale della Chiesa sulla globalizzazione è la funzione sociale della proprietà privata: "Se si trascura questa funzione sociale - avverte il Concilio - la proprietà può divenire in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire facile pretesto agli oppositori per mettere in crisi lo stesso diritto di proprietà". Lo stesso documento indica nella solidarietà del genere umano la ragione di una politica di cooperazione internazionale in campo economico, finalizzata alla "liberazione dei popoli dalle troppe disuguaglianze e da ogni forma di indebita dipendenza".
Il merito attribuito a Giovanni Paolo II è di aver adattato questi principi alla crescente interdipendenza di economie e sistemi sociali. Nella descrizione del fenomeno, del fenomeno, il Papa ha dato prova di decifrarne la complessità evitando il rischio di pregiudiziali ideologiche: "La globalizzazione non è a priori né bene né male" ha detto ai suoi Accademici sociali. "Essa sarà ciò che la gente ne fa. Nessun sistema è un fine a se stesso ed è necessario insistere che la giobalizzazione, come ogni altro Sistema, deve essere a servizio della persona umana e servire la solidarietà e il bene comune". Centrale, nella preoccupazione papale, è la convinzione che l'ordine economico universale debba ricevere urgentemente dei quadri di governance, anzi che i meccanismi di controllo siano necessari alla logica interna del mercato, al fine di evitare di "ridurre tutte le relazioni sociali al fattore economico e di proteggere quelli che sono assoggettati alle nuove forme di esclusione e di emarginazione". Il Papa ha fatto proprio il timore che la globalizzazione implichi un'ondata distruttiva rispetto alle norme sociali e alle culture, per il carattere "intrusivo e persino invasivo della logica del mercato che riduce sempre più lo spazio disponibile alla comunità umana per le attività pubbliche e volontarie a tutti i livelli". Sul piano culturale, Giovanni Paolo II ha messo in guardia dal rischio che la globalizzazione si traduca in una nuova versione del colonialismo, fino a imporre a tutti i valori e i criteri di ragionamento etico propri del sistema socioeconomico dominante. Il suo augurio è che "il vincitore di questo processo sia l'umanità nel suo insieme e non solo una élite di ricchi che controlla la scienza, la tecnologia, la comunicazione e le risorse del pianeta a detrimento della grande maggioranza dei suoi abitanti". E la sua speranza è che gli elementi della società cooperino alla promozione di una globalizzazione "a servizio di tutte le persone e di tutti i popoli".
Il Papa non è solo in questa proposta. Al suo fianco per la prima volta in Italia, è emerso un magistero sociale di singoli pastori (specialmente i cardinali Tettamanzi di Genova e Piovanelli di Firenze) e di un episcopato regionale, quello ligure, tutti impegnati sui problemi dell'economia globale. Si è mobilitato l'associazionismo cattolico nazionale, suscitando tensioni interne e differenze di opinioni come da tempo non apparivano in casa cattolica. Impegnata fin dall'epoca della "Pacem in terris " (1963) a formare una cultura solidaristica su scala universale, questa grande Istituzione spirituale, i cui fedeli abitano per il 74% le regioni del Sud mondiale, sollecita al di là del G-8 una riflessione sui valori che concorrono alla concezione del mondo globale e sulla creazione di istituzioni internazionali e sopranazionali adeguate ai traboccanti sviluppi economici e tecnologici che investono il pianeta.
Da Il Sole 24 Ore 13 Luglio 2001
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http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/sum.htm