DIFFUSIONE DEL FENOMENO BEAT IN EUROPA

Di certo la Beat Generation deve essere considerata un fenomeno esclusivamente americano, come pure si è detto parlando delle "terre" in cui essa affonda le proprie radici. E’ l’America con i suoi sterminati spazi e la sua gente così legata allo spirito pionieristico che ha fatto la Beat Generation; no, non ci sono argomenti che reggano, è impossibile riscontrare un’"amicizia" simile al di fuori dell’ambito statunitense. Forse i beatniks, gli imitatori senza scrupoli e senza reale interesse alla vita beat, possono essere ritrovati anche in Europa, ma i Beats no di certo; erano già pochi in America figurarsi se li si poteva trovare fuori dal proprio "ambiente", in altri paesi meno industrializzati, meno maccartisti, meno nucleari, meno imperialisti, meno aperti al sincretismo religioso, meno in crisi per i propri tabù, impossibile. Però i "figli dei fiori" si, certo loro erano di più, erano più commerciali e facilmente assimilabili, erano gli hippies e forse ancor più gli yippies, con la loro " politica dei fiori", e non sapevano che li avrebbe inghiottiti così facilmente, già perché l’establishment è spietato e non dà tregua, ma loro erano un po’ stanchi e forse neppure tanto convinti di se stessi che si sono lasciati andare alla contemplazione eremitica oppure all’attivismo corrompente del mondo occidentale.
Hanno perso, ecco perché se ne possono trovare tanti ancor oggi che si fingono fedeli alla loro vecchia ideologia oppure che si riducono a vagare senza una meta spirituale effettiva. Hair, titolo che fa riferimento all’aggettivo hairy, cioè capellone, il famoso musical prodotto da Broadway in opposizione al Living Theatre è proprio il simbolo della commercializzazione dell’underground, un miscuglio di divulgazione e di strumentalizzazione del costume. Gente abbigliata con abiti strani fuori moda, con i capelli lunghi gli uomini e con i jeans le donne – in segno di uguaglianza dicono -, sandali alla Ginsberg ai piedi e nastrino all’indiana sulla fronte, marce per la pace in Vietnam, roghi di cartoline precetto di leva e meditazione psichedelica a base di LSD riprodotta con luci coloratissime, bolle di sapone e immagini convulse – da notare il Magic Mistery Tour dei Beatles, altrettanto triste e commerciale -. Questo è quanto è accaduto, l’underground si è diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo occidentale sviluppato, a partire da Londra, Parigi e Amsterdam, ha fatto il ’68 ed è stato più monopolizzato di quanto se ne sia accorto, anche se i più validi hanno abbandonato al sentore di una tale imminente fine.
In Italia - come al solito qui tutto arriva marginalmente - dopo il ’68 non c’è stato più un grande interesse per il fenomeno contestatario giovanile; sono stati molti i giovani che hanno abbandonato tutto per fare lunghi viaggi in India e sul Tibet ed è vero che molti di loro, figli ricchi di industriali, lo facevano solo per provare nuove esperienze psichedeliche con le droghe o per trovare un po’ di tempo in più per non dover entrare nel mondo del lavoro, ma è altrettanto reale l’effettivo interesse di molti studenti universitari del corso di lingue che hanno steso innumerevoli tesi di laurea sulla Beat Generation. Il materiale è difficile da trovare nonostante che spesso molti Beats siano venuti proprio nella nostra penisola o invitati a qualche festival (Spoleto Festival, 1965) , a cominciare da Ginsberg e Corso, oppure alla ricerca delle proprie radici, come Ferlinghetti che scrive Scene italiane, viaggio di versi nelle nostre terre. In Italia la più grande esperta di Beat Generation è l’americanista Fernanda Pivano che ha curato e scritto molte introduzioni e prefazioni di libri beat e molti testi di critica a riguardo e che soprattutto è loro amica. Oltre che su testi letterari la Beat Generation può essere conosciuta anche su disco o pellicola cinematografica anche se in Italia si trova ben poco. E’ reperibile Pull My Daisy (1959) di R. Frank e A. Leslie, la cui sceneggiatura è stata scritta da Jack Kerouac e che è stato interpretato da Orlovsky, Ginsberg e Corso; La nostra vita comincia di notte (1960) di R. McDougall, trasposizione cinematografica de I sotterranei; The Beat Generation: An American Dream (1987), con Burroughs, Cassady, Corso, Kerouac, Ginsberg e Ferlinghetti; infine più facile da trovare è Il pasto Nudo (1991) di D. Cronenberg, tratto dall’omonimo romanzo di Burroughs.

Da: http://digilander.iol.it/laBeatGeneration

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